lunedì 3 giugno 2019




LA PROTEZIONE DEI RIFUGIATI SECONDO LA CORTE DI LUSSEMBURGO. RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA


A) Normativa

Tra le numerose norme – in materia di protezione dei rifugiati – (del diritto) dell’Unione, ricordiamo:

1) a livello di Trattati:

-l’art. 3, par. 2, TUE: “L'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima”;

-l’art. 67, par. 2, TFUE: “Essa (…Unione …ndA) garantisce che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne e sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi. Ai fini del presente titolo gli apolidi sono equiparati ai cittadini dei paesi terzi”;

-l’art. 78 TFUE: “L'Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento. Detta politica deve essere conforme alla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e al protocollo del 31 gennaio 1967 relativi allo status dei rifugiati, e agli altri trattati pertinenti” (par. 1); “Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa: a) uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l'Unione;  b) uno status uniforme in materia di protezione sussidiaria per i cittadini di paesi terzi che, pur senza il beneficio dell'asilo europeo, necessitano di protezione internazionale; c) un sistema comune volto alla protezione temporanea degli sfollati in caso di afflusso massiccio;  d) procedure comuni per l'ottenimento e la perdita dello status uniforme in materia di asilo o di protezione sussidiaria;  e) criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo o di protezione sussidiaria;  f) norme concernenti le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo o protezione sussidiaria;  g) il partenariato e la cooperazione con paesi terzi per gestire i flussi di richiedenti asilo o protezione sussidiaria o temporanea” (par. 2);  “Qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo” (par. 3);

-l’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: “Il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status dei rifugiati, e a norma del trattato sull'Unione europea e del trattato sul funzionamento dell'Unione europea …”.


2) nell’ambito delle fonti di diritto derivato:

2A) i regolamenti relativi al  c.d. sistema Dublino (*):

---Regolamenti c.d. Eurodac: Regolamento (CE) 11 dicembre 2000, n. 2725/2000, del Consiglio, che istituisce l'«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione della convenzione di Dublino e Regolamento (CE) 28 febbraio 2002, n. 407/2002, del Consiglio, che definisce talune modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 2725/2000 che istituisce l’«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione della convenzione di Dublino [si veda, ora, il Regolamento (UE) 26 giugno 2013, n. 603/2013, del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce l'«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica il regolamento (UE) n. 1077/2011 che istituisce un'agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, adottato mediante (lo strumento della) rifusione];

---Regolamenti c.d. Dublino: Regolamento (CE) 18 febbraio 2003, n. 343/2003, del Consiglio, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (c.d. Regolamento Dublino II) e Regolamento (CE) 2 settembre 2003, n. 1560/2003, della Commissione, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo [si veda, ora, il Regolamento (UE) 26 giugno 2013, n. 604/2013, del Parlamento europeo e del Consiglio, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (c.d. Regolamento Dublino III) adottato mediante (lo strumento della) rifusione].


(*) Accanto a questa disciplina (principale), si devono ricordare altri regolamenti, (alcuni) ‘collaterali’ e (altri) di esecuzione. Ricordiamo, tra i primi,  il Regolamento (UE) 16 aprile 2014, n. 514/2014, del Parlamento europeo e del Consiglio, recante disposizioni generali sul Fondo asilo, migrazione e integrazione e sullo strumento di sostegno finanziario per la cooperazione di polizia, la prevenzione e la lotta alla criminalità e la gestione delle crisi, il Regolamento (UE) 16 aprile 2014, n. 516/2014, del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce il Fondo Asilo, migrazione e integrazione, che modifica la decisione 2008/381/CE del Consiglio e che abroga le decisioni n. 573/2007/CE e n. 575/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la decisione 2007/435/CE del Consiglio, il Regolamento (UE) 19 maggio 2010, n. 439/2010, del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo; tra i secondi il Regolamento di esecuzione (UE) 30 gennaio 2014, n. 2014/118, della Commissione, che modifica il regolamento (CE) n. 1560/2003 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, il Regolamento di esecuzione (UE) 24 luglio 2014, n. 2014/802, della Commissione, che stabilisce i modelli per i programmi nazionali e i termini e le condizioni del sistema di scambio elettronico di dati tra la Commissione e gli Stati membri a norma del regolamento (UE) n. 514/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo Asilo, migrazione e integrazione e sullo strumento di sostegno finanziario per la cooperazione di polizia, la prevenzione e la lotta alla criminalità e la gestione delle crisi, il Regolamento di esecuzione (UE) 30 luglio 2014, n. 2014/1049, della Commissione, che definisce le caratteristiche tecniche delle misure di informazione e pubblicità ai sensi del regolamento (UE) n. 514/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo asilo, migrazione e integrazione e sullo strumento di sostegno finanziario per la cooperazione di polizia, la prevenzione e la lotta alla criminalità e la gestione delle crisi, il Regolamento di esecuzione (UE) 29 maggio 2015, n. 2015/840, della Commissione, sui controlli effettuati dalle autorità responsabili ai sensi del regolamento (UE) n. 514/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo asilo, migrazione e integrazione e sullo strumento di sostegno finanziario per la cooperazione di polizia, la prevenzione e la lotta alla criminalità e la gestione delle crisi e Regolamento di esecuzione (UE) 8 luglio 2015, n. 2015/1977, della Commissione, che stabilisce la frequenza e il formato della segnalazione di irregolarità riguardanti il Fondo asilo, migrazione e integrazione e lo strumento di sostegno finanziario per la cooperazione di polizia, la prevenzione e la lotta alla criminalità e la gestione delle crisi, a norma del regolamento (UE) n. 514/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio



2B) le seguenti direttive:


---Direttiva 20 luglio 2001, n. 2001/55/CE, del Consiglio, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi;

---Direttiva 27 gennaio 2003, n. 2003/9/CE, del Consiglio, recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri [si veda, ora, la Direttiva 26 giugno 2013, n. 2013/33/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (c.d. Direttiva ‘Accoglienza’), adottata mediante (lo strumento della) rifusione];


---Direttiva 29 aprile 2004, n. 2004/83/CE, del Consiglio, recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta [si veda, ora, la Direttiva 13 novembre 2011, n. 2011/95/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (c.d. Direttiva ‘Qualifiche’), adottata mediante (lo strumento della) rifusione];

---Direttiva 1° dicembre 2005, n. 2005/85/CE, del Consiglio, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato [si veda, ora, la Direttiva 26 giugno 2013, n. 2013/32/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (c.d. Direttiva ‘Procedure’), adottata mediante (lo strumento della) rifusione].




B) Interventi della Corte di Giustizia




ELENCO DELLE SENTENZE (*)(*)



Corte di Giustizia UE 6 maggio 2008, n. C-133/06, Parlamento / Consiglio

Corte di Giustizia UE 29 gennaio 2009, n. C-19/08, Petrosian e a.

Corte di Giustizia UE 17 febbraio 2009, n. C-465/07, Elgafaji

Corte di Giustizia UE 2 marzo 2010 , (cause riunite) nn. C-175/08; C-176/08; C-178/08; C-179/08, Salahadin Abdulla

Corte di Giustizia UE 17 giugno 2010, n. C-31/09, Bolbol

Corte di Giustizia UE 9 novembre 2010, (cause riunite) nn. C-57/09 e  C-101/09, B. e D.

Corte di Giustizia UE 28 luglio 2011, n. C-69/10, Samba Diouf

Corte Giustizia Ue 21 dicembre 2011, (cause riunite) nn. C-411/10 e . C-493/10, N.S.

Corte di Giustizia UE 3 maggio 2012, n. C-620/10, Kastrati

Corte di Giustizia UE 5 settembre 2012, (cause riunite) nn. C-71/11 e C-99/11, Y e Z.

Corte di Giustizia UE 27 settembre 2012, n. C-179/11, Cimade e GISTI

Corte di Giustizia UE 6 novembre 2012, n. C-245/11, K

Corte di Giustizia UE 22 novembre 2012, n. C-277/11, M

Corte di Giustizia UE 19 dicembre 2012, n. C-364/11, Abed El Karem El Kott e a.

Corte di Giustizia UE 31 gennaio 2013, n. C-175/11, D. e  A.

Corte di Giustizia UE 30 maggio 2013, n. C-528/11, Halaf

Corte di Giustizia UE 30 maggio 2013, n. C-534/11, Arslan

Corte di Giustizia UE 6 giugno 2013, n. C-648/11, MA e a

Corte di Giustizia UE 7 novembre 2013, (cause riunite) nn. C-199/12, 200/12, 201/12, X e a.

Corte di Giustizia UE 14 novembre 2013, n. C-4/11, Puid

Corte di Giustizia UE 10 dicembre 2013, n. C-394/12, Abdullahi

Corte di Giustizia UE 30 gennaio 2014, n. C-285/12, Diakité

Corte di Giustizia UE 27 febbraio 2014, n. C-79/13, Saciri e a

Corte di Giustizia UE 8 maggio 2014, n. C-604/12, H.N.

Corte di Giustizia UE 17 luglio 2014, n. C-481/13, Qurbani

Corte di Giustizia UE 2 dicembre 2014, (cause riunite) nn. C-148/13, C-149/13, C-150/13, A,B,C

Corte di Giustizia UE 18 dicembre 2014, n. C-542/13, M’Bodj

Corte di Giustizia UE 18 dicembre 2014, n. C-562/13, Abdida

Corte di Giustizia UE 26 febbraio 2015, n. C-472/13, Shepherd

Corte di Giustizia UE 24 giugno 2015, n. C-373/13, T

Corte di Giustizia UE 17 dicembre 2015, n. C-239/14, Hiebler

Corte di Giustizia UE 15 febbraio 2016, n. C-601/15, J.N.

Corte di Giustizia UE 1° marzo 2016, (cause riunite) nn. C-443/14 e C-444/14, Alo e Osso

Corte di Giustizia UE 17 marzo 2016, n. C-695/15, Mirza

Corte di Giustizia UE 7 giugno 2016, n. C-63/15, Ghezelbash

Corte di Giustizia UE 7 giugno 2016, n. C-155/15, Karim

Corte di Giustizia UE 20 ottobre 2016, n. C-429/15, Danqua

Corte di Giustizia UE 31 gennaio 2017, n. C-573/14, Lounani

Corte di Giustizia UE 9 febbraio 2017, n. C-560/14, M

Corte di Giustizia UE 16 febbraio 2017, n. C-578/16, C.K. e a.

Corte di Giustizia UE 15 marzo 2017, n. C-528/15, Al Chodor e a.

Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-646/16, Jafari

Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-490/16, A.S.

Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-670/16, Mengesteab

Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-348/16, Sacko

Corte di Giustizia UE 6 settembre 2017, (cause riunite) nn. C-643/15 e C-647/15, Republica Slovacca e Ungheria c. Consiglio

Corte di Giustizia UE 13 settembre 2017, n. C-60/16, Khir Amayry

Corte di Giustizia UE 25 ottobre 2017, n. C-201/16, Shiri

Corte di Giustizia UE 25 gennaio 2018, n. C-473/16, F

Corte di Giustizia UE 25 gennaio 2018, n. C-360/16, Hasan

Corte di Giustizia UE 24 aprile 2018, n. C-353/16, MP

Corte di Giustizia UE 31 maggio 2018, n. C-647/16, Hassan

Corte di Giustizia UE 19 giugno 2018, n. C-181/16, Gnandi

Corte di Giustizia UE 5 luglio 2018, n. C-213/17, X

Corte di Giustizia UE 5 luglio 2018, n. C-269/18, C e a.

Corte di Giustizia UE 25 luglio 2018, n. C-585/16, Alheto

Corte di Giustizia UE 25 luglio 2018, n. C-404/17, A

Corte di Giustizia UE 13 settembre 2018, n. C-369/17, Ahmed

Corte di Giustizia UE 26 settembre 2018, n. C-175/17, X

Corte di Giustizia UE 26 settembre 2018, n. C-180/17, X e  Y

Corte di Giustizia UE 4 ottobre 2018, n. C-56/17, Fathi

Corte di Giustizia UE 4 ottobre 2018, n. C-652/16, Ahmedbekova

Corte di Giustizia UE 18 ottobre 2018, n. C-662/17, E.G.

Corte di Giustizia UE 7 novembre 2018, n. C-380/17, K e B

Corte di Giustizia UE 13 novembre 2018, (cause riunite) nn. C-47/17 e C-48/17, X e X

Corte di Giustizia UE 21 novembre 2018, n. C-713/17, Ayubi







(*)Tutto il materiale è tratto dal sito http://eur-lex.europa.eu/ 
(**)Tutte le sentenze riportano estremi, oggetto e dispositivo; ad alcune, al fine di evitarne la ‘cripticità, si sono aggiunte le massime








1) Corte di Giustizia UE 6 maggio 2008, n. C-133/06, Parlamento / Consiglio (*): Ricorso di annullamento – Politica comune nel settore dell’asilo –Direttiva 2005/85/CE – Procedura applicata negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato – Paesi di origine sicuri – Paesi terzi europei sicuri – Elenchi comuni minimi – Procedura d’adozione e di modifica degli elenchi comuni minimi – Art. 67, nn. 1 e 5, primo trattino, CE – Incompetenza

1)      Gli artt. 29, nn. 1 e 2, e 36, n. 3, della direttiva del Consiglio 1° dicembre 2005, 2005/85/CE, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, sono annullati.
2)      Il Consiglio dell’Unione europea è condannato alle spese.
3)      La Repubblica francese e la Commissione delle Comunità europee sopportano le proprie spese.


(*)Queste le massime relative alla sentenza:

1.        Conformemente all’art. 202 CE, qualora occorra adottare, a livello comunitario, misure di esecuzione di un atto di base, spetta normalmente alla Commissione esercitare tale competenza. Il Consiglio è tenuto a giustificare debitamente, in funzione della natura e del contenuto dell’atto di base da attuare, un’eccezione a detta regola.
A questo proposito, i motivi esposti al diciannovesimo e al ventiquattresimo ‘considerando’ della direttiva 2005/85, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, attinenti, rispettivamente, all’importanza politica della designazione dei paesi di origine sicuri e alle potenziali conseguenze derivanti dal concetto di paese terzo sicuro per coloro che chiedono asilo, sono intesi a giustificare la consultazione del Parlamento in merito alla compilazione degli elenchi dei paesi sicuri e alle relative modifiche, ma non a motivare in maniera sufficiente una riserva di esecuzione che presenti carattere specifico per il Consiglio.
(v. punti 47‑49)
2.        Le regole relative alla formazione della volontà delle istituzioni comunitarie trovano la loro fonte nel Trattato e non sono derogabili né dagli Stati membri né dalle stesse istituzioni. Solamente il Trattato può, in casi specifici, quale quello previsto dall’art. 67, n. 2, secondo trattino, CE, autorizzare un’istituzione a modificare una procedura decisionale da esso prevista.
Riconoscere ad un’istituzione la facoltà di porre in essere fondamenti normativi derivati, che vadano nel senso di un aggravio ovvero di una semplificazione delle modalità d’adozione di un atto, significherebbe attribuire alla stessa un potere legislativo che eccede quanto previsto dal Trattato. Ciò significherebbe, del pari, consentirle di arrecare pregiudizio al principio dell’equilibrio istituzionale, che comporta che ogni istituzione eserciti le proprie competenze nel rispetto di quelle delle altre istituzioni.
Peraltro, l’esistenza di una prassi anteriore riguardante l’attuazione di fondamenti normativi derivati non vale a derogare a norme del Trattato e non può quindi costituire un precedente che vincoli le istituzioni.
(v. punti 54‑57, 60)
3.        Per stabilire se l’adozione e la modifica future degli elenchi dei paesi sicuri per via legislativa, o l’eventuale decisione di procedere all’applicazione dell’art. 202, terzo trattino, CE, sotto forma di una delega o di una riserva di esecuzione, siano riconducibili ai nn. 1 o 5 dell’art. 67 CE, è necessario verificare se, con l’adozione della direttiva 2005/85, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, il Consiglio abbia adottato una normativa comunitaria che definisce le norme comuni e i principi essenziali che disciplinano le materie di cui all’art. 63, primo comma, punti 1 e 2, lett. a), CE.
Atteso che la direttiva 2005/85 stabilisce taluni criteri dettagliati che consentono la successiva adozione degli elenchi dei paesi sicuri, il Consiglio ha emanato, mediante tale atto legislativo, «una normativa comunitaria che definisc[e] le norme comuni e i principi essenziali» ai sensi dell’art. 67, n. 5, primo trattino, CE, cosicché risulta applicabile la procedura di codecisione.
(v. punti 63, 65‑66)



2) Corte di Giustizia UE 29 gennaio 2009, n. C-19/08, Petrosian e a.: Diritto d’asilo – Regolamento (CE) n. 343/2003 – Ripresa in carico da parte di uno Stato membro di un richiedente asilo la cui domanda è stata respinta e che si trova in un altro Stato membro dove ha proposto una nuova domanda d’asilo – Dies a quo del termine di esecuzione del trasferimento del richiedente asilo – Procedura di trasferimento che costituisce oggetto di un ricorso che può avere effetto sospensivo

L’art. 20, nn. 1, lett. d), e 2, del regolamento (CE) del Consiglio 18 febbraio 2003, n. 343, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, deve essere interpretato nel senso che, qualora la normativa dello Stato membro ricorrente preveda l’effetto sospensivo di un ricorso, il termine di esecuzione del trasferimento decorre non già a partire dalla decisione giurisdizionale provvisoria che sospende l’esecuzione del procedimento di trasferimento, bensì soltanto a partire dalla decisione giurisdizionale che statuisce sulla fondatezza del procedimento e che non può più ostacolare detta esecuzione


3) Corte di Giustizia UE 17 febbraio 2009, n. C-465/07, Elgafaji:  Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Persona ammissibile alla protezione sussidiaria – Art. 2, lett. e) – Rischio effettivo di subire un grave danno – Art. 15, lett. c) – Minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato – Prova

L’art. 15, lett. c), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, in combinato disposto con l’art. 2, lett. e), della stessa direttiva, deve essere interpretato nel senso che:
–        l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova di essere specifico oggetto di minaccia a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale;
–        l’esistenza di una siffatta minaccia può essere considerata, in via eccezionale, provata qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti cui sia stata presentata una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai quali venga deferita una decisione di rigetto di una tale domanda, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia.


4) Corte di Giustizia UE 2 marzo 2010 , (cause riunite) nn. C-175/08; C-176/08; C-178/08; C-179/08, Salahadin Abdulla: Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Qualità di “rifugiato” – Art. 2, lett. c) – Cessazione dello status di rifugiato – Art. 11 – Cambiamento delle circostanze – Art. 11, n. 1, lett. e) – Rifugiato – Timore infondato di persecuzioni – Valutazione – Art. 11, n. 2 – Revoca dello status di rifugiato – Prova – Art. 14, n. 2

1) L’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che:
–      una persona perde lo status di rifugiato quando, considerato un cambiamento delle circostanze avente un carattere significativo e una natura non temporanea, occorso nel paese terzo interessato, vengano meno le circostanze alla base del fondato timore della persona stessa di essere perseguitata a causa di uno dei motivi di cui all’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83, motivi per i quali essa è stata riconosciuta come rifugiata, e non sussistano altri motivi di timore di «essere perseguitat[a]» ai sensi dell’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83;
–      ai fini della valutazione di un cambiamento delle circostanze, le autorità competenti dello Stato membro devono verificare, tenuto conto della situazione individuale del rifugiato, che il soggetto o i soggetti che offrono protezione di cui all’art. 7, n. 1, della direttiva 2004/83 abbiano adottato adeguate misure per impedire che possano essere inflitti atti persecutori, che quindi dispongano, in particolare, di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione e che il cittadino interessato, in caso di cessazione dello status di rifugiato, abbia accesso a detta protezione;
–      i soggetti che offrono protezione ex art. 7, n. 1, lett. b), della direttiva 2004/83 possono comprendere organizzazioni internazionali che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, anche per mezzo della presenza di una forza multinazionale su tale territorio.

2) Quando le circostanze in base alle quali lo status di rifugiato è stato riconosciuto abbiano cessato di sussistere e le autorità competenti dello Stato membro verifichino che non ricorrono altre circostanze che giustifichino il fondato timore della persona interessata di essere perseguitata, per il medesimo motivo di quello inizialmente rilevante o per uno degli altri motivi elencati all’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83, il criterio di probabilità per l’esame del rischio derivante da dette altre circostanze è lo stesso criterio applicato ai fini della concessione dello status di rifugiato.

3) L’art. 4, n. 4, della direttiva, nella misura in cui fornisce indicazioni quanto alla portata, in termini di forza probatoria, di atti o minacce precedenti di persecuzione, può applicarsi quando le autorità competenti considerino di revocare lo status di rifugiato ai sensi dell’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva 2004/83 e l’interessato, per giustificare il permanere di un fondato timore di persecuzione, faccia valere circostanze diverse da quelle sulla cui base era stato riconosciuto come rifugiato. Tuttavia, ciò potrà di regola verificarsi solamente quando il motivo di persecuzione sia diverso da quello considerato al momento del riconoscimento dello status di rifugiato e vi siano atti o minacce precedenti di persecuzione i quali sono collegati al motivo di persecuzione esaminato in tale fase.


5) Corte di Giustizia UE 17 giugno 2010, n. C-31/09, Bolbol: Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato – Apolide di origine palestinese che non ha chiesto la protezione o l’assistenza dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nei paesi del Vicino Oriente (UNRWA) – Domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato – Rigetto dovuto alla non sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 1, sezione A, della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 – Diritto di detto apolide al riconoscimento dello status di rifugiato in forza dell’art. 12, n. 1, lett. a), seconda frase, della direttiva 2004/83

Ai fini dell’applicazione dell’art. 12, n. 1, lett. a), prima frase, della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, una persona fruisce della protezione o dell’assistenza di un’agenzia delle Nazioni Unite diversa dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati se è effettivamente ricorsa a detta protezione o a detta assistenza.


6) Corte di Giustizia UE 9 novembre 2010, (cause riunite) nn. C-57/09 e  C-101/09, B. e D.: Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Art. 12 – Esclusione dallo status di rifugiato – Art. 12, n. 2, lett. b) e c) – Nozione di “reato grave di diritto comune” – Nozione di “atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite” – Appartenenza ad un’organizzazione coinvolta in atti di terrorismo – Successiva iscrizione di tale organizzazione nell’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità di cui all’allegato della posizione comune 2001/931/PESC – Responsabilità individuale per una parte degli atti commessi da tale organizzazione – Presupposti – Diritto d’asilo in forza del diritto costituzionale nazionale – Compatibilità con la direttiva 2004/83/CE

1. Qualora le questioni sollevate dai giudici nazionali vertano sull’interpretazione di una norma di diritto comunitario, la Corte è in linea di principio tenuta a pronunciarsi. Non risulta, in particolare, né dal dettato degli artt. 68 CE e 234 CE, né dalle finalità del procedimento istituito da quest’ultima disposizione che gli autori del Trattato abbiano inteso sottrarre alla competenza della Corte i rinvii pregiudiziali vertenti su una direttiva nel caso particolare in cui il diritto nazionale di uno Stato membro rinvii al contenuto delle disposizioni di una convenzione internazionale, che sono riprese da tale direttiva, per determinare le norme da applicare ad una situazione puramente interna al detto Stato membro. In un caso del genere esiste un interesse certo dell’Unione a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni di tale convenzione internazionale riprese dal diritto nazionale e dal diritto dell’Unione ricevano un’interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate.

2. L’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva 2004/83 recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che:
–      la circostanza che una persona abbia fatto parte di un’organizzazione iscritta nell’elenco di cui all’allegato della posizione comune 2001/931, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, per il suo coinvolgimento in atti terroristici, e abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da detta organizzazione non costituisce automaticamente un motivo fondato per ritenere che tale persona abbia commesso un reato grave di diritto comune o atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite;
–      la constatazione, in siffatto contesto, della sussistenza di fondati motivi per ritenere che una persona abbia commesso un reato del genere o si sia resa colpevole di tali atti è subordinata ad una valutazione caso per caso di fatti precisi al fine di determinare se atti commessi dall’organizzazione considerata rispondano alle condizioni fissate da dette disposizioni e se una responsabilità individuale nel compimento di tali atti possa essere ascritta alla persona considerata, tenuto conto del livello di prova richiesto dal citato art. 12, n. 2.
Non sussiste, infatti, una relazione diretta tra la posizione comune 2001/931 e la direttiva 2004/83 quanto agli obiettivi perseguiti e non è giustificato che l’autorità competente, qualora intenda escludere una persona dallo status di rifugiato in forza dell’art. 12, n. 2, di tale direttiva, si fondi unicamente sulla sua appartenenza ad un’organizzazione che è presente in un elenco adottato al di fuori dell’ambito istituito dalla direttiva nel rispetto della Convenzione di Ginevra.


3.  L’esclusione dallo status di rifugiato in applicazione dell’art. 12, n. 2, lett. b) o lett. c), della direttiva 2004/83, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, non è subordinata alla circostanza che la persona considerata rappresenti un pericolo concreto per lo Stato membro di accoglienza.

4.  L’esclusione dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o lett. c), della direttiva 2004/83, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, non è subordinata ad un esame di proporzionalità alla luce del caso di specie.

5. L’art. 3 della direttiva 2004/83, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri possono riconoscere un diritto d’asilo in forza del loro diritto nazionale ad una persona esclusa dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, di tale direttiva, purché quest’altro tipo di protezione non comporti un rischio di confusione con lo status di rifugiato ai sensi di quest’ultima.



7) Corte di Giustizia UE 28 luglio 2011, n. C-69/10, Samba Diouf: Direttiva 2005/85/CE – Norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato – Nozione di “decisione sulla (...) domanda di asilo” ai sensi dell’art. 39 di tale direttiva – Domanda di un cittadino di un paese terzo diretta ad ottenere lo status di rifugiato – Mancanza di motivi che giustifichino la concessione di una protezione internazionale – Rigetto della domanda nell’ambito di un procedimento accelerato – Mancanza di ricorso contro la decisione di assoggettare la domanda a una procedura accelerata – Diritto a un controllo giurisdizionale effettivo

L’art. 39 della direttiva 2005/85/CE del Consiglio 1° dicembre 2005, 2005/85/CE, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, e il principio di tutela giurisdizionale effettiva devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella in discussione nella causa principale, in forza della quale non può essere proposto un ricorso autonomo avverso la decisione dell’autorità nazionale competente di esaminare una domanda di asilo seguendo una procedura accelerata, qualora i motivi che hanno indotto detta autorità a verificare la fondatezza di tale domanda seguendo una procedura siffatta possano essere effettivamente sottoposti ad un controllo giurisdizionale nell’ambito del ricorso esperibile contro la decisione finale di respingere la menzionata domanda, circostanza che spetta al giudice del rinvio valutare.


8) Corte Giustizia Ue 21 dicembre 2011, (cause riunite) nn. C-411/10 e . C-493/10, N.S.:  Diritto dell’Unione – Principi – Diritti fondamentali – Attuazione del diritto dell’Unione – Divieto dei trattamenti inumani o degradanti – Sistema europeo comune di asilo – Regolamento (CE) n. 343/2003 – Nozione di “paesi sicuri” – Trasferimento di un richiedente asilo verso lo Stato membro competente – Obbligo – Presunzione relativa di rispetto, da parte di tale Stato membro, dei diritti fondamentali

1) La decisione adottata da uno Stato membro sul fondamento dell’art. 3, n. 2, del regolamento (CE) del Consiglio 18 febbraio 2003, n. 343, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, di esaminare o meno una domanda di asilo rispetto alla quale esso non è competente in base ai criteri enunciati nel capo III di detto regolamento dà attuazione al diritto dell’Unione ai fini dell’art. 6 TUE e/o dell’art. 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

2)  Il diritto dell’Unione osta all’applicazione di una presunzione assoluta secondo la quale lo Stato membro che l’art. 3, n. 1, del regolamento n. 343/2003 designa come competente rispetta i diritti fondamentali dell’Unione europea.
L’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri, compresi gli organi giurisdizionali nazionali, sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo «Stato membro competente» ai sensi del regolamento n. 343/2003 quando non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi di tale disposizione.
Ferma restando la facoltà, di cui all’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003, di esaminare esso stesso la domanda, l’impossibilità di trasferire un richiedente asilo verso un altro Stato membro dell’Unione europea che risulti essere lo Stato membro competente in base ai criteri enunciati nel capo III di detto regolamento impone allo Stato membro che doveva effettuare tale trasferimento di proseguire l’esame dei criteri di cui al medesimo capo, per verificare se uno dei criteri ulteriori permetta di identificare un altro Stato membro come competente a esaminare la domanda di asilo.
È necessario, tuttavia, che lo Stato membro nel quale si trova il richiedente asilo badi a non aggravare una situazione di violazione dei diritti fondamentali di tale richiedente con una procedura di determinazione dello Stato membro competente che abbia durata irragionevole. All’occorrenza, detto Stato è tenuto a esaminare esso stesso la domanda conformemente alle modalità previste all’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003.

3)  Gli artt. 1, 18 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non comportano una risposta differente.

4) Nella misura in cui le questioni che precedono concernono obblighi incombenti al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, prendere in considerazione il Protocollo (n. 30) sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea alla Polonia e al Regno Unito non ha incidenza sulle risposte apportate alle questioni da seconda a sesta deferite nella causa C‑411/10.


9) Corte di Giustizia UE 3 maggio 2012, n. C-620/10, Kastrati: Sistema di Dublino – Regolamento (CE) n. 343/2003 – Procedura di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo – Cittadini di un paese terzo titolari di un visto in corso di validità rilasciato dallo “Stato membro competente” ai sensi del medesimo regolamento – Domanda d’asilo presentata in uno Stato membro diverso dallo Stato competente in forza di detto regolamento – Domanda di permesso di soggiorno in uno Stato membro diverso dallo Stato competente seguita dal ritiro della domanda d’asilo – Ritiro intervenuto prima che lo Stato membro competente abbia accettato la presa in carico – Ritiro che pone termine alle procedure istituite dal regolamento n. 343/2003

Il regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, deve essere interpretato nel senso che il ritiro di una domanda d’asilo ai sensi dell’articolo 2, lettera c), del medesimo, effettuato prima che lo Stato membro competente per l’esame di tale domanda abbia accettato di prendere in carico il richiedente, produce l’effetto di rendere inapplicabile detto regolamento. In tal caso, spetta allo Stato membro nel cui territorio sia stata presentata la domanda adottare le decisioni necessarie conseguenti al ritiro e, in particolare, sospendere l’esame della domanda con inserimento della relativa nota nella pratica del richiedente asilo


10) Corte di Giustizia UE 5 settembre 2012, (cause riunite) nn. C-71/11 e C-99/11, Y e Z.: Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sull’attribuzione dello status di rifugiato o dello status conferito dalla protezione sussidiaria – Articolo 2, lettera c) –Riconoscimento quale “rifugiato” – Articolo 9, paragrafo 1 – Nozione di “atti di persecuzione” – Articolo 10, paragrafo 1, lettera b) – Religione come motivo della persecuzione – Collegamento fra tale motivo di persecuzione e gli atti di persecuzione – Cittadini pachistani membri della comunità religiosa Ahmadiyya – Atti delle autorità pachistane diretti a vietare il diritto di manifestare la propria religione in pubblico – Atti sufficientemente gravi da giustificare il fondato timore dell’interessato di essere esposto a persecuzione a causa della sua religione – Esame su base individuale dei fatti e delle circostanze – Articolo 4

1)  L’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che:
–        non è ravvisabile un «atto di persecuzione», nell’accezione di detta norma della direttiva, in qualunque lesione del diritto alla libertà di religione che violi l’articolo 10, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;
–        l’esistenza di un atto di persecuzione può risultare da una violazione della manifestazione esteriore di tale libertà, e
–        per valutare se una lesione del diritto alla libertà di religione che viola l’articolo 10, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea possa costituire un «atto di persecuzione», le autorità competenti devono verificare, alla luce della situazione personale dell’interessato, se questi, a causa dell’esercizio di tale libertà nel paese d’origine, corra un rischio effettivo, in particolare, di essere perseguitato, o di essere sottoposto a trattamenti o a pene disumani o degradanti ad opera di uno dei soggetti indicati all’articolo 6 della direttiva 2004/83.

2) L’articolo 2, lettera c), della direttiva 2004/83 deve essere interpretato nel senso che il timore del richiedente di essere perseguitato è fondato quando le autorità competenti, alla luce della situazione personale del richiedente, considerano ragionevole ritenere che, al suo ritorno nel paese d’origine, egli compirà atti religiosi che lo esporranno ad un rischio effettivo di persecuzione. Nell’esaminare su base individuale una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, dette autorità non possono ragionevolmente aspettarsi che il richiedente rinunci a tali atti religiosi.


11) Corte di Giustizia UE 27 settembre 2012, n. C-179/11, Cimade e GISTI: Domande di asilo – Direttiva 2003/9/CE – Norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri – Regolamento (CE) n. 343/2003 – Obbligo di garantire ai richiedenti asilo il beneficio delle condizioni minime di accoglienza in pendenza del procedimento di presa in carico o di ripresa in carico da parte dello Stato membro competente – Determinazione dello Stato membro obbligato ad assumere l’onere finanziario derivante dalla concessione delle condizioni minime

1) La direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, deve essere interpretata nel senso che uno Stato membro al quale sia stata presentata una domanda di asilo è tenuto a concedere le condizioni minime di accoglienza dei richiedenti asilo stabilite da tale direttiva anche ad un richiedente asilo per il quale detto Stato decida – in applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – di indirizzare una richiesta di presa in carico o di ripresa in carico ad un altro Stato membro in quanto Stato membro competente per l’esame della domanda di asilo di tale richiedente.

2) L’obbligo per lo Stato membro, al quale sia stata presentata una domanda di asilo, di concedere le condizioni minime stabilite dalla direttiva 2003/9 ad un richiedente asilo per il quale detto Stato decida, in applicazione del regolamento n. 343/2003, di indirizzare una richiesta di presa in carico o di ripresa in carico ad un altro Stato membro in quanto Stato membro competente per l’esame della domanda di asilo di tale richiedente, cessa al momento del trasferimento effettivo di costui da parte dello Stato membro autore della suddetta richiesta, e l’onere finanziario derivante dalla concessione delle condizioni minime di cui sopra spetta a quest’ultimo Stato membro, sul quale grava l’obbligo suddetto.



12) Corte di Giustizia UE 6 novembre 2012, n. C-245/11, K: Regolamento (CE) n. 343/2003 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Clausola umanitaria – Articolo 15 di tale regolamento – Persona che beneficia dell’asilo in uno Stato membro dipendente dall’assistenza del richiedente asilo perché affetta da una grave malattia – Articolo 15, paragrafo 2, del regolamento – Obbligo di tale Stato membro, che non è competente alla luce dei criteri elencati al capo III del medesimo regolamento, di esaminare la domanda di asilo presentata da detto richiedente asilo – Presupposti

In circostanze quali quelle del procedimento principale, l’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, deve essere interpretato nel senso che, uno Stato membro che non è competente per l’esame di una domanda d’asilo in base ai criteri elencati al capo III di tale regolamento lo diventa. Spetta allo Stato membro divenuto lo Stato membro competente ai sensi del medesimo regolamento assumere gli obblighi connessi a tale competenza. Esso ne informa lo Stato membro anteriormente competente. Tale interpretazione del suddetto articolo 15, paragrafo 2, si applica anche quando lo Stato membro che era competente in forza dei criteri elencati al capo III di detto regolamento non ha presentato richiesta in tal senso conformemente al paragrafo 1, seconda frase, del medesimo articolo.


13) Corte di Giustizia UE 22 novembre 2012, n. C-277/11, M.: Rinvio pregiudiziale – Sistema europeo comune di asilo – Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Articolo 4, paragrafo 1, secondo periodo – Cooperazione dello Stato membro con il richiedente per esaminare gli elementi significativi della sua domanda – Portata – Regolarità della procedura nazionale seguita nell’esame di una domanda di protezione sussidiaria a seguito del rigetto di una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato – Rispetto dei diritti fondamentali – Diritto al contraddittorio

L’obbligo in capo allo Stato membro interessato di cooperare con il richiedente asilo, come previsto dall’articolo 4, paragrafo 1, secondo periodo, della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, non può essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui uno straniero richieda il beneficio dello status di protezione sussidiaria successivamente al diniego dello status di rifugiato e l’autorità nazionale competente intenda respingere anche questa seconda domanda, tale autorità dovrebbe a tal titolo, prima dell’adozione della sua decisione, informare l’interessato dell’esito negativo che prevede di riservare alla sua domanda nonché comunicargli gli argomenti sui quali essa intende basare il rigetto di quest’ultima, in modo da consentire a tale richiedente di far valere il suo punto di vista in proposito.
Tuttavia, in un sistema come quello messo in atto dalla normativa nazionale oggetto del procedimento principale, caratterizzato dall’esistenza di due procedure distinte e successive ai fini dell’esame, rispettivamente, della domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato e della domanda di protezione sussidiaria, spetta al giudice del rinvio garantire il rispetto, nell’ambito di ciascuna di tali procedure, dei diritti fondamentali del richiedente e, più in particolare, del diritto ad essere sentito, nel senso che quest’ultimo deve poter esprimere utilmente le proprie osservazioni prima dell’adozione di qualsiasi decisione che neghi il beneficio della protezione richiesta. In un siffatto sistema, la circostanza che l’interessato sia già stato validamente sentito durante l’istruzione della sua domanda di riconoscimento dello status di rifugiato non implica che si possa eludere tale formalità nell’ambito della procedura relativa alla domanda di protezione sussidiaria.


14) Corte di Giustizia UE 19 dicembre 2012, n. C-364/11, Abed El Karem El Kott e a.: Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Apolidi d’origine palestinese che sono effettivamente ricorsi all’assistenza dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nei paesi del Vicino Oriente (UNRWA) – Diritto di tali apolidi al riconoscimento dello status di rifugiato in base all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), secondo periodo, della direttiva 2004/83 – Presupposti d’applicazione – Cessazione di detta assistenza da parte dell’UNRWA “per qualsiasi motivo” – Prova – Conseguenze per gli interessati richiedenti lo status di rifugiato – Diritto a essere “ipso facto ammess[i] ai benefici [di tale] direttiva” – Riconoscimento di diritto della qualifica di “rifugiato” ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della stessa direttiva e concessione dello status di rifugiato conformemente all’articolo 13 di quest’ultima

1) L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), secondo periodo, della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che la cessazione della protezione o dell’assistenza da parte di un organo o di un’agenzia delle Nazioni Unite diversi dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (HCR) «per qualsiasi motivo» riguarda altresì la situazione di una persona che, dopo essere ricorsa effettivamente a tale protezione o assistenza, non vi è più ammessa per un motivo che esula dalla sua sfera di controllo e prescinde dalla sua volontà. Spetta alle autorità nazionali competenti dello Stato membro responsabile dell’esame della domanda di asilo presentata da un tale soggetto accertare, con una valutazione su base individuale della domanda, che quest’ultimo è stato obbligato a lasciare l’area di operazioni di detto organo o agenzia, il che si verifica qualora si sia trovato in uno stato personale di grave insicurezza e l’organo o l’agenzia di cui trattasi non sia stato in grado di garantirgli, in detta area, condizioni di vita conformi ai compiti spettanti a tale organo o agenzia.

2) L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), secondo periodo, della direttiva 2004/83 deve essere interpretato nel senso che, ove le autorità competenti dello Stato membro responsabile dell’esame della domanda di asilo abbiano accertato che, per quanto riguarda il richiedente, ricorre il presupposto relativo alla cessazione della protezione o dell’assistenza dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nei paesi del Vicino Oriente (UNRWA), il fatto di essere ipso facto «ammesso ai benefici [di tale] direttiva» implica il riconoscimento, da parte di detto Stato membro, della qualifica di rifugiato ai sensi dell’articolo 2, lettera c), di detta direttiva e la concessione automatica dello status di rifugiato al richiedente, sempre che tuttavia a quest’ultimo non siano applicabili i paragrafi 1, lettera b), o 2 e 3 di tale articolo 12.


15) Corte di Giustizia UE 31 gennaio 2013, n. C-175/11, D. e  A.:  Rinvio pregiudiziale – Regime europeo comune in materia di asilo – Domanda di un cittadino di un paese terzo volta ad ottenere lo status di rifugiato – Direttiva 2005/85/CE – Articolo 23 – Possibilità di applicare una procedura prioritaria per l’esame delle domande d’asilo – Procedimento nazionale che prevede una procedura prioritaria per l’esame delle domande presentate da persone appartenenti a una determinata categoria definita in base al criterio della cittadinanza o del paese d’origine – Diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo – Articolo 39 di detta direttiva – Nozione di “giudice” ai sensi di tale articolo

1) L’articolo 23, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro applichi una procedura prioritaria o accelerata, nel rispetto dei principi fondamentali e delle garanzie di cui al capo II della medesima direttiva, per l’esame di determinate categorie di domande d’asilo, definite in funzione del criterio della cittadinanza o del paese d’origine del richiedente.

2) L’articolo 39 della direttiva 2005/85 dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale come quella oggetto dei procedimenti principali, in forza della quale un richiedente asilo può o proporre ricorso avverso la decisione dell’autorità accertante dinanzi ad un organo giurisdizionale quale il Refugee Appeals Tribunal (Irlanda) ed impugnare la decisione di quest’ultimo dinanzi ad un giudice di grado superiore quale la High Court (Irlanda), oppure contestare la validità della decisione di questa stessa autorità dinanzi alla High Court, le cui sentenze possono essere impugnate dinanzi alla Supreme Court (Irlanda).


16) Corte di Giustizia UE 30 maggio 2013, n. C-528/11, Halaf: Asilo – Regolamento (CE) n. 343/2003 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Articolo 3, paragrafo 2 – Potere discrezionale degli Stati membri – Ruolo dell’Alto Commissario delle Nazioni unite per i rifugiati – Obbligo degli Stati membri di invitare tale istituzione a presentare un parere – Insussistenza

1) L’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, dev’essere interpretato nel senso che consente a uno Stato membro, che non è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III di tale regolamento, di esaminare una domanda d’asilo anche in assenza delle circostanze che rendono applicabile la clausola umanitaria di cui all’articolo 15 di detto regolamento. Tale possibilità non dipende dal fatto che lo Stato membro competente in forza di detti criteri non abbia risposto a una domanda di ripresa in carico del richiedente asilo di cui trattasi.

2) Lo Stato membro in cui si trova il richiedente asilo non è tenuto, nel corso del procedimento di determinazione dello Stato membro competente, a chiedere il parere dell’Alto Commissario delle Nazioni unite per i rifugiati qualora dagli atti di tale Ufficio emerga che lo Stato membro individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III del regolamento n. 343/2003 viola le norme di diritto dell’Unione in materia di asilo


17) Corte di Giustizia UE 30 maggio 2013, n. C-534/11, Arslan: Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Direttiva 2008/115/CE – Norme e procedure comuni in materia di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Applicabilità ai richiedenti asilo – Possibilità di mantenere in trattenimento un cittadino di un paese terzo dopo la presentazione di una domanda d’asilo

1) L’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in combinato disposto con il considerando 9 di quest’ultima, deve essere interpretato nel senso che tale direttiva non è applicabile al cittadino di un paese terzo che ha presentato una domanda di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, e ciò durante il periodo che intercorre tra la presentazione di tale domanda e l’adozione della decisione dell’autorità di primo grado che si pronuncia su tale domanda o, eventualmente, fino all’esito del ricorso che sia stato proposto avverso tale decisione.

2) La direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, e la direttiva 2005/85 non ostano a che il cittadino di un paese terzo, che abbia presentato una domanda di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2005/85 dopo che sia stato disposto il suo trattenimento ai sensi dell’articolo 15 della direttiva 2008/115, continui ad essere trattenuto in base ad una norma del diritto nazionale qualora appaia, in esito ad una valutazione individuale di tutte le circostanze pertinenti, che tale domanda è stata presentata al solo scopo di ritardare o compromettere l’esecuzione della decisione di rimpatrio e che è oggettivamente necessario che il provvedimento di trattenimento sia mantenuto al fine di evitare che l’interessato si sottragga definitivamente al proprio rimpatrio


18) Corte di Giustizia UE 6 giugno 2013, n. C-648/11, MA e a: Regolamento (CE) n. 343/2003 – Determinazione dello Stato membro competente – Minore non accompagnato – Domande di asilo presentate in due Stati membri successivamente – Mancanza di un familiare del minore nel territorio di uno Stato membro – Articolo 6, secondo comma, del regolamento n. 343/2003 – Trasferimento del minore verso lo Stato membro nel quale quest’ultimo ha presentato la sua prima domanda – Compatibilità – Interesse superiore del minore – Articolo 24, paragrafo 2, della Carta

L’articolo 6, secondo comma, del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, deve essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle del procedimento principale, nelle quali un minore non accompagnato, sprovvisto di familiari che si trovino legalmente nel territorio di uno Stato membro, ha presentato domanda di asilo in più di uno Stato membro, designa come «Stato membro competente» lo Stato membro nel quale si trova tale minore dopo avervi presentato una domanda di asilo.


19) Corte di Giustizia UE 7 novembre 2013, (cause riunite) nn. C-199/12, 200/12, 201/12, X e a.: Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Articolo 10, paragrafo 1, lettera d) – Appartenenza ad un determinato gruppo sociale – Orientamento sessuale – Motivo della persecuzione – Articolo 9, paragrafo 1 – Nozione di “atti di persecuzione” – Timore fondato di essere perseguitato per il fatto di appartenere ad un determinato gruppo sociale – Atti sufficientemente gravi da giustificare un siffatto timore – Legislazione che qualifica come reato gli atti omosessuali – Articolo 4 – Esame individuale dei fatti e delle circostanze

1) L’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, dev’essere interpretato nel senso che l’esistenza di una legislazione penale come quelle di cui trattasi in ciascuno dei procedimenti principali, che riguarda in modo specifico le persone omosessuali, consente di affermare che tali persone devono essere considerate costituire un determinato gruppo sociale.

2) L’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, in combinato disposto con l’articolo 9, paragrafo 2, lettera c), della medesima, dev’essere interpretato nel senso che il mero fatto di qualificare come reato gli atti omosessuali non costituisce, di per sé, un atto di persecuzione. Invece, una pena detentiva che sanzioni taluni atti omosessuali e che effettivamente trovi applicazione nel paese d’origine che ha adottato una siffatta legislazione dev’essere considerata una sanzione sproporzionata o discriminatoria e costituisce pertanto un atto di persecuzione.

3)L’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/83, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera c), della medesima, dev’essere interpretato nel senso che solo gli atti omosessuali penalmente rilevanti ai sensi del diritto interno degli Stati membri sono esclusi dal suo ambito di applicazione. In sede di valutazione di una domanda diretta ad ottenere lo status di rifugiato, le autorità competenti non possono ragionevolmente attendersi che, per evitare il rischio di persecuzione, il richiedente asilo nasconda la propria omosessualità nel suo paese d’origine o dia prova di riservatezza nell’esprimere il proprio orientamento sessuale.



20) Corte di Giustizia UE 14 novembre 2013, n. C-4/11, Puid: Asilo – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 4 – Regolamento (CE) n. 343/2003 – Articolo 3, paragrafi 1 e 2 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Articoli da 6 a 12 – Criteri per la determinazione dello Stato membro competente – Articolo 13 – Clausola residuale

 Quando gli Stati membri non possono ignorare che le carenze sistemiche della procedura di asilo e delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo nello Stato membro identificato inizialmente come competente in base ai criteri enunciati nel capo III del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente asilo corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ‒ ciò che spetta al giudice del rinvio verificare ‒, lo Stato membro che procede alla determinazione dello Stato membro competente è tenuto a non trasferire il richiedente asilo verso lo Stato membro identificato inizialmente come competente e, ferma restando la facoltà di esaminare esso stesso la domanda, a proseguire l’esame dei criteri di detto capo per verificare se un altro Stato membro possa essere identificato come competente in base ad uno di tali criteri o, in mancanza, in base all’articolo 13 del medesimo regolamento.
Per contro, in una situazione del genere, l’impossibilità di trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro identificato inizialmente come competente non implica, di per sé, che lo Stato membro che procede alla determinazione dello Stato membro competente sia tenuto a esaminare esso stesso la domanda di asilo sul fondamento dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento n. 343/2003.


21) Corte di Giustizia UE 10 dicembre 2013, n. C-394/12, Abdullahi: Rinvio pregiudiziale – Sistema europeo comune d’asilo – Regolamento (CE) n. 343/2003 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo – Controllo del rispetto dei criteri di determinazione della competenza per l’esame della domanda d’asilo – Portata del sindacato giurisdizionale

L’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, dev’essere interpretato nel senso che, nelle circostanze in cui uno Stato membro abbia accettato la presa in carico di un richiedente asilo in applicazione del criterio di cui all’articolo 10, paragrafo 1, di detto regolamento, vale a dire, quale Stato membro del primo ingresso del richiedente asilo nel territorio dell’Unione europea, tale richiedente può contestare la scelta di tale criterio soltanto deducendo l’esistenza di carenze sistemiche della procedura d’asilo e delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro che costituiscono motivi seri e comprovati di credere che detto richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea


22) Corte di Giustizia UE 30 gennaio 2014, n. C-285/12, Diakité: Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sull’attribuzione dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Persona ammissibile alla protezione sussidiaria – Articolo 15, lettera c) – Minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato – Nozione di “conflitto armato interno” – Interpretazione autonoma rispetto al diritto internazionale umanitario – Criteri di valutazione

L’articolo 15, lettera c), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che si deve ammettere l’esistenza di un conflitto armato interno, ai fini dell’applicazione di tale disposizione, quando le forze governative di uno Stato si scontrano con uno o più gruppi armati o quando due o più gruppi armati si scontrano tra loro, senza che sia necessario che tale conflitto possa essere qualificato come conflitto armato che non presenta un carattere internazionale ai sensi del diritto internazionale umanitario e senza che l’intensità degli scontri armati, il livello di organizzazione delle forze armate presenti o la durata del conflitto siano oggetto di una valutazione distinta da quella relativa al livello di violenza che imperversa nel territorio in questione.


23) Corte di Giustizia UE 27 febbraio 2014, n. C-79/13, Saciri e a.: Direttiva 2003/9/CE – Norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri – Articolo 13, paragrafo 1 – Termini di concessione di condizioni materiali di accoglienza – Articolo 13, paragrafo 2 – Misure relative alle condizioni materiali di accoglienza – Garanzie – Articolo 13, paragrafo 5 – Fissazione e concessione di condizioni minime di accoglienza dei richiedenti asilo – Importo dell’aiuto concesso – Articolo 14 – Modalità delle condizioni materiali di accoglienza – Saturazione delle strutture di accoglienza – Rinvio ai sistemi nazionali di protezione sociale – Fornitura delle condizioni materiali di accoglienza in forma di sussidi economici

1) L’articolo 13, paragrafo 5, della direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, deve essere interpretato nel senso che, qualora uno Stato membro abbia scelto di concedere le condizioni materiali di accoglienza in forma di sussidi economici o buoni, questi sussidi devono essere forniti dal momento di presentazione della domanda di asilo, conformemente alle disposizioni dell’articolo 13, paragrafo 1, di detta direttiva, e rispondere alle norme minime sancite dalle disposizioni dell’articolo 13, paragrafo 2, della medesima direttiva. Tale Stato membro deve assicurare che l’importo totale dei sussidi economici che coprono le condizioni materiali di accoglienza sia sufficiente a garantire un livello di vita dignitoso e adeguato per la salute nonché il sostentamento dei richiedenti asilo, consentendo loro, in particolare, di disporre di un alloggio, tenendo conto eventualmente della salvaguardia dell’interesse delle persone portatrici di particolari esigenze, in forza delle disposizioni dell’articolo 17 della medesima direttiva. Le condizioni materiali di accoglienza previste all’articolo 14, paragrafi 1, 3, 5 e 8, della direttiva 2003/9 non sono imposte agli Stati membri qualora essi abbiano scelto di concedere tali condizioni unicamente in forma di sussidi economici. Tuttavia, l’importo di questi sussidi deve essere sufficiente a consentire ai figli minori di convivere con i genitori in modo da poter mantenere l’unità familiare dei richiedenti asilo.

2) La direttiva 2003/9 deve essere interpretata nel senso che essa non osta a che gli Stati membri, in caso di saturazione delle strutture d’alloggio destinate ai richiedenti asilo, possano rinviare questi ultimi verso organismi appartenenti al sistema generale di assistenza pubblica, purché tale sistema garantisca ai richiedenti asilo il rispetto delle norme minime previste da detta direttiva.


24) Corte di Giustizia UE 8 maggio 2014, n. C-604/12, H.N.: Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Direttiva 2005/85/CE – Norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato – Norma procedurale nazionale che subordina l’esame di una domanda di protezione sussidiaria al previo rigetto di una domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato – Ammissibilità – Autonomia procedurale degli Stati membri – Principio di effettività – Diritto a una buona amministrazione – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 41 – Imparzialità e celerità della procedura

La direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, così come il principio di effettività e il diritto a una buona amministrazione non ostano ad una norma procedurale nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che subordina l’esame di una domanda di protezione sussidiaria al previo rigetto di una domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, a condizione che, da un lato, la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato e la domanda di protezione sussidiaria possano essere presentate contemporaneamente e che, dall’altro, tale norma procedurale nazionale non comporti che l’esame della domanda di protezione sussidiaria avvenga in un termine irragionevole, circostanza questa che spetta al giudice del rinvio accertare.

24/1) Corte di Giustizia UE 17 luglio 2014, n. C-481/13, Qurbani (*): Rinvio pregiudiziale – Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati – Articolo 31 – Cittadino di un paese terzo entrato in uno Stato membro dopo avere attraversato un altro Stato membro – Ricorso ai servizi di passatori – Ingresso e soggiorno irregolari – Esibizione di un passaporto falso – Sanzioni penali – Incompetenza della Corte

La Corte di giustizia dell’Unione europea non è competente a rispondere alle questioni sollevate in via pregiudiziale dall’Oberlandesgericht Bamberg (Germania), con decisione del 29 agosto 2013 nella causa C‑481/13.

(*)Queste le massime relative alla sentenza:

Soltanto qualora e nei limiti in cui l’Unione europea abbia assunto le competenze precedentemente esercitate dagli Stati membri nel campo d’applicazione di una convenzione internazionale non stipulata dall’Unione e, conseguentemente, le disposizioni di quest’ultima siano vincolanti per l’Unione, la Corte è competente ad interpretare una siffatta convenzione.
Sebbene, nell’ambito dell’istituzione di un regime europeo comune in materia di asilo, siano stati adottati vari testi di diritto dell’Unione nell’ambito di applicazione della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, è assodato che gli Stati membri hanno conservato talune competenze rientranti in tale ambito, in particolare per quanto riguarda la materia dell’articolo 31 di tale Convenzione. Pertanto, la Corte non può essere competente a interpretare direttamente l’articolo 31 di tale Convenzione.
La circostanza che l’articolo 78 TFUE disponga che la politica comune in materia di asilo deve essere conforme alla Convenzione di Ginevra, e che l’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ribadisca che il diritto di asilo è garantito nel rispetto di tale Convenzione e del protocollo relativo allo status dei rifugiati del 31 gennaio 1967, non è idonea a rimettere in discussione la constatazione dell’incompetenza della Corte.
Inoltre, benché sussista certamente un interesse dell’Unione a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni di convenzioni internazionali riprese dal diritto nazionale e dal diritto dell’Unione ricevano un’interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate, va rilevato che l’articolo 31 della Convenzione di Ginevra non è stato ripreso da un testo di diritto dell’Unione, mentre diverse disposizioni di tale ordinamento giuridico si riferiscono a tale articolo.
Orbene, sebbene la Corte si sia dichiarata competente ad interpretare le disposizioni della Convenzione di Ginevra alle quali rinviava il diritto dell’Unione, ciò non vale allorché la domanda di pronuncia pregiudiziale non menziona alcuna norma dell’ordinamento giuridico dell’Unione che rinvii all’articolo 31 della Convenzione di Ginevra.
(v. punti 23‑26, 28)







25) Corte di Giustizia UE 2 dicembre 2014, (cause riunite) nn. C-148/13, C-149/13, C-150/13, A,B,C: Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Articolo 4 – Valutazione dei fatti e delle circostanze – Modalità di valutazione – Accettazione di taluni elementi di prova – Portata dei poteri delle autorità nazionali competenti – Timore di persecuzione a causa dell’orientamento sessuale – Differenze tra, da un lato, i limiti relativi alle verifiche delle dichiarazioni e delle prove documentali o di altro tipo quanto all’asserito orientamento sessuale di un richiedente asilo e, dall’altro, quelli che si applicano alle verifiche di tali elementi concernenti altri motivi di persecuzione – Direttiva 2005/85/CE – Norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato – Articolo 13 – Condizioni a cui è soggetto il colloquio personale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 1 – Dignità umana – Articolo 7 – Rispetto della vita privata e della vita familiare

L’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, e l’articolo 13, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, devono essere interpretati nel senso che ostano a che, nell’ambito dell’esame – effettuato dalle autorità nazionali competenti, che agiscono sotto il controllo del giudice – dei fatti e delle circostanze riguardanti l’asserito orientamento sessuale di un richiedente asilo, la cui domanda è fondata su un timore di persecuzione a causa di tale orientamento, le dichiarazioni di tale richiedente nonché gli elementi di prova documentali o di altro tipo presentati a sostegno della sua domanda siano oggetto di una valutazione, da parte di dette autorità, mediante interrogatori fondati unicamente su nozioni stereotipate riguardo agli omosessuali.
L’articolo 4 della direttiva 2004/83, alla luce dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che osta a che, nell’ambito di tale esame, le autorità nazionali competenti procedano a interrogatori dettagliati sulle pratiche sessuali di un richiedente asilo.
L’articolo 4 della direttiva 2004/83, alla luce dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che osta a che, nell’ambito di tale esame, le predette autorità accettino elementi di prova, quali il compimento di atti omosessuali da parte del richiedente asilo considerato, il suo sottoporsi a «test» per dimostrare la propria omosessualità o ancora la produzione da parte dello stesso di registrazioni video di tali atti.
L’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2004/83 e l’articolo 13, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2005/85 devono essere interpretati nel senso che ostano a che, nell’ambito del predetto esame, le autorità nazionali competenti concludano che le dichiarazioni del richiedente asilo considerato manchino di credibilità per il solo motivo che il suo asserito orientamento sessuale non è stato fatto valere da tale richiedente alla prima occasione concessagli per esporre i motivi di persecuzione.


26) Corte di Giustizia UE 18 dicembre 2014, n. C-542/13, M’Bodj: Rinvio pregiudiziale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 19, paragrafo 2 – Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Persona ammissibile alla protezione sussidiaria – Articolo 15, lettera b) – Tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine – Articolo 3 – Disposizioni più favorevoli – Richiedente affetto da una grave malattia – Assenza di una terapia adeguata nel suo paese di origine – Articolo 28 – Assistenza sociale – Articolo 29 – Assistenza sanitaria

Gli articoli 28 e 29 della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, letti congiuntamente ai suoi articoli 2, lettera e), 3, 15 e 18, devono essere interpretati nel senso che uno Stato membro non è tenuto a concedere l’assistenza sociale e l’assistenza sanitaria previste da tali articoli a un cittadino di paese terzo autorizzato a soggiornare nel territorio di tale Stato membro in base ad una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale prevede che in detto Stato membro sia autorizzato il soggiorno dello straniero affetto da una malattia che comporti un rischio effettivo per la vita o l’integrità fisica o un rischio effettivo di trattamento inumano o degradante, qualora non esista alcuna terapia adeguata nel paese d’origine di tale straniero o nel paese terzo in cui egli risiedeva in precedenza, senza che sia in discussione una privazione di assistenza sanitaria inflitta intenzionalmente al predetto straniero in tale paese.


27) Corte di Giustizia UE 18 dicembre 2014, n. C-562/13, Abdida: Rinvio pregiudiziale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articoli 19, paragrafo 2, e 47 – Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Persona ammissibile alla protezione sussidiaria – Articolo 15, lettera b) – Tortura o trattamenti o sanzioni inumani o degradanti ai danni del richiedente nel suo paese di origine – Articolo 3 – Disposizioni più favorevoli – Richiedente affetto da una grave malattia – Assenza di una terapia adeguata nel paese di origine – Direttiva 2008/115/CE – Rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Articolo 13 – Ricorso giurisdizionale con effetto sospensivo – Articolo 14 – Garanzie in attesa del rimpatrio – Necessità primarie

Gli articoli 5 e 13 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, letti alla luce degli articoli 19, paragrafo 2, e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché l’articolo 14, paragrafo 1, lettera b), della stessa direttiva devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale:
–        che non conferisce effetto sospensivo a un ricorso proposto contro una decisione che ordina a un cittadino di paese terzo affetto da una grave malattia di lasciare il territorio di uno Stato membro, quando l’esecuzione di tale decisione può esporre tale cittadino di paese terzo a un serio rischio di deterioramento grave e irreversibile delle sue condizioni di salute, e
–        che non prevede la presa in carico, per quanto possibile, delle necessità primarie di detto cittadino di paese terzo, al fine di garantire che le prestazioni sanitarie d’urgenza e il trattamento essenziale delle malattie possano effettivamente essere forniti nel periodo durante il quale tale Stato membro è tenuto a rinviare l’allontanamento del medesimo cittadino di paese terzo in seguito alla proposizione di tale ricorso


28) Corte di Giustizia UE 26 febbraio 2015, n. C-472/13, Shepherd: Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Asilo – Direttiva 2004/83/CE – Articolo 9, paragrafo 2, lettere b), c) ed e) – Norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato – Condizioni per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato – Atti di persecuzione – Sanzioni penali nei confronti di un militare degli Stati Uniti che ha rifiutato di prestare servizio in Iraq

1) Le disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta devono essere interpretate nel senso
–        che esse riguardano tutto il personale militare, compreso il personale logistico e di sostegno;
–        che esse comprendono la situazione in cui il servizio militare prestato comporterebbe di per sé, in un determinato conflitto, la commissione di crimini di guerra, includendo le situazioni in cui il richiedente lo status di rifugiato parteciperebbe solo indirettamente alla commissione di detti crimini in quanto, esercitando le sue funzioni, fornirebbe, con ragionevole plausibilità, un sostegno indispensabile alla preparazione o all’esecuzione degli stessi;
–        che esse non riguardano esclusivamente le situazioni in cui è accertato che sono stati già commessi crimini di guerra o le situazioni che potrebbero rientrare nella sfera di competenza della Corte penale internazionale, ma anche quelle in cui il richiedente lo status di rifugiato può dimostrare che esiste un’alta probabilità che siffatti crimini siano commessi;
–        che la valutazione dei fatti spettante alle sole autorità nazionali, sotto il controllo del giudice, per qualificare la situazione di servizio controversa, deve basarsi su un insieme di indizi tali da stabilire, tenuto conto di tutte le circostanze di cui trattasi, in particolare di quelle relative agli elementi pertinenti riguardanti il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione sulla domanda, lo status individuale e la situazione personale del richiedente, che la situazione del servizio rende plausibile la commissione dei crimini di guerra asseriti;
–        che le circostanze che un intervento militare sia stato intrapreso in forza di un mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o sul fondamento di un consenso della comunità internazionale e che lo Stato o gli Stati che conducono le operazioni reprimano i crimini di guerra devono essere prese in considerazione nell’ambito della valutazione spettante alle autorità nazionali;
–        che il rifiuto di prestare il servizio militare deve costituire il solo mezzo che permetta al richiedente lo status di rifugiato di evitare la partecipazione ai crimini di guerra asseriti, e che, di conseguenza, se quest’ultimo ha omesso di ricorrere alla procedura per ottenere lo status di obiettore di coscienza, tale circostanza esclude ogni protezione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2004/83, a meno che detto richiedente non dimostri che non aveva a disposizione, nella sua situazione concreta, nessuna procedura siffatta.

2) Le disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 2, lettere b) e c), della direttiva 2004/83 devono essere interpretate nel senso che, in circostanze come quelle del procedimento principale, non risulta che i provvedimenti in cui incorre un militare a causa del suo rifiuto di prestare servizio, quali la condanna a una pena detentiva o il congedo con disonore, possano essere considerati, rispetto al legittimo esercizio da parte dello Stato interessato del suo diritto di mantenere una forza armata, a tal punto sproporzionati o discriminatori da rientrare tra gli atti di persecuzione considerati in tali disposizioni. Spetta tuttavia alle autorità nazionali verificare tale circostanza.


29) Corte di Giustizia UE 24 giugno 2015, n. C-373/13, T: Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Frontiere, asilo e immigrazione – Direttiva 2004/83/CE – Articolo 24, paragrafo 1 – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Revoca del permesso di soggiorno – Presupposti – Nozione di “imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico” – Partecipazione di una persona avente lo status di rifugiato alle attività di un’organizzazione figurante nell’elenco delle organizzazioni terroristiche predisposto dall’Unione europea

1)      La direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, dev’essere interpretata nel senso che un permesso di soggiorno, una volta rilasciato a un rifugiato, può essere revocato o in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, quando sussistono imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ai sensi di tale disposizione, oppure in applicazione dell’articolo 21, paragrafo 3, della richiamata direttiva, quando sussistono motivi per applicare la deroga al principio di non respingimento previsto dall’articolo 21, paragrafo 2, di questa stessa direttiva.
2)      Il sostegno a un’associazione terroristica iscritta nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931/PESC del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, nella versione in vigore alla data dei fatti della controversia principale, può costituire uno degli «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, anche se le condizioni previste dall’articolo 21, paragrafo 2, della stessa non sono riunite. Affinché un permesso di soggiorno rilasciato a un rifugiato possa essere revocato sul fondamento dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, per il motivo che tale rifugiato sostiene siffatta associazione terroristica, le autorità competenti sono tuttavia tenute a procedere, sotto il controllo dei giudici nazionali, a una valutazione individuale degli elementi di fatto specifici relativi alle azioni sia dell’associazione sia del rifugiato di cui trattasi. Quando uno Stato membro decide di allontanare un rifugiato il cui permesso di soggiorno è stato revocato, ma sospende l’esecuzione di tale decisione, è incompatibile con la richiamata direttiva privarlo dell’accesso alle prestazioni garantite dal capo VII della medesima, salvo che trovi applicazione un’eccezione espressamente prevista da questa stessa direttiva.



30) Corte di Giustizia UE 17 dicembre 2015, n. C-239/14, Hiebler: Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Direttiva 2005/85/CE – Norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato – Articolo 39 – Diritto a un ricorso effettivo – Domande di asilo reiterate – Effetto non sospensivo del ricorso contro una decisione dell’autorità nazionale competente di non esaminare ulteriormente una domanda di asilo reiterata – Protezione sociale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 19, paragrafo 2 – Articolo 47

L’articolo 39 della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, letto alla luce degli articoli 19, paragrafo 2, e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dev’essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che non conferisce un effetto sospensivo a un ricorso proposto contro una decisione, come quella di cui al procedimento principale, di non esaminare ulteriormente una domanda di asilo reiterata.


31) Corte di Giustizia UE 15 febbraio 2016, n. C-601/15, J.N.: Rinvio pregiudiziale – Procedimento pregiudiziale d’urgenza – Norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale – Direttiva 2008/115/CE – Soggiorno regolare – Direttiva 2013/32/UE ‑ Articolo 9 – Diritto di rimanere in uno Stato membro – Direttiva 2013/33/UE – Articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera e) – Trattenimento – Tutela della sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico – Validità – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articoli 6 e 52 – Limitazione – Proporzionalità

Dall’esame dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera e), della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, non risultano elementi tali da incidere sulla validità della menzionata disposizione alla luce degli articoli 6 e 52, paragrafi 1 e 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea


32) Corte di Giustizia UE 1° marzo 2016, (cause riunite) nn. C-443/14 e C-444/14, Alo e Osso: Rinvio pregiudiziale – Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 – Articoli 23 e 26 – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Direttiva 2011/95/UE – Norme relative al contenuto della protezione internazionale – Status di protezione sussidiaria – Articolo 29 – Protezione sociale – Condizioni di accesso – Articolo 33 – Libertà di circolazione all’interno dello Stato membro ospitante – Nozione – Restrizione – Obbligo di residenza in un luogo determinato – Trattamento differente – Comparabilità delle situazioni – Ripartizione equilibrata degli oneri di bilancio tra gli enti amministrativi – Motivi attinenti alla politica migratoria e dell’integrazione

1)      L’articolo 33 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che un obbligo di residenza imposto ad un beneficiario dello status di protezione sussidiaria – come gli obblighi controversi nei procedimenti principali – costituisce una restrizione della libertà di circolazione garantita dall’articolo sopra citato, anche nel caso in cui tale misura non vieti a detto beneficiario di spostarsi liberamente nel territorio dello Stato membro che ha concesso tale protezione e di soggiornare temporaneamente in questo territorio al di fuori del luogo designato con l’obbligo di residenza.
2)      Gli articoli 29 e 33 della direttiva 2011/95 devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che ad un beneficiario dello status di protezione sussidiaria, percettore di talune prestazioni sociali specifiche, venga imposto un obbligo di residenza – come quelli controversi nei procedimenti principali – al fine di realizzare un’adeguata ripartizione degli oneri derivanti dall’erogazione di dette prestazioni tra i diversi enti competenti in materia, qualora la normativa nazionale applicabile non preveda l’imposizione di una misura siffatta nei confronti dei rifugiati, dei cittadini di paesi terzi legalmente residenti nello Stato membro interessato per ragioni diverse da quelle umanitarie, politiche o attinenti al diritto internazionale, nonché dei cittadini di tale Stato membro, i quali percepiscano le suddette prestazioni.
3)      L’articolo 33 della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che ad un beneficiario dello status di protezione sussidiaria, percettore di talune prestazioni sociali specifiche, venga imposto un obbligo di residenza – come quelli controversi nei procedimenti principali – con l’obiettivo di facilitare l’integrazione dei cittadini di paesi terzi nello Stato membro che ha concesso la suddetta protezione, là dove la normativa nazionale applicabile non preveda l’imposizione di una misura siffatta nei confronti dei cittadini di paesi terzi legalmente residenti in tale Stato membro per ragioni diverse da quelle umanitarie, politiche o attinenti al diritto internazionale, i quali percepiscano dette prestazioni, nel caso in cui i beneficiari dello status di protezione sussidiaria non si trovino in una situazione oggettivamente paragonabile, in rapporto all’obiettivo summenzionato, a quella dei cittadini di paesi terzi legalmente residenti nel territorio dello Stato membro interessato per ragioni diverse da quelle umanitarie, politiche o attinenti al diritto internazionale, circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare.


33) Corte di Giustizia UE 17 marzo 2016, n. C-695/15, Mirza: Rinvio pregiudiziale – Procedimento pregiudiziale d’urgenza – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale – Articolo 3, paragrafo 3 – Possibilità per gli Stati membri di inviare un richiedente in un paese terzo sicuro – Articolo 18 – Obblighi dello Stato membro competente di esaminare la domanda in caso di ripresa in carico del richiedente – Direttiva 2013/32/UE – Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale – Esame di una domanda di protezione internazionale

1)      L’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, deve essere interpretato nel senso che la possibilità di inviare un richiedente protezione internazionale in un paese terzo sicuro può parimenti essere esercitata da uno Stato membro dopo che quest’ultimo abbia dichiarato di essere competente, in applicazione di tale regolamento e nell’ambito della procedura di ripresa in carico, per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata da un richiedente che si è allontanato da tale Stato membro prima di una decisione sul merito della sua prima domanda di protezione internazionale.
2)      L’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che esso non osta all’invio di un richiedente protezione internazionale in un paese terzo sicuro, quando lo Stato membro che effettua il trasferimento del suddetto richiedente verso lo Stato membro competente non sia stato informato, nel corso della procedura di ripresa in carico, né della normativa di quest’ultimo Stato membro relativa all’invio dei richiedenti in paesi terzi sicuri né della prassi delle proprie autorità competenti in materia.
3)      L’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, in caso di ripresa in carico di un richiedente protezione internazionale, esso non richiede che la procedura di esame della domanda di quest’ultimo sia ripresa dalla fase in cui era stata interrotta.


34) Corte di Giustizia UE 7 giugno 2016, n. C-63/15, Ghezelbash: Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Articolo 12 – Rilascio di titoli di soggiorno o di visti – Articolo 27 – Mezzo di impugnazione – Portata del sindacato giurisdizionale

L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, letto alla luce del considerando 19 di tale regolamento, deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, un richiedente asilo può invocare, nell’ambito di un ricorso proposto avverso una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, l’errata applicazione di un criterio di competenza di cui al capo III di detto regolamento, in particolare del criterio relativo al rilascio di un visto, previsto all’articolo 12 del medesimo regolamento.


35) Corte di Giustizia UE 7 giugno 2016, n. C-155/15, Karim: Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) no 604/2013 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Articolo 18 – Ripresa in carico di un richiedente asilo la cui domanda è in corso di esame – Articolo 19 – Cessazione delle competenze – Assenza dal territorio degli Stati membri per almeno tre mesi – Nuova procedura di determinazione dello Stato membro competente – Articolo 27 – Mezzo di impugnazione – Portata del sindacato giurisdizionale

1)      L’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, deve essere interpretato nel senso che tale disposizione, in particolare il suo secondo comma, è applicabile a un cittadino di un paese terzo che, dopo aver presentato una prima domanda di asilo in uno Stato membro, dimostri di essersi allontanato dal territorio degli Stati membri per un periodo di almeno tre mesi, prima di presentare una nuova domanda di asilo in un altro Stato membro.

2)      L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013, letto alla luce del considerando 19 di quest’ultimo, deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, un richiedente asilo può dedurre, nell’ambito di un ricorso presentato avverso una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, la violazione della regola contenuta nell’articolo 19, paragrafo 2, secondo comma, di tale regolamento.


36) Corte di Giustizia UE 20 ottobre 2016, n. C-429/15, Danqua: Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Norma procedurale nazionale che prevede, per proporre una domanda di protezione sussidiaria, un termine di quindici giorni lavorativi a decorrere dalla notifica del rigetto della domanda di asilo – Autonomia procedurale degli Stati membri – Principio di equivalenza – Principio di effettività – Regolare svolgimento del procedimento di esame della domanda di protezione sussidiaria – Regolare svolgimento della procedura di rimpatrio – Incompatibilità

Il principio di effettività deve essere interpretato nel senso che osta ad una norma procedurale nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che assoggetta una domanda volta ad ottenere lo status di protezione sussidiaria ad un termine di decadenza di quindici giorni lavorativi a decorrere dalla notifica, da parte dell’autorità competente, della possibilità, per un richiedente asilo la cui domanda sia stata respinta, di presentare una siffatta domanda


37) Corte di Giustizia UE 31 gennaio 2017, n. C-573/14, Lounani: Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Asilo – Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato – Articolo 12, paragrafo 2, lettera c) e articolo 12, paragrafo 3 – Esclusione dallo status di rifugiato – Nozione di “atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite” – Portata – Membro dirigente di un’organizzazione terroristica – Condanna penale per partecipazione alle attività di un gruppo terroristico – Esame individuale

1)      L’articolo 12, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che, per poter ritenere che ricorra la causa di esclusione dallo status di rifugiato ivi prevista, non è necessario che il richiedente protezione internazionale sia stato condannato per uno dei reati terroristici di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, sulla lotta contro il terrorismo.
2)      L’articolo 12, paragrafo 2, lettera c), e l’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2004/83 devono essere interpretati nel senso che atti di partecipazione alle attività di un gruppo terroristico, come quelli per i quali il resistente nel procedimento principale è stato condannato, possono giustificare l’esclusione dallo status di rifugiato, sebbene non sia stato stabilito che l’interessato abbia commesso, tentato di commettere o minacciato di commettere un atto di terrorismo, quale precisato nelle risoluzioni del Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite. Ai fini della valutazione individuale dei fatti che consentono di determinare se sussistono fondati motivi per ritenere che una persona si sia resa colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite, abbia istigato la commissione di atti del genere o vi abbia altrimenti concorso, la circostanza che tale persona sia stata condannata dai giudici di uno Stato membro per partecipazione alle attività di un gruppo terroristico assume particolare importanza, al pari dell’accertamento che detta persona era membro dirigente di tale gruppo, senza che sia necessario stabilire che tale persona abbia essa stessa istigato la commissione di un atto di terrorismo o che vi abbia altrimenti concorso


38) Corte di Giustizia UE 9 febbraio 2017, n. C-560/14, M: Rinvio pregiudiziale — Spazio di libertà, sicurezza e giustizia — Direttiva 2004/83/CE — Norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato — Domanda di protezione sussidiaria — Regolarità del procedimento nazionale di esame di una domanda di protezione sussidiaria presentata in seguito al rigetto di una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato — Diritto di essere ascoltato — Portata — Diritto ad un colloquio orale — Diritto di chiamare testimoni e di esaminarli in contraddittorio

Il diritto di essere ascoltato, come applicabile nell’ambito della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, non esige, in linea di principio, che, qualora una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, preveda due procedimenti distinti, uno successivo all’altro, per l’esame, rispettivamente, della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e della domanda di protezione sussidiaria, il richiedente la protezione sussidiaria benefici del diritto ad un colloquio orale concernente la sua domanda e del diritto di chiamare testimoni o di esaminarli in contraddittorio durante tale colloquio.
Deve tuttavia essere organizzato un colloquio orale qualora circostanze specifiche, che riguardano gli elementi di cui dispone l’autorità competente oppure la situazione personale o generale in cui si inserisce la domanda di protezione sussidiaria, lo rendano necessario al fine di esaminare con piena cognizione di causa tale domanda, il che deve essere verificato dal giudice del rinvio


39) Corte di Giustizia UE 16 febbraio 2017, n. C-578/16, C.K. e a.: Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia – Frontiere, asilo e immigrazione – Sistema di Dublino – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Trattamenti inumani o degradanti – Trasferimento di un richiedente asilo gravemente malato verso lo Stato competente per l’esame della sua domanda – Assenza di ragioni serie di ritenere che sussistano carenze sistemiche accertate in tale Stato membro – Obblighi imposti allo Stato membro che deve procedere al trasferimento

1)      L’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, va interpretato nel senso che la questione dell’applicazione, da parte di uno Stato membro, della «clausola discrezionale» prevista da tale disposizione non ricade nel contesto del solo diritto nazionale e dell’interpretazione che ne compie il giudice costituzionale di detto Stato membro, ma costituisce una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 267 TFUE.
2)      L’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea va interpretato nel senso che:
–        anche in assenza di ragioni serie di ritenere che sussistano carenze sistemiche nello Stato membro competente per l’esame della domanda di asilo, il trasferimento di un richiedente asilo nel contesto del regolamento n. 604/2013 può essere effettuato solo in condizioni in cui sia escluso che detto trasferimento comporti un rischio reale e acclarato che l’interessato subisca trattamenti inumani o degradanti, ai sensi di tale articolo;
–        in circostanze nelle quali il trasferimento di un richiedente asilo, che presenti un disturbo mentale o fisico particolarmente grave, comporterebbe il rischio reale e acclarato di un deterioramento significativo e irrimediabile dello stato di salute dell’interessato, detto trasferimento costituirebbe un trattamento inumano e degradante, ai sensi di tale articolo;
–        spetta alle autorità dello Stato membro che deve procedere al trasferimento e, eventualmente, ai suoi giudici, eliminare qualsivoglia dubbio serio relativo all’impatto del trasferimento sullo stato di salute dell’interessato, adottando le precauzioni necessarie affinché il suo trasferimento si svolga in condizioni che consentano di tutelare in modo adeguato e sufficiente lo stato di salute di tale persona. Nell’ipotesi in cui, tenuto conto della particolare gravità del disturbo del richiedente asilo interessato, l’adozione di dette precauzioni non sia sufficiente a garantire che il suo trasferimento non comporti il rischio reale di un aggravamento significativo e irrimediabile del suo stato di salute, spetta alle autorità dello Stato membro in parola sospendere l’esecuzione del trasferimento dell’interessato, e questo finché il suo stato gli renda possibile un trasferimento siffatto, e
–        eventualmente, se dovesse ritenere che lo stato di salute del richiedente asilo interessato non dovrebbe migliorare a breve termine, o che una sospensione di lunga durata della procedura rischierebbe di aggravare lo stato dell’interessato, lo Stato membro richiedente potrebbe scegliere di esaminare esso stesso la domanda di quest’ultimo facendo uso della «clausola discrezionale» prevista dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013.
L’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013, letto alla luce dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non può essere interpretato nel senso che obbliga tale Stato membro, in circostanze come quelle oggetto della causa principale, ad applicare detta clausola.


40) Corte di Giustizia UE 15 marzo 2017, n. C-528/15, Al Chodor e a.: Rinvio pregiudiziale – Criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale – Regolamento (UE) n. 604/2013 (Dublino III) – Articolo 28, paragrafo 2 – Trattenimento ai fini del trasferimento – Articolo 2, lettera n) – Notevole rischio di fuga – Criteri obiettivi – Assenza di definizione legale

L’articolo 2, lettera n), e l’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, letti nel loro combinato disposto, devono essere interpretati nel senso che essi impongono agli Stati membri di fissare, in una norma vincolante di portata generale, i criteri obiettivi su cui si fondano i motivi per temere la fuga del richiedente protezione internazionale oggetto di una procedura di trasferimento. L’assenza di una norma di tal genere determina l’inapplicabilità dell’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento medesimo.


41) Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-646/16, Jafari: Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Arrivo di un numero straordinariamente elevato di cittadini di paesi terzi che intendono ottenere protezione internazionale – Organizzazione dell’attraversamento della frontiera da parte delle autorità di uno Stato membro ai fini del transito verso un altro Stato membro – Ingresso autorizzato in deroga per ragioni umanitarie – Articolo 2, lettera m) – Nozione di “visto” – Articolo 12 – Rilascio di un visto – Articolo 13 – Attraversamento irregolare di una frontiera esterna

1)      L’articolo 12 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera m), di tale regolamento, deve essere interpretato nel senso che il fatto, per le autorità di un primo Stato membro che si trovano di fronte all’arrivo di un numero straordinariamente elevato di cittadini di paesi terzi, che intendono transitare in tale Stato membro allo scopo di presentare una domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro, di tollerare l’ingresso sul territorio di tali cittadini, che non soddisfano le condizioni di ingresso imposte, in linea di principio, in tale primo Stato membro, non deve essere qualificato come «visto» ai sensi di detto articolo 12.
2)      L’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che occorre considerare che il cittadino di un paese terzo, il cui ingresso è stato tollerato dalle autorità di un primo Stato membro che si trovavano di fronte all’arrivo di un numero straordinariamente elevato di cittadini di paesi terzi, che intendevano transitare in tale Stato membro allo scopo di presentare una domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro, senza soddisfare le condizioni di ingresso imposte, in linea di principio, in tale primo Stato membro, ha «varcato illegalmente» la frontiera di detto primo Stato membro ai sensi di tale disposizione.


42) Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-490/16, A.S.: Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro competente ad esaminare una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Arrivo di un numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi intenzionati ad ottenere una protezione internazionale – Organizzazione dell’attraversamento della frontiera ad opera delle autorità di uno Stato membro ai fini del transito verso un altro Stato membro – Ingresso autorizzato in virtù di una deroga per ragioni umanitarie – Articolo 13 – Attraversamento irregolare di una frontiera esterna – Termine di dodici mesi a partire dall’attraversamento della frontiera – Articolo 27 – Mezzo di ricorso – Portata del sindacato giurisdizionale – Articolo 29 – Termine di sei mesi per eseguire il trasferimento – Calcolo dei termini – Proposizione di un ricorso – Effetto sospensivo

1)      L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, letto alla luce del considerando 19 del medesimo regolamento, deve essere interpretato nel senso che un richiedente la protezione internazionale può far valere, nell’ambito di un ricorso proposto contro una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, l’erronea applicazione del criterio di competenza attinente all’attraversamento irregolare della frontiera di uno Stato membro, enunciato all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento sopra citato.
2)      L’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che un cittadino di un paese terzo, il cui ingresso sia stato tollerato, dalle autorità di un primo Stato membro impegnate a gestire l’arrivo di un numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi intenzionati a transitare per tale Stato membro al fine di presentare una domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro, senza che fossero soddisfatti i requisiti di ingresso in linea di principio richiesti nel primo Stato membro di cui sopra, deve essere considerato come una persona che ha «varcato illegalmente» la frontiera del suddetto primo Stato membro ai sensi del citato articolo 13, paragrafo 1.
3)      L’articolo 13, paragrafo 1, secondo periodo, del regolamento n. 604/2013, letto in combinazione con l’articolo 7, paragrafo 2, di quest’ultimo, deve essere interpretato nel senso che la presentazione di un ricorso avverso la decisione di trasferimento è priva di effetti sul calcolo del termine previsto dal citato articolo 13, paragrafo 1.
L’articolo 29, paragrafi 1 e 2, del citato regolamento deve essere interpretato nel senso che la presentazione di un ricorso siffatto implica che il termine enunciato in queste disposizioni comincia a decorrere soltanto a partire dalla decisione definitiva su tale ricorso, anche quando il giudice adito abbia deciso di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale, purché al ricorso stesso sia stato attribuito un effetto sospensivo in conformità dell’articolo 27, paragrafo 3, del medesimo regolamento.


43) Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-670/16, Mengesteab: Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Articolo 20 – Avvio della procedura di determinazione – Presentazione di una domanda di protezione internazionale – Verbale redatto dalle autorità, pervenuto alle autorità competenti – Articolo 21, paragrafo 1 – Termini previsti per la formulazione di una richiesta di presa in carico – Trasferimento della competenza a un altro Stato membro – Articolo 27 – Mezzo di impugnazione – Portata del sindacato giurisdizionale

1)      L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, letto alla luce del considerando 19 di tale regolamento, dev’essere interpretato nel senso che un richiedente protezione internazionale può invocare, nell’ambito di un ricorso esercitato contro una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, la scadenza di un termine indicato all’articolo 21, paragrafo 1, di detto regolamento, e ciò anche se lo Stato membro richiesto è disposto a prendere tale richiedente in carico.
2)      L’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 dev’essere interpretato nel senso che una richiesta di presa in carico non può essere validamente formulata una volta decorsi tre mesi dalla presentazione della domanda di protezione internazionale, anche qualora tale richiesta venga formulata entro due mesi dal ricevimento di una risposta pertinente di Eurodac, ai sensi di detta disposizione.
3)      L’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013 dev’essere interpretato nel senso che una domanda di protezione internazionale si considera presentata quando l’autorità preposta all’esecuzione degli obblighi derivanti da tale regolamento riceve un documento scritto, redatto da un’autorità pubblica e in cui si certifica che un cittadino di paese terzo ha chiesto protezione internazionale e, eventualmente, quando la suddetta autorità preposta riceve le sole informazioni principali contenute in un documento del genere, ma non il documento stesso o la sua copia.


44) Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-348/16, Sacko: Rinvio pregiudiziale – Politica d’asilo – Direttiva 2013/32/UE – Articoli 12, 14, 31 e 46 – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 47 – Diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva – Ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale – Possibilità per il giudice di statuire senza ascoltare il richiedente

La direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e in particolare i suoi articoli 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’articolo 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’articolo 17, paragrafo 2, della direttiva medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’articolo 46, paragrafo 3, di tale direttiva.


45) Corte di Giustizia UE 6 settembre 2017, (cause riunite) nn. C-643/15 e C-647/15, Republica Slovacca e Ungheria c. Consiglio (*): Ricorso di annullamento – Decisione (UE) 2015/1601 – Misure temporanee in materia di protezione internazionale a beneficio della Repubblica ellenica e della Repubblica italiana – Situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi nel territorio di alcuni Stati membri – Ricollocazione di tali cittadini nel territorio degli altri Stati membri – Quote di ricollocazione – Articolo 78, paragrafo 3, TFUE – Base giuridica – Presupposti di applicazione – Nozione di “atto legislativo” – Articolo 289, paragrafo 3, TFUE – Carattere obbligatorio per il Consiglio dell’Unione europea di conclusioni adottate dal Consiglio europeo – Articolo 15, paragrafo 1, TUE e articolo 68 TFUE – Forme sostanziali – Modificazione della proposta della Commissione europea – Requisiti di una nuova consultazione del Parlamento europeo e di un voto unanime in seno al Consiglio dell’Unione europea – Articolo 293 TFUE – Principi di certezza del diritto e di proporzionalità

1)      I ricorsi sono respinti.
2)      La Repubblica slovacca e l’Ungheria sono condannate a sopportare, oltre alle proprie spese, anche quelle sostenute dal Consiglio dell’Unione europea.
3)      Il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Granducato di Lussemburgo, la Repubblica di Polonia, il Regno di Svezia, nonché la Commissione europea, sopporteranno ciascuno le proprie spese

(*)Queste le massime relative alla sentenza:
1.      Un atto giuridico può essere qualificato come atto legislativo dell’Unione soltanto se è stato adottato sul fondamento di una disposizione dei Trattati che fa espresso riferimento o alla procedura legislativa ordinaria o alla procedura legislativa speciale. Ne consegue che dal riferimento al requisito di una consultazione del Parlamento, contenuto nella disposizione dei Trattati che serve quale base giuridica dell’atto di cui trattasi, non può dedursi che la procedura legislativa speciale sia applicabile all’adozione di tale atto.
Dunque, nella misura in cui l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE prevede che il Consiglio adotti le misure temporanee contemplate da tale disposizione su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo e non contiene alcun espresso riferimento né alla procedura legislativa ordinaria né alla procedura legislativa speciale, deve ritenersi che misure suscettibili di essere adottate sul fondamento della disposizione suddetta devono essere qualificate come atti non legislativi, in quanto esse non vengono adottate all’esito di una procedura legislativa.
(v. punti 62, 64‑66)
2.      Le disposizioni di cui all’articolo 78, paragrafi 2 e 3, TFUE rivestono carattere complementare, permettendo all’Unione di adottare, nel quadro della politica comune dell’Unione in materia di asilo, misure diversificate al fine di dotarsi degli strumenti necessari, in particolare, per rispondere in maniera effettiva, sia a breve che a lungo termine, a situazioni di crisi migratoria. A questo proposito, la nozione di misure temporanee che possono essere adottate ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE deve avere una portata sufficientemente estesa per permettere alle istituzioni dell’Unione di adottare tutte le misure temporanee necessarie per rispondere in modo effettivo e rapido a una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi.
(v. punti 74, 77)
3.      Se certo le misure temporanee adottate sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE possono in via di principio derogare a disposizioni di atti legislativi, simili deroghe devono nondimeno essere circoscritte sotto il profilo del loro ambito di applicazione sia sostanziale che temporale, così che esse si limitino a rispondere in modo rapido ed effettivo, mediante una disciplina provvisoria, ad una situazione di crisi precisa, ciò che esclude che dette misure possano avere per oggetto o per effetto di sostituire o di modificare in modo permanente e generale gli atti legislativi di cui sopra, aggirando così la procedura legislativa ordinaria prevista dall’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.
Obbediscono a tale esigenza le deroghe previste dalla decisione 2015/1601, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia. Infatti, le deroghe previste dalla decisione suddetta si applicano unicamente per un periodo di due anni, salva la possibilità di una proroga. Oltre a ciò, esse riguardano un numero limitato di cittadini di paesi terzi, che hanno presentato una domanda di protezione internazionale in Grecia o in Italia, e appartenenti a una delle nazionalità contemplate dalla decisione 2015/1601, i quali verranno ricollocati a partire da uno di questi due Stati membri e che sono arrivati o arriveranno in questi ultimi durante un certo periodo.
(v. punti 78‑80)
4.      L’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, pur esigendo che le misure da esso contemplate siano temporanee, riserva al Consiglio un margine di discrezionalità per stabilire, caso per caso, il loro periodo di applicazione in funzione delle circostanze del caso di specie e, in particolare, alla luce delle specificità della situazione di emergenza che giustifica tali misure.
Quanto alla decisione 2015/1601, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia, il Consiglio non ha manifestamente ecceduto il suo potere discrezionale nel fissare a 24 mesi la durata delle misure previste da detta decisione. Infatti, tale scelta appare giustificata in considerazione del fatto che una ricollocazione di un numero significativo di persone è un’operazione al tempo stesso inedita e complessa, che necessita di un certo tempo di preparazione e di attuazione, in particolare sul piano del coordinamento tra le amministrazioni degli Stati membri, prima che essa produca effetti concreti. A questo proposito, non si può fondatamente sostenere che la decisione 2015/1601 non ha carattere temporaneo in quanto essa produrrà effetti a lungo termine. Infatti, se si dovesse tener conto della durata degli effetti di una misura di ricollocazione sulle persone ricollocate al fine di valutare il suo carattere temporaneo ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, nessuna misura di ricollocazione di persone aventi manifestamente bisogno di protezione internazionale potrebbe essere adottata sulla base della disposizione suddetta, in quanto simili effetti a più o meno lungo termine sono inerenti ad una ricollocazione siffatta.
(v. punti 92, 96‑99)
5.      Può essere qualificato come «improvviso», ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, un afflusso di cittadini di paesi terzi di una tale portata da essere imprevedibile, e ciò quand’anche esso si inserisca in un contesto di crisi migratoria distribuita su vari anni, in quanto esso rende impossibile il funzionamento normale del regime comune di asilo dell’Unione.
(v. punto 114)
6.      Per quanto riguarda l’aggettivo «caratterizzata» che qualifica la situazione di emergenza contemplata dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, sebbene una minoranza delle versioni linguistiche di tale disposizione utilizzi non già questo termine bensì il termine «causata», questi due termini devono, nel contesto della disposizione di cui sopra e alla luce dell’obiettivo di quest’ultima inteso a consentire l’adozione rapida di misure provvisorie destinate a reagire in maniera efficace ad una situazione di emergenza migratoria, essere intesi nel medesimo senso dell’esigenza di un nesso sufficientemente stretto tra la situazione di emergenza di cui trattasi e l’afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi.
(v. punto 125)
7.      Tenuto conto del fatto che è inerente ai flussi migratori che questi ultimi possano evolvere rapidamente, in particolare spostandosi verso altri Stati membri, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE non osta a che dei meccanismi di aggiustamento si aggiungano alle misure temporanee adottate ai sensi di tale disposizione. Infatti, questa disposizione conferisce un ampio potere discrezionale al Consiglio nella scelta delle misure che possono essere prese al fine di rispondere in maniera rapida ed efficace ad una situazione di emergenza particolare nonché a possibili evoluzioni alle quali quest’ultima potrebbe andare incontro. Rispondere all’emergenza non esclude il carattere evolutivo e modulato della risposta, purché quest’ultima conservi il proprio carattere temporaneo.
(v. punti 131‑134)
8.      I principi dell’attribuzione dei poteri e dell’equilibrio istituzionale si applicano al potere di iniziativa della Commissione nel quadro dell’adozione, sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, di atti non legislativi, come una decisione che istituisce misure temporanee in materia di protezione internazionale a beneficio di alcuni Stati membri. A questo proposito, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE non subordina il potere di iniziativa della Commissione alla previa esistenza di orientamenti definiti dal Consiglio europeo ai sensi dell’articolo 68 TFUE.
Peraltro, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE permette al Consiglio di adottare misure a maggioranza qualificata. Il principio dell’equilibrio istituzionale vieta che il Consiglio europeo modifichi tale regola di voto imponendo al Consiglio, mediante conclusioni formulate ai sensi dell’articolo 68 TFUE, una regola di voto all’unanimità. Orbene, atteso che le norme relative alla formazione della volontà delle istituzioni dell’Unione trovano la loro fonte nei Trattati e che esse non sono derogabili né dagli Stati membri né dalle stesse istituzioni, solamente i Trattati possono, in casi specifici, autorizzare un’istituzione a modificare una procedura decisionale da essi prevista.
(v. punti 146‑149)
9.      V. il testo della decisione.
(v. punti 160‑162)
10.    Ai sensi dell’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, fintantoché il Consiglio non ha deliberato su una proposta della Commissione, quest’ultima può modificare la propria proposta in ogni fase delle procedure che portano all’adozione di un atto dell’Unione. Le proposte modificate adottate dalla Commissione non devono necessariamente assumere una forma scritta, in quanto esse fanno parte del processo di adozione di atti dell’Unione che è caratterizzato da una certa flessibilità, necessaria per raggiungere una convergenza di vedute tra le istituzioni.
Nel particolare contesto dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, si può ritenere che la Commissione abbia esercitato il proprio potere di modifica previsto dall’articolo 293, paragrafo 2, TFUE qualora risulti chiaramente dalla partecipazione di tale istituzione al processo di adozione dell’atto di cui trattasi che la proposta modificata è stata approvata dalla Commissione medesima. Un’interpretazione del genere risponde alla finalità dell’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, che mira a proteggere il potere di iniziativa della Commissione.
(v. punti 177, 179, 181)
11.    Risulta dall’articolo 13 del regolamento interno della Commissione, interpretato alla luce dell’obiettivo dell’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, che mira a tutelare il potere di iniziativa della Commissione, che il collegio dei commissari può autorizzare alcuni dei suoi membri a procedere alla modifica, in corso di procedimento, di una proposta della Commissione entro i limiti da esso preventivamente stabiliti.
(v. punto 185)
12.    Anche se l’Unione attribuisce grande rilievo alla preservazione del multilinguismo, la cui importanza viene ricordata all’articolo 3, paragrafo 3, quarto comma, TUE, nulla osta a che il Consiglio interpreti l’articolo 14 del proprio regolamento interno nel senso che, sebbene il suo paragrafo 1 prescriva che i progetti che sono alla base delle deliberazioni del Consiglio devono in linea di principio essere redatti in tutte le lingue ufficiali dell’Unione, il paragrafo 2 del medesimo articolo 14 prevede un regime semplificato per gli emendamenti che non devono essere imperativamente disponibili in tutte le lingue ufficiali dell’Unione. Sarebbe soltanto in caso di opposizione di uno Stato membro che dovrebbero essere presentate al Consiglio anche le versioni linguistiche designate da tale Stato prima che detta istituzione possa continuare a deliberare. Un’interpretazione siffatta deriva infatti da un approccio equilibrato e flessibile che favorisce l’efficacia e la rapidità dei lavori del Consiglio.
(v. punti 201, 203)
13.    V. il testo della decisione.
(v. punti 206‑208, 221)
14.    Nel particolare contesto di una situazione di grave emergenza, caratterizzata da un afflusso massiccio e improvviso di cittadini di paesi terzi in alcuni Stati membri, una decisione di adottare un meccanismo vincolante di ricollocazione di 120 000 persone in base all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, se certo deve essere fondata su criteri oggettivi, può essere censurata dalla Corte soltanto qualora si constati che il Consiglio, quando ha adottato la decisione impugnata, ha commesso, tenuto conto delle informazioni e dei dati disponibili in quel momento, un errore manifesto di valutazione, nel senso che avrebbe potuto essere adottata entro gli stessi termini un’altra misura meno vincolante ma altrettanto efficace.
In proposito, per quanto concerne un’argomentazione addotta secondo cui la decisione impugnata costituirebbe una misura sproporzionata in quanto imporrebbe senza necessità un meccanismo vincolante che comporta una ripartizione su base numerica e obbligatoria, sotto forma di quote, delle persone ricollocate tra gli Stati membri, non risulta che il Consiglio, avendo scelto di imporre un siffatto meccanismo vincolante di ricollocazione, abbia commesso un errore manifesto di valutazione. Infatti, il Consiglio può a ragione ritenere, nell’ambito dell’ampio margine di discrezionalità che deve essergli riconosciuto al riguardo, che il carattere vincolante della ripartizione delle persone ricollocate si imponga in considerazione della situazione di emergenza particolare nella quale la decisione impugnata deve essere adottata. Inoltre, nell’adottare la decisione impugnata, il Consiglio è effettivamente tenuto a dare attuazione al principio di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario, la cui osservanza si impone, a norma dell’articolo 80 TFUE, nell’ambito dell’attuazione della politica comune dell’Unione in materia di asilo. Pertanto, non si può imputare al Consiglio di aver commesso un errore manifesto di valutazione quando esso reputi di dover adottare, in considerazione dell’urgenza specifica della situazione, sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, letto alla luce dell’articolo 80 TFUE e del principio di solidarietà tra Stati membri in esso sancito, misure temporanee consistenti nell’imporre un meccanismo di ricollocazione vincolante.
(v. punti 235, 236, 245, 246, 252, 253)
15.    Qualora uno o più Stati membri si trovino in una situazione di emergenza, ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, gli oneri derivanti dalle misure temporanee adottate in virtù di tale disposizione a beneficio di questo o di questi Stati membri devono, in linea di principio, essere ripartiti tra tutti gli altri Stati membri, conformemente al principio di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri, dal momento che, ai sensi dell’articolo 80 TFUE, tale principio disciplina la politica dell’Unione in materia di asilo. Pertanto, correttamente la Commissione e il Consiglio ritengono, in occasione dell’adozione di una decisione che istituisce misure temporanee in materia di protezione temporanea a beneficio di alcuni Stati membri, che la ripartizione dei richiedenti ricollocati tra tutti gli Stati membri, in conformità del principio sancito all’articolo 80 TFUE, costituisca un elemento fondamentale di detta decisione.
A questo proposito, se la ricollocazione dovesse essere strettamente subordinata all’esistenza di legami culturali o linguistici tra ciascun richiedente una protezione internazionale e lo Stato membro di ricollocazione, ne risulterebbe l’impossibilità di ripartire tali richiedenti tra tutti gli Stati membri nel rispetto del principio di solidarietà imposto dall’articolo 80 TFUE e, dunque, di adottare un meccanismo di ricollocazione vincolante. In ogni caso, eventuali considerazioni connesse all’origine etnica dei richiedenti una protezione internazionale non possono essere prese in esame, in quanto esse sarebbero, con tutta evidenza, contrarie al diritto dell’Unione e in particolare all’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
(v. punti 291, 292, 304, 305)
16.    V. il testo della decisione.
(v. punto 303)
17.    A norma dell’articolo 47 de la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, un diritto di ricorso effettivo deve essere garantito sul piano nazionale contro qualsiasi decisione che debba essere presa da un’autorità nazionale nell’ambito di una procedura di ricollocazione ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE.
(v. punto 325)
18.    Il sistema istituito dalla decisione 2015/1601, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia, è fondato, al pari del sistema istituito dal regolamento n. 604/2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, su criteri oggettivi, e non sull’espressione di una preferenza da parte del richiedente una protezione internazionale. In particolare, la regola della competenza dello Stato membro di primo ingresso, prevista dall’articolo 13, paragrafo 1, di detto regolamento, che è l’unica regola di determinazione dello Stato membro competente dettata da questo regolamento alla quale la decisione 2015/1601 apporta una deroga, non si ricollega alle preferenze del richiedente per un determinato Stato membro ospitante e non mira specificamente a garantire che sussista un legame linguistico, culturale o sociale tra tale richiedente e lo Stato membro competente.
Inoltre, se un certo margine di discrezionalità è riservato alle autorità degli Stati membri beneficiari quando questi sono chiamati, a norma dell’articolo 5, paragrafo 3, della decisione 2015/1601, a identificare i richiedenti individuali che possono essere ricollocati in un determinato Stato membro di ricollocazione, tale margine di discrezionalità è giustificato alla luce dell’obiettivo di detta decisione consistente nell’alleggerire i regimi di asilo greco e italiano di un numero significativo di richiedenti, ricollocandoli, entro brevi termini e in modo effettivo, in altri Stati membri nel rispetto del diritto dell’Unione e, in particolare, dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Inoltre, il diritto dell’Unione non consente ai richiedenti di scegliere lo Stato membro competente per l’esame della loro domanda. Infatti, i criteri previsti dal regolamento n. 604/2013 per determinare lo Stato membro competente a trattare una domanda di protezione internazionale non si ricollegano alle preferenze del richiedente per un determinato Stato membro ospitante.
(v. punti 333, 334, 337, 339)
19.    Il trasferimento nell’ambito di un’operazione di ricollocazione, ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, di un richiedente la protezione internazionale da uno Stato membro ad un altro al fine di assicurare un esame della sua domanda entro termini ragionevoli non può essere considerato come configurante un respingimento verso uno Stato terzo. Si tratta al contrario di una misura di gestione di crisi, presa a livello dell’Unione, mirante a garantire l’esercizio effettivo, nel rispetto della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, del diritto fondamentale di asilo, quale sancito dall’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
(v. punti 342, 343)





46) Corte di Giustizia UE 13 settembre 2017, n. C-60/16, Khir Amayry: Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Articolo 28 – Trattenimento ai fini di trasferimento di un richiedente protezione internazionale verso lo Stato membro competente – Termine per effettuare il trasferimento – Durata massima del trattenimento – Calcolo – Accettazione della richiesta di presa in carico prima del trattenimento – Sospensione dell’esecuzione della decisione di trasferimento

1)      L’articolo 28 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, letto alla luce dell’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che:
–        esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede che, nella situazione in cui il trattenimento di un richiedente protezione internazionale inizi dopo che lo Stato membro richiesto ha accettato la richiesta di presa in carico, detto trattenimento possa essere mantenuto per un periodo massimo di due mesi, purché, da un lato, la durata del trattenimento non superi il tempo necessario per la procedura di trasferimento, valutato tenendo conto delle esigenze concrete della menzionata procedura in ciascun caso specifico, e, dall’altro, eventualmente, tale durata non si prolunghi per un periodo superiore a sei settimane a partire dalla data in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo e;
–        esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che permette, in una situazione siffatta, di mantenere detto trattenimento per tre o dodici mesi nel corso dei quali il trasferimento poteva validamente essere effettuato.

2)      L’articolo 28, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che non si deve detrarre dal termine di sei settimane a partire dal momento in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo, istituito da tale disposizione, il numero di giorni che la persona interessata ha già trascorso in stato di trattenimento dopo che uno Stato membro ha accettato la richiesta di presa in carico o di ripresa in carico.

3)      L’articolo 28, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che il termine di sei settimane a partire dal momento in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo, istituito da tale disposizione, si applica anche quando la sospensione dell’esecuzione della decisione di trasferimento non è stata specificamente richiesta dalla persona interessata.


47) Corte di Giustizia UE 25 ottobre 2017, n. C-201/16, Shiri: Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Articolo 27 – Mezzo di ricorso – Portata del sindacato giurisdizionale – Articolo 29 – Termine per effettuare il trasferimento – Mancata esecuzione del trasferimento entro il termine impartito – Obblighi dello Stato membro competente – Trasferimento di competenza – Necessità di una decisione dello Stato membro competente

1)      L’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, dev’essere interpretato nel senso che, se il trasferimento non è eseguito nel termine di sei mesi definito all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, di tale regolamento, la competenza passa automaticamente allo Stato membro richiedente, senza che sia necessario che lo Stato membro competente rifiuti di prendere o riprendere in carico l’interessato.

2)      L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013, letto alla luce del considerando 19 di detto regolamento, nonché l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che un richiedente protezione internazionale deve poter disporre di un mezzo di ricorso effettivo e rapido che gli consenta di far valere la scadenza del termine di sei mesi definito all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, di detto regolamento intervenuta successivamente all’adozione della decisione di trasferimento. Il diritto, che una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale riconosce a un tale richiedente, di invocare circostanze successive all’adozione di tale decisione, nell’ambito di un ricorso diretto contro la medesima, soddisfa tale obbligo di prevedere un mezzo di ricorso effettivo e rapido


48) Corte di Giustizia UE 25 gennaio 2018, n. C-473/16, F: Rinvio pregiudiziale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 7 – Rispetto della vita privata e familiare – Direttiva 2011/95/UE – Norme relative alle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Timore di persecuzione a causa dell’orientamento sessuale – Articolo 4 – Esame dei fatti e delle circostanze – Ricorso a una perizia – Test psicologici

1)      L’articolo 4 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che non osta a che l’autorità competente per l’esame delle domande di protezione internazionale o i giudici eventualmente aditi con un ricorso contro una decisione di tale autorità, dispongano una perizia nell’ambito dell’esame dei fatti e delle circostanze riguardanti l’asserito orientamento sessuale di un richiedente, purché le modalità di tale perizia siano conformi ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, detta autorità e tali giudici non fondino la loro decisione esclusivamente sulle conclusioni contenute nella relazione peritale e non siano vincolati da tali conclusioni nella valutazione delle dichiarazioni di tale richiedente relative al suo orientamento sessuale.
2)      L’articolo 4 della direttiva 2011/95, letto alla luce dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali, dev’essere interpretato nel senso che osta all’esecuzione e all’utilizzo, al fine di valutare la veridicità dell’orientamento sessuale dichiarato da un richiedente protezione internazionale, di una perizia psicologica, come quella oggetto del procedimento principale, che ha per scopo, sulla base di test proiettivi della personalità, di fornire un’immagine dell’orientamento sessuale di tale richiedente.


49) Corte di Giustizia UE 25 gennaio 2018, n. C-360/16, Hasan: Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Modalità e termini per la formulazione di una richiesta di ripresa in carico – Rientro illegale di un cittadino di un paese terzo in uno Stato membro che ha operato un trasferimento – Articolo 24 – Procedura di ripresa in carico – Articolo 27 – Mezzo di ricorso – Portata del sindacato giurisdizionale – Circostanze successive al trasferimento

1)      L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, letto alla luce del considerando 19 di tale regolamento e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede che il controllo giurisdizionale della decisione di trasferimento deve basarsi sulla situazione di fatto esistente allorché si è tenuta l’ultima udienza dinanzi al giudice adito o, in mancanza di udienza, al momento in cui detto giudice si pronuncia sul ricorso.
2)      L’articolo 24 del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, nella quale un cittadino di un paese terzo, dopo aver presentato una domanda di protezione internazionale in un primo Stato membro, è stato trasferito verso tale Stato membro a seguito del rigetto di una nuova domanda presentata presso un secondo Stato membro ed è poi tornato, senza titolo di soggiorno, nel territorio di quest’ultimo, detto cittadino può essere sottoposto a una procedura di ripresa in carico e che non è possibile procedere a un ulteriore trasferimento di tale persona verso il primo di tali Stati membri senza che venga seguita detta procedura.
3)      L’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, nella quale un cittadino di un paese terzo è ritornato, senza titolo di soggiorno, nel territorio di uno Stato membro che ha effettuato in passato il suo trasferimento verso un altro Stato membro, la richiesta di ripresa in carico deve essere inviata entro i termini previsti da tale disposizione e che gli stessi non possono iniziare a decorrere prima che lo Stato membro richiedente abbia avuto conoscenza del rientro della persona interessata nel proprio territorio.
4)      L’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, quando la richiesta di ripresa in carico non è presentata entro i termini di cui all’articolo 24, paragrafo 2, del medesimo regolamento, lo Stato membro nel cui territorio si trova la persona interessata senza titolo di soggiorno è competente per l’esame della nuova domanda di protezione internazionale che tale persona deve essere autorizzata a presentare.
5)      L’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che il fatto che la procedura di ricorso contro una decisione che ha respinto una prima domanda di protezione internazionale presentata in uno Stato membro sia ancora pendente non deve essere considerato come equivalente alla presentazione di una nuova domanda di protezione internazionale in tale Stato membro, ai sensi di tale disposizione.
6)      L’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, qualora la richiesta di ripresa in carico non sia presentata entro i termini di cui all’articolo 24, paragrafo 2, del medesimo regolamento e la persona interessata non si sia avvalsa della facoltà di cui deve disporre di presentare una nuova domanda di protezione internazionale:
–        lo Stato membro nel cui territorio la persona interessata si trova senza titolo di soggiorno può ancora formulare una richiesta di ripresa in carico, e che
–        detta disposizione non autorizza il trasferimento di tale persona in un altro Stato membro senza che sia formulata una richiesta siffatta.


50) Corte di Giustizia UE 24 aprile 2018, n. C-353/16, MP : Rinvio pregiudiziale – Politica d’asilo – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 4 – Direttiva 2004/83/CE – Articolo 2, lettera e) – Condizioni per la concessione della protezione sussidiaria – Articolo 15, lettera b) – Rischio di danno grave alla salute mentale del richiedente in caso di ritorno nel suo paese di origine – Persona che è stata sottoposta a tortura nel suo paese di origine

L’articolo 2, lettera e), e l’articolo 15, lettera b), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, letti alla luce dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che è ammissibile allo status di protezione sussidiaria il cittadino di un paese terzo torturato in passato dalle autorità del suo paese di origine e non più esposto a un rischio di tortura in caso di ritorno in detto paese, ma le cui condizioni di salute fisica e mentale potrebbero, in un tale caso, deteriorarsi gravemente, con il rischio che il cittadino di cui trattasi commetta suicidio, in ragione di un trauma derivante dagli atti di tortura subiti, se sussiste un rischio effettivo di privazione intenzionale in detto paese delle cure adeguate al trattamento delle conseguenze fisiche o mentali di tali atti di tortura, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.


51) Corte di Giustizia UE 31 maggio 2018, n. C-647/16, Hassan: Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo – Procedure di presa e di ripresa in carico – Articolo 26, paragrafo 1 – Adozione e notifica della decisione di trasferimento prima dell’accettazione della richiesta di ripresa in carico da parte dello Stato membro richiesto

L’articolo 26, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che lo Stato membro che abbia avanzato presso un altro Stato membro, ritenendolo competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale in applicazione dei criteri fissati da detto regolamento, una richiesta di presa o di ripresa in carico di una persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, del medesimo regolamento adotti una decisione di trasferimento e la notifichi a detta persona prima che lo Stato membro richiesto abbia dato il suo accordo esplicito o implicito a tale richiesta.


52) Corte di Giustizia UE 19 giugno 2018, n. C-181/16, Gnandi: : Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia – Rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Direttiva 2008/115/CE – Articolo 3, punto 2 – Nozione di “soggiorno irregolare” – Articolo 6 – Adozione di una decisione di rimpatrio anteriormente all’esito del ricorso avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale da parte dell’autorità competente – Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea – Articolo 18, articolo 19, paragrafo 2, e articolo 47 – Principio di “non-refoulement” (non respingimento) – Diritto a un ricorso effettivo – Autorizzazione a permanere in uno Stato membro

La direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel combinato disposto con la direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1.dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, nonché alla luce del principio di non-refoulement e del diritto ad un ricorso effettivo, sanciti dall’articolo 18, dall’articolo 19, paragrafo 2, e dall’articolo 47 della Carta, dev’essere interpretata nel senso che non osta all’adozione di una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva stessa, nei confronti di un cittadino di un paese terzo che abbia proposto domanda di protezione internazionale, direttamente a seguito del rigetto di tale domanda da parte dell’autorità competente ovvero cumulativamente con il rigetto stesso in un unico atto amministrativo e, pertanto, anteriormente alla decisione del ricorso giurisdizionale proposto avverso il rigetto medesimo, subordinatamente alla condizione, segnatamente, che lo Stato membro interessato garantisca la sospensione di tutti gli effetti giuridici della decisione di rimpatrio nelle more dell’esito del ricorso, che il richiedente possa beneficiare, durante tale periodo, dei diritti riconosciuti dalla direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri,e che sia in grado di far valere qualsiasi mutamento delle circostanze verificatosi successivamente all’adozione della decisione di rimpatrio, che presenti rilevanza significativa per la valutazione della situazione dell’interessato con riguardo alla direttiva 2008/115 e, in particolare, all’articolo 5 della medesima, cosa che spetta al giudice del rinvio verificare.


53) Corte di Giustizia UE 5 luglio 2018, n. C-213/17, X: Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Articoli 17, 18, 23 e 24 – Precedente procedura di protezione internazionale pendente in uno Stato membro – Nuova domanda in un altro Stato membro – Assenza di domanda di ripresa in carico entro i termini previsti – Consegna dell’interessato ai fini dell’esercizio di un’azione penale

1)      L’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, deve essere interpretato nel senso che lo Stato membro nel quale sia stata presentata una nuova domanda di protezione internazionale è competente per l’esame di quest’ultima, qualora una richiesta di ripresa in carico non sia stata formulata da detto Stato membro entro i termini di cui all’articolo 23, paragrafo 2, di tale regolamento, pur se, da un lato, un altro Stato membro era competente per l’esame di domande di protezione internazionale presentate in precedenza e, dall’altro, alla scadenza dei suddetti termini era pendente dinanzi a un giudice di quest’ultimo Stato membro il ricorso proposto contro il rigetto di una di dette domande.

2)      L’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che la formulazione, da parte di uno Stato membro, di una richiesta di ripresa in carico di un cittadino di un paese terzo che si trovi senza permesso di soggiorno sul suo territorio non impone a tale Stato membro di sospendere l’esame di un ricorso proposto contro il rigetto di una domanda di protezione internazionale presentata in precedenza e, poi, di porre fine a tale esame nel caso in cui lo Stato membro richiesto accetti detta richiesta.

3)      L’articolo 24, paragrafo 5, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, uno Stato membro che formuli una richiesta di ripresa in carico sul fondamento dell’articolo 24 di tale regolamento, a seguito della scadenza, nello Stato membro richiesto, dei termini previsti dall’articolo 23, paragrafo 2, di detto regolamento, non è tenuto ad informare le autorità di quest’ultimo Stato membro del fatto che è pendente dinanzi ad un giudice dello Stato membro richiedente un ricorso proposto avverso il rigetto di una domanda di protezione internazionale presentata in precedenza.

4)      L’articolo 17, paragrafo 1, e l’articolo 24 del regolamento n. 604/2013 devono essere interpretati nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale alla data della decisione di trasferimento, in cui un richiedente la protezione internazionale sia stato consegnato da un primo Stato membro ad un secondo Stato membro in esecuzione di un mandato d’arresto europeo e si trovi sul territorio di quest’ultimo senza avervi presentato una nuova domanda di protezione internazionale, tale secondo Stato membro può chiedere al primo Stato membro di riprendere in carico il suddetto richiedente e non è tenuto a decidere di esaminare la domanda presentata da quest’ultimo.




54) Corte di Giustizia UE 5 luglio 2018, n. C-269/18, C e a.: Rinvio pregiudiziale – Procedimento pregiudiziale d’urgenza – Articolo 99 del regolamento di procedura della Corte – Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46, paragrafi 6 e 8 – Domanda di protezione internazionale manifestamente infondata – Diritto a un ricorso effettivo – Autorizzazione a rimanere nel territorio di uno Stato membro – Direttiva 2008/115/CE – Articoli 2, 3 e 15 – Soggiorno irregolare – Trattenimento

La direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, e la direttiva 2013/32/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, devono essere interpretate nel senso che esse ostano a che un cittadino di un paese terzo, la cui domanda di protezione internazionale sia stata respinta in prime cure dall’autorità amministrativa competente in quanto manifestamente infondata, sia trattenuto ai fini del suo allontanamento, qualora, ai sensi dell’articolo 46, paragrafi 6 e 8, della direttiva 2013/32, egli sia legalmente autorizzato a rimanere nel territorio nazionale fino alla decisione sul suo ricorso riguardante il diritto di rimanere in tale territorio in attesa dell’esito del ricorso proposto avverso la decisione di rigetto della sua domanda di protezione internazionale.


55) Corte di Giustizia UE 25 luglio 2018, n. C-585/16, Alheto: Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Norme sull’attribuzione a cittadini di paesi terzi o apolidi della qualifica di beneficiario di protezione internazionale – Direttiva 2011/95/UE – Articolo 12 – Esclusione dallo status di rifugiato – Persone registrate presso l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) – Esistenza di un “paese di primo asilo”, per un rifugiato palestinese, nella zona operativa dell’UNRWA – Procedure comuni ai fini del riconoscimento dello status di protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46 – Diritto a un ricorso effettivo – Esame completo ed ex nunc – Portata dei poteri del giudice di primo grado – Esame da parte del giudice delle esigenze di protezione internazionale – Esame di motivi d’inammissibilità

1)      L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, in combinato disposto con l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, deve essere interpretato nel senso che il trattamento di una domanda di protezione internazionale presentata da una persona registrata presso l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) richiede che si accerti se tale persona benefici di una protezione o di un’assistenza effettiva da parte di tale organismo, sempreché tale domanda non sia stata preliminarmente respinta sulla base di un motivo d’inammissibilità o sulla base di una causa di esclusione diversa da quella prevista all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), primo periodo, della direttiva 2011/95.
2)      L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), secondo periodo, della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, e l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), secondo periodo, della direttiva 2011/95 devono essere interpretati nel senso che:
–        ostano a una normativa nazionale che non prevede o che recepisce in modo non corretto la causa di cessazione dell’applicazione della causa di esclusione dallo status di rifugiato in essi contenuta;
–        hanno efficacia diretta, e
–        possono essere applicati anche qualora il richiedente protezione internazionale non li abbia espressamente invocati.
3)      L’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che il giudice di uno Stato membro investito in primo grado di un’impugnazione contro una decisione relativa a una domanda di protezione internazionale è tenuto a esaminare sia gli elementi di fatto e di diritto, quali l’applicabilità dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/95 alla situazione del richiedente, di cui l’organo che ha adottato tale decisione ha tenuto o avrebbe potuto tener conto, sia quelli intervenuti dopo l’adozione della medesima decisione.
4)      L’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso che l’esigenza di un esame completo ed ex nunc tanto degli elementi di fatto quanto di quelli di diritto può vertere anche sui motivi d’inammissibilità della domanda di protezione internazionale di cui all’articolo 33, paragrafo 2, di tale direttiva, laddove il diritto nazionale lo consenta, e che, nel caso in cui il giudice investito dell’impugnazione intenda esaminare un motivo d’inammissibilità che non è stato esaminato dall’autorità accertante, il medesimo deve procedere all’audizione del richiedente al fine di consentirgli di esporre di persona, in una lingua che conosce, il suo punto di vista sull’applicabilità di tale motivo alla sua situazione particolare.
5)      L’articolo 35, primo comma, lettera b), della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che una persona registrata presso l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), se beneficia di protezione o di assistenza effettiva di tale organismo in un paese terzo non corrispondente al territorio nel quale la stessa risiede abitualmente, ma facente parte della zona operativa del suddetto organismo, deve essere considerata sufficientemente protetta in tale paese terzo, ai sensi di tale disposizione, qualora quest’ultimo:
–        si impegni a riammettere l’interessato dopo che questi ha lasciato il suo territorio per chiedere protezione internazionale nell’Unione europea, e
–        riconosca tale protezione o assistenza dell’UNRWA e aderisca al principio di non respingimento, consentendo in tal modo all’interessato di soggiornare nel suo territorio in sicurezza, in condizioni di vita dignitose e finché i rischi cui è esposto nel territorio della residenza abituale lo rendono necessario.
6)      L’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso che esso non stabilisce norme procedurali comuni per quanto riguarda la competenza ad adottare una nuova decisione relativa a una domanda di protezione internazionale dopo l’annullamento, da parte del giudice investito dell’impugnazione, della decisione iniziale adottata in merito a tale domanda. Tuttavia, la necessità di assicurare un effetto utile all’articolo 46, paragrafo 3, di tale direttiva e di garantire un ricorso effettivo a norma dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali impone che, in caso di rinvio del fascicolo all’organo quasi giurisdizionale o amministrativo di cui all’articolo 2, lettera f), di detta direttiva, sia adottata entro un breve termine una nuova decisione che sia conforme alla valutazione contenuta nella sentenza che ha disposto l’annullamento.



56) Corte di Giustizia UE 25 luglio 2018, n. C-404/17, A: Rinvio pregiudiziale – Politica d’asilo – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 31, paragrafo 8, e articolo 32, paragrafo 2 – Domanda di protezione internazionale manifestamente infondata – Concetto di paese di origine sicuro – Assenza di norme nazionali relative a tale concetto – Dichiarazioni del richiedente considerate affidabili, ma insufficienti in ragione dell’adeguatezza della protezione offerta dal paese di origine del richiedente

L’articolo 31, paragrafo 8, lettera b), della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, letto in combinato disposto con l’articolo 32, paragrafo 2, di tale direttiva, dev’essere interpretato nel senso che esso non consente di ritenere manifestamente infondata una domanda di protezione internazionale in una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, nella quale, da un lato, dalle informazioni sul paese di origine del richiedente risulti che a quest’ultimo può essere garantita in tale paese una protezione accettabile e, dall’altro, il medesimo richiedente abbia fornito informazioni insufficienti per giustificare il riconoscimento di una protezione internazionale, qualora lo Stato membro di proposizione della domanda non abbia adottato norme per l’attuazione del concetto di paese di origine sicuro.





57) Corte di Giustizia UE 13 settembre 2018, n. C-369/17, Ahmed: Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Frontiere, asilo e immigrazione – Status di rifugiato o status di protezione sussidiaria – Direttiva 2011/95/UE – Articolo 17 – Esclusione dallo status di protezione sussidiaria – Cause – Condanna per un reato grave – Determinazione della gravità sulla base della pena prevista ai sensi del diritto nazionale – Ammissibilità – Necessità di una valutazione individuale

L’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione di uno Stato membro in forza della quale si considera che il richiedente protezione sussidiaria abbia «commesso un reato grave» ai sensi di tale disposizione, il quale può escluderlo dal beneficio di tale protezione, sulla sola base della pena prevista per un determinato reato ai sensi del diritto di tale Stato membro. Spetta all’autorità o al giudice nazionale competente che statuisce sulla domanda di protezione sussidiaria valutare la gravità dell’illecito considerato, effettuando un esame completo di tutte le circostanze del caso individuale di cui trattasi.


58) Corte di Giustizia UE 26 settembre 2018, n. C-175/17, X: Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Direttiva 2005/85/CE – Articolo 39 – Direttiva 2008/115/CE – Articolo 13 – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 18, articolo 19, paragrafo 2, e articolo 47 – Diritto a un ricorso effettivo – Principio di non respingimento – Decisione che respinge una domanda di protezione internazionale e impone un obbligo di rimpatrio – Normativa nazionale che prevede un secondo grado di giudizio – Effetto sospensivo automatico limitato al ricorso di primo grado

L’articolo 39 della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, e l’articolo 13 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, letti alla luce dell’articolo 18 e dell’articolo 19, paragrafo 2, nonché dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale la quale, pur prevedendo un appello contro le sentenze di primo grado confermative di decisioni che respingono domande di protezione internazionale e impongono un obbligo di rimpatrio, non dota tale mezzo di impugnazione di effetto sospensivo automatico, anche quando la persona interessata invochi un grave rischio di violazione del principio di non respingimento.


59) Corte di Giustizia UE 26 settembre 2018, n. C-180/17, X e  Y: Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46 – Direttiva 2008/115/CE – Articolo 13 – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 18, articolo 19, paragrafo 2, e articolo 47 – Diritto a un ricorso effettivo – Principio di non respingimento – Decisione che respinge una domanda di protezione internazionale e impone un obbligo di rimpatrio – Normativa nazionale che prevede un secondo grado di giudizio – Effetto sospensivo automatico limitato al ricorso di primo grado

L’articolo 46 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e l’articolo 13 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, letti alla luce dell’articolo 18 e dell’articolo 19, paragrafo 2, nonché dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale la quale, pur prevedendo un appello contro le sentenze di primo grado confermative di decisioni che respingono domande di protezione internazionale e impongono un obbligo di rimpatrio, non dota tale mezzo di impugnazione di effetto sospensivo automatico, anche quando la persona interessata invochi un grave rischio di violazione del principio di non respingimento


60) Corte di Giustizia UE 4 ottobre 2018, n. C-56/17, Fathi: Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia – Frontiere, asilo e immigrazione – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Articolo 3 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Esame di una domanda di protezione internazionale senza decisione esplicita in merito alla determinazione dello Stato membro competente per l’esame – Direttiva 2011/95/UE – Articoli 9 e 10 – Motivi di persecuzione fondati sulla religione – Prova – Legislazione iraniana sull’apostasia – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46, paragrafo 3 – Ricorso effettivo

1)      L’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, deve essere interpretato nel senso che non osta a che le autorità di uno Stato membro procedano all’esame del merito di una domanda di protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), del medesimo regolamento, in mancanza di una decisione esplicita delle stesse autorità che stabilisca, sulla base dei criteri previsti dal regolamento succitato, che la competenza a effettuare un simile esame incombeva a tale Stato membro.
2)      L’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito di un ricorso proposto da un richiedente protezione internazionale avverso una decisione di ritenere infondata la sua domanda di protezione internazionale, il giudice competente di uno Stato membro non è tenuto a verificare d’ufficio se i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda in questione, quali previsti dal regolamento n. 604/2013, siano stati correttamente applicati.
3)      L’articolo 10, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che un richiedente protezione internazionale che, a sostegno della sua domanda, adduce l’esistenza di un rischio di persecuzione per motivi fondati sulla religione non è tenuto, al fine di comprovare le sue affermazioni relative al suo credo religioso, a rendere dichiarazioni o produrre documenti su tutte le componenti della nozione di «religione», contemplata nella disposizione citata. Il richiedente è tuttavia tenuto a comprovare in maniera credibile le suddette affermazioni, presentando elementi che consentano all’autorità competente di assicurarsi della loro veridicità.
4)      L’articolo 9, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che il divieto, sanzionato con la pena capitale o con la reclusione, di atti contro la religione di Stato del paese d’origine del richiedente protezione internazionale può configurare un «atto di persecuzione», ai sensi del medesimo articolo, purché, per la violazione del divieto in questione, le autorità di detto paese impongano, nella prassi, sanzioni di questo tipo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.


61) Corte di Giustizia UE 4 ottobre 2018, n. C-652/16, Ahmedbekova: Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale – Direttiva 2011/95/UE – Articoli 3, 4, 10 e 23 – Domande di protezione internazionale presentate separatamente da membri di una stessa famiglia – Esame su base individuale – Presa in considerazione delle minacce incombenti su un familiare nell’ambito dell’esame su base individuale della domanda di un altro familiare – Disposizioni più favorevoli che possono essere mantenute o adottate dagli Stati membri al fine di estendere l’asilo o la protezione sussidiaria ai familiari del beneficiario di protezione internazionale – Valutazione dei motivi di persecuzione – Partecipazione di un cittadino azero alla proposizione di un ricorso contro il suo paese dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo – Norme comuni di procedura – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46 – Diritto a un ricorso effettivo – Esame completo ed ex nunc – Motivi di persecuzione o elementi di fatto taciuti dinanzi all’autorità accertante ma dedotti nell’ambito del ricorso proposto avverso la decisione adottata da tale autorità

1)      L’articolo 4 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito dell’esame su base individuale di una domanda di protezione internazionale, si deve tener conto delle minacce di persecuzione e di danni gravi incombenti su un familiare del richiedente, al fine di determinare se quest’ultimo, a causa del legame familiare con detta persona minacciata, sia a sua volta esposto a siffatte minacce.
2)      La direttiva 2011/95 e la direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, devono essere interpretate nel senso che non ostano a che le domande di protezione internazionale presentate separatamente da membri di una stessa famiglia siano oggetto di misure volte a gestire un’eventuale connessione, ma ostano a che tali domande siano oggetto di una valutazione congiunta. Esse ostano altresì a che la valutazione di una di dette domande sia sospesa fino alla chiusura della procedura d’esame relativa a un’altra di tali domande.
3)      L’articolo 3 della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che consente a uno Stato membro, in caso di riconoscimento, in forza del sistema istituito da tale direttiva, della protezione internazionale a un membro di una famiglia, di prevedere l’estensione del beneficio di tale protezione ad altri membri di detta famiglia, purché questi ultimi non rientrino in una causa di esclusione di cui all’articolo 12 della stessa direttiva e la loro situazione presenti, a motivo dell’esigenza di mantenimento dell’unità del nucleo familiare, un nesso con la logica della protezione internazionale.
4)      Il motivo di inammissibilità enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2013/32 non riguarda una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, nella quale un adulto presenta, per sé e per suo figlio minore, una domanda di protezione internazionale fondata, in particolare, sull’esistenza di un legame familiare con un’altra persona, che ha separatamente presentato una domanda di protezione internazionale.
5)      La partecipazione del richiedente protezione internazionale alla proposizione di un ricorso contro il suo paese dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo non può in linea di principio essere considerata, nell’ambito della valutazione dei motivi di persecuzione contemplati all’articolo 10 della direttiva 2011/95, come prova dell’appartenenza di tale richiedente a un «determinato gruppo sociale», ai sensi del paragrafo 1, lettera d), di tale articolo, ma deve essere considerata come un motivo di persecuzione per «opinione politica», ai sensi del paragrafo 1, lettera e), del medesimo articolo, se sussistono fondati motivi di temere che la partecipazione alla proposizione di tale ricorso sia percepita da detto paese come un atto di dissidenza politica contro il quale esso potrebbe prevedere di esercitare rappresaglie.
6)      L’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto in combinato disposto con il riferimento al procedimento di ricorso contenuto all’articolo 40, paragrafo 1, di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che il giudice investito di un ricorso contro una decisione di diniego di protezione internazionale è in linea di principio tenuto a valutare, a titolo di «ulteriori dichiarazioni» e dopo aver richiesto un esame di queste ultime da parte dell’autorità accertante, i motivi di riconoscimento della protezione internazionale o gli elementi di fatto che, pur essendo relativi ad eventi o a minacce asseritamente verificatisi prima dell’adozione di detta decisione di diniego o addirittura prima della presentazione della domanda di protezione internazionale, sono per la prima volta dedotti durante il procedimento di ricorso. Tale giudice non vi è, per contro, tenuto se constata che tali motivi o detti elementi sono stati dedotti in una fase tardiva del procedimento di ricorso o non sono presentati in maniera sufficientemente concreta per poter essere debitamente esaminati, o ancora, qualora si tratti di elementi di fatto, se esso constata che questi ultimi non sono significativi o non sono sufficientemente distinti dagli elementi di cui l’autorità accertante ha già potuto tenere conto.


62) Corte di Giustizia UE 18 ottobre 2018, n. C-662/17, E.G.: Rinvio pregiudiziale – Sistema europeo comune di asilo – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46, paragrafo 2 – Ricorso contro una decisione che nega il riconoscimento dello status di rifugiato, ma accorda lo status conferito dalla protezione sussidiaria – Ricevibilità – Assenza di interesse sufficiente qualora lo status di protezione sussidiaria concesso da uno Stato membro offra gli stessi diritti e gli stessi vantaggi che il diritto dell’Unione e quello nazionale riconoscono allo status di rifugiato – Rilevanza, ai fini dell’esame dell’identità dei suddetti diritti e vantaggi, della situazione individuale del richiedente

L’articolo 46, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, deve essere interpretato nel senso che lo status conferito dalla protezione sussidiaria, concesso da una normativa di uno Stato membro come quella di cui trattasi nel procedimento principale, non offre «gli stessi diritti e gli stessi vantaggi che il diritto dell’Unione e quello nazionale riconoscono allo status di rifugiato», ai sensi di tale disposizione, di modo che un giudice di tale Stato membro non può respingere, in quanto irricevibile, un ricorso proposto contro una decisione che considera una domanda infondata sotto il profilo del riconoscimento dello status di rifugiato, ma che concede lo status conferito dalla protezione sussidiaria, a causa dell’insufficiente interesse del richiedente alla continuazione del procedimento, allorché si accerti che, conformemente alla normativa nazionale applicabile, tali diritti e vantaggi attribuiti da tali due status di protezione internazionale non sono effettivamente identici.
Un ricorso siffatto non può essere respinto, in quanto irricevibile, neanche qualora si constati, alla luce della concreta situazione del richiedente, che il riconoscimento dello status di rifugiato non sarebbe tale da attribuirgli maggiori diritti e vantaggi rispetto alla concessione dello status conferito dalla protezione sussidiaria, dal momento che il richiedente non fa valere, o non fa ancora valere, diritti che sono attribuiti in forza dello status di rifugiato, ma che non lo sono, ovvero lo sono, ma in misura minore, in forza dello status conferito dalla protezione sussidiaria.


63) Corte di Giustizia UE 7 novembre 2018, n. C-380/17, K e B: Rinvio pregiudiziale – Competenza della Corte – Direttiva 2003/86/CE – Diritto al ricongiungimento familiare – Articolo 12 – Mancato rispetto del termine di tre mesi dalla concessione di una protezione internazionale – Beneficiario dello status conferito dalla protezione sussidiaria – Rigetto di una domanda di visto

1)      La Corte è competente, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, a interpretare l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, in cui il giudice del rinvio è chiamato a pronunciarsi sul diritto al ricongiungimento familiare di un beneficiario dello status conferito dalla protezione sussidiaria, qualora detta disposizione sia stata resa applicabile a una situazione siffatta, in modo diretto e incondizionato, dal diritto nazionale.


2)      L’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2003/86 non osta a una normativa nazionale che consente di respingere una domanda di ricongiungimento familiare presentata per un familiare di un rifugiato, sulla base delle disposizioni più favorevoli applicabili ai rifugiati contenute nel capo V di tale direttiva, per il fatto che la suddetta domanda è stata presentata più di tre mesi dopo la concessione al soggiornante dello status di rifugiato, offrendo nel contempo la possibilità di presentare una nuova domanda nell’ambito di un altro regime, a condizione che tale normativa:
–        preveda che un siffatto motivo di rigetto non possa essere utilizzato in situazioni in cui particolari circostanze rendono oggettivamente scusabile la presentazione tardiva della prima domanda;
–        preveda che le persone interessate siano pienamente informate delle conseguenze della decisione di rigetto della loro prima domanda e delle misure che sono tenute ad adottare al fine di far valere efficacemente il loro diritto al ricongiungimento familiare, e
–        garantisca che i soggiornanti riconosciuti come rifugiati continuino a godere delle condizioni più favorevoli per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare applicabili ai rifugiati, previste agli articoli 10 e 11 o all’articolo 12, paragrafo 2, della suddetta direttiva


64) Corte di Giustizia UE 13 novembre 2018, (cause riunite) nn. C-47/17 e C-48/17, X e X: Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Regolamento (CE) n. 1560/2003 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale – Criteri e meccanismi di determinazione – Richiesta di presa o di ripresa in carico di un richiedente asilo – Risposta negativa dello Stato membro richiesto – Domanda di riesame – Articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 1560/2003 – Termine per la risposta – Scadenza – Effetti

L’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1560/2003 della Commissione, del 2 settembre 2003, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, come modificato dal regolamento di esecuzione (UE) n. 118/2014 della Commissione, del 30 gennaio 2014, dev’essere interpretato nel senso che, nell’ambito della procedura di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale, lo Stato membro investito di una richiesta di presa o di ripresa in carico ai sensi dell’articolo 21 o dell’articolo 23 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, il quale, dopo aver proceduto alle verifiche necessarie, abbia risposto negativamente alla stessa entro i termini di cui all’articolo 22 o all’articolo 25 di quest’ultimo regolamento e che abbia successivamente ricevuto una domanda di riesame a norma del citato articolo 5, paragrafo 2, deve, entro un termine di due settimane, procurare di rispondere a tale domanda, in uno spirito di leale cooperazione.
Se lo Stato membro richiesto non risponde alla domanda stessa entro tale termine di due settimane, la procedura aggiuntiva di riesame è definitivamente chiusa, sicché, a partire dalla scadenza del suddetto termine, lo Stato membro richiedente dev’essere considerato competente ai fini dell’esame della domanda di protezione internazionale, salvo che disponga ancora del tempo necessario per poter presentare, entro i termini improrogabili previsti a tal fine dall’articolo 21, paragrafo 1, e dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013, una nuova richiesta di presa o di ripresa in carico.


65) Corte di Giustizia UE 21 novembre 2018, n. C-713/17, Ayubi: Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2011/95/UE – Norme inerenti al contenuto della protezione internazionale – Status di rifugiato – Articolo 29 – Protezione sociale – Trattamento differente – Rifugiati beneficiari di un diritto di soggiorno temporaneo

1)      L’articolo 29 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che ai rifugiati beneficiari di un diritto di soggiorno temporaneo in uno Stato membro siano concesse prestazioni di assistenza sociale di importo inferiore a quello delle prestazioni riconosciute ai cittadini di tale Stato membro e ai rifugiati beneficiari di un diritto di soggiorno permanente nel medesimo Stato membro.

2)      Un rifugiato può invocare, dinanzi ai giudici nazionali, l’incompatibilità con l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva 2011/95 di una normativa come quella di cui trattasi nel procedimento principale, affinché venga meno la restrizione dei suoi diritti derivante da tale normativa.


Rober PANOZZO

(2 gennaio 2019)