Richiesta della cittadinanza avanzata
dal rappresentante legale dell’interdetto
Parere 2018
Ritenere che i diritti personalissimi, quale
il mutamento della cittadinanza, non possano essere rappresentati dal tutore e
dal legale rappresentante ma richiedano la manifestazione di volontà da parte
del diretto interessato comporta, inevitabilmente, la negazione di un diritto
personalissimo, quale il diritto al mutamento della cittadinanza, ai soggetti
disabili, incapaci di intendere e di volere, determinando in tal modo una forma
di loro immodificabile emarginazione sociale.
E’ illegittimo il diniego della cittadinanza
sorretto dalla motivazione suddetta (=che i diritti personalissimi non possano
essere rappresentati dal tutore e dal legale rappresentante ma richiedano la
manifestazione di volontà da parte del diretto interessato), in quanto i
principi espressi dalla Corte costituzionale e l’ orientamento del Consiglio di
Stato, seppur esternati con riferimento alla prestazione del giuramento da
parte del disabile, si devono ritenere applicabili, per le stesse ragioni,
all’istanza di concessione della cittadinanza [“Invero” , aggiunge il Collegio,
“se a causa della presenza di gravi patologie psichiche, venisse negata
all’incapace la possibilità di richiedere tramite il proprio tutore, la
cittadinanza italiana, parimenti si determinerebbe una forma di emarginazione,
anche rispetto agli altri famigliari, che irragionevolmente escluderebbe il
portatore di gravi disabilità dalla possibilità di accesso alla cittadinanza”]
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto
dalla signora -OMISSIS-, nella qualità di tutrice e rappresentante legale del
fratello signor -OMISSIS-, per l’annullamento del provvedimento del Ministero
dell’interno con il quale è stata respinta la richiesta di concessione della
cittadinanza italiana, presentata dalla ricorrente in nome e per conto del
fratello signor -OMISSIS-.
LA SEZIONE
Vista la relazione 25 gennaio 2018 trasmessa con nota del 12
febbraio 2018 n. 1027, con la quale il Ministero dell’interno - Dipartimento
per le libertà civili e l’immigrazione - ha chiesto il parere del Consiglio di
Stato sul ricorso;
visto il ricorso, datato 17 gennaio 2011;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Antimo
Prosperi.
Premesso.
1. Ricorre in questa sede la signora -OMISSIS- nella qualità di
tutrice e rappresentante legale del fratello signor -OMISSIS-, avverso il
provvedimento del Ministero dell’Interno del 6 settembre 2010 n. K10.83443 con
il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana
presentata in data -OMISSIS-, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della
legge 5 febbraio 1992 n. 91, dalla stessa signora -OMISSIS- in nome e per conto
del fratello signor -OMISSIS-, invalido al -OMISSIS- e -OMISSIS-
Il provvedimento di rigetto della domanda si fonda sul
presupposto che l’interessato, in condizione di totale incapacità, “non può
operare una scelta che modifica il suo status di cittadino”. In
particolare, il provvedimento impugnato riporta che: “la condizione di
incapacità di intendere e di volere di un soggetto comporta l’inidoneità dello
stesso a formulare una consapevole manifestazione di volontà diretta
all’acquisto della cittadinanza italiana, che non è suscettibile di essere
surrogata dal rappresentante legale o dal tutore”.
La ricorrente, cittadina italiana, ha chiesto la concessione
della cittadinanza per il fratello-OMISSIS-che, secondo quanto risulta dalla
documentazione in atti, è da lungo tempo residente in Italia, è invalido civile
al -OMISSIS-, è stato dichiarato interdetto con sentenza del Tribunale di
Ravenna del 25 febbraio 2003 per totale incapacità di intendere e di volere, è
a carico della madre -OMISSIS-, anch’essa divenuta cittadina italiana.
La ricorrente afferma che la posizione del Ministero
dell’interno, secondo cui il soggetto incapace di intendere e di volere non può
essere rappresentato dal rappresentante legale o dal curatore, nella richiesta
di concessione della cittadinanza italiana, “sarebbe ... manifestamente
contraria ai principi della Carta Costituzionale, in particolare all’art. 3”;
infatti, sempre secondo la ricorrente, “tale divieto risulta gravemente
discriminatorio nei confronti di una persona che, a causa di una grave
invalidità psico-fisica, non può beneficiare di un diritto riconosciuto, al
contrario, a chiunque altro che sia in possesso dei suoi stessi requisiti
(residenza legale, da almeno 10 anni nel territorio della Repubblica Italiana)
ma che non versi in condizioni di incapacità”.
2. Il Ministero riferente rappresenta che i mutamenti dello status
civitatis possono intervenire solo a seguito di una dichiarazione del
soggetto direttamente interessato, che sia in possesso della capacità di agire,
rientrando la cittadinanza fra i diritti personalissimi, e che dall’istruttoria
esperita è emerso che il Tribunale di Ravenna ha dichiarato l’interdizione del
signor -OMISSIS- per totale incapacità di intendere e di volere.
Pertanto, l’Amministrazione esprime l’avviso che il ricorso sia
infondato.
Considerato:
3. Prima di entrare nel merito della doglianze contenute nel
ricorso, al fine del corretto inquadramento della materia che investe il tema
sensibile e delicato dei diritti della persona, la Sezione ritiene di dover
richiamare al riguardo una recente pronuncia della Corte Costituzionale (cfr.
Corte Cost., sentenza n. 258/2017), nonché l’orientamento già espresso in
materia dal Consiglio di Stato e dalla Corte di Cassazione.
4. La
Corte Costituzionale ha affermato che: “L’art. 2 Cost.
nell'imporre alla Repubblica il riconoscimento e la garanzia dei diritti
inviolabili, ‘sia come singolo, sia nelle formazioni ove si svolge la sua
personalità’, delinea un fondamentale principio che pone al vertice
dell'ordinamento la dignità e il valore della persona.
In coerenza con tale prospettiva, l'art. 2 Cost. non può
essere disgiunto dall'art. 3, secondo comma, Cost., il quale affida alla
Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale
che impediscono la libertà e l'uguaglianza nonché il pieno sviluppo della
persona.
Tale lettura si collega, anche se non espressamente evocato
nell'ordinanza del rimettente, al primo comma del medesimo articolo che, a
protezione della stessa inviolabilità dei diritti, garantisce il principio di
eguaglianza a prescindere dalle ‘condizioni personali’. Come questa Corte ha
già più volte statuito, sebbene l'art. 3 si riferisca espressamente ai soli
cittadini, la norma in esso contenuta vale pure per lo straniero "quando
trattisi di rispettare [...] diritti fondamentali" (sentenza n. 120 del
1967), ancor più quando, come nel caso di specie, trattasi di uno straniero cui
sia stata concessa la cittadinanza e che deve solo adempiere una condizione per
l'acquisizione della stessa.
Fra le condizioni personali che limitano l'eguaglianza si
colloca indubbiamente la condizione di disabilità. Tale fenomeno è
espressamente considerato dalla Costituzione: assume esplicito rilievo
nell'art. 38 Cost. che, al primo comma, riconosce il diritto all'assistenza
sociale per gli inabili al lavoro, mentre al terzo comma riconosce agli
"inabili" e ai "minorati" il diritto all'educazione e alla
formazione professionale.
I summenzionati principi sono stati attuati dalla L. 5
febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e
i diritti delle persone handicappate), che disegna il fondamentale quadro
normativo in materia di disabilità, volto non solo a prestare assistenza ma
anche a favorire l'integrazione sociale del disabile. Tale disciplina, come ha
avuto modo di sottolineare questa Corte, ha segnato un ‘radicale mutamento di
prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone
affette da invalidità, considerati [...] quali problemi non solo individuali,
ma tali da dover essere assunti dall'intera collettività’ (sentenza n. 167 del
1999). Le condizioni invalidanti, come dispone l'art. 1 della citata legge,
sono ostacoli che la
Repubblica ha il compito di rimuovere per consentire la
"massima autonomia possibile" del disabile e il pieno esercizio dei
diritti fondamentali.
Su tale compito promozionale, imposto dalla Costituzione ai
pubblici poteri, è tornata questa Corte la quale, con riferimento al diritto
all'istruzione del portatore di disabilità, ha rimarcato che sul tema della
condizione giuridica dello stesso "confluiscono un complesso di valori che
attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale"
(sentenze n. 275 del 2016 e n. 215 del 1987), in vista del processo di
inserimento nella società (sentenza n. 80 del 2010).
9.- Tale inserimento, ove siano soddisfatte le altre
condizioni previste dalla legge che regola l'acquisizione della cittadinanza, è
evidentemente impedito dall'imposizione normativa del giuramento alla persona
che, in ragione di patologie psichiche di particolare gravità, sia incapace di
prestarlo. La necessità di esso, e la mancata acquisizione della cittadinanza
che, in sua assenza, ne consegue, può determinare una forma di emarginazione
sociale che irragionevolmente esclude il portatore di gravi disabilità dal
godimento della cittadinanza, intesa quale condizione generale di appartenenza
alla comunità nazionale. Può inoltre determinare una ulteriore e possibile
forma di emarginazione, anche rispetto ad altri familiari che abbiano
conseguito la cittadinanza.
Va, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale
della disposizione censurata, nella parte in cui non esonera dal giuramento il
disabile incapace di soddisfare tale adempimento in ragione di una grave e
accertata condizione di disabilità.
L'esonero dal giuramento deve operare a prescindere dal
"tipo" di incapacità giuridicamente rilevante. Ciò che rileva è
l'impossibilità materiale di compiere l'atto in ragione di una grave patologia,
non rilevando la precipua condizione giuridica in cui versa il disabile…”.
In conclusione, la Corte Costituzionale
ha dichiarato “l’illegittimità dell’art, 10 della legge 5 febbraio 1992, n.
91 (Nuove norme sulla cittadinanza), nella parte in cui non prevede che sia
esonerata dal giuramento la persona incapace da soddisfare tale adempimento in
ragione di grave e accertata condizione di disabilità”.
5. Questa Sezione con un parere risalente reso nel 1987 –
richiamato nella sopra citata sentenza della Corte Costituzionale – sempre con
riguardo al caso di una persona interdetta per la quale era stata richiesta la
concessione della cittadinanza italiana, ha sostenuto che non dovrebbe essere
richiesto il giuramento all’interdetto quale condizione per l’acquisizione
della cittadinanza in quanto atto personalissimo non delegabile al tutore (cfr.
Cons. Stato, sez. I, parere del 13 marzo 1987, n. 261/85).
In linea con il predetto orientamento del Consiglio di Stato,
il Tribunale di Bologna con sentenza del 9 gennaio 2009 e, successivamente, il
Tribunale di Mantova con decreto del 2 dicembre 2010, hanno esonerato dal
giuramento previsto dall’art. 10 della legge n. 91 del 1992 l’incapace
richiedente la cittadinanza italiana non in grado di esprimere la propria
volontà in tal senso.
6. La Corte
di Cassazione, sia pure con riferimento ad una fattispecie diversa, considerato
che a norma dell’art. 357 cod. civ. “il tutore ha la cura della persona”,
ha affermato che il decreto di nomina del tutore contiene anche l’indicazione
degli atti che quest’ultimo è legittimato a compiere a tutela degli interessi
anche di natura non patrimoniale del beneficiario, ovvero in materie attinenti
ad interessi prettamente personali (cfr. Cass. Civ., sez. I, ordinanza del 20
aprile 2005, n. 8291 e sentenza del 16 ottobre 2007 n. 21748/07).
7. Nel caso di specie, l’istanza di concessione della
cittadinanza italiana, presentata in nome e per conto dell’interessato della
sorella in qualità di tutrice e legale rappresentante, è stata respinta “perché
l’interessato, continuando a versare nelle condizioni di totale incapacità non
può operare una scelta che modifica il suo status di cittadino” (cfr.
preambolo del decreto impugnato).
L’Amministrazione, nel denegare la concessione della
cittadinanza italiana - nonostante la presenza degli altri requisiti di legge,
come lo stesso Ministero dell’interno riconosce nella nota inviata al signor
-OMISSIS- il 20 maggio 2010 – ha ritenuto che i diritti personalissimi, quale
il mutamento della cittadinanza, non possono essere rappresentati dal tutore e
dal legale rappresentante ma richiedono la manifestazione di volontà da parte
del diretto interessato.
La conseguenza di una siffatta valutazione comporta tuttavia,
inevitabilmente, la negazione di un diritto personalissimo, quale il diritto al
mutamento della cittadinanza, ai soggetti disabili, incapaci di intendere e di
volere, determinando in tal modo una forma di loro immodificabile emarginazione
sociale.
Il provvedimento adottato dall’Amministrazione si pone quindi
in contrasto con la citata sentenza della Corte Costituzionale e con il
richiamato orientamento di questa Sezione i cui principi, sia pure espressi con
riguardo alla prestazione del giuramento da parte del disabile, si devono
ritenere applicabili, per le stesse ragioni, all’istanza di concessione della
cittadinanza.
Invero, se a causa della presenza di gravi patologie psichiche,
venisse negata all’incapace la possibilità di richiedere tramite il proprio
tutore, la cittadinanza italiana, parimenti si determinerebbe una forma di
emarginazione, anche rispetto agli altri famigliari, che irragionevolmente
escluderebbe il portatore di gravi disabilità dalla possibilità di accesso alla
cittadinanza.
8. D’altra parte, il provvedimento impugnato difetta di
adeguata motivazione nella parte in cui non considera, in relazione alla
richiesta formulata dal tutore dell’-OMISSIS-le specifiche circostanze di
fatto, pur evidenti in atti, che fanno propendere per la potenziale coincidenza
della valutazione del tutore con quella dell’-OMISSIS-
In particolare, gli elementi di fatto per cui il signor
-OMISSIS- è residente in Italia da lungo tempo, è invalido civile al -OMISSIS-
e -OMISSIS-ha sempre seguito la famiglia, essendo a carico della madre
-OMISSIS-, divenuta anch’essa cittadina italiana, riceve in Italia tutte le cure
e l'assistenza di cui ha bisogno, anche da parte della famiglia, avrebbero
dovuto essere adeguatamente valutati dall’Amministrazione.
Di tale valutazione, invece, non vi è traccia nel provvedimento
gravato.
9. Né, per le ragioni suddette, può risultare di ostacolo alla
concessione della cittadinanza la circostanza che l’interdetto non sarebbe
comunque in grado di prestare il giuramento previsto dall’art. 10 della legge 5
febbraio 1992, n. 91, dal momento che tale norma è stata dichiarata
costituzionalmente illegittima “nella parte in cui non prevede che sia
esonerata dal giuramento la persona incapace di soddisfare tale adempimento in
ragione di grave e accertata condizione di disabilità” (cfr. Corte Cost.,
sentenza n. 258/2017).
10. In conclusione, alla stregua delle considerazioni sopra
esposte, il ricorso va accolto, con il conseguente annullamento del
provvedimento impugnato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti
dell’Amministrazione.
P.Q.M.
esprime il parere che il ricorso straordinario in oggetto debba
essere accolto, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE F/F
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Antimo Prosperi
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Dante D'Alessio
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