sabato 23 giugno 2018



Richiesta della cittadinanza avanzata dal rappresentante legale dell’interdetto

Parere 2018

Ritenere che i diritti personalissimi, quale il mutamento della cittadinanza, non possano essere rappresentati dal tutore e dal legale rappresentante ma richiedano la manifestazione di volontà da parte del diretto interessato comporta, inevitabilmente, la negazione di un diritto personalissimo, quale il diritto al mutamento della cittadinanza, ai soggetti disabili, incapaci di intendere e di volere, determinando in tal modo una forma di loro immodificabile emarginazione sociale.

            E’ illegittimo il diniego della cittadinanza sorretto dalla motivazione suddetta (=che i diritti personalissimi non possano essere rappresentati dal tutore e dal legale rappresentante ma richiedano la manifestazione di volontà da parte del diretto interessato), in quanto i principi espressi dalla Corte costituzionale e l’ orientamento del Consiglio di Stato, seppur esternati con riferimento alla prestazione del giuramento da parte del disabile, si devono ritenere applicabili, per le stesse ragioni, all’istanza di concessione della cittadinanza [“Invero” , aggiunge il Collegio, “se a causa della presenza di gravi patologie psichiche, venisse negata all’incapace la possibilità di richiedere tramite il proprio tutore, la cittadinanza italiana, parimenti si determinerebbe una forma di emarginazione, anche rispetto agli altri famigliari, che irragionevolmente escluderebbe il portatore di gravi disabilità dalla possibilità di accesso alla cittadinanza”]





Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dalla signora -OMISSIS-, nella qualità di tutrice e rappresentante legale del fratello signor -OMISSIS-, per l’annullamento del provvedimento del Ministero dell’interno con il quale è stata respinta la richiesta di concessione della cittadinanza italiana, presentata dalla ricorrente in nome e per conto del fratello signor -OMISSIS-.
LA SEZIONE
Vista la relazione 25 gennaio 2018 trasmessa con nota del 12 febbraio 2018 n. 1027, con la quale il Ministero dell’interno - Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione - ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso;
visto il ricorso, datato 17 gennaio 2011;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Antimo Prosperi.

Premesso.
1. Ricorre in questa sede la signora -OMISSIS- nella qualità di tutrice e rappresentante legale del fratello signor -OMISSIS-, avverso il provvedimento del Ministero dell’Interno del 6 settembre 2010 n. K10.83443 con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata in data -OMISSIS-, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della legge 5 febbraio 1992 n. 91, dalla stessa signora -OMISSIS- in nome e per conto del fratello signor -OMISSIS-, invalido al -OMISSIS- e -OMISSIS-
Il provvedimento di rigetto della domanda si fonda sul presupposto che l’interessato, in condizione di totale incapacità, “non può operare una scelta che modifica il suo status di cittadino”. In particolare, il provvedimento impugnato riporta che: “la condizione di incapacità di intendere e di volere di un soggetto comporta l’inidoneità dello stesso a formulare una consapevole manifestazione di volontà diretta all’acquisto della cittadinanza italiana, che non è suscettibile di essere surrogata dal rappresentante legale o dal tutore”.
La ricorrente, cittadina italiana, ha chiesto la concessione della cittadinanza per il fratello-OMISSIS-che, secondo quanto risulta dalla documentazione in atti, è da lungo tempo residente in Italia, è invalido civile al -OMISSIS-, è stato dichiarato interdetto con sentenza del Tribunale di Ravenna del 25 febbraio 2003 per totale incapacità di intendere e di volere, è a carico della madre -OMISSIS-, anch’essa divenuta cittadina italiana.
La ricorrente afferma che la posizione del Ministero dell’interno, secondo cui il soggetto incapace di intendere e di volere non può essere rappresentato dal rappresentante legale o dal curatore, nella richiesta di concessione della cittadinanza italiana, “sarebbe ... manifestamente contraria ai principi della Carta Costituzionale, in particolare all’art. 3”; infatti, sempre secondo la ricorrente, “tale divieto risulta gravemente discriminatorio nei confronti di una persona che, a causa di una grave invalidità psico-fisica, non può beneficiare di un diritto riconosciuto, al contrario, a chiunque altro che sia in possesso dei suoi stessi requisiti (residenza legale, da almeno 10 anni nel territorio della Repubblica Italiana) ma che non versi in condizioni di incapacità”.
2. Il Ministero riferente rappresenta che i mutamenti dello status civitatis possono intervenire solo a seguito di una dichiarazione del soggetto direttamente interessato, che sia in possesso della capacità di agire, rientrando la cittadinanza fra i diritti personalissimi, e che dall’istruttoria esperita è emerso che il Tribunale di Ravenna ha dichiarato l’interdizione del signor -OMISSIS- per totale incapacità di intendere e di volere.
Pertanto, l’Amministrazione esprime l’avviso che il ricorso sia infondato.

Considerato:

3. Prima di entrare nel merito della doglianze contenute nel ricorso, al fine del corretto inquadramento della materia che investe il tema sensibile e delicato dei diritti della persona, la Sezione ritiene di dover richiamare al riguardo una recente pronuncia della Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost., sentenza n. 258/2017), nonché l’orientamento già espresso in materia dal Consiglio di Stato e dalla Corte di Cassazione.
4. La Corte Costituzionale ha affermato che: “L’art. 2 Cost. nell'imporre alla Repubblica il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili, ‘sia come singolo, sia nelle formazioni ove si svolge la sua personalità’, delinea un fondamentale principio che pone al vertice dell'ordinamento la dignità e il valore della persona.
In coerenza con tale prospettiva, l'art. 2 Cost. non può essere disgiunto dall'art. 3, secondo comma, Cost., il quale affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono la libertà e l'uguaglianza nonché il pieno sviluppo della persona.
Tale lettura si collega, anche se non espressamente evocato nell'ordinanza del rimettente, al primo comma del medesimo articolo che, a protezione della stessa inviolabilità dei diritti, garantisce il principio di eguaglianza a prescindere dalle ‘condizioni personali’. Come questa Corte ha già più volte statuito, sebbene l'art. 3 si riferisca espressamente ai soli cittadini, la norma in esso contenuta vale pure per lo straniero "quando trattisi di rispettare [...] diritti fondamentali" (sentenza n. 120 del 1967), ancor più quando, come nel caso di specie, trattasi di uno straniero cui sia stata concessa la cittadinanza e che deve solo adempiere una condizione per l'acquisizione della stessa.
Fra le condizioni personali che limitano l'eguaglianza si colloca indubbiamente la condizione di disabilità. Tale fenomeno è espressamente considerato dalla Costituzione: assume esplicito rilievo nell'art. 38 Cost. che, al primo comma, riconosce il diritto all'assistenza sociale per gli inabili al lavoro, mentre al terzo comma riconosce agli "inabili" e ai "minorati" il diritto all'educazione e alla formazione professionale.
I summenzionati principi sono stati attuati dalla L. 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), che disegna il fondamentale quadro normativo in materia di disabilità, volto non solo a prestare assistenza ma anche a favorire l'integrazione sociale del disabile. Tale disciplina, come ha avuto modo di sottolineare questa Corte, ha segnato un ‘radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidità, considerati [...] quali problemi non solo individuali, ma tali da dover essere assunti dall'intera collettività’ (sentenza n. 167 del 1999). Le condizioni invalidanti, come dispone l'art. 1 della citata legge, sono ostacoli che la Repubblica ha il compito di rimuovere per consentire la "massima autonomia possibile" del disabile e il pieno esercizio dei diritti fondamentali.
Su tale compito promozionale, imposto dalla Costituzione ai pubblici poteri, è tornata questa Corte la quale, con riferimento al diritto all'istruzione del portatore di disabilità, ha rimarcato che sul tema della condizione giuridica dello stesso "confluiscono un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale" (sentenze n. 275 del 2016 e n. 215 del 1987), in vista del processo di inserimento nella società (sentenza n. 80 del 2010).
9.- Tale inserimento, ove siano soddisfatte le altre condizioni previste dalla legge che regola l'acquisizione della cittadinanza, è evidentemente impedito dall'imposizione normativa del giuramento alla persona che, in ragione di patologie psichiche di particolare gravità, sia incapace di prestarlo. La necessità di esso, e la mancata acquisizione della cittadinanza che, in sua assenza, ne consegue, può determinare una forma di emarginazione sociale che irragionevolmente esclude il portatore di gravi disabilità dal godimento della cittadinanza, intesa quale condizione generale di appartenenza alla comunità nazionale. Può inoltre determinare una ulteriore e possibile forma di emarginazione, anche rispetto ad altri familiari che abbiano conseguito la cittadinanza.
Va, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale della disposizione censurata, nella parte in cui non esonera dal giuramento il disabile incapace di soddisfare tale adempimento in ragione di una grave e accertata condizione di disabilità.
L'esonero dal giuramento deve operare a prescindere dal "tipo" di incapacità giuridicamente rilevante. Ciò che rileva è l'impossibilità materiale di compiere l'atto in ragione di una grave patologia, non rilevando la precipua condizione giuridica in cui versa il disabile…”.
In conclusione, la Corte Costituzionale ha dichiarato “l’illegittimità dell’art, 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), nella parte in cui non prevede che sia esonerata dal giuramento la persona incapace da soddisfare tale adempimento in ragione di grave e accertata condizione di disabilità”.
5. Questa Sezione con un parere risalente reso nel 1987 – richiamato nella sopra citata sentenza della Corte Costituzionale – sempre con riguardo al caso di una persona interdetta per la quale era stata richiesta la concessione della cittadinanza italiana, ha sostenuto che non dovrebbe essere richiesto il giuramento all’interdetto quale condizione per l’acquisizione della cittadinanza in quanto atto personalissimo non delegabile al tutore (cfr. Cons. Stato, sez. I, parere del 13 marzo 1987, n. 261/85).
In linea con il predetto orientamento del Consiglio di Stato, il Tribunale di Bologna con sentenza del 9 gennaio 2009 e, successivamente, il Tribunale di Mantova con decreto del 2 dicembre 2010, hanno esonerato dal giuramento previsto dall’art. 10 della legge n. 91 del 1992 l’incapace richiedente la cittadinanza italiana non in grado di esprimere la propria volontà in tal senso.
6. La Corte di Cassazione, sia pure con riferimento ad una fattispecie diversa, considerato che a norma dell’art. 357 cod. civ. “il tutore ha la cura della persona”, ha affermato che il decreto di nomina del tutore contiene anche l’indicazione degli atti che quest’ultimo è legittimato a compiere a tutela degli interessi anche di natura non patrimoniale del beneficiario, ovvero in materie attinenti ad interessi prettamente personali (cfr. Cass. Civ., sez. I, ordinanza del 20 aprile 2005, n. 8291 e sentenza del 16 ottobre 2007 n. 21748/07).
7. Nel caso di specie, l’istanza di concessione della cittadinanza italiana, presentata in nome e per conto dell’interessato della sorella in qualità di tutrice e legale rappresentante, è stata respinta “perché l’interessato, continuando a versare nelle condizioni di totale incapacità non può operare una scelta che modifica il suo status di cittadino” (cfr. preambolo del decreto impugnato).
L’Amministrazione, nel denegare la concessione della cittadinanza italiana - nonostante la presenza degli altri requisiti di legge, come lo stesso Ministero dell’interno riconosce nella nota inviata al signor -OMISSIS- il 20 maggio 2010 – ha ritenuto che i diritti personalissimi, quale il mutamento della cittadinanza, non possono essere rappresentati dal tutore e dal legale rappresentante ma richiedono la manifestazione di volontà da parte del diretto interessato.
La conseguenza di una siffatta valutazione comporta tuttavia, inevitabilmente, la negazione di un diritto personalissimo, quale il diritto al mutamento della cittadinanza, ai soggetti disabili, incapaci di intendere e di volere, determinando in tal modo una forma di loro immodificabile emarginazione sociale.
Il provvedimento adottato dall’Amministrazione si pone quindi in contrasto con la citata sentenza della Corte Costituzionale e con il richiamato orientamento di questa Sezione i cui principi, sia pure espressi con riguardo alla prestazione del giuramento da parte del disabile, si devono ritenere applicabili, per le stesse ragioni, all’istanza di concessione della cittadinanza.
Invero, se a causa della presenza di gravi patologie psichiche, venisse negata all’incapace la possibilità di richiedere tramite il proprio tutore, la cittadinanza italiana, parimenti si determinerebbe una forma di emarginazione, anche rispetto agli altri famigliari, che irragionevolmente escluderebbe il portatore di gravi disabilità dalla possibilità di accesso alla cittadinanza.
8. D’altra parte, il provvedimento impugnato difetta di adeguata motivazione nella parte in cui non considera, in relazione alla richiesta formulata dal tutore dell’-OMISSIS-le specifiche circostanze di fatto, pur evidenti in atti, che fanno propendere per la potenziale coincidenza della valutazione del tutore con quella dell’-OMISSIS-
In particolare, gli elementi di fatto per cui il signor -OMISSIS- è residente in Italia da lungo tempo, è invalido civile al -OMISSIS- e -OMISSIS-ha sempre seguito la famiglia, essendo a carico della madre -OMISSIS-, divenuta anch’essa cittadina italiana, riceve in Italia tutte le cure e l'assistenza di cui ha bisogno, anche da parte della famiglia, avrebbero dovuto essere adeguatamente valutati dall’Amministrazione.
Di tale valutazione, invece, non vi è traccia nel provvedimento gravato.
9. Né, per le ragioni suddette, può risultare di ostacolo alla concessione della cittadinanza la circostanza che l’interdetto non sarebbe comunque in grado di prestare il giuramento previsto dall’art. 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, dal momento che tale norma è stata dichiarata costituzionalmente illegittima “nella parte in cui non prevede che sia esonerata dal giuramento la persona incapace di soddisfare tale adempimento in ragione di grave e accertata condizione di disabilità” (cfr. Corte Cost., sentenza n. 258/2017).
10. In conclusione, alla stregua delle considerazioni sopra esposte, il ricorso va accolto, con il conseguente annullamento del provvedimento impugnato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
P.Q.M.
esprime il parere che il ricorso straordinario in oggetto debba essere accolto, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.







L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE F/F

Antimo Prosperi
Dante D'Alessio













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