LA PROTEZIONE DEI RIFUGIATI SECONDO
LA CORTE DI
LUSSEMBURGO. RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
A) Normativa
Tra le
numerose norme – in materia di protezione
dei rifugiati – (del diritto) dell’Unione, ricordiamo:
1) a livello di Trattati:
-l’art. 3, par. 2, TUE: “L'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio
di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia
assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate
per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo,
l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro
quest'ultima”;
-l’art. 67, par. 2, TFUE: “Essa (…Unione …ndA) garantisce che non vi
siano controlli sulle persone alle frontiere interne e sviluppa una politica
comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne,
fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini
dei paesi terzi. Ai fini del presente titolo gli apolidi sono equiparati ai
cittadini dei paesi terzi”;
-l’art. 78 TFUE: “L'Unione sviluppa una politica comune in materia
di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire
uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di
protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non
respingimento. Detta politica deve essere conforme alla convenzione di Ginevra
del 28 luglio 1951 e al protocollo del 31 gennaio 1967 relativi allo status dei
rifugiati, e agli altri trattati pertinenti” (par. 1); “Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il
Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le
misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa: a) uno status
uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in
tutta l'Unione; b) uno status uniforme
in materia di protezione sussidiaria per i cittadini di paesi terzi che, pur
senza il beneficio dell'asilo europeo, necessitano di protezione internazionale;
c) un sistema comune volto alla protezione temporanea degli sfollati in caso di
afflusso massiccio; d) procedure comuni
per l'ottenimento e la perdita dello status uniforme in materia di asilo o di
protezione sussidiaria; e) criteri e
meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una
domanda d'asilo o di protezione sussidiaria;
f) norme concernenti le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo
o protezione sussidiaria; g) il partenariato
e la cooperazione con paesi terzi per gestire i flussi di richiedenti asilo o
protezione sussidiaria o temporanea” (par.
2); “Qualora uno o più Stati membri
debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso
improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della
Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o
degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del
Parlamento europeo” (par. 3);
-l’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea:
“Il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla
convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal protocollo del 31 gennaio 1967,
relativi allo status dei rifugiati, e a norma del trattato sull'Unione europea
e del trattato sul funzionamento dell'Unione europea …”.
2) nell’ambito delle fonti di diritto
derivato:
2A) i regolamenti relativi al c.d. sistema
Dublino (*):
---Regolamenti c.d. Eurodac: Regolamento (CE) 11 dicembre
2000, n. 2725/2000, del Consiglio, che
istituisce l'«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l'efficace
applicazione della convenzione di
Dublino e Regolamento (CE) 28 febbraio 2002, n. 407/2002, del Consiglio, che definisce talune modalità di
applicazione del regolamento (CE) n. 2725/2000 che istituisce l’«Eurodac» per
il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione della
convenzione di Dublino [si veda, ora, il Regolamento (UE) 26 giugno 2013,
n. 603/2013, del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce l'«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per
l'efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i
criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per
l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli
Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide e per le
richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di
contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica
il regolamento (UE) n. 1077/2011 che istituisce un'agenzia europea per la
gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà,
sicurezza e giustizia, adottato mediante (lo strumento della) rifusione];
---Regolamenti c.d. Dublino: Regolamento (CE) 18 febbraio
2003, n. 343/2003, del Consiglio, che
stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro
competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati
membri da un cittadino di un paese terzo (c.d. Regolamento Dublino II) e Regolamento (CE) 2 settembre 2003, n.
1560/2003, della Commissione, recante
modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che
stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro
competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati
membri da un cittadino di un paese terzo [si veda, ora, il Regolamento (UE)
26 giugno 2013, n. 604/2013, del Parlamento europeo e del Consiglio, che stabilisce i criteri e i meccanismi di
determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di
protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino
di un paese terzo o da un apolide (c.d. Regolamento
Dublino III) adottato mediante (lo strumento della) rifusione].
(*) Accanto a questa disciplina (principale), si devono ricordare altri
regolamenti, (alcuni) ‘collaterali’ e (altri) di esecuzione. Ricordiamo, tra
i primi, il Regolamento (UE) 16 aprile
2014, n. 514/2014, del Parlamento europeo e del Consiglio, recante disposizioni generali sul Fondo
asilo, migrazione e integrazione e sullo strumento di sostegno finanziario
per la cooperazione di polizia, la prevenzione e la lotta alla criminalità e
la gestione delle crisi, il Regolamento (UE) 16 aprile 2014, n. 516/2014,
del Parlamento europeo e del Consiglio, che
istituisce il Fondo Asilo, migrazione e integrazione, che modifica la
decisione 2008/381/CE del Consiglio e che abroga le decisioni n. 573/2007/CE
e n. 575/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la decisione
2007/435/CE del Consiglio, il Regolamento (UE) 19 maggio 2010, n.
439/2010, del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo; tra i
secondi il Regolamento di esecuzione (UE) 30 gennaio 2014, n. 2014/118, della
Commissione, che modifica il
regolamento (CE) n. 1560/2003 recante modalità di applicazione del
regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i
meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una
domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un
paese terzo, il Regolamento di esecuzione (UE) 24 luglio 2014, n.
2014/802, della Commissione, che
stabilisce i modelli per i programmi nazionali e i termini e le condizioni
del sistema di scambio elettronico di dati tra la Commissione e gli
Stati membri a norma del regolamento (UE) n. 514/2014 del Parlamento europeo
e del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo Asilo, migrazione e
integrazione e sullo strumento di sostegno finanziario per la cooperazione di
polizia, la prevenzione e la lotta alla criminalità e la gestione delle crisi,
il Regolamento di esecuzione (UE) 30 luglio 2014, n. 2014/1049, della
Commissione, che definisce le
caratteristiche tecniche delle misure di informazione e pubblicità ai sensi
del regolamento (UE) n. 514/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio
recante disposizioni generali sul Fondo asilo, migrazione e integrazione e
sullo strumento di sostegno finanziario per la cooperazione di polizia, la
prevenzione e la lotta alla criminalità e la gestione delle crisi, il
Regolamento di esecuzione (UE) 29 maggio 2015, n. 2015/840, della
Commissione, sui controlli effettuati
dalle autorità responsabili ai sensi del regolamento (UE) n. 514/2014 del
Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo
asilo, migrazione e integrazione e sullo strumento di sostegno finanziario
per la cooperazione di polizia, la prevenzione e la lotta alla criminalità e
la gestione delle crisi e Regolamento di esecuzione (UE) 8 luglio 2015,
n. 2015/1977, della Commissione, che
stabilisce la frequenza e il formato della segnalazione di irregolarità
riguardanti il Fondo asilo, migrazione e integrazione e lo strumento di
sostegno finanziario per la cooperazione di polizia, la prevenzione e la
lotta alla criminalità e la gestione delle crisi, a norma del regolamento
(UE) n. 514/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio
|
2B) le seguenti direttive:
---Direttiva 20 luglio 2001, n.
2001/55/CE, del Consiglio, sulle norme
minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso
massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli
Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze
dell'accoglienza degli stessi;
---Direttiva 27 gennaio 2003, n.
2003/9/CE, del Consiglio, recante norme
minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri [si
veda, ora, la Direttiva
26 giugno 2013, n. 2013/33/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme relative all’accoglienza dei
richiedenti protezione internazionale (c.d. Direttiva ‘Accoglienza’),
adottata mediante (lo strumento della) rifusione];
---Direttiva 29 aprile 2004, n.
2004/83/CE, del Consiglio, recante norme
minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica
di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta [si veda,
ora, la Direttiva
13 novembre 2011, n. 2011/95/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme sull’attribuzione, a cittadini
di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione
internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi
titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della
protezione riconosciuta (c.d. Direttiva ‘Qualifiche’), adottata mediante
(lo strumento della) rifusione];
---Direttiva 1° dicembre 2005, n.
2005/85/CE, del Consiglio, recante norme
minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento
e della revoca dello status di rifugiato [si veda, ora, la Direttiva 26 giugno
2013, n. 2013/32/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, recante procedure comuni ai fini del
riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (c.d.
Direttiva ‘Procedure’), adottata mediante (lo strumento della) rifusione].
B) Interventi della Corte di Giustizia
ELENCO DELLE SENTENZE (*)(*)
Corte di Giustizia UE 6 maggio 2008, n. C-133/06, Parlamento
/ Consiglio
Corte di Giustizia UE 29 gennaio 2009, n. C-19/08, Petrosian
e a.
Corte di Giustizia UE 17 febbraio 2009, n. C-465/07, Elgafaji
Corte di Giustizia UE 2 marzo 2010 , (cause riunite) nn. C-175/08;
C-176/08; C-178/08; C-179/08, Salahadin Abdulla
Corte di Giustizia UE 17 giugno 2010, n. C-31/09, Bolbol
Corte di Giustizia UE 9 novembre 2010, (cause riunite) nn. C-57/09
e C-101/09, B. e D.
Corte di Giustizia UE 28 luglio 2011, n. C-69/10, Samba Diouf
Corte Giustizia Ue 21 dicembre 2011, (cause riunite) nn. C-411/10 e .
C-493/10, N.S.
Corte di Giustizia UE 3 maggio 2012, n. C-620/10, Kastrati
Corte di Giustizia UE 5 settembre 2012, (cause riunite) nn. C-71/11 e
C-99/11, Y e Z.
Corte di Giustizia UE 27 settembre 2012, n. C-179/11, Cimade e GISTI
Corte di Giustizia UE 6 novembre 2012, n. C-245/11, K
Corte di Giustizia UE 22 novembre 2012, n. C-277/11, M
Corte di Giustizia UE 19 dicembre 2012, n. C-364/11, Abed El Karem El Kott e a.
Corte di Giustizia UE 31 gennaio 2013, n. C-175/11, D. e A.
Corte di Giustizia UE 30 maggio 2013, n. C-528/11, Halaf
Corte di Giustizia UE 30 maggio 2013, n. C-534/11, Arslan
Corte di Giustizia UE 6 giugno 2013, n. C-648/11, MA e a
Corte di Giustizia UE 7 novembre 2013, (cause riunite) nn. C-199/12,
200/12, 201/12, X e a.
Corte di Giustizia UE 14 novembre 2013, n. C-4/11, Puid
Corte di Giustizia UE 10 dicembre 2013, n. C-394/12, Abdullahi
Corte di Giustizia UE 30 gennaio 2014, n. C-285/12, Diakité
Corte di Giustizia UE 27 febbraio 2014, n. C-79/13, Saciri e a
Corte di Giustizia UE 8 maggio 2014, n. C-604/12, H.N.
Corte di Giustizia UE 17 luglio 2014, n. C-481/13, Qurbani
Corte di Giustizia UE 2 dicembre 2014, (cause riunite) nn. C-148/13,
C-149/13, C-150/13, A,B,C
Corte di Giustizia UE 18 dicembre 2014, n. C-542/13, M’Bodj
Corte di Giustizia UE 18 dicembre 2014, n. C-562/13, Abdida
Corte di Giustizia UE 26 febbraio 2015, n. C-472/13, Shepherd
Corte di Giustizia UE 24 giugno 2015, n. C-373/13, T
Corte di Giustizia UE 17 dicembre 2015, n. C-239/14, Hiebler
Corte di Giustizia UE 15 febbraio 2016, n. C-601/15, J.N.
Corte di Giustizia UE 1° marzo 2016, (cause riunite) nn. C-443/14 e
C-444/14, Alo e Osso
Corte di Giustizia UE 17 marzo 2016, n. C-695/15, Mirza
Corte di Giustizia UE 7 giugno 2016, n. C-63/15, Ghezelbash
Corte di Giustizia UE 7 giugno 2016, n. C-155/15, Karim
Corte di Giustizia UE 20 ottobre 2016, n. C-429/15, Danqua
Corte di Giustizia UE 31 gennaio 2017, n. C-573/14, Lounani
Corte di Giustizia UE 9 febbraio 2017, n. C-560/14, M
Corte di Giustizia UE 16 febbraio 2017, n. C-578/16, C.K. e a.
Corte di Giustizia UE 15 marzo 2017, n. C-528/15, Al Chodor e a.
Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-646/16, Jafari
Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-490/16, A.S.
Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-670/16, Mengesteab
Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-348/16, Sacko
Corte di Giustizia UE 6 settembre 2017, (cause riunite) nn. C-643/15
e C-647/15, Republica Slovacca e
Ungheria c. Consiglio
Corte di Giustizia UE 13 settembre 2017, n. C-60/16, Khir Amayry
Corte di Giustizia UE 25 ottobre 2017, n. C-201/16, Shiri
Corte di Giustizia UE 25 gennaio 2018, n. C-473/16, F
Corte di Giustizia UE 25 gennaio 2018, n. C-360/16, Hasan
Corte di Giustizia UE 24 aprile 2018, n. C-353/16, MP
Corte di Giustizia UE 31 maggio 2018, n. C-647/16, Hassan
Corte di Giustizia UE 19 giugno 2018, n. C-181/16, Gnandi
Corte di Giustizia UE 5 luglio 2018, n. C-213/17, X
Corte di Giustizia UE 5 luglio 2018, n. C-269/18, C e a.
Corte di Giustizia UE 25 luglio 2018, n. C-585/16, Alheto
Corte di Giustizia UE 25 luglio 2018, n. C-404/17, A
Corte di Giustizia UE 13 settembre 2018, n. C-369/17, Ahmed
Corte di Giustizia UE 26 settembre 2018, n. C-175/17, X
Corte di Giustizia UE 26 settembre 2018, n. C-180/17, X e
Y
Corte di Giustizia UE 4 ottobre 2018, n. C-56/17, Fathi
Corte di Giustizia UE 4 ottobre 2018, n. C-652/16, Ahmedbekova
Corte di Giustizia UE 18 ottobre 2018, n. C-662/17, E.G.
Corte di Giustizia UE 7 novembre 2018, n. C-380/17, K e B
Corte di Giustizia UE 13 novembre 2018, (cause riunite) nn. C-47/17 e
C-48/17, X e X
Corte di Giustizia UE 21 novembre 2018, n. C-713/17, Ayubi
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1) Corte di Giustizia UE 6 maggio 2008, n. C-133/06, Parlamento
/ Consiglio (*): Ricorso di annullamento – Politica comune nel settore
dell’asilo –Direttiva 2005/85/CE – Procedura applicata negli Stati membri ai
fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato – Paesi di
origine sicuri – Paesi terzi europei sicuri – Elenchi comuni minimi – Procedura
d’adozione e di modifica degli elenchi comuni minimi – Art. 67, nn. 1
e 5, primo trattino, CE – Incompetenza
1) Gli artt. 29, nn. 1 e
2, e 36, n. 3, della direttiva del Consiglio 1° dicembre 2005, 2005/85/CE,
recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del
riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, sono annullati.
2) Il Consiglio dell’Unione europea
è condannato alle spese.
3) La Repubblica francese e la Commissione delle
Comunità europee sopportano le proprie spese.
(*)Queste le massime relative alla sentenza:
1. Conformemente
all’art. 202 CE, qualora occorra adottare, a livello comunitario,
misure di esecuzione di un atto di base, spetta normalmente alla Commissione
esercitare tale competenza. Il Consiglio è tenuto a giustificare debitamente,
in funzione della natura e del contenuto dell’atto di base da attuare,
un’eccezione a detta regola.
A
questo proposito, i motivi esposti al diciannovesimo e al ventiquattresimo
‘considerando’ della direttiva 2005/85, recante norme minime per le procedure
applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello
status di rifugiato, attinenti, rispettivamente, all’importanza politica
della designazione dei paesi di origine sicuri e alle potenziali conseguenze
derivanti dal concetto di paese terzo sicuro per coloro che chiedono asilo,
sono intesi a giustificare la consultazione del Parlamento in merito alla
compilazione degli elenchi dei paesi sicuri e alle relative modifiche, ma non
a motivare in maniera sufficiente una riserva di esecuzione che presenti
carattere specifico per il Consiglio.
(v.
punti 47‑49)
2. Le
regole relative alla formazione della volontà delle istituzioni comunitarie
trovano la loro fonte nel Trattato e non sono derogabili né dagli Stati
membri né dalle stesse istituzioni. Solamente il Trattato può, in casi
specifici, quale quello previsto dall’art. 67, n. 2, secondo
trattino, CE, autorizzare un’istituzione a modificare una procedura
decisionale da esso prevista.
Riconoscere
ad un’istituzione la facoltà di porre in essere fondamenti normativi
derivati, che vadano nel senso di un aggravio ovvero di una semplificazione
delle modalità d’adozione di un atto, significherebbe attribuire alla stessa
un potere legislativo che eccede quanto previsto dal Trattato. Ciò
significherebbe, del pari, consentirle di arrecare pregiudizio al principio
dell’equilibrio istituzionale, che comporta che ogni istituzione eserciti le
proprie competenze nel rispetto di quelle delle altre istituzioni.
Peraltro,
l’esistenza di una prassi anteriore riguardante l’attuazione di fondamenti
normativi derivati non vale a derogare a norme del Trattato e non può quindi
costituire un precedente che vincoli le istituzioni.
(v.
punti 54‑57, 60)
3. Per
stabilire se l’adozione e la modifica future degli elenchi dei paesi sicuri
per via legislativa, o l’eventuale decisione di procedere all’applicazione
dell’art. 202, terzo trattino, CE, sotto forma di una delega o di
una riserva di esecuzione, siano riconducibili ai nn. 1 o 5
dell’art. 67 CE, è necessario verificare se, con l’adozione della
direttiva 2005/85, recante norme minime per le procedure applicate negli
Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato,
il Consiglio abbia adottato una normativa comunitaria che definisce le norme
comuni e i principi essenziali che disciplinano le materie di cui
all’art. 63, primo comma, punti 1 e 2, lett. a), CE.
Atteso
che la direttiva 2005/85 stabilisce taluni criteri dettagliati che consentono
la successiva adozione degli elenchi dei paesi sicuri, il Consiglio ha
emanato, mediante tale atto legislativo, «una normativa comunitaria che
definisc[e] le norme comuni e i principi essenziali» ai sensi dell’art. 67,
n. 5, primo trattino, CE, cosicché risulta applicabile la procedura
di codecisione.
(v.
punti 63, 65‑66)
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2) Corte di Giustizia UE 29
gennaio 2009, n. C-19/08, Petrosian e a.: Diritto d’asilo – Regolamento (CE) n. 343/2003 – Ripresa in
carico da parte di uno Stato membro di un richiedente asilo la cui domanda è
stata respinta e che si trova in un altro Stato membro dove ha proposto una
nuova domanda d’asilo – Dies a quo del termine di esecuzione del trasferimento
del richiedente asilo – Procedura di trasferimento che costituisce oggetto di
un ricorso che può avere effetto sospensivo
L’art. 20, nn. 1, lett. d), e 2, del regolamento (CE)
del Consiglio 18 febbraio 2003, n. 343, che stabilisce i criteri
e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di
una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un
paese terzo, deve essere interpretato nel senso che, qualora la normativa dello
Stato membro ricorrente preveda l’effetto sospensivo di un ricorso, il termine
di esecuzione del trasferimento decorre non già a partire dalla decisione
giurisdizionale provvisoria che sospende l’esecuzione del procedimento di
trasferimento, bensì soltanto a partire dalla decisione giurisdizionale che
statuisce sulla fondatezza del procedimento e che non può più ostacolare detta
esecuzione
3) Corte di Giustizia UE 17
febbraio 2009, n. C-465/07, Elgafaji: Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle
condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario
della protezione sussidiaria – Persona ammissibile alla protezione sussidiaria
– Art. 2, lett. e) – Rischio effettivo di subire un grave danno –
Art. 15, lett. c) – Minaccia grave e individuale alla vita o alla
persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di
conflitto armato – Prova
L’art. 15, lett. c), della direttiva del Consiglio 29 aprile
2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi
terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa
di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della
protezione riconosciuta, in combinato disposto con l’art. 2,
lett. e), della stessa direttiva, deve essere interpretato nel senso che:
– l’esistenza di una
minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la
protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo
fornisca la prova di essere specifico oggetto di minaccia a motivo di elementi
peculiari della sua situazione personale;
– l’esistenza di una
siffatta minaccia può essere considerata, in via eccezionale, provata qualora
il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in
corso, valutato dalle autorità nazionali competenti cui sia stata presentata
una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai
quali venga deferita una decisione di rigetto di una tale domanda, raggiunga un
livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile
rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione
correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un
rischio effettivo di subire la detta minaccia.
4) Corte di Giustizia UE 2 marzo 2010 , (cause riunite) nn. C-175/08;
C-176/08; C-178/08; C-179/08, Salahadin Abdulla: Direttiva
2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status
di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Qualità di
“rifugiato” – Art. 2, lett. c) – Cessazione dello status di rifugiato
– Art. 11 – Cambiamento delle circostanze – Art. 11, n. 1,
lett. e) – Rifugiato – Timore infondato di persecuzioni – Valutazione –
Art. 11, n. 2 – Revoca dello status di rifugiato – Prova –
Art. 14, n. 2
1) L’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva del
Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a
cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona
altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto
della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che:
– una persona perde lo status di
rifugiato quando, considerato un cambiamento delle circostanze avente un
carattere significativo e una natura non temporanea, occorso nel paese terzo
interessato, vengano meno le circostanze alla base del fondato timore della
persona stessa di essere perseguitata a causa di uno dei motivi di cui
all’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83, motivi per i quali
essa è stata riconosciuta come rifugiata, e non sussistano altri motivi di
timore di «essere perseguitat[a]» ai sensi dell’art. 2, lett. c),
della direttiva 2004/83;
– ai fini della valutazione di un
cambiamento delle circostanze, le autorità competenti dello Stato membro devono
verificare, tenuto conto della situazione individuale del rifugiato, che il
soggetto o i soggetti che offrono protezione di cui all’art. 7, n. 1,
della direttiva 2004/83 abbiano adottato adeguate misure per impedire che
possano essere inflitti atti persecutori, che quindi dispongano, in
particolare, di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di
perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione e che
il cittadino interessato, in caso di cessazione dello status di rifugiato,
abbia accesso a detta protezione;
– i soggetti che offrono protezione
ex art. 7, n. 1, lett. b), della direttiva 2004/83 possono
comprendere organizzazioni internazionali che controllano lo Stato o una parte
consistente del suo territorio, anche per mezzo della presenza di una forza
multinazionale su tale territorio.
2) Quando le circostanze in base alle quali lo status di rifugiato è
stato riconosciuto abbiano cessato di sussistere e le autorità competenti dello
Stato membro verifichino che non ricorrono altre circostanze che giustifichino
il fondato timore della persona interessata di essere perseguitata, per il
medesimo motivo di quello inizialmente rilevante o per uno degli altri motivi
elencati all’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83, il criterio
di probabilità per l’esame del rischio derivante da dette altre circostanze è
lo stesso criterio applicato ai fini della concessione dello status di
rifugiato.
3) L’art. 4, n. 4, della direttiva, nella misura in cui
fornisce indicazioni quanto alla portata, in termini di forza probatoria, di
atti o minacce precedenti di persecuzione, può applicarsi quando le autorità
competenti considerino di revocare lo status di rifugiato ai sensi
dell’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva 2004/83 e l’interessato,
per giustificare il permanere di un fondato timore di persecuzione, faccia
valere circostanze diverse da quelle sulla cui base era stato riconosciuto come
rifugiato. Tuttavia, ciò potrà di regola verificarsi solamente quando il motivo
di persecuzione sia diverso da quello considerato al momento del riconoscimento
dello status di rifugiato e vi siano atti o minacce precedenti di persecuzione
i quali sono collegati al motivo di persecuzione esaminato in tale fase.
5) Corte di Giustizia UE 17 giugno 2010, n. C-31/09, Bolbol:
Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi
terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato – Apolide di origine palestinese
che non ha chiesto la protezione o l’assistenza dell’Agenzia delle Nazioni
Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nei paesi del
Vicino Oriente (UNRWA) – Domanda per il riconoscimento dello status di
rifugiato – Rigetto dovuto alla non sussistenza dei presupposti previsti
dall’art. 1, sezione A, della Convenzione relativa allo status dei
rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 – Diritto di detto apolide al
riconoscimento dello status di rifugiato in forza dell’art. 12, n. 1,
lett. a), seconda frase, della direttiva 2004/83
Ai fini dell’applicazione dell’art. 12, n. 1, lett. a),
prima frase, della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante
norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della
qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, una persona
fruisce della protezione o dell’assistenza di un’agenzia delle Nazioni Unite
diversa dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati se è
effettivamente ricorsa a detta protezione o a detta assistenza.
6) Corte di Giustizia UE 9 novembre 2010, (cause riunite) nn. C-57/09
e C-101/09, B. e D.: Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni
per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della
protezione sussidiaria – Art. 12 – Esclusione dallo status di rifugiato –
Art. 12, n. 2, lett. b) e c) – Nozione di “reato grave di
diritto comune” – Nozione di “atti contrari alle finalità e ai principi delle
Nazioni Unite” – Appartenenza ad un’organizzazione coinvolta in atti di
terrorismo – Successiva iscrizione di tale organizzazione nell’elenco delle
persone, dei gruppi e delle entità di cui all’allegato della posizione comune
2001/931/PESC – Responsabilità individuale per una parte degli atti commessi da
tale organizzazione – Presupposti – Diritto d’asilo in forza del diritto
costituzionale nazionale – Compatibilità con la direttiva 2004/83/CE
1. Qualora le questioni sollevate dai giudici nazionali vertano
sull’interpretazione di una norma di diritto comunitario, la Corte è in linea di
principio tenuta a pronunciarsi. Non risulta, in particolare, né dal dettato
degli artt. 68 CE e 234 CE, né dalle finalità del procedimento
istituito da quest’ultima disposizione che gli autori del Trattato abbiano
inteso sottrarre alla competenza della Corte i rinvii pregiudiziali vertenti su
una direttiva nel caso particolare in cui il diritto nazionale di uno Stato
membro rinvii al contenuto delle disposizioni di una convenzione
internazionale, che sono riprese da tale direttiva, per determinare le norme da
applicare ad una situazione puramente interna al detto Stato membro. In un caso
del genere esiste un interesse certo dell’Unione a che, per evitare future
divergenze d’interpretazione, le disposizioni di tale convenzione
internazionale riprese dal diritto nazionale e dal diritto dell’Unione ricevano
un’interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verranno
applicate.
2. L’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva
2004/83 recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o
apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di
protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione
riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che:
– la circostanza che una persona
abbia fatto parte di un’organizzazione iscritta nell’elenco di cui all’allegato
della posizione comune 2001/931, relativa all’applicazione di misure specifiche
per la lotta al terrorismo, per il suo coinvolgimento in atti terroristici, e
abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da detta organizzazione
non costituisce automaticamente un motivo fondato per ritenere che tale persona
abbia commesso un reato grave di diritto comune o atti contrari alle finalità e
ai principi delle Nazioni Unite;
– la constatazione, in siffatto
contesto, della sussistenza di fondati motivi per ritenere che una persona
abbia commesso un reato del genere o si sia resa colpevole di tali atti è
subordinata ad una valutazione caso per caso di fatti precisi al fine di
determinare se atti commessi dall’organizzazione considerata rispondano alle
condizioni fissate da dette disposizioni e se una responsabilità individuale
nel compimento di tali atti possa essere ascritta alla persona considerata,
tenuto conto del livello di prova richiesto dal citato art. 12, n. 2.
Non sussiste, infatti, una relazione diretta tra la posizione comune
2001/931 e la direttiva 2004/83 quanto agli obiettivi perseguiti e non è
giustificato che l’autorità competente, qualora intenda escludere una persona
dallo status di rifugiato in forza dell’art. 12, n. 2, di tale
direttiva, si fondi unicamente sulla sua appartenenza ad un’organizzazione che
è presente in un elenco adottato al di fuori dell’ambito istituito dalla
direttiva nel rispetto della Convenzione di Ginevra.
3. L’esclusione dallo status di rifugiato in applicazione
dell’art. 12, n. 2, lett. b) o lett. c), della direttiva
2004/83, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o
apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di
protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione
riconosciuta, non è subordinata alla circostanza che la persona considerata
rappresenti un pericolo concreto per lo Stato membro di accoglienza.
4. L’esclusione dallo status di rifugiato ai sensi
dell’art. 12, n. 2, lett. b) o lett. c), della direttiva
2004/83, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o
apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di
protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione
riconosciuta, non è subordinata ad un esame di proporzionalità alla luce del
caso di specie.
5. L’art. 3 della direttiva 2004/83, recante norme minime
sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di
rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere
interpretato nel senso che gli Stati membri possono riconoscere un diritto
d’asilo in forza del loro diritto nazionale ad una persona esclusa dallo status
di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, di tale direttiva, purché
quest’altro tipo di protezione non comporti un rischio di confusione con lo
status di rifugiato ai sensi di quest’ultima.
7) Corte di Giustizia UE 28 luglio 2011, n. C-69/10, Samba Diouf: Direttiva 2005/85/CE –
Norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento
e della revoca dello status di rifugiato – Nozione di “decisione sulla (...)
domanda di asilo” ai sensi dell’art. 39 di tale direttiva – Domanda di un
cittadino di un paese terzo diretta ad ottenere lo status di rifugiato –
Mancanza di motivi che giustifichino la concessione di una protezione
internazionale – Rigetto della domanda nell’ambito di un procedimento
accelerato – Mancanza di ricorso contro la decisione di assoggettare la domanda
a una procedura accelerata – Diritto a un controllo giurisdizionale effettivo
L’art. 39 della direttiva 2005/85/CE del Consiglio
1° dicembre 2005, 2005/85/CE, recante norme minime per le procedure
applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello
status di rifugiato, e il principio di tutela giurisdizionale effettiva devono
essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come
quella in discussione nella causa principale, in forza della quale non può
essere proposto un ricorso autonomo avverso la decisione dell’autorità
nazionale competente di esaminare una domanda di asilo seguendo una procedura
accelerata, qualora i motivi che hanno indotto detta autorità a verificare la
fondatezza di tale domanda seguendo una procedura siffatta possano essere
effettivamente sottoposti ad un controllo giurisdizionale nell’ambito del
ricorso esperibile contro la decisione finale di respingere la menzionata
domanda, circostanza che spetta al giudice del rinvio valutare.
8) Corte Giustizia Ue 21 dicembre 2011, (cause riunite) nn. C-411/10 e
. C-493/10, N.S.: Diritto dell’Unione – Principi – Diritti
fondamentali – Attuazione del diritto dell’Unione – Divieto dei trattamenti
inumani o degradanti – Sistema europeo comune di asilo – Regolamento (CE)
n. 343/2003 – Nozione di “paesi sicuri” – Trasferimento di un richiedente
asilo verso lo Stato membro competente – Obbligo – Presunzione relativa di
rispetto, da parte di tale Stato membro, dei diritti fondamentali
1) La decisione adottata da uno Stato membro sul fondamento
dell’art. 3, n. 2, del regolamento (CE) del Consiglio 18 febbraio
2003, n. 343, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione
dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in
uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, di esaminare o meno
una domanda di asilo rispetto alla quale esso non è competente in base ai
criteri enunciati nel capo III di detto regolamento dà attuazione al
diritto dell’Unione ai fini dell’art. 6 TUE e/o dell’art. 51 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
2) Il diritto dell’Unione osta all’applicazione di una
presunzione assoluta secondo la quale lo Stato membro che l’art. 3,
n. 1, del regolamento n. 343/2003 designa come competente rispetta i
diritti fondamentali dell’Unione europea.
L’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri, compresi gli organi
giurisdizionali nazionali, sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo
verso lo «Stato membro competente» ai sensi del regolamento n. 343/2003
quando non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo
e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro
costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un
rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi di tale
disposizione.
Ferma restando la facoltà, di cui all’art. 3, n. 2, del
regolamento n. 343/2003, di esaminare esso stesso la domanda,
l’impossibilità di trasferire un richiedente asilo verso un altro Stato membro
dell’Unione europea che risulti essere lo Stato membro competente in base ai
criteri enunciati nel capo III di detto regolamento impone allo Stato
membro che doveva effettuare tale trasferimento di proseguire l’esame dei
criteri di cui al medesimo capo, per verificare se uno dei criteri ulteriori
permetta di identificare un altro Stato membro come competente a esaminare la
domanda di asilo.
È necessario, tuttavia, che lo Stato membro nel quale si trova il
richiedente asilo badi a non aggravare una situazione di violazione dei diritti
fondamentali di tale richiedente con una procedura di determinazione dello
Stato membro competente che abbia durata irragionevole. All’occorrenza, detto
Stato è tenuto a esaminare esso stesso la domanda conformemente alle modalità
previste all’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003.
3) Gli artt. 1, 18 e 47 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea non comportano una risposta differente.
4) Nella misura in cui le questioni che precedono concernono
obblighi incombenti al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord,
prendere in considerazione il Protocollo (n. 30) sull’applicazione della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea alla Polonia e al Regno
Unito non ha incidenza sulle risposte apportate alle questioni da seconda a
sesta deferite nella causa C‑411/10.
9) Corte di Giustizia UE 3 maggio 2012, n. C-620/10, Kastrati: Sistema di Dublino –
Regolamento (CE) n. 343/2003 – Procedura di determinazione dello
Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo – Cittadini di
un paese terzo titolari di un visto in corso di validità rilasciato dallo
“Stato membro competente” ai sensi del medesimo regolamento – Domanda
d’asilo presentata in uno Stato membro diverso dallo Stato competente in forza
di detto regolamento – Domanda di permesso di soggiorno in uno Stato
membro diverso dallo Stato competente seguita dal ritiro della domanda
d’asilo – Ritiro intervenuto prima che lo Stato membro competente abbia
accettato la presa in carico – Ritiro che pone termine alle procedure
istituite dal regolamento n. 343/2003
Il regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003,
che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro
competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati
membri da un cittadino di un paese terzo, deve essere interpretato nel senso
che il ritiro di una domanda d’asilo ai sensi dell’articolo 2, lettera c), del
medesimo, effettuato prima che lo Stato membro competente per l’esame di tale
domanda abbia accettato di prendere in carico il richiedente, produce l’effetto
di rendere inapplicabile detto regolamento. In tal caso, spetta allo Stato
membro nel cui territorio sia stata presentata la domanda adottare le decisioni
necessarie conseguenti al ritiro e, in particolare, sospendere l’esame della
domanda con inserimento della relativa nota nella pratica del richiedente asilo
10) Corte di Giustizia UE 5 settembre 2012, (cause riunite) nn. C-71/11
e C-99/11, Y e Z.: Direttiva
2004/83/CE – Norme minime sull’attribuzione dello status di rifugiato o dello
status conferito dalla protezione sussidiaria – Articolo 2, lettera c)
–Riconoscimento quale “rifugiato” – Articolo 9, paragrafo 1 – Nozione di “atti
di persecuzione” – Articolo 10, paragrafo 1, lettera b) – Religione come motivo
della persecuzione – Collegamento fra tale motivo di persecuzione e gli atti di
persecuzione – Cittadini pachistani membri della comunità religiosa Ahmadiyya –
Atti delle autorità pachistane diretti a vietare il diritto di manifestare la
propria religione in pubblico – Atti sufficientemente gravi da giustificare il
fondato timore dell’interessato di essere esposto a persecuzione a causa della
sua religione – Esame su base individuale dei fatti e delle circostanze –
Articolo 4
1) L’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva
2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime
sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di
rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere
interpretato nel senso che:
– non è ravvisabile un
«atto di persecuzione», nell’accezione di detta norma della direttiva, in
qualunque lesione del diritto alla libertà di religione che violi l’articolo
10, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;
– l’esistenza di un atto
di persecuzione può risultare da una violazione della manifestazione esteriore
di tale libertà, e
– per valutare se una
lesione del diritto alla libertà di religione che viola l’articolo 10,
paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea possa
costituire un «atto di persecuzione», le autorità competenti devono verificare,
alla luce della situazione personale dell’interessato, se questi, a causa
dell’esercizio di tale libertà nel paese d’origine, corra un rischio effettivo,
in particolare, di essere perseguitato, o di essere sottoposto a trattamenti o
a pene disumani o degradanti ad opera di uno dei soggetti indicati all’articolo
6 della direttiva 2004/83.
2) L’articolo 2, lettera c), della direttiva 2004/83 deve essere
interpretato nel senso che il timore del richiedente di essere perseguitato è
fondato quando le autorità competenti, alla luce della situazione personale del
richiedente, considerano ragionevole ritenere che, al suo ritorno nel paese
d’origine, egli compirà atti religiosi che lo esporranno ad un rischio
effettivo di persecuzione. Nell’esaminare su base individuale una domanda di
riconoscimento dello status di rifugiato, dette autorità non possono
ragionevolmente aspettarsi che il richiedente rinunci a tali atti religiosi.
11) Corte di Giustizia UE 27 settembre 2012, n. C-179/11, Cimade e GISTI: Domande di asilo –
Direttiva 2003/9/CE – Norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti
asilo negli Stati membri – Regolamento (CE) n. 343/2003 – Obbligo di
garantire ai richiedenti asilo il beneficio delle condizioni minime di
accoglienza in pendenza del procedimento di presa in carico o di ripresa in
carico da parte dello Stato membro competente – Determinazione dello Stato
membro obbligato ad assumere l’onere finanziario derivante dalla concessione
delle condizioni minime
1) La direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante
norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri,
deve essere interpretata nel senso che uno Stato membro al quale sia stata
presentata una domanda di asilo è tenuto a concedere le condizioni minime di
accoglienza dei richiedenti asilo stabilite da tale direttiva anche ad un
richiedente asilo per il quale detto Stato decida – in applicazione del
regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che
stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro
competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati
membri da un cittadino di un paese terzo – di indirizzare una richiesta di
presa in carico o di ripresa in carico ad un altro Stato membro in quanto Stato
membro competente per l’esame della domanda di asilo di tale richiedente.
2) L’obbligo per lo Stato membro, al quale sia stata presentata una
domanda di asilo, di concedere le condizioni minime stabilite dalla direttiva
2003/9 ad un richiedente asilo per il quale detto Stato decida, in applicazione
del regolamento n. 343/2003, di indirizzare una richiesta di presa in
carico o di ripresa in carico ad un altro Stato membro in quanto Stato membro
competente per l’esame della domanda di asilo di tale richiedente, cessa al
momento del trasferimento effettivo di costui da parte dello Stato membro
autore della suddetta richiesta, e l’onere finanziario derivante dalla concessione
delle condizioni minime di cui sopra spetta a quest’ultimo Stato membro, sul
quale grava l’obbligo suddetto.
12) Corte di Giustizia UE 6 novembre 2012, n. C-245/11, K: Regolamento (CE) n. 343/2003
– Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda
d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo
– Clausola umanitaria – Articolo 15 di tale regolamento – Persona che beneficia
dell’asilo in uno Stato membro dipendente dall’assistenza del richiedente asilo
perché affetta da una grave malattia – Articolo 15, paragrafo 2, del
regolamento – Obbligo di tale Stato membro, che non è competente alla luce dei
criteri elencati al capo III del medesimo regolamento, di esaminare la
domanda di asilo presentata da detto richiedente asilo – Presupposti
In circostanze quali quelle del procedimento principale, l’articolo 15,
paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18
febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato
membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli
Stati membri da un cittadino di un paese terzo, deve essere interpretato nel
senso che, uno Stato membro che non è competente per l’esame di una domanda
d’asilo in base ai criteri elencati al capo III di tale regolamento lo
diventa. Spetta allo Stato membro divenuto lo Stato membro competente ai sensi
del medesimo regolamento assumere gli obblighi connessi a tale competenza. Esso
ne informa lo Stato membro anteriormente competente. Tale interpretazione del
suddetto articolo 15, paragrafo 2, si applica anche quando lo Stato membro che
era competente in forza dei criteri elencati al capo III di detto
regolamento non ha presentato richiesta in tal senso conformemente al paragrafo
1, seconda frase, del medesimo articolo.
13) Corte di Giustizia UE 22 novembre 2012, n. C-277/11, M.: Rinvio pregiudiziale – Sistema
europeo comune di asilo – Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni
per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della
protezione sussidiaria – Articolo 4, paragrafo 1, secondo periodo –
Cooperazione dello Stato membro con il richiedente per esaminare gli elementi
significativi della sua domanda – Portata – Regolarità della procedura nazionale
seguita nell’esame di una domanda di protezione sussidiaria a seguito del
rigetto di una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato – Rispetto
dei diritti fondamentali – Diritto al contraddittorio
L’obbligo in capo allo Stato membro interessato di cooperare con il
richiedente asilo, come previsto dall’articolo 4, paragrafo 1, secondo periodo,
della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme
minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica
di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, non può essere
interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui uno straniero richieda il
beneficio dello status di protezione sussidiaria successivamente al diniego
dello status di rifugiato e l’autorità nazionale competente intenda respingere
anche questa seconda domanda, tale autorità dovrebbe a tal titolo, prima
dell’adozione della sua decisione, informare l’interessato dell’esito negativo
che prevede di riservare alla sua domanda nonché comunicargli gli argomenti sui
quali essa intende basare il rigetto di quest’ultima, in modo da consentire a
tale richiedente di far valere il suo punto di vista in proposito.
Tuttavia, in un sistema come quello messo in atto dalla normativa
nazionale oggetto del procedimento principale, caratterizzato dall’esistenza di
due procedure distinte e successive ai fini dell’esame, rispettivamente, della
domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato e della domanda di
protezione sussidiaria, spetta al giudice del rinvio garantire il rispetto,
nell’ambito di ciascuna di tali procedure, dei diritti fondamentali del
richiedente e, più in particolare, del diritto ad essere sentito, nel senso che
quest’ultimo deve poter esprimere utilmente le proprie osservazioni prima
dell’adozione di qualsiasi decisione che neghi il beneficio della protezione
richiesta. In un siffatto sistema, la circostanza che l’interessato sia già
stato validamente sentito durante l’istruzione della sua domanda di
riconoscimento dello status di rifugiato non implica che si possa eludere tale
formalità nell’ambito della procedura relativa alla domanda di protezione
sussidiaria.
14) Corte di Giustizia UE 19 dicembre 2012, n. C-364/11, Abed El Karem El Kott e a.: Direttiva
2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status
di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Apolidi d’origine
palestinese che sono effettivamente ricorsi all’assistenza dell’Agenzia delle
Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nei
paesi del Vicino Oriente (UNRWA) – Diritto di tali apolidi al riconoscimento
dello status di rifugiato in base all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a),
secondo periodo, della direttiva 2004/83 – Presupposti d’applicazione –
Cessazione di detta assistenza da parte dell’UNRWA “per qualsiasi motivo” –
Prova – Conseguenze per gli interessati richiedenti lo status di rifugiato –
Diritto a essere “ipso facto ammess[i] ai benefici [di tale] direttiva” –
Riconoscimento di diritto della qualifica di “rifugiato” ai sensi dell’articolo
2, lettera c), della stessa direttiva e concessione dello status di rifugiato
conformemente all’articolo 13 di quest’ultima
1) L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), secondo periodo, della
direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime
sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di
rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere
interpretato nel senso che la cessazione della protezione o dell’assistenza da
parte di un organo o di un’agenzia delle Nazioni Unite diversi dall’Alto
Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (HCR) «per qualsiasi motivo»
riguarda altresì la situazione di una persona che, dopo essere ricorsa
effettivamente a tale protezione o assistenza, non vi è più ammessa per un
motivo che esula dalla sua sfera di controllo e prescinde dalla sua volontà.
Spetta alle autorità nazionali competenti dello Stato membro responsabile
dell’esame della domanda di asilo presentata da un tale soggetto accertare, con
una valutazione su base individuale della domanda, che quest’ultimo è stato
obbligato a lasciare l’area di operazioni di detto organo o agenzia, il che si
verifica qualora si sia trovato in uno stato personale di grave insicurezza e
l’organo o l’agenzia di cui trattasi non sia stato in grado di garantirgli, in
detta area, condizioni di vita conformi ai compiti spettanti a tale organo o
agenzia.
2) L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), secondo periodo, della
direttiva 2004/83 deve essere interpretato nel senso che, ove le autorità
competenti dello Stato membro responsabile dell’esame della domanda di asilo
abbiano accertato che, per quanto riguarda il richiedente, ricorre il
presupposto relativo alla cessazione della protezione o dell’assistenza
dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi
palestinesi nei paesi del Vicino Oriente (UNRWA), il fatto di essere ipso facto
«ammesso ai benefici [di tale] direttiva» implica il riconoscimento, da parte
di detto Stato membro, della qualifica di rifugiato ai sensi dell’articolo 2,
lettera c), di detta direttiva e la concessione automatica dello status di
rifugiato al richiedente, sempre che tuttavia a quest’ultimo non siano
applicabili i paragrafi 1, lettera b), o 2 e 3 di tale articolo 12.
15) Corte di Giustizia UE 31 gennaio 2013, n. C-175/11, D. e A.:
Rinvio pregiudiziale – Regime europeo comune in materia di asilo –
Domanda di un cittadino di un paese terzo volta ad ottenere lo status di
rifugiato – Direttiva 2005/85/CE – Articolo 23 – Possibilità di applicare una
procedura prioritaria per l’esame delle domande d’asilo – Procedimento
nazionale che prevede una procedura prioritaria per l’esame delle domande
presentate da persone appartenenti a una determinata categoria definita in base
al criterio della cittadinanza o del paese d’origine – Diritto a un ricorso
giurisdizionale effettivo – Articolo 39 di detta direttiva – Nozione di
“giudice” ai sensi di tale articolo
1) L’articolo 23, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2005/85/CE del
Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure
applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello
status di rifugiato, dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a che
uno Stato membro applichi una procedura prioritaria o accelerata, nel rispetto
dei principi fondamentali e delle garanzie di cui al capo II della medesima
direttiva, per l’esame di determinate categorie di domande d’asilo, definite in
funzione del criterio della cittadinanza o del paese d’origine del richiedente.
2) L’articolo 39 della direttiva 2005/85 dev’essere interpretato nel
senso che esso non osta ad una normativa nazionale come quella oggetto dei
procedimenti principali, in forza della quale un richiedente asilo può o
proporre ricorso avverso la decisione dell’autorità accertante dinanzi ad un
organo giurisdizionale quale il Refugee Appeals Tribunal (Irlanda) ed impugnare
la decisione di quest’ultimo dinanzi ad un giudice di grado superiore quale la High Court (Irlanda),
oppure contestare la validità della decisione di questa stessa autorità dinanzi
alla High Court, le cui sentenze possono essere impugnate dinanzi alla Supreme
Court (Irlanda).
16) Corte di Giustizia UE 30 maggio 2013, n. C-528/11, Halaf: Asilo – Regolamento (CE)
n. 343/2003 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di
una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un
paese terzo – Articolo 3, paragrafo 2 – Potere discrezionale degli Stati membri
– Ruolo dell’Alto Commissario delle Nazioni unite per i rifugiati – Obbligo
degli Stati membri di invitare tale istituzione a presentare un parere –
Insussistenza
1) L’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 343/2003 del
Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di
determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo,
dev’essere interpretato nel senso che consente a uno Stato membro, che non è
quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo
III di tale regolamento, di esaminare una domanda d’asilo anche in assenza
delle circostanze che rendono applicabile la clausola umanitaria di cui
all’articolo 15 di detto regolamento. Tale possibilità non dipende dal fatto
che lo Stato membro competente in forza di detti criteri non abbia risposto a
una domanda di ripresa in carico del richiedente asilo di cui trattasi.
2) Lo Stato membro in cui si trova il richiedente asilo non è tenuto,
nel corso del procedimento di determinazione dello Stato membro competente, a
chiedere il parere dell’Alto Commissario delle Nazioni unite per i rifugiati
qualora dagli atti di tale Ufficio emerga che lo Stato membro individuato come
Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III del regolamento
n. 343/2003 viola le norme di diritto dell’Unione in materia di asilo
17) Corte di Giustizia UE 30 maggio 2013, n. C-534/11, Arslan: Spazio di libertà, sicurezza
e giustizia – Direttiva 2008/115/CE – Norme e procedure comuni in materia di
rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare –
Applicabilità ai richiedenti asilo – Possibilità di mantenere in trattenimento
un cittadino di un paese terzo dopo la presentazione di una domanda d’asilo
1) L’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e
procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di
paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in combinato disposto con il
considerando 9 di quest’ultima, deve essere interpretato nel senso che tale
direttiva non è applicabile al cittadino di un paese terzo che ha presentato
una domanda di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2005/85/CE
del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure
applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello
status di rifugiato, e ciò durante il periodo che intercorre tra la
presentazione di tale domanda e l’adozione della decisione dell’autorità di
primo grado che si pronuncia su tale domanda o, eventualmente, fino all’esito
del ricorso che sia stato proposto avverso tale decisione.
2) La direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante
norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri,
e la direttiva 2005/85 non ostano a che il cittadino di un paese terzo, che
abbia presentato una domanda di protezione internazionale ai sensi della
direttiva 2005/85 dopo che sia stato disposto il suo trattenimento ai sensi
dell’articolo 15 della direttiva 2008/115, continui ad essere trattenuto in
base ad una norma del diritto nazionale qualora appaia, in esito ad una
valutazione individuale di tutte le circostanze pertinenti, che tale domanda è
stata presentata al solo scopo di ritardare o compromettere l’esecuzione della
decisione di rimpatrio e che è oggettivamente necessario che il provvedimento
di trattenimento sia mantenuto al fine di evitare che l’interessato si
sottragga definitivamente al proprio rimpatrio
18) Corte di Giustizia UE 6 giugno 2013, n. C-648/11, MA e a: Regolamento (CE)
n. 343/2003 – Determinazione dello Stato membro competente – Minore non
accompagnato – Domande di asilo presentate in due Stati membri successivamente
– Mancanza di un familiare del minore nel territorio di uno Stato membro –
Articolo 6, secondo comma, del regolamento n. 343/2003 – Trasferimento del
minore verso lo Stato membro nel quale quest’ultimo ha presentato la sua prima
domanda – Compatibilità – Interesse superiore del minore – Articolo 24,
paragrafo 2, della Carta
L’articolo 6, secondo comma, del regolamento (CE) n. 343/2003 del
Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di
determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, deve
essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle del procedimento
principale, nelle quali un minore non accompagnato, sprovvisto di familiari che
si trovino legalmente nel territorio di uno Stato membro, ha presentato domanda
di asilo in più di uno Stato membro, designa come «Stato membro competente» lo
Stato membro nel quale si trova tale minore dopo avervi presentato una domanda
di asilo.
19) Corte di Giustizia UE 7 novembre 2013, (cause riunite) nn.
C-199/12, 200/12, 201/12, X e a.:
Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento
dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria –
Articolo 10, paragrafo 1, lettera d) – Appartenenza ad un determinato
gruppo sociale – Orientamento sessuale – Motivo della
persecuzione – Articolo 9, paragrafo 1 – Nozione di “atti di
persecuzione” – Timore fondato di essere perseguitato per il fatto di
appartenere ad un determinato gruppo sociale – Atti sufficientemente gravi
da giustificare un siffatto timore – Legislazione che qualifica come reato
gli atti omosessuali – Articolo 4 – Esame individuale dei fatti e
delle circostanze
1) L’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/83/CE
del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a
cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona
altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul
contenuto della protezione riconosciuta, dev’essere interpretato nel senso che
l’esistenza di una legislazione penale come quelle di cui trattasi in ciascuno
dei procedimenti principali, che riguarda in modo specifico le persone
omosessuali, consente di affermare che tali persone devono essere considerate
costituire un determinato gruppo sociale.
2) L’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, in combinato
disposto con l’articolo 9, paragrafo 2, lettera c), della medesima, dev’essere
interpretato nel senso che il mero fatto di qualificare come reato gli atti
omosessuali non costituisce, di per sé, un atto di persecuzione. Invece, una
pena detentiva che sanzioni taluni atti omosessuali e che effettivamente trovi
applicazione nel paese d’origine che ha adottato una siffatta legislazione
dev’essere considerata una sanzione sproporzionata o discriminatoria e
costituisce pertanto un atto di persecuzione.
3)L’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/83, in
combinato disposto con l’articolo 2, lettera c), della medesima, dev’essere
interpretato nel senso che solo gli atti omosessuali penalmente rilevanti ai
sensi del diritto interno degli Stati membri sono esclusi dal suo ambito di
applicazione. In sede di valutazione di una domanda diretta ad ottenere lo
status di rifugiato, le autorità competenti non possono ragionevolmente
attendersi che, per evitare il rischio di persecuzione, il richiedente asilo
nasconda la propria omosessualità nel suo paese d’origine o dia prova di riservatezza
nell’esprimere il proprio orientamento sessuale.
20) Corte di Giustizia UE 14 novembre 2013, n. C-4/11, Puid: Asilo – Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea – Articolo 4 – Regolamento (CE)
n. 343/2003 – Articolo 3, paragrafi 1 e 2 – Determinazione dello Stato
membro competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli
Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Articoli da 6 a 12 – Criteri
per la determinazione dello Stato membro competente – Articolo 13 – Clausola
residuale
Quando gli Stati membri non
possono ignorare che le carenze sistemiche della procedura di asilo e delle
condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo nello Stato membro identificato
inizialmente come competente in base ai criteri enunciati nel capo III del
regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che
stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro
competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati
membri da un cittadino di un paese terzo, costituiscono motivi seri e
comprovati di credere che il richiedente asilo corra un rischio reale di subire
trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea ‒ ciò che spetta al giudice del rinvio
verificare ‒, lo Stato membro che procede alla determinazione dello Stato
membro competente è tenuto a non trasferire il richiedente asilo verso lo Stato
membro identificato inizialmente come competente e, ferma restando la facoltà
di esaminare esso stesso la domanda, a proseguire l’esame dei criteri di detto
capo per verificare se un altro Stato membro possa essere identificato come
competente in base ad uno di tali criteri o, in mancanza, in base all’articolo
13 del medesimo regolamento.
Per contro, in una situazione del genere, l’impossibilità di trasferire
un richiedente asilo verso lo Stato membro identificato inizialmente come
competente non implica, di per sé, che lo Stato membro che procede alla
determinazione dello Stato membro competente sia tenuto a esaminare esso stesso
la domanda di asilo sul fondamento dell’articolo 3, paragrafo 2, del
regolamento n. 343/2003.
21) Corte di Giustizia UE 10 dicembre 2013, n. C-394/12, Abdullahi: Rinvio
pregiudiziale – Sistema europeo comune d’asilo – Regolamento (CE)
n. 343/2003 – Determinazione dello Stato membro competente per
l’esame di una domanda d’asilo – Controllo del rispetto dei criteri di
determinazione della competenza per l’esame della domanda d’asilo – Portata
del sindacato giurisdizionale
L’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 343/2003 del
Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di
determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo,
dev’essere interpretato nel senso che, nelle circostanze in cui uno Stato
membro abbia accettato la presa in carico di un richiedente asilo in
applicazione del criterio di cui all’articolo 10, paragrafo 1, di detto
regolamento, vale a dire, quale Stato membro del primo ingresso del richiedente
asilo nel territorio dell’Unione europea, tale richiedente può contestare la
scelta di tale criterio soltanto deducendo l’esistenza di carenze sistemiche
della procedura d’asilo e delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo
in tale Stato membro che costituiscono motivi seri e comprovati di credere che
detto richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o
degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea
22) Corte di Giustizia UE 30 gennaio 2014, n. C-285/12, Diakité: Direttiva 2004/83/CE –
Norme minime sull’attribuzione dello status di rifugiato o di beneficiario
della protezione sussidiaria – Persona ammissibile alla protezione
sussidiaria – Articolo 15, lettera c) – Minaccia grave e individuale
alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata
in situazioni di conflitto armato – Nozione di “conflitto armato
interno” – Interpretazione autonoma rispetto al diritto internazionale
umanitario – Criteri di valutazione
L’articolo 15, lettera c), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio,
del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di
paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti
bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della
protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che si deve
ammettere l’esistenza di un conflitto armato interno, ai fini dell’applicazione
di tale disposizione, quando le forze governative di uno Stato si scontrano con
uno o più gruppi armati o quando due o più gruppi armati si scontrano tra loro,
senza che sia necessario che tale conflitto possa essere qualificato come
conflitto armato che non presenta un carattere internazionale ai sensi del
diritto internazionale umanitario e senza che l’intensità degli scontri armati,
il livello di organizzazione delle forze armate presenti o la durata del
conflitto siano oggetto di una valutazione distinta da quella relativa al
livello di violenza che imperversa nel territorio in questione.
23) Corte di Giustizia UE 27 febbraio 2014, n. C-79/13, Saciri e a.: Direttiva
2003/9/CE – Norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo
negli Stati membri – Articolo 13, paragrafo 1 – Termini di
concessione di condizioni materiali di accoglienza – Articolo 13,
paragrafo 2 – Misure relative alle condizioni materiali di accoglienza –
Garanzie – Articolo 13, paragrafo 5 – Fissazione e concessione di
condizioni minime di accoglienza dei richiedenti asilo – Importo
dell’aiuto concesso – Articolo 14 – Modalità delle condizioni
materiali di accoglienza – Saturazione delle strutture di
accoglienza – Rinvio ai sistemi nazionali di protezione sociale –
Fornitura delle condizioni materiali di accoglienza in forma di sussidi
economici
1) L’articolo 13, paragrafo 5, della direttiva 2003/9/CE del Consiglio,
del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei
richiedenti asilo negli Stati membri, deve essere interpretato nel senso che,
qualora uno Stato membro abbia scelto di concedere le condizioni materiali di
accoglienza in forma di sussidi economici o buoni, questi sussidi devono essere
forniti dal momento di presentazione della domanda di asilo, conformemente alle
disposizioni dell’articolo 13, paragrafo 1, di detta direttiva, e rispondere
alle norme minime sancite dalle disposizioni dell’articolo 13, paragrafo 2,
della medesima direttiva. Tale Stato membro deve assicurare che l’importo
totale dei sussidi economici che coprono le condizioni materiali di accoglienza
sia sufficiente a garantire un livello di vita dignitoso e adeguato per la
salute nonché il sostentamento dei richiedenti asilo, consentendo loro, in
particolare, di disporre di un alloggio, tenendo conto eventualmente della
salvaguardia dell’interesse delle persone portatrici di particolari esigenze,
in forza delle disposizioni dell’articolo 17 della medesima direttiva. Le
condizioni materiali di accoglienza previste all’articolo 14, paragrafi 1, 3, 5
e 8, della direttiva 2003/9 non sono imposte agli Stati membri qualora essi
abbiano scelto di concedere tali condizioni unicamente in forma di sussidi
economici. Tuttavia, l’importo di questi sussidi deve essere sufficiente a
consentire ai figli minori di convivere con i genitori in modo da poter
mantenere l’unità familiare dei richiedenti asilo.
2) La direttiva 2003/9 deve essere interpretata nel senso che essa non
osta a che gli Stati membri, in caso di saturazione delle strutture d’alloggio
destinate ai richiedenti asilo, possano rinviare questi ultimi verso organismi
appartenenti al sistema generale di assistenza pubblica, purché tale sistema
garantisca ai richiedenti asilo il rispetto delle norme minime previste da
detta direttiva.
24) Corte di Giustizia UE 8 maggio 2014, n. C-604/12, H.N.: Direttiva 2004/83/CE –
Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o
di beneficiario della protezione sussidiaria – Direttiva 2005/85/CE –
Norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del
riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato – Norma
procedurale nazionale che subordina l’esame di una domanda di protezione sussidiaria
al previo rigetto di una domanda volta al riconoscimento dello status di
rifugiato – Ammissibilità – Autonomia procedurale degli Stati
membri – Principio di effettività – Diritto a una buona
amministrazione – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea – Articolo 41 – Imparzialità e celerità della procedura
La direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante
norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della
qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione
internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione
riconosciuta, così come il principio di effettività e il diritto a una buona
amministrazione non ostano ad una norma procedurale nazionale, come quella di
cui trattasi nel procedimento principale, che subordina l’esame di una domanda
di protezione sussidiaria al previo rigetto di una domanda volta al
riconoscimento dello status di rifugiato, a condizione che, da un lato, la
domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato e la domanda di
protezione sussidiaria possano essere presentate contemporaneamente e che,
dall’altro, tale norma procedurale nazionale non comporti che l’esame della
domanda di protezione sussidiaria avvenga in un termine irragionevole,
circostanza questa che spetta al giudice del rinvio accertare.
24/1) Corte di Giustizia UE 17 luglio 2014, n. C-481/13, Qurbani (*): Rinvio
pregiudiziale – Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo
status dei rifugiati – Articolo 31 – Cittadino di un paese terzo
entrato in uno Stato membro dopo avere attraversato un altro Stato
membro – Ricorso ai servizi di passatori – Ingresso e soggiorno
irregolari – Esibizione di un passaporto falso – Sanzioni
penali – Incompetenza della Corte
La Corte di giustizia dell’Unione europea non è
competente a rispondere alle questioni sollevate in via pregiudiziale
dall’Oberlandesgericht Bamberg (Germania), con decisione del 29 agosto 2013
nella causa C‑481/13.
(*)Queste le massime relative alla sentenza:
Soltanto
qualora e nei limiti in cui l’Unione europea abbia assunto le competenze
precedentemente esercitate dagli Stati membri nel campo d’applicazione di una
convenzione internazionale non stipulata dall’Unione e, conseguentemente, le
disposizioni di quest’ultima siano vincolanti per l’Unione, la Corte è competente ad
interpretare una siffatta convenzione.
Sebbene,
nell’ambito dell’istituzione di un regime europeo comune in materia di asilo,
siano stati adottati vari testi di diritto dell’Unione nell’ambito di
applicazione della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati,
è assodato che gli Stati membri hanno conservato talune competenze rientranti
in tale ambito, in particolare per quanto riguarda la materia dell’articolo
31 di tale Convenzione. Pertanto, la
Corte non può essere competente a interpretare direttamente
l’articolo 31 di tale Convenzione.
La
circostanza che l’articolo 78 TFUE disponga che la politica comune in
materia di asilo deve essere conforme alla Convenzione di Ginevra, e che
l’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
ribadisca che il diritto di asilo è garantito nel rispetto di tale
Convenzione e del protocollo relativo allo status dei rifugiati del 31
gennaio 1967, non è idonea a rimettere in discussione la constatazione
dell’incompetenza della Corte.
Inoltre,
benché sussista certamente un interesse dell’Unione a che, per evitare future
divergenze d’interpretazione, le disposizioni di convenzioni internazionali
riprese dal diritto nazionale e dal diritto dell’Unione ricevano
un’interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verranno
applicate, va rilevato che l’articolo 31 della Convenzione di Ginevra non è
stato ripreso da un testo di diritto dell’Unione, mentre diverse disposizioni
di tale ordinamento giuridico si riferiscono a tale articolo.
Orbene,
sebbene la Corte
si sia dichiarata competente ad interpretare le disposizioni della
Convenzione di Ginevra alle quali rinviava il diritto dell’Unione, ciò non
vale allorché la domanda di pronuncia pregiudiziale non menziona alcuna norma
dell’ordinamento giuridico dell’Unione che rinvii all’articolo 31 della
Convenzione di Ginevra.
(v.
punti 23‑26, 28)
|
25) Corte di Giustizia UE 2 dicembre 2014, (cause riunite) nn.
C-148/13, C-149/13, C-150/13, A,B,C:
Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia –
Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento
dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria –
Articolo 4 – Valutazione dei fatti e delle circostanze – Modalità di
valutazione – Accettazione di taluni elementi di prova – Portata dei
poteri delle autorità nazionali competenti – Timore di persecuzione a
causa dell’orientamento sessuale – Differenze tra, da un lato, i limiti
relativi alle verifiche delle dichiarazioni e delle prove documentali o di
altro tipo quanto all’asserito orientamento sessuale di un richiedente asilo e,
dall’altro, quelli che si applicano alle verifiche di tali elementi concernenti
altri motivi di persecuzione – Direttiva 2005/85/CE – Norme minime
per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e
della revoca dello status di rifugiato – Articolo 13 – Condizioni a
cui è soggetto il colloquio personale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea – Articolo 1 – Dignità umana – Articolo 7 –
Rispetto della vita privata e della vita familiare
L’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/83/CE del
Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini
di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti
bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della
protezione riconosciuta, e l’articolo 13, paragrafo 3, lettera a), della
direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme
minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento
e della revoca dello status di rifugiato, devono essere interpretati nel senso
che ostano a che, nell’ambito dell’esame – effettuato dalle autorità
nazionali competenti, che agiscono sotto il controllo del giudice – dei
fatti e delle circostanze riguardanti l’asserito orientamento sessuale di un
richiedente asilo, la cui domanda è fondata su un timore di persecuzione a causa
di tale orientamento, le dichiarazioni di tale richiedente nonché gli elementi
di prova documentali o di altro tipo presentati a sostegno della sua domanda
siano oggetto di una valutazione, da parte di dette autorità, mediante
interrogatori fondati unicamente su nozioni stereotipate riguardo agli
omosessuali.
L’articolo 4 della direttiva 2004/83, alla luce dell’articolo 7 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato
nel senso che osta a che, nell’ambito di tale esame, le autorità nazionali
competenti procedano a interrogatori dettagliati sulle pratiche sessuali di un
richiedente asilo.
L’articolo 4 della direttiva 2004/83, alla luce dell’articolo 1 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato
nel senso che osta a che, nell’ambito di tale esame, le predette autorità
accettino elementi di prova, quali il compimento di atti omosessuali da parte
del richiedente asilo considerato, il suo sottoporsi a «test» per dimostrare la
propria omosessualità o ancora la produzione da parte dello stesso di
registrazioni video di tali atti.
L’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2004/83 e l’articolo 13,
paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2005/85 devono essere interpretati nel
senso che ostano a che, nell’ambito del predetto esame, le autorità nazionali
competenti concludano che le dichiarazioni del richiedente asilo considerato
manchino di credibilità per il solo motivo che il suo asserito orientamento
sessuale non è stato fatto valere da tale richiedente alla prima occasione
concessagli per esporre i motivi di persecuzione.
26) Corte di Giustizia UE 18 dicembre 2014, n. C-542/13, M’Bodj: Rinvio pregiudiziale – Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea – Articolo 19, paragrafo 2 – Direttiva
2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello
status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria –
Persona ammissibile alla protezione sussidiaria – Articolo 15, lettera
b) – Tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai
danni del richiedente nel suo paese di origine – Articolo 3 –
Disposizioni più favorevoli – Richiedente affetto da una grave
malattia – Assenza di una terapia adeguata nel suo paese di origine –
Articolo 28 – Assistenza sociale – Articolo 29 – Assistenza
sanitaria
Gli articoli 28 e 29 della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29
aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi
o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di
protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione
riconosciuta, letti congiuntamente ai suoi articoli 2, lettera e), 3, 15 e 18,
devono essere interpretati nel senso che uno Stato membro non è tenuto a concedere
l’assistenza sociale e l’assistenza sanitaria previste da tali articoli a un
cittadino di paese terzo autorizzato a soggiornare nel territorio di tale Stato
membro in base ad una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel
procedimento principale, la quale prevede che in detto Stato membro sia
autorizzato il soggiorno dello straniero affetto da una malattia che comporti
un rischio effettivo per la vita o l’integrità fisica o un rischio effettivo di
trattamento inumano o degradante, qualora non esista alcuna terapia adeguata
nel paese d’origine di tale straniero o nel paese terzo in cui egli risiedeva
in precedenza, senza che sia in discussione una privazione di assistenza
sanitaria inflitta intenzionalmente al predetto straniero in tale paese.
27) Corte di Giustizia UE 18 dicembre 2014, n. C-562/13, Abdida:
Rinvio pregiudiziale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea – Articoli 19, paragrafo 2, e 47 – Direttiva
2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello
status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria –
Persona ammissibile alla protezione sussidiaria – Articolo 15, lettera
b) – Tortura o trattamenti o sanzioni inumani o degradanti ai danni del
richiedente nel suo paese di origine – Articolo 3 – Disposizioni più
favorevoli – Richiedente affetto da una grave malattia – Assenza di
una terapia adeguata nel paese di origine – Direttiva 2008/115/CE –
Rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare –
Articolo 13 – Ricorso giurisdizionale con effetto sospensivo –
Articolo 14 – Garanzie in attesa del rimpatrio – Necessità primarie
Gli articoli 5 e 13 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili
negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è
irregolare, letti alla luce degli articoli 19, paragrafo 2, e 47 della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché l’articolo 14, paragrafo
1, lettera b), della stessa direttiva devono essere interpretati nel senso che
ostano a una normativa nazionale:
– che non conferisce
effetto sospensivo a un ricorso proposto contro una decisione che ordina a un
cittadino di paese terzo affetto da una grave malattia di lasciare il
territorio di uno Stato membro, quando l’esecuzione di tale decisione può
esporre tale cittadino di paese terzo a un serio rischio di deterioramento
grave e irreversibile delle sue condizioni di salute, e
– che non prevede la
presa in carico, per quanto possibile, delle necessità primarie di detto
cittadino di paese terzo, al fine di garantire che le prestazioni sanitarie
d’urgenza e il trattamento essenziale delle malattie possano effettivamente
essere forniti nel periodo durante il quale tale Stato membro è tenuto a
rinviare l’allontanamento del medesimo cittadino di paese terzo in seguito alla
proposizione di tale ricorso
28) Corte di Giustizia UE 26 febbraio 2015, n. C-472/13, Shepherd:
Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia –
Asilo – Direttiva 2004/83/CE – Articolo 9, paragrafo 2, lettere b),
c) ed e) – Norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o
apolidi, della qualifica di rifugiato – Condizioni per ottenere il
riconoscimento dello status di rifugiato – Atti di persecuzione –
Sanzioni penali nei confronti di un militare degli Stati Uniti che ha rifiutato
di prestare servizio in Iraq
1) Le disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della
direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime
sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di
rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta devono essere
interpretate nel senso
– che esse riguardano
tutto il personale militare, compreso il personale logistico e di sostegno;
– che esse comprendono
la situazione in cui il servizio militare prestato comporterebbe di per sé, in
un determinato conflitto, la commissione di crimini di guerra, includendo le
situazioni in cui il richiedente lo status di rifugiato parteciperebbe solo
indirettamente alla commissione di detti crimini in quanto, esercitando le sue
funzioni, fornirebbe, con ragionevole plausibilità, un sostegno indispensabile
alla preparazione o all’esecuzione degli stessi;
– che esse non
riguardano esclusivamente le situazioni in cui è accertato che sono stati già
commessi crimini di guerra o le situazioni che potrebbero rientrare nella sfera
di competenza della Corte penale internazionale, ma anche quelle in cui il
richiedente lo status di rifugiato può dimostrare che esiste un’alta
probabilità che siffatti crimini siano commessi;
– che la valutazione dei
fatti spettante alle sole autorità nazionali, sotto il controllo del giudice,
per qualificare la situazione di servizio controversa, deve basarsi su un
insieme di indizi tali da stabilire, tenuto conto di tutte le circostanze di
cui trattasi, in particolare di quelle relative agli elementi pertinenti
riguardanti il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione sulla
domanda, lo status individuale e la situazione personale del richiedente, che
la situazione del servizio rende plausibile la commissione dei crimini di
guerra asseriti;
– che le circostanze che
un intervento militare sia stato intrapreso in forza di un mandato del
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o sul fondamento di un consenso
della comunità internazionale e che lo Stato o gli Stati che conducono le
operazioni reprimano i crimini di guerra devono essere prese in considerazione
nell’ambito della valutazione spettante alle autorità nazionali;
– che il rifiuto di
prestare il servizio militare deve costituire il solo mezzo che permetta al
richiedente lo status di rifugiato di evitare la partecipazione ai crimini di
guerra asseriti, e che, di conseguenza, se quest’ultimo ha omesso di ricorrere
alla procedura per ottenere lo status di obiettore di coscienza, tale
circostanza esclude ogni protezione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2,
lettera e), della direttiva 2004/83, a meno che detto richiedente non dimostri
che non aveva a disposizione, nella sua situazione concreta, nessuna procedura
siffatta.
2) Le disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 2, lettere b) e c), della
direttiva 2004/83 devono essere interpretate nel senso che, in circostanze come
quelle del procedimento principale, non risulta che i provvedimenti in cui
incorre un militare a causa del suo rifiuto di prestare servizio, quali la
condanna a una pena detentiva o il congedo con disonore, possano essere
considerati, rispetto al legittimo esercizio da parte dello Stato interessato
del suo diritto di mantenere una forza armata, a tal punto sproporzionati o
discriminatori da rientrare tra gli atti di persecuzione considerati in tali
disposizioni. Spetta tuttavia alle autorità nazionali verificare tale
circostanza.
29) Corte di Giustizia UE 24 giugno 2015, n. C-373/13, T: Rinvio pregiudiziale –
Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Frontiere, asilo e
immigrazione – Direttiva 2004/83/CE – Articolo 24, paragrafo 1 –
Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o
di beneficiario della protezione sussidiaria – Revoca del permesso di soggiorno –
Presupposti – Nozione di “imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di
ordine pubblico” – Partecipazione di una persona avente lo status di
rifugiato alle attività di un’organizzazione figurante nell’elenco delle
organizzazioni terroristiche predisposto dall’Unione europea
1) La direttiva 2004/83/CE del
Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a
cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona
altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul
contenuto della protezione riconosciuta, dev’essere interpretata nel senso che
un permesso di soggiorno, una volta rilasciato a un rifugiato, può essere
revocato o in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, quando
sussistono imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ai
sensi di tale disposizione, oppure in applicazione dell’articolo 21, paragrafo
3, della richiamata direttiva, quando sussistono motivi per applicare la deroga
al principio di non respingimento previsto dall’articolo 21, paragrafo 2, di
questa stessa direttiva.
2) Il sostegno a un’associazione
terroristica iscritta nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931/PESC
del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativa all’applicazione di misure
specifiche per la lotta al terrorismo, nella versione in vigore alla data dei
fatti della controversia principale, può costituire uno degli «imperiosi motivi
di sicurezza nazionale o di ordine pubblico», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo
1, della direttiva 2004/83, anche se le condizioni previste dall’articolo 21,
paragrafo 2, della stessa non sono riunite. Affinché un permesso di soggiorno
rilasciato a un rifugiato possa essere revocato sul fondamento dell’articolo
24, paragrafo 1, di tale direttiva, per il motivo che tale rifugiato sostiene
siffatta associazione terroristica, le autorità competenti sono tuttavia tenute
a procedere, sotto il controllo dei giudici nazionali, a una valutazione
individuale degli elementi di fatto specifici relativi alle azioni sia
dell’associazione sia del rifugiato di cui trattasi. Quando uno Stato membro
decide di allontanare un rifugiato il cui permesso di soggiorno è stato
revocato, ma sospende l’esecuzione di tale decisione, è incompatibile con la richiamata
direttiva privarlo dell’accesso alle prestazioni garantite dal capo VII della
medesima, salvo che trovi applicazione un’eccezione espressamente prevista da
questa stessa direttiva.
30) Corte di Giustizia UE 17 dicembre 2015, n. C-239/14, Hiebler: Rinvio pregiudiziale –
Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Direttiva 2005/85/CE –
Norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del
riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato – Articolo 39 –
Diritto a un ricorso effettivo – Domande di asilo reiterate – Effetto
non sospensivo del ricorso contro una decisione dell’autorità nazionale
competente di non esaminare ulteriormente una domanda di asilo reiterata –
Protezione sociale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea – Articolo 19, paragrafo 2 – Articolo 47
L’articolo 39 della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del
1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli
Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di
rifugiato, letto alla luce degli articoli 19, paragrafo 2, e 47 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea, dev’essere interpretato nel senso che
non osta a una normativa nazionale che non conferisce un effetto sospensivo a
un ricorso proposto contro una decisione, come quella di cui al procedimento
principale, di non esaminare ulteriormente una domanda di asilo reiterata.
31) Corte di Giustizia UE 15 febbraio 2016, n. C-601/15, J.N.: Rinvio pregiudiziale –
Procedimento pregiudiziale d’urgenza – Norme relative all’accoglienza dei
richiedenti protezione internazionale – Direttiva 2008/115/CE –
Soggiorno regolare – Direttiva 2013/32/UE ‑ Articolo 9 – Diritto di
rimanere in uno Stato membro – Direttiva 2013/33/UE – Articolo 8,
paragrafo 3, primo comma, lettera e) – Trattenimento – Tutela della
sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico – Validità – Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea – Articoli 6 e 52 –
Limitazione – Proporzionalità
Dall’esame dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera e), della
direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno
2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione
internazionale, non risultano elementi tali da incidere sulla validità della menzionata
disposizione alla luce degli articoli 6 e 52, paragrafi 1 e 3, della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea
32) Corte di Giustizia UE 1° marzo 2016, (cause riunite) nn. C-443/14 e
C-444/14, Alo e Osso: Rinvio
pregiudiziale – Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a
Ginevra il 28 luglio 1951 – Articoli 23 e 26 – Spazio di libertà,
sicurezza e giustizia – Direttiva 2011/95/UE – Norme relative al
contenuto della protezione internazionale – Status di protezione
sussidiaria – Articolo 29 – Protezione sociale – Condizioni di
accesso – Articolo 33 – Libertà di circolazione all’interno dello
Stato membro ospitante – Nozione – Restrizione – Obbligo di
residenza in un luogo determinato – Trattamento differente –
Comparabilità delle situazioni – Ripartizione equilibrata degli oneri di
bilancio tra gli enti amministrativi – Motivi attinenti alla politica
migratoria e dell’integrazione
1) L’articolo 33 della direttiva
2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011,
recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della
qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme
per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione
sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere
interpretato nel senso che un obbligo di residenza imposto ad un beneficiario
dello status di protezione sussidiaria – come gli obblighi controversi nei
procedimenti principali – costituisce una restrizione della libertà di
circolazione garantita dall’articolo sopra citato, anche nel caso in cui tale
misura non vieti a detto beneficiario di spostarsi liberamente nel territorio
dello Stato membro che ha concesso tale protezione e di soggiornare
temporaneamente in questo territorio al di fuori del luogo designato con
l’obbligo di residenza.
2) Gli articoli 29 e 33 della
direttiva 2011/95 devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che ad
un beneficiario dello status di protezione sussidiaria, percettore di talune
prestazioni sociali specifiche, venga imposto un obbligo di residenza –
come quelli controversi nei procedimenti principali – al fine di
realizzare un’adeguata ripartizione degli oneri derivanti dall’erogazione di
dette prestazioni tra i diversi enti competenti in materia, qualora la
normativa nazionale applicabile non preveda l’imposizione di una misura
siffatta nei confronti dei rifugiati, dei cittadini di paesi terzi legalmente
residenti nello Stato membro interessato per ragioni diverse da quelle
umanitarie, politiche o attinenti al diritto internazionale, nonché dei
cittadini di tale Stato membro, i quali percepiscano le suddette prestazioni.
3) L’articolo 33 della direttiva
2011/95 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che ad un
beneficiario dello status di protezione sussidiaria, percettore di talune
prestazioni sociali specifiche, venga imposto un obbligo di residenza –
come quelli controversi nei procedimenti principali – con l’obiettivo di
facilitare l’integrazione dei cittadini di paesi terzi nello Stato membro che
ha concesso la suddetta protezione, là dove la normativa nazionale applicabile
non preveda l’imposizione di una misura siffatta nei confronti dei cittadini di
paesi terzi legalmente residenti in tale Stato membro per ragioni diverse da
quelle umanitarie, politiche o attinenti al diritto internazionale, i quali
percepiscano dette prestazioni, nel caso in cui i beneficiari dello status di
protezione sussidiaria non si trovino in una situazione oggettivamente
paragonabile, in rapporto all’obiettivo summenzionato, a quella dei cittadini
di paesi terzi legalmente residenti nel territorio dello Stato membro
interessato per ragioni diverse da quelle umanitarie, politiche o attinenti al
diritto internazionale, circostanza questa che spetta al giudice del rinvio
verificare.
33) Corte di Giustizia UE 17 marzo 2016, n. C-695/15, Mirza: Rinvio pregiudiziale –
Procedimento pregiudiziale d’urgenza – Regolamento (UE)
n. 604/2013 – Criteri e meccanismi di determinazione dello Stato
membro competente per l’esame di una domanda di protezione
internazionale – Articolo 3, paragrafo 3 – Possibilità per gli Stati
membri di inviare un richiedente in un paese terzo sicuro – Articolo 18 –
Obblighi dello Stato membro competente di esaminare la domanda in caso di
ripresa in carico del richiedente – Direttiva 2013/32/UE – Procedure
comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione
internazionale – Esame di una domanda di protezione internazionale
1) L’articolo 3, paragrafo 3, del
regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello
Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un
apolide, deve essere interpretato nel senso che la possibilità di inviare un
richiedente protezione internazionale in un paese terzo sicuro può parimenti
essere esercitata da uno Stato membro dopo che quest’ultimo abbia dichiarato di
essere competente, in applicazione di tale regolamento e nell’ambito della
procedura di ripresa in carico, per l’esame di una domanda di protezione
internazionale presentata da un richiedente che si è allontanato da tale Stato
membro prima di una decisione sul merito della sua prima domanda di protezione
internazionale.
2) L’articolo 3, paragrafo 3, del
regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che esso non
osta all’invio di un richiedente protezione internazionale in un paese terzo
sicuro, quando lo Stato membro che effettua il trasferimento del suddetto
richiedente verso lo Stato membro competente non sia stato informato, nel corso
della procedura di ripresa in carico, né della normativa di quest’ultimo Stato
membro relativa all’invio dei richiedenti in paesi terzi sicuri né della prassi
delle proprie autorità competenti in materia.
3) L’articolo 18, paragrafo 2, del
regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, in caso di
ripresa in carico di un richiedente protezione internazionale, esso non
richiede che la procedura di esame della domanda di quest’ultimo sia ripresa
dalla fase in cui era stata interrotta.
34) Corte di Giustizia UE 7 giugno 2016, n. C-63/15, Ghezelbash: Rinvio
pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione
dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in
uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Articolo
12 – Rilascio di titoli di soggiorno o di visti – Articolo 27 –
Mezzo di impugnazione – Portata del sindacato giurisdizionale
L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i
criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per
l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli
Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, letto alla luce
del considerando 19 di tale regolamento, deve essere interpretato nel senso
che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, un
richiedente asilo può invocare, nell’ambito di un ricorso proposto avverso una
decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, l’errata applicazione
di un criterio di competenza di cui al capo III di detto regolamento, in
particolare del criterio relativo al rilascio di un visto, previsto
all’articolo 12 del medesimo regolamento.
35) Corte di Giustizia UE 7 giugno 2016, n. C-155/15, Karim: Rinvio pregiudiziale –
Regolamento (UE) no 604/2013 – Determinazione dello Stato membro
competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati
membri da un cittadino di un paese terzo – Articolo 18 – Ripresa in
carico di un richiedente asilo la cui domanda è in corso di esame –
Articolo 19 – Cessazione delle competenze – Assenza dal territorio
degli Stati membri per almeno tre mesi – Nuova procedura di determinazione
dello Stato membro competente – Articolo 27 – Mezzo di
impugnazione – Portata del sindacato giurisdizionale
1) L’articolo 19, paragrafo 2, del
regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello
Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un
apolide, deve essere interpretato nel senso che tale disposizione, in
particolare il suo secondo comma, è applicabile a un cittadino di un paese
terzo che, dopo aver presentato una prima domanda di asilo in uno Stato membro,
dimostri di essersi allontanato dal territorio degli Stati membri per un
periodo di almeno tre mesi, prima di presentare una nuova domanda di asilo in
un altro Stato membro.
2) L’articolo 27, paragrafo 1, del
regolamento n. 604/2013, letto alla luce del considerando 19 di
quest’ultimo, deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come
quella di cui al procedimento principale, un richiedente asilo può dedurre,
nell’ambito di un ricorso presentato avverso una decisione di trasferimento
adottata nei suoi confronti, la violazione della regola contenuta nell’articolo
19, paragrafo 2, secondo comma, di tale regolamento.
36) Corte di Giustizia UE 20 ottobre 2016, n. C-429/15, Danqua: Rinvio pregiudiziale –
Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento
dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria –
Norma procedurale nazionale che prevede, per proporre una domanda di protezione
sussidiaria, un termine di quindici giorni lavorativi a decorrere dalla
notifica del rigetto della domanda di asilo – Autonomia procedurale degli
Stati membri – Principio di equivalenza – Principio di
effettività – Regolare svolgimento del procedimento di esame della domanda
di protezione sussidiaria – Regolare svolgimento della procedura di
rimpatrio – Incompatibilità
Il principio di effettività deve essere interpretato nel senso che osta
ad una norma procedurale nazionale, come quella oggetto del procedimento
principale, che assoggetta una domanda volta ad ottenere lo status di
protezione sussidiaria ad un termine di decadenza di quindici giorni lavorativi
a decorrere dalla notifica, da parte dell’autorità competente, della
possibilità, per un richiedente asilo la cui domanda sia stata respinta, di
presentare una siffatta domanda
37) Corte di Giustizia UE 31 gennaio 2017, n. C-573/14, Lounani: Rinvio pregiudiziale –
Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Asilo – Direttiva
2004/83/CE – Norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o
apolidi, della qualifica di rifugiato – Articolo 12, paragrafo 2, lettera
c) e articolo 12, paragrafo 3 – Esclusione dallo status di rifugiato –
Nozione di “atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni
Unite” – Portata – Membro dirigente di un’organizzazione
terroristica – Condanna penale per partecipazione alle attività di un
gruppo terroristico – Esame individuale
1) L’articolo 12, paragrafo 2,
lettera c), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004,
recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi,
della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione
internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione
riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che, per poter ritenere che
ricorra la causa di esclusione dallo status di rifugiato ivi prevista, non è
necessario che il richiedente protezione internazionale sia stato condannato
per uno dei reati terroristici di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della
decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, sulla lotta
contro il terrorismo.
2) L’articolo 12, paragrafo 2,
lettera c), e l’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2004/83 devono essere
interpretati nel senso che atti di partecipazione alle attività di un gruppo
terroristico, come quelli per i quali il resistente nel procedimento principale
è stato condannato, possono giustificare l’esclusione dallo status di
rifugiato, sebbene non sia stato stabilito che l’interessato abbia commesso,
tentato di commettere o minacciato di commettere un atto di terrorismo, quale
precisato nelle risoluzioni del Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite. Ai
fini della valutazione individuale dei fatti che consentono di determinare se
sussistono fondati motivi per ritenere che una persona si sia resa colpevole di
atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite, abbia istigato la
commissione di atti del genere o vi abbia altrimenti concorso, la circostanza
che tale persona sia stata condannata dai giudici di uno Stato membro per
partecipazione alle attività di un gruppo terroristico assume particolare
importanza, al pari dell’accertamento che detta persona era membro dirigente di
tale gruppo, senza che sia necessario stabilire che tale persona abbia essa
stessa istigato la commissione di un atto di terrorismo o che vi abbia
altrimenti concorso
38) Corte di Giustizia UE 9 febbraio 2017, n. C-560/14, M: Rinvio pregiudiziale — Spazio di
libertà, sicurezza e giustizia — Direttiva 2004/83/CE — Norme minime
sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di
rifugiato — Domanda di protezione sussidiaria — Regolarità del procedimento
nazionale di esame di una domanda di protezione sussidiaria presentata in
seguito al rigetto di una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato —
Diritto di essere ascoltato — Portata — Diritto ad un colloquio orale — Diritto
di chiamare testimoni e di esaminarli in contraddittorio
Il diritto di essere ascoltato, come applicabile nell’ambito della
direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme
minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica
di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, non esige, in
linea di principio, che, qualora una normativa nazionale, come quella di cui trattasi
nel procedimento principale, preveda due procedimenti distinti, uno successivo
all’altro, per l’esame, rispettivamente, della domanda di riconoscimento dello
status di rifugiato e della domanda di protezione sussidiaria, il richiedente
la protezione sussidiaria benefici del diritto ad un colloquio orale
concernente la sua domanda e del diritto di chiamare testimoni o di esaminarli
in contraddittorio durante tale colloquio.
Deve tuttavia essere organizzato un colloquio orale qualora circostanze
specifiche, che riguardano gli elementi di cui dispone l’autorità competente
oppure la situazione personale o generale in cui si inserisce la domanda di
protezione sussidiaria, lo rendano necessario al fine di esaminare con piena
cognizione di causa tale domanda, il che deve essere verificato dal giudice del
rinvio
39) Corte di Giustizia UE 16 febbraio 2017, n. C-578/16, C.K. e a.: Rinvio
pregiudiziale – Spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia –
Frontiere, asilo e immigrazione – Sistema di Dublino – Regolamento
(UE) n. 604/2013 – Articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea – Trattamenti inumani o degradanti –
Trasferimento di un richiedente asilo gravemente malato verso lo Stato
competente per l’esame della sua domanda – Assenza di ragioni serie di
ritenere che sussistano carenze sistemiche accertate in tale Stato
membro – Obblighi imposti allo Stato membro che deve procedere al
trasferimento
1) L’articolo 17, paragrafo 1, del
regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello
Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un
apolide, va interpretato nel senso che la questione dell’applicazione, da parte
di uno Stato membro, della «clausola discrezionale» prevista da tale
disposizione non ricade nel contesto del solo diritto nazionale e
dell’interpretazione che ne compie il giudice costituzionale di detto Stato
membro, ma costituisce una questione di interpretazione del diritto
dell’Unione, ai sensi dell’articolo 267 TFUE.
2) L’articolo 4 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea va interpretato nel senso che:
– anche in assenza di
ragioni serie di ritenere che sussistano carenze sistemiche nello Stato membro
competente per l’esame della domanda di asilo, il trasferimento di un
richiedente asilo nel contesto del regolamento n. 604/2013 può essere effettuato
solo in condizioni in cui sia escluso che detto trasferimento comporti un
rischio reale e acclarato che l’interessato subisca trattamenti inumani o
degradanti, ai sensi di tale articolo;
– in circostanze nelle
quali il trasferimento di un richiedente asilo, che presenti un disturbo
mentale o fisico particolarmente grave, comporterebbe il rischio reale e
acclarato di un deterioramento significativo e irrimediabile dello stato di
salute dell’interessato, detto trasferimento costituirebbe un trattamento
inumano e degradante, ai sensi di tale articolo;
– spetta alle autorità
dello Stato membro che deve procedere al trasferimento e, eventualmente, ai
suoi giudici, eliminare qualsivoglia dubbio serio relativo all’impatto del
trasferimento sullo stato di salute dell’interessato, adottando le precauzioni
necessarie affinché il suo trasferimento si svolga in condizioni che consentano
di tutelare in modo adeguato e sufficiente lo stato di salute di tale persona.
Nell’ipotesi in cui, tenuto conto della particolare gravità del disturbo del
richiedente asilo interessato, l’adozione di dette precauzioni non sia
sufficiente a garantire che il suo trasferimento non comporti il rischio reale
di un aggravamento significativo e irrimediabile del suo stato di salute,
spetta alle autorità dello Stato membro in parola sospendere l’esecuzione del
trasferimento dell’interessato, e questo finché il suo stato gli renda
possibile un trasferimento siffatto, e
– eventualmente, se
dovesse ritenere che lo stato di salute del richiedente asilo interessato non
dovrebbe migliorare a breve termine, o che una sospensione di lunga durata
della procedura rischierebbe di aggravare lo stato dell’interessato, lo Stato
membro richiedente potrebbe scegliere di esaminare esso stesso la domanda di
quest’ultimo facendo uso della «clausola discrezionale» prevista dall’articolo
17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013.
L’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013, letto
alla luce dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, non può essere interpretato nel senso che obbliga tale Stato membro,
in circostanze come quelle oggetto della causa principale, ad applicare detta
clausola.
40) Corte di Giustizia UE 15 marzo 2017, n. C-528/15, Al Chodor e a.: Rinvio
pregiudiziale – Criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro
competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale –
Regolamento (UE) n. 604/2013 (Dublino III) – Articolo 28, paragrafo
2 – Trattenimento ai fini del trasferimento – Articolo 2, lettera
n) – Notevole rischio di fuga – Criteri obiettivi – Assenza di
definizione legale
L’articolo 2, lettera n), e l’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento
(UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno
2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato
membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un
apolide, letti nel loro combinato disposto, devono essere interpretati nel
senso che essi impongono agli Stati membri di fissare, in una norma vincolante
di portata generale, i criteri obiettivi su cui si fondano i motivi per temere
la fuga del richiedente protezione internazionale oggetto di una procedura di
trasferimento. L’assenza di una norma di tal genere determina l’inapplicabilità
dell’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento medesimo.
41) Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-646/16, Jafari: Rinvio pregiudiziale –
Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro
competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata
in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Arrivo di un
numero straordinariamente elevato di cittadini di paesi terzi che intendono
ottenere protezione internazionale – Organizzazione dell’attraversamento
della frontiera da parte delle autorità di uno Stato membro ai fini del
transito verso un altro Stato membro – Ingresso autorizzato in deroga per
ragioni umanitarie – Articolo 2, lettera m) – Nozione di
“visto” – Articolo 12 – Rilascio di un visto – Articolo
13 – Attraversamento irregolare di una frontiera esterna
1) L’articolo 12 del regolamento
(UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno
2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato
membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un
apolide, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera m), di tale
regolamento, deve essere interpretato nel senso che il fatto, per le autorità
di un primo Stato membro che si trovano di fronte all’arrivo di un numero
straordinariamente elevato di cittadini di paesi terzi, che intendono
transitare in tale Stato membro allo scopo di presentare una domanda di
protezione internazionale in un altro Stato membro, di tollerare l’ingresso sul
territorio di tali cittadini, che non soddisfano le condizioni di ingresso
imposte, in linea di principio, in tale primo Stato membro, non deve essere
qualificato come «visto» ai sensi di detto articolo 12.
2) L’articolo 13, paragrafo 1, del
regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che occorre considerare
che il cittadino di un paese terzo, il cui ingresso è stato tollerato dalle
autorità di un primo Stato membro che si trovavano di fronte all’arrivo di un
numero straordinariamente elevato di cittadini di paesi terzi, che intendevano
transitare in tale Stato membro allo scopo di presentare una domanda di
protezione internazionale in un altro Stato membro, senza soddisfare le
condizioni di ingresso imposte, in linea di principio, in tale primo Stato
membro, ha «varcato illegalmente» la frontiera di detto primo Stato membro ai
sensi di tale disposizione.
42) Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-490/16, A.S.: Rinvio pregiudiziale –
Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro
competente ad esaminare una domanda di protezione internazionale presentata in
uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Arrivo di un
numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi intenzionati ad
ottenere una protezione internazionale – Organizzazione dell’attraversamento
della frontiera ad opera delle autorità di uno Stato membro ai fini del
transito verso un altro Stato membro – Ingresso autorizzato in virtù di
una deroga per ragioni umanitarie – Articolo 13 – Attraversamento
irregolare di una frontiera esterna – Termine di dodici mesi a partire
dall’attraversamento della frontiera – Articolo 27 – Mezzo di
ricorso – Portata del sindacato giurisdizionale – Articolo 29 –
Termine di sei mesi per eseguire il trasferimento – Calcolo dei termini –
Proposizione di un ricorso – Effetto sospensivo
1) L’articolo 27, paragrafo 1, del
regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello
Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un
apolide, letto alla luce del considerando 19 del medesimo regolamento, deve
essere interpretato nel senso che un richiedente la protezione internazionale
può far valere, nell’ambito di un ricorso proposto contro una decisione di
trasferimento adottata nei suoi confronti, l’erronea applicazione del criterio
di competenza attinente all’attraversamento irregolare della frontiera di uno
Stato membro, enunciato all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento sopra
citato.
2) L’articolo 13, paragrafo 1, del
regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che un
cittadino di un paese terzo, il cui ingresso sia stato tollerato, dalle autorità
di un primo Stato membro impegnate a gestire l’arrivo di un numero
eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi intenzionati a transitare
per tale Stato membro al fine di presentare una domanda di protezione
internazionale in un altro Stato membro, senza che fossero soddisfatti i
requisiti di ingresso in linea di principio richiesti nel primo Stato membro di
cui sopra, deve essere considerato come una persona che ha «varcato
illegalmente» la frontiera del suddetto primo Stato membro ai sensi del citato
articolo 13, paragrafo 1.
3) L’articolo 13, paragrafo 1,
secondo periodo, del regolamento n. 604/2013, letto in combinazione con
l’articolo 7, paragrafo 2, di quest’ultimo, deve essere interpretato nel senso
che la presentazione di un ricorso avverso la decisione di trasferimento è
priva di effetti sul calcolo del termine previsto dal citato articolo 13,
paragrafo 1.
L’articolo 29, paragrafi 1 e 2, del citato regolamento deve essere
interpretato nel senso che la presentazione di un ricorso siffatto implica che
il termine enunciato in queste disposizioni comincia a decorrere soltanto a
partire dalla decisione definitiva su tale ricorso, anche quando il giudice
adito abbia deciso di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia
pregiudiziale, purché al ricorso stesso sia stato attribuito un effetto
sospensivo in conformità dell’articolo 27, paragrafo 3, del medesimo
regolamento.
43) Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-670/16, Mengesteab: Rinvio
pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione
dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione
internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese
terzo – Articolo 20 – Avvio della procedura di determinazione –
Presentazione di una domanda di protezione internazionale – Verbale
redatto dalle autorità, pervenuto alle autorità competenti – Articolo 21,
paragrafo 1 – Termini previsti per la formulazione di una richiesta di
presa in carico – Trasferimento della competenza a un altro Stato
membro – Articolo 27 – Mezzo di impugnazione – Portata del
sindacato giurisdizionale
1) L’articolo 27, paragrafo 1, del
regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello
Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un
apolide, letto alla luce del considerando 19 di tale regolamento, dev’essere
interpretato nel senso che un richiedente protezione internazionale può
invocare, nell’ambito di un ricorso esercitato contro una decisione di
trasferimento adottata nei suoi confronti, la scadenza di un termine indicato
all’articolo 21, paragrafo 1, di detto regolamento, e ciò anche se lo Stato
membro richiesto è disposto a prendere tale richiedente in carico.
2) L’articolo 21, paragrafo 1, del
regolamento n. 604/2013 dev’essere interpretato nel senso che una
richiesta di presa in carico non può essere validamente formulata una volta
decorsi tre mesi dalla presentazione della domanda di protezione
internazionale, anche qualora tale richiesta venga formulata entro due mesi dal
ricevimento di una risposta pertinente di Eurodac, ai sensi di detta disposizione.
3) L’articolo 20, paragrafo 2, del
regolamento n. 604/2013 dev’essere interpretato nel senso che una domanda
di protezione internazionale si considera presentata quando l’autorità preposta
all’esecuzione degli obblighi derivanti da tale regolamento riceve un documento
scritto, redatto da un’autorità pubblica e in cui si certifica che un cittadino
di paese terzo ha chiesto protezione internazionale e, eventualmente, quando la
suddetta autorità preposta riceve le sole informazioni principali contenute in
un documento del genere, ma non il documento stesso o la sua copia.
44) Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017, n. C-348/16, Sacko: Rinvio pregiudiziale –
Politica d’asilo – Direttiva 2013/32/UE – Articoli 12, 14, 31 e
46 – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo
47 – Diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva – Ricorso
avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione
internazionale – Possibilità per il giudice di statuire senza ascoltare il
richiedente
La direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26
giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca
dello status di protezione internazionale, e in particolare i suoi articoli 12,
14, 31 e 46, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretata nel senso che non
osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione
di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente
infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente
qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di
tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di
primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio
personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente
all’articolo 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale
colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile
unitamente al fascicolo, in conformità dell’articolo 17, paragrafo 2, della
direttiva medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso
possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame
completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato
all’articolo 46, paragrafo 3, di tale direttiva.
45) Corte di Giustizia UE 6 settembre 2017, (cause riunite) nn.
C-643/15 e C-647/15, Republica Slovacca e
Ungheria c. Consiglio (*): Ricorso di annullamento – Decisione
(UE) 2015/1601 – Misure temporanee in materia di protezione internazionale
a beneficio della Repubblica ellenica e della Repubblica italiana –
Situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini
di paesi terzi nel territorio di alcuni Stati membri – Ricollocazione di
tali cittadini nel territorio degli altri Stati membri – Quote di
ricollocazione – Articolo 78, paragrafo 3, TFUE – Base
giuridica – Presupposti di applicazione – Nozione di “atto
legislativo” – Articolo 289, paragrafo 3, TFUE – Carattere
obbligatorio per il Consiglio dell’Unione europea di conclusioni adottate dal
Consiglio europeo – Articolo 15, paragrafo 1, TUE e articolo
68 TFUE – Forme sostanziali – Modificazione della proposta della
Commissione europea – Requisiti di una nuova consultazione del Parlamento
europeo e di un voto unanime in seno al Consiglio dell’Unione europea –
Articolo 293 TFUE – Principi di certezza del diritto e di
proporzionalità
1) I ricorsi sono respinti.
2) La Repubblica slovacca e
l’Ungheria sono condannate a sopportare, oltre alle proprie spese, anche quelle
sostenute dal Consiglio dell’Unione europea.
3) Il Regno del Belgio, la Repubblica federale di
Germania, la Repubblica
ellenica, la Repubblica
francese, la Repubblica
italiana, il Granducato di Lussemburgo, la Repubblica di Polonia,
il Regno di Svezia, nonché la
Commissione europea, sopporteranno ciascuno le proprie spese
(*)Queste le massime relative alla sentenza:
1. Un
atto giuridico può essere qualificato come atto legislativo dell’Unione
soltanto se è stato adottato sul fondamento di una disposizione dei Trattati
che fa espresso riferimento o alla procedura legislativa ordinaria o alla
procedura legislativa speciale. Ne consegue che dal riferimento al requisito
di una consultazione del Parlamento, contenuto nella disposizione dei
Trattati che serve quale base giuridica dell’atto di cui trattasi, non può
dedursi che la procedura legislativa speciale sia applicabile all’adozione di
tale atto.
Dunque,
nella misura in cui l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE prevede che il Consiglio
adotti le misure temporanee contemplate da tale disposizione su proposta
della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo e non contiene
alcun espresso riferimento né alla procedura legislativa ordinaria né alla
procedura legislativa speciale, deve ritenersi che misure suscettibili di
essere adottate sul fondamento della disposizione suddetta devono essere
qualificate come atti non legislativi, in quanto esse non vengono adottate
all’esito di una procedura legislativa.
(v.
punti 62, 64‑66)
2. Le
disposizioni di cui all’articolo 78, paragrafi 2 e 3, TFUE rivestono
carattere complementare, permettendo all’Unione di adottare, nel quadro della
politica comune dell’Unione in materia di asilo, misure diversificate al fine
di dotarsi degli strumenti necessari, in particolare, per rispondere in
maniera effettiva, sia a breve che a lungo termine, a situazioni di crisi
migratoria. A questo proposito, la nozione di misure temporanee che possono
essere adottate ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE deve avere una
portata sufficientemente estesa per permettere alle istituzioni dell’Unione
di adottare tutte le misure temporanee necessarie per rispondere in modo
effettivo e rapido a una situazione di emergenza caratterizzata da un
afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi.
(v.
punti 74, 77)
3. Se
certo le misure temporanee adottate sul fondamento dell’articolo 78,
paragrafo 3, TFUE possono in via di principio derogare a disposizioni di atti
legislativi, simili deroghe devono nondimeno essere circoscritte sotto il
profilo del loro ambito di applicazione sia sostanziale che temporale, così
che esse si limitino a rispondere in modo rapido ed effettivo, mediante una
disciplina provvisoria, ad una situazione di crisi precisa, ciò che esclude
che dette misure possano avere per oggetto o per effetto di sostituire o di
modificare in modo permanente e generale gli atti legislativi di cui sopra,
aggirando così la procedura legislativa ordinaria prevista dall’articolo 78,
paragrafo 2, TFUE.
Obbediscono
a tale esigenza le deroghe previste dalla decisione 2015/1601, che istituisce
misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio
dell’Italia e della Grecia. Infatti, le deroghe previste dalla decisione
suddetta si applicano unicamente per un periodo di due anni, salva la
possibilità di una proroga. Oltre a ciò, esse riguardano un numero limitato
di cittadini di paesi terzi, che hanno presentato una domanda di protezione
internazionale in Grecia o in Italia, e appartenenti a una delle nazionalità
contemplate dalla decisione 2015/1601, i quali verranno ricollocati a partire
da uno di questi due Stati membri e che sono arrivati o arriveranno in questi
ultimi durante un certo periodo.
(v.
punti 78‑80)
4. L’articolo
78, paragrafo 3, TFUE, pur esigendo che le misure da esso contemplate siano
temporanee, riserva al Consiglio un margine di discrezionalità per stabilire,
caso per caso, il loro periodo di applicazione in funzione delle circostanze
del caso di specie e, in particolare, alla luce delle specificità della
situazione di emergenza che giustifica tali misure.
Quanto
alla decisione 2015/1601, che istituisce misure temporanee nel settore della
protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia, il
Consiglio non ha manifestamente ecceduto il suo potere discrezionale nel
fissare a 24 mesi la durata delle misure previste da detta decisione.
Infatti, tale scelta appare giustificata in considerazione del fatto che una
ricollocazione di un numero significativo di persone è un’operazione al tempo
stesso inedita e complessa, che necessita di un certo tempo di preparazione e
di attuazione, in particolare sul piano del coordinamento tra le
amministrazioni degli Stati membri, prima che essa produca effetti concreti.
A questo proposito, non si può fondatamente sostenere che la decisione
2015/1601 non ha carattere temporaneo in quanto essa produrrà effetti a lungo
termine. Infatti, se si dovesse tener conto della durata degli effetti di una
misura di ricollocazione sulle persone ricollocate al fine di valutare il suo
carattere temporaneo ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, nessuna
misura di ricollocazione di persone aventi manifestamente bisogno di
protezione internazionale potrebbe essere adottata sulla base della
disposizione suddetta, in quanto simili effetti a più o meno lungo termine
sono inerenti ad una ricollocazione siffatta.
(v.
punti 92, 96‑99)
5. Può
essere qualificato come «improvviso», ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3,
TFUE, un afflusso di cittadini di paesi terzi di una tale portata da essere
imprevedibile, e ciò quand’anche esso si inserisca in un contesto di crisi
migratoria distribuita su vari anni, in quanto esso rende impossibile il
funzionamento normale del regime comune di asilo dell’Unione.
(v.
punto 114)
6. Per
quanto riguarda l’aggettivo «caratterizzata» che qualifica la situazione di
emergenza contemplata dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, sebbene una
minoranza delle versioni linguistiche di tale disposizione utilizzi non già
questo termine bensì il termine «causata», questi due termini devono, nel
contesto della disposizione di cui sopra e alla luce dell’obiettivo di
quest’ultima inteso a consentire l’adozione rapida di misure provvisorie
destinate a reagire in maniera efficace ad una situazione di emergenza
migratoria, essere intesi nel medesimo senso dell’esigenza di un nesso
sufficientemente stretto tra la situazione di emergenza di cui trattasi e
l’afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi.
(v.
punto 125)
7. Tenuto
conto del fatto che è inerente ai flussi migratori che questi ultimi possano
evolvere rapidamente, in particolare spostandosi verso altri Stati membri, l’articolo
78, paragrafo 3, TFUE non osta a che dei meccanismi di aggiustamento si
aggiungano alle misure temporanee adottate ai sensi di tale disposizione.
Infatti, questa disposizione conferisce un ampio potere discrezionale al
Consiglio nella scelta delle misure che possono essere prese al fine di
rispondere in maniera rapida ed efficace ad una situazione di emergenza
particolare nonché a possibili evoluzioni alle quali quest’ultima potrebbe
andare incontro. Rispondere all’emergenza non esclude il carattere evolutivo
e modulato della risposta, purché quest’ultima conservi il proprio carattere
temporaneo.
(v.
punti 131‑134)
8. I
principi dell’attribuzione dei poteri e dell’equilibrio istituzionale si
applicano al potere di iniziativa della Commissione nel quadro dell’adozione,
sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, di atti non legislativi, come
una decisione che istituisce misure temporanee in materia di protezione
internazionale a beneficio di alcuni Stati membri. A questo proposito,
l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE non subordina il potere di iniziativa della
Commissione alla previa esistenza di orientamenti definiti dal Consiglio
europeo ai sensi dell’articolo 68 TFUE.
Peraltro,
l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE permette al Consiglio di adottare misure a
maggioranza qualificata. Il principio dell’equilibrio istituzionale vieta che
il Consiglio europeo modifichi tale regola di voto imponendo al Consiglio,
mediante conclusioni formulate ai sensi dell’articolo 68 TFUE, una
regola di voto all’unanimità. Orbene, atteso che le norme relative alla
formazione della volontà delle istituzioni dell’Unione trovano la loro fonte
nei Trattati e che esse non sono derogabili né dagli Stati membri né dalle
stesse istituzioni, solamente i Trattati possono, in casi specifici,
autorizzare un’istituzione a modificare una procedura decisionale da essi
prevista.
(v.
punti 146‑149)
9. V.
il testo della decisione.
(v.
punti 160‑162)
10. Ai
sensi dell’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, fintantoché il Consiglio non ha
deliberato su una proposta della Commissione, quest’ultima può modificare la
propria proposta in ogni fase delle procedure che portano all’adozione di un
atto dell’Unione. Le proposte modificate adottate dalla Commissione non
devono necessariamente assumere una forma scritta, in quanto esse fanno parte
del processo di adozione di atti dell’Unione che è caratterizzato da una
certa flessibilità, necessaria per raggiungere una convergenza di vedute tra
le istituzioni.
Nel
particolare contesto dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, si può ritenere che
la Commissione
abbia esercitato il proprio potere di modifica previsto dall’articolo 293,
paragrafo 2, TFUE qualora risulti chiaramente dalla partecipazione di tale
istituzione al processo di adozione dell’atto di cui trattasi che la proposta
modificata è stata approvata dalla Commissione medesima. Un’interpretazione
del genere risponde alla finalità dell’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, che
mira a proteggere il potere di iniziativa della Commissione.
(v.
punti 177, 179, 181)
11. Risulta
dall’articolo 13 del regolamento interno della Commissione, interpretato alla
luce dell’obiettivo dell’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, che mira a tutelare
il potere di iniziativa della Commissione, che il collegio dei commissari può
autorizzare alcuni dei suoi membri a procedere alla modifica, in corso di
procedimento, di una proposta della Commissione entro i limiti da esso
preventivamente stabiliti.
(v.
punto 185)
12. Anche
se l’Unione attribuisce grande rilievo alla preservazione del multilinguismo,
la cui importanza viene ricordata all’articolo 3, paragrafo 3, quarto comma,
TUE, nulla osta a che il Consiglio interpreti l’articolo 14 del proprio
regolamento interno nel senso che, sebbene il suo paragrafo 1 prescriva che i
progetti che sono alla base delle deliberazioni del Consiglio devono in linea
di principio essere redatti in tutte le lingue ufficiali dell’Unione, il
paragrafo 2 del medesimo articolo 14 prevede un regime semplificato per gli
emendamenti che non devono essere imperativamente disponibili in tutte le
lingue ufficiali dell’Unione. Sarebbe soltanto in caso di opposizione di uno
Stato membro che dovrebbero essere presentate al Consiglio anche le versioni
linguistiche designate da tale Stato prima che detta istituzione possa
continuare a deliberare. Un’interpretazione siffatta deriva infatti da un
approccio equilibrato e flessibile che favorisce l’efficacia e la rapidità
dei lavori del Consiglio.
(v.
punti 201, 203)
13. V.
il testo della decisione.
(v.
punti 206‑208, 221)
14. Nel
particolare contesto di una situazione di grave emergenza, caratterizzata da
un afflusso massiccio e improvviso di cittadini di paesi terzi in alcuni
Stati membri, una decisione di adottare un meccanismo vincolante di ricollocazione
di 120 000 persone in base all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, se certo
deve essere fondata su criteri oggettivi, può essere censurata dalla Corte
soltanto qualora si constati che il Consiglio, quando ha adottato la
decisione impugnata, ha commesso, tenuto conto delle informazioni e dei dati
disponibili in quel momento, un errore manifesto di valutazione, nel senso
che avrebbe potuto essere adottata entro gli stessi termini un’altra misura
meno vincolante ma altrettanto efficace.
In
proposito, per quanto concerne un’argomentazione addotta secondo cui la
decisione impugnata costituirebbe una misura sproporzionata in quanto
imporrebbe senza necessità un meccanismo vincolante che comporta una
ripartizione su base numerica e obbligatoria, sotto forma di quote, delle
persone ricollocate tra gli Stati membri, non risulta che il Consiglio,
avendo scelto di imporre un siffatto meccanismo vincolante di ricollocazione,
abbia commesso un errore manifesto di valutazione. Infatti, il Consiglio può
a ragione ritenere, nell’ambito dell’ampio margine di discrezionalità che
deve essergli riconosciuto al riguardo, che il carattere vincolante della
ripartizione delle persone ricollocate si imponga in considerazione della
situazione di emergenza particolare nella quale la decisione impugnata deve
essere adottata. Inoltre, nell’adottare la decisione impugnata, il Consiglio
è effettivamente tenuto a dare attuazione al principio di solidarietà e di
equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano
finanziario, la cui osservanza si impone, a norma dell’articolo 80 TFUE,
nell’ambito dell’attuazione della politica comune dell’Unione in materia di
asilo. Pertanto, non si può imputare al Consiglio di aver commesso un errore
manifesto di valutazione quando esso reputi di dover adottare, in
considerazione dell’urgenza specifica della situazione, sulla base
dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, letto alla luce dell’articolo
80 TFUE e del principio di solidarietà tra Stati membri in esso sancito,
misure temporanee consistenti nell’imporre un meccanismo di ricollocazione
vincolante.
(v.
punti 235, 236, 245, 246, 252, 253)
15. Qualora
uno o più Stati membri si trovino in una situazione di emergenza, ai sensi
dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, gli oneri derivanti dalle misure
temporanee adottate in virtù di tale disposizione a beneficio di questo o di
questi Stati membri devono, in linea di principio, essere ripartiti tra tutti
gli altri Stati membri, conformemente al principio di solidarietà e di equa
ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri, dal momento che, ai
sensi dell’articolo 80 TFUE, tale principio disciplina la politica
dell’Unione in materia di asilo. Pertanto, correttamente la Commissione e il
Consiglio ritengono, in occasione dell’adozione di una decisione che
istituisce misure temporanee in materia di protezione temporanea a beneficio
di alcuni Stati membri, che la ripartizione dei richiedenti ricollocati tra
tutti gli Stati membri, in conformità del principio sancito all’articolo
80 TFUE, costituisca un elemento fondamentale di detta decisione.
A
questo proposito, se la ricollocazione dovesse essere strettamente
subordinata all’esistenza di legami culturali o linguistici tra ciascun
richiedente una protezione internazionale e lo Stato membro di ricollocazione,
ne risulterebbe l’impossibilità di ripartire tali richiedenti tra tutti gli
Stati membri nel rispetto del principio di solidarietà imposto dall’articolo
80 TFUE e, dunque, di adottare un meccanismo di ricollocazione
vincolante. In ogni caso, eventuali considerazioni connesse all’origine
etnica dei richiedenti una protezione internazionale non possono essere prese
in esame, in quanto esse sarebbero, con tutta evidenza, contrarie al diritto
dell’Unione e in particolare all’articolo 21 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea.
(v.
punti 291, 292, 304, 305)
16. V.
il testo della decisione.
(v.
punto 303)
17. A
norma dell’articolo 47 de la
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, un
diritto di ricorso effettivo deve essere garantito sul piano nazionale contro
qualsiasi decisione che debba essere presa da un’autorità nazionale
nell’ambito di una procedura di ricollocazione ai sensi dell’articolo 78,
paragrafo 3, TFUE.
(v.
punto 325)
18. Il
sistema istituito dalla decisione 2015/1601, che istituisce misure temporanee
nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della
Grecia, è fondato, al pari del sistema istituito dal regolamento
n. 604/2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione
dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione
internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un
paese terzo o da un apolide, su criteri oggettivi, e non sull’espressione di
una preferenza da parte del richiedente una protezione internazionale. In
particolare, la regola della competenza dello Stato membro di primo ingresso,
prevista dall’articolo 13, paragrafo 1, di detto regolamento, che è l’unica
regola di determinazione dello Stato membro competente dettata da questo
regolamento alla quale la decisione 2015/1601 apporta una deroga, non si
ricollega alle preferenze del richiedente per un determinato Stato membro
ospitante e non mira specificamente a garantire che sussista un legame
linguistico, culturale o sociale tra tale richiedente e lo Stato membro
competente.
Inoltre,
se un certo margine di discrezionalità è riservato alle autorità degli Stati
membri beneficiari quando questi sono chiamati, a norma dell’articolo 5,
paragrafo 3, della decisione 2015/1601, a identificare i richiedenti
individuali che possono essere ricollocati in un determinato Stato membro di
ricollocazione, tale margine di discrezionalità è giustificato alla luce
dell’obiettivo di detta decisione consistente nell’alleggerire i regimi di
asilo greco e italiano di un numero significativo di richiedenti,
ricollocandoli, entro brevi termini e in modo effettivo, in altri Stati
membri nel rispetto del diritto dell’Unione e, in particolare, dei diritti
fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea. Inoltre, il diritto dell’Unione non consente ai richiedenti di
scegliere lo Stato membro competente per l’esame della loro domanda. Infatti,
i criteri previsti dal regolamento n. 604/2013 per determinare lo Stato
membro competente a trattare una domanda di protezione internazionale non si
ricollegano alle preferenze del richiedente per un determinato Stato membro
ospitante.
(v.
punti 333, 334, 337, 339)
19. Il
trasferimento nell’ambito di un’operazione di ricollocazione, ai sensi
dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, di un richiedente la protezione
internazionale da uno Stato membro ad un altro al fine di assicurare un esame
della sua domanda entro termini ragionevoli non può essere considerato come
configurante un respingimento verso uno Stato terzo. Si tratta al contrario
di una misura di gestione di crisi, presa a livello dell’Unione, mirante a
garantire l’esercizio effettivo, nel rispetto della Convenzione relativa allo
status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, del diritto
fondamentale di asilo, quale sancito dall’articolo 18 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea.
(v.
punti 342, 343)
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46) Corte di Giustizia UE 13 settembre 2017, n. C-60/16, Khir Amayry: Rinvio pregiudiziale –
Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro
competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata
in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Articolo
28 – Trattenimento ai fini di trasferimento di un richiedente protezione
internazionale verso lo Stato membro competente – Termine per effettuare
il trasferimento – Durata massima del trattenimento – Calcolo –
Accettazione della richiesta di presa in carico prima del trattenimento –
Sospensione dell’esecuzione della decisione di trasferimento
1) L’articolo 28 del regolamento
(UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno
2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato
membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un
apolide, letto alla luce dell’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che:
– esso non osta a una
normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede
che, nella situazione in cui il trattenimento di un richiedente protezione
internazionale inizi dopo che lo Stato membro richiesto ha accettato la
richiesta di presa in carico, detto trattenimento possa essere mantenuto per un
periodo massimo di due mesi, purché, da un lato, la durata del trattenimento
non superi il tempo necessario per la procedura di trasferimento, valutato tenendo
conto delle esigenze concrete della menzionata procedura in ciascun caso
specifico, e, dall’altro, eventualmente, tale durata non si prolunghi per un
periodo superiore a sei settimane a partire dalla data in cui il ricorso o la
revisione non ha più effetto sospensivo e;
– esso osta a una
normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che
permette, in una situazione siffatta, di mantenere detto trattenimento per tre
o dodici mesi nel corso dei quali il trasferimento poteva validamente essere
effettuato.
2) L’articolo 28, paragrafo 3, del
regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che non si deve
detrarre dal termine di sei settimane a partire dal momento in cui il ricorso o
la revisione non ha più effetto sospensivo, istituito da tale disposizione, il
numero di giorni che la persona interessata ha già trascorso in stato di
trattenimento dopo che uno Stato membro ha accettato la richiesta di presa in
carico o di ripresa in carico.
3) L’articolo 28, paragrafo 3, del
regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che il termine
di sei settimane a partire dal momento in cui il ricorso o la revisione non ha
più effetto sospensivo, istituito da tale disposizione, si applica anche quando
la sospensione dell’esecuzione della decisione di trasferimento non è stata
specificamente richiesta dalla persona interessata.
47) Corte di Giustizia UE 25 ottobre 2017, n. C-201/16, Shiri: Rinvio pregiudiziale –
Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro
competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata
in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Articolo
27 – Mezzo di ricorso – Portata del sindacato giurisdizionale –
Articolo 29 – Termine per effettuare il trasferimento – Mancata
esecuzione del trasferimento entro il termine impartito – Obblighi dello
Stato membro competente – Trasferimento di competenza – Necessità di
una decisione dello Stato membro competente
1) L’articolo 29, paragrafo 2, del
regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello
Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un
apolide, dev’essere interpretato nel senso che, se il trasferimento non è
eseguito nel termine di sei mesi definito all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, di
tale regolamento, la competenza passa automaticamente allo Stato membro
richiedente, senza che sia necessario che lo Stato membro competente rifiuti di
prendere o riprendere in carico l’interessato.
2) L’articolo 27, paragrafo 1, del
regolamento n. 604/2013, letto alla luce del considerando 19 di detto
regolamento, nonché l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che un richiedente
protezione internazionale deve poter disporre di un mezzo di ricorso effettivo
e rapido che gli consenta di far valere la scadenza del termine di sei mesi
definito all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, di detto regolamento intervenuta
successivamente all’adozione della decisione di trasferimento. Il diritto, che
una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale riconosce
a un tale richiedente, di invocare circostanze successive all’adozione di tale
decisione, nell’ambito di un ricorso diretto contro la medesima, soddisfa tale
obbligo di prevedere un mezzo di ricorso effettivo e rapido
48) Corte di Giustizia UE 25 gennaio 2018, n. C-473/16, F: Rinvio pregiudiziale – Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 7 – Rispetto
della vita privata e familiare – Direttiva 2011/95/UE – Norme
relative alle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di
beneficiario della protezione sussidiaria – Timore di persecuzione a causa
dell’orientamento sessuale – Articolo 4 – Esame dei fatti e delle
circostanze – Ricorso a una perizia – Test psicologici
1) L’articolo 4 della direttiva
2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011,
recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della
qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme
per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione
sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere
interpretato nel senso che non osta a che l’autorità competente per l’esame
delle domande di protezione internazionale o i giudici eventualmente aditi con
un ricorso contro una decisione di tale autorità, dispongano una perizia
nell’ambito dell’esame dei fatti e delle circostanze riguardanti l’asserito
orientamento sessuale di un richiedente, purché le modalità di tale perizia
siano conformi ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, detta autorità e tali giudici non fondino la
loro decisione esclusivamente sulle conclusioni contenute nella relazione peritale
e non siano vincolati da tali conclusioni nella valutazione delle dichiarazioni
di tale richiedente relative al suo orientamento sessuale.
2) L’articolo 4 della direttiva
2011/95, letto alla luce dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali,
dev’essere interpretato nel senso che osta all’esecuzione e all’utilizzo, al
fine di valutare la veridicità dell’orientamento sessuale dichiarato da un
richiedente protezione internazionale, di una perizia psicologica, come quella
oggetto del procedimento principale, che ha per scopo, sulla base di test
proiettivi della personalità, di fornire un’immagine dell’orientamento sessuale
di tale richiedente.
49) Corte di Giustizia UE 25 gennaio 2018, n. C-360/16, Hasan: Rinvio pregiudiziale –
Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro
competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata
in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Modalità e
termini per la formulazione di una richiesta di ripresa in carico –
Rientro illegale di un cittadino di un paese terzo in uno Stato membro che ha
operato un trasferimento – Articolo 24 – Procedura di ripresa in
carico – Articolo 27 – Mezzo di ricorso – Portata del sindacato
giurisdizionale – Circostanze successive al trasferimento
1) L’articolo 27, paragrafo 1, del
regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello
Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un
apolide, letto alla luce del considerando 19 di tale regolamento e
dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve
essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come
quella di cui al procedimento principale, che prevede che il controllo
giurisdizionale della decisione di trasferimento deve basarsi sulla situazione
di fatto esistente allorché si è tenuta l’ultima udienza dinanzi al giudice
adito o, in mancanza di udienza, al momento in cui detto giudice si pronuncia
sul ricorso.
2) L’articolo 24 del regolamento
n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come
quella di cui al procedimento principale, nella quale un cittadino di un paese
terzo, dopo aver presentato una domanda di protezione internazionale in un
primo Stato membro, è stato trasferito verso tale Stato membro a seguito del
rigetto di una nuova domanda presentata presso un secondo Stato membro ed è poi
tornato, senza titolo di soggiorno, nel territorio di quest’ultimo, detto
cittadino può essere sottoposto a una procedura di ripresa in carico e che non
è possibile procedere a un ulteriore trasferimento di tale persona verso il
primo di tali Stati membri senza che venga seguita detta procedura.
3) L’articolo 24, paragrafo 2, del
regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, in una
situazione come quella di cui al procedimento principale, nella quale un
cittadino di un paese terzo è ritornato, senza titolo di soggiorno, nel
territorio di uno Stato membro che ha effettuato in passato il suo
trasferimento verso un altro Stato membro, la richiesta di ripresa in carico
deve essere inviata entro i termini previsti da tale disposizione e che gli
stessi non possono iniziare a decorrere prima che lo Stato membro richiedente
abbia avuto conoscenza del rientro della persona interessata nel proprio
territorio.
4) L’articolo 24, paragrafo 3, del
regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, quando la
richiesta di ripresa in carico non è presentata entro i termini di cui
all’articolo 24, paragrafo 2, del medesimo regolamento, lo Stato membro nel cui
territorio si trova la persona interessata senza titolo di soggiorno è
competente per l’esame della nuova domanda di protezione internazionale che
tale persona deve essere autorizzata a presentare.
5) L’articolo 24, paragrafo 3, del
regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che il fatto
che la procedura di ricorso contro una decisione che ha respinto una prima
domanda di protezione internazionale presentata in uno Stato membro sia ancora
pendente non deve essere considerato come equivalente alla presentazione di una
nuova domanda di protezione internazionale in tale Stato membro, ai sensi di
tale disposizione.
6) L’articolo 24, paragrafo 3, del
regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, qualora la
richiesta di ripresa in carico non sia presentata entro i termini di cui
all’articolo 24, paragrafo 2, del medesimo regolamento e la persona interessata
non si sia avvalsa della facoltà di cui deve disporre di presentare una nuova
domanda di protezione internazionale:
– lo Stato membro nel
cui territorio la persona interessata si trova senza titolo di soggiorno può
ancora formulare una richiesta di ripresa in carico, e che
– detta disposizione non
autorizza il trasferimento di tale persona in un altro Stato membro senza che
sia formulata una richiesta siffatta.
50) Corte di Giustizia UE 24 aprile 2018, n. C-353/16, MP : Rinvio pregiudiziale –
Politica d’asilo – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea – Articolo 4 – Direttiva 2004/83/CE – Articolo 2, lettera
e) – Condizioni per la concessione della protezione sussidiaria –
Articolo 15, lettera b) – Rischio di danno grave alla salute mentale del
richiedente in caso di ritorno nel suo paese di origine – Persona che è
stata sottoposta a tortura nel suo paese di origine
L’articolo 2, lettera e), e l’articolo 15, lettera b), della direttiva
2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime
sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di
rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, letti alla
luce dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
devono essere interpretati nel senso che è ammissibile allo status di
protezione sussidiaria il cittadino di un paese terzo torturato in passato
dalle autorità del suo paese di origine e non più esposto a un rischio di
tortura in caso di ritorno in detto paese, ma le cui condizioni di salute
fisica e mentale potrebbero, in un tale caso, deteriorarsi gravemente, con il
rischio che il cittadino di cui trattasi commetta suicidio, in ragione di un
trauma derivante dagli atti di tortura subiti, se sussiste un rischio effettivo
di privazione intenzionale in detto paese delle cure adeguate al trattamento
delle conseguenze fisiche o mentali di tali atti di tortura, circostanza che
spetta al giudice del rinvio verificare.
51) Corte di Giustizia UE 31 maggio 2018, n. C-647/16, Hassan: Rinvio pregiudiziale –
Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro
competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata
in uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo – Procedure di presa
e di ripresa in carico – Articolo 26, paragrafo 1 – Adozione e
notifica della decisione di trasferimento prima dell’accettazione della
richiesta di ripresa in carico da parte dello Stato membro richiesto
L’articolo 26, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i
criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per
l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli
Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, deve essere
interpretato nel senso che esso osta a che lo Stato membro che abbia avanzato
presso un altro Stato membro, ritenendolo competente per l’esame di una domanda
di protezione internazionale in applicazione dei criteri fissati da detto
regolamento, una richiesta di presa o di ripresa in carico di una persona di
cui all’articolo 18, paragrafo 1, del medesimo regolamento adotti una decisione
di trasferimento e la notifichi a detta persona prima che lo Stato membro
richiesto abbia dato il suo accordo esplicito o implicito a tale richiesta.
52) Corte di Giustizia UE 19 giugno 2018, n. C-181/16, Gnandi: : Rinvio pregiudiziale –
Spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia – Rimpatrio di cittadini di
paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Direttiva 2008/115/CE – Articolo 3,
punto 2 – Nozione di “soggiorno irregolare” – Articolo 6 – Adozione di una
decisione di rimpatrio anteriormente all’esito del ricorso avverso il rigetto
della domanda di protezione internazionale da parte dell’autorità competente –
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea – Articolo 18, articolo 19,
paragrafo 2, e articolo 47 – Principio di “non-refoulement” (non respingimento)
– Diritto a un ricorso effettivo – Autorizzazione a permanere in uno Stato
membro
La direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16
dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri
al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel
combinato disposto con la direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1.dicembre
2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai
fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, nonché alla
luce del principio di non-refoulement e del diritto ad un ricorso effettivo,
sanciti dall’articolo 18, dall’articolo 19, paragrafo 2, e dall’articolo 47
della Carta, dev’essere interpretata nel senso che non osta all’adozione di una
decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva
stessa, nei confronti di un cittadino di un paese terzo che abbia proposto
domanda di protezione internazionale, direttamente a seguito del rigetto di
tale domanda da parte dell’autorità competente ovvero cumulativamente con il
rigetto stesso in un unico atto amministrativo e, pertanto, anteriormente alla
decisione del ricorso giurisdizionale proposto avverso il rigetto medesimo,
subordinatamente alla condizione, segnatamente, che lo Stato membro interessato
garantisca la sospensione di tutti gli effetti giuridici della decisione di
rimpatrio nelle more dell’esito del ricorso, che il richiedente possa
beneficiare, durante tale periodo, dei diritti riconosciuti dalla direttiva
2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative
all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri,e che sia in grado di
far valere qualsiasi mutamento delle circostanze verificatosi successivamente
all’adozione della decisione di rimpatrio, che presenti rilevanza significativa
per la valutazione della situazione dell’interessato con riguardo alla
direttiva 2008/115 e, in particolare, all’articolo 5 della medesima, cosa che
spetta al giudice del rinvio verificare.
53) Corte di Giustizia UE 5 luglio 2018, n. C-213/17, X: Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE)
n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro competente per
l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli
Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Articoli 17, 18, 23 e
24 – Precedente procedura di protezione internazionale pendente in uno
Stato membro – Nuova domanda in un altro Stato membro – Assenza di
domanda di ripresa in carico entro i termini previsti – Consegna
dell’interessato ai fini dell’esercizio di un’azione penale
1) L’articolo 23, paragrafo 3, del
regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello
Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un
apolide, deve essere interpretato nel senso che lo Stato membro nel quale sia
stata presentata una nuova domanda di protezione internazionale è competente
per l’esame di quest’ultima, qualora una richiesta di ripresa in carico non sia
stata formulata da detto Stato membro entro i termini di cui all’articolo 23,
paragrafo 2, di tale regolamento, pur se, da un lato, un altro Stato membro era
competente per l’esame di domande di protezione internazionale presentate in
precedenza e, dall’altro, alla scadenza dei suddetti termini era pendente
dinanzi a un giudice di quest’ultimo Stato membro il ricorso proposto contro il
rigetto di una di dette domande.
2) L’articolo 18, paragrafo 2, del
regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che la
formulazione, da parte di uno Stato membro, di una richiesta di ripresa in
carico di un cittadino di un paese terzo che si trovi senza permesso di
soggiorno sul suo territorio non impone a tale Stato membro di sospendere
l’esame di un ricorso proposto contro il rigetto di una domanda di protezione
internazionale presentata in precedenza e, poi, di porre fine a tale esame nel
caso in cui lo Stato membro richiesto accetti detta richiesta.
3) L’articolo 24, paragrafo 5, del
regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, in una
situazione come quella di cui al procedimento principale, uno Stato membro che
formuli una richiesta di ripresa in carico sul fondamento dell’articolo 24 di
tale regolamento, a seguito della scadenza, nello Stato membro richiesto, dei
termini previsti dall’articolo 23, paragrafo 2, di detto regolamento, non è
tenuto ad informare le autorità di quest’ultimo Stato membro del fatto che è
pendente dinanzi ad un giudice dello Stato membro richiedente un ricorso
proposto avverso il rigetto di una domanda di protezione internazionale
presentata in precedenza.
4) L’articolo 17, paragrafo 1, e
l’articolo 24 del regolamento n. 604/2013 devono essere interpretati nel
senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale alla
data della decisione di trasferimento, in cui un richiedente la protezione
internazionale sia stato consegnato da un primo Stato membro ad un secondo
Stato membro in esecuzione di un mandato d’arresto europeo e si trovi sul
territorio di quest’ultimo senza avervi presentato una nuova domanda di
protezione internazionale, tale secondo Stato membro può chiedere al primo
Stato membro di riprendere in carico il suddetto richiedente e non è tenuto a
decidere di esaminare la domanda presentata da quest’ultimo.
54) Corte di Giustizia UE 5 luglio 2018, n. C-269/18, C e a.: Rinvio pregiudiziale –
Procedimento pregiudiziale d’urgenza – Articolo 99 del regolamento di
procedura della Corte – Procedure comuni ai fini del riconoscimento e
della revoca della protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE –
Articolo 46, paragrafi 6 e 8 – Domanda di protezione internazionale
manifestamente infondata – Diritto a un ricorso effettivo – Autorizzazione
a rimanere nel territorio di uno Stato membro – Direttiva
2008/115/CE – Articoli 2, 3 e 15 – Soggiorno irregolare –
Trattenimento
La direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16
dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri
al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, e la
direttiva 2013/32/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno
2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello
status di protezione internazionale, devono essere interpretate nel senso che
esse ostano a che un cittadino di un paese terzo, la cui domanda di protezione
internazionale sia stata respinta in prime cure dall’autorità amministrativa
competente in quanto manifestamente infondata, sia trattenuto ai fini del suo
allontanamento, qualora, ai sensi dell’articolo 46, paragrafi 6 e 8, della
direttiva 2013/32, egli sia legalmente autorizzato a rimanere nel territorio
nazionale fino alla decisione sul suo ricorso riguardante il diritto di
rimanere in tale territorio in attesa dell’esito del ricorso proposto avverso
la decisione di rigetto della sua domanda di protezione internazionale.
55) Corte di Giustizia UE 25 luglio 2018, n. C-585/16, Alheto: Rinvio pregiudiziale –
Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Norme
sull’attribuzione a cittadini di paesi terzi o apolidi della qualifica di
beneficiario di protezione internazionale – Direttiva 2011/95/UE –
Articolo 12 – Esclusione dallo status di rifugiato – Persone
registrate presso l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione
dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) – Esistenza di un
“paese di primo asilo”, per un rifugiato palestinese, nella zona operativa
dell’UNRWA – Procedure comuni ai fini del riconoscimento dello status di
protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46 –
Diritto a un ricorso effettivo – Esame completo ed ex nunc – Portata
dei poteri del giudice di primo grado – Esame da parte del giudice delle
esigenze di protezione internazionale – Esame di motivi d’inammissibilità
1) L’articolo 12, paragrafo 1,
lettera a), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi
terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale,
su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a
beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione
riconosciuta, in combinato disposto con l’articolo 10, paragrafo 2, della
direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno
2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello
status di protezione internazionale, deve essere interpretato nel senso che il
trattamento di una domanda di protezione internazionale presentata da una
persona registrata presso l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e
l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) richiede che
si accerti se tale persona benefici di una protezione o di un’assistenza
effettiva da parte di tale organismo, sempreché tale domanda non sia stata
preliminarmente respinta sulla base di un motivo d’inammissibilità o sulla base
di una causa di esclusione diversa da quella prevista all’articolo 12,
paragrafo 1, lettera a), primo periodo, della direttiva 2011/95.
2) L’articolo 12, paragrafo 1,
lettera a), secondo periodo, della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile
2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o
apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di
protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione
riconosciuta, e l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), secondo periodo, della
direttiva 2011/95 devono essere interpretati nel senso che:
– ostano a una normativa
nazionale che non prevede o che recepisce in modo non corretto la causa di
cessazione dell’applicazione della causa di esclusione dallo status di
rifugiato in essi contenuta;
– hanno efficacia
diretta, e
– possono essere
applicati anche qualora il richiedente protezione internazionale non li abbia
espressamente invocati.
3) L’articolo 46, paragrafo 3, della
direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso
che il giudice di uno Stato membro investito in primo grado di un’impugnazione
contro una decisione relativa a una domanda di protezione internazionale è
tenuto a esaminare sia gli elementi di fatto e di diritto, quali
l’applicabilità dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva
2011/95 alla situazione del richiedente, di cui l’organo che ha adottato tale
decisione ha tenuto o avrebbe potuto tener conto, sia quelli intervenuti dopo
l’adozione della medesima decisione.
4) L’articolo 46, paragrafo 3, della
direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei
diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso che l’esigenza di un
esame completo ed ex nunc tanto degli elementi di fatto quanto di quelli di
diritto può vertere anche sui motivi d’inammissibilità della domanda di
protezione internazionale di cui all’articolo 33, paragrafo 2, di tale
direttiva, laddove il diritto nazionale lo consenta, e che, nel caso in cui il
giudice investito dell’impugnazione intenda esaminare un motivo
d’inammissibilità che non è stato esaminato dall’autorità accertante, il
medesimo deve procedere all’audizione del richiedente al fine di consentirgli
di esporre di persona, in una lingua che conosce, il suo punto di vista
sull’applicabilità di tale motivo alla sua situazione particolare.
5) L’articolo 35, primo comma,
lettera b), della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che una
persona registrata presso l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e
l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), se beneficia
di protezione o di assistenza effettiva di tale organismo in un paese terzo non
corrispondente al territorio nel quale la stessa risiede abitualmente, ma
facente parte della zona operativa del suddetto organismo, deve essere
considerata sufficientemente protetta in tale paese terzo, ai sensi di tale
disposizione, qualora quest’ultimo:
– si impegni a
riammettere l’interessato dopo che questi ha lasciato il suo territorio per
chiedere protezione internazionale nell’Unione europea, e
– riconosca tale
protezione o assistenza dell’UNRWA e aderisca al principio di non
respingimento, consentendo in tal modo all’interessato di soggiornare nel suo
territorio in sicurezza, in condizioni di vita dignitose e finché i rischi cui
è esposto nel territorio della residenza abituale lo rendono necessario.
6) L’articolo 46, paragrafo 3, della
direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei
diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso che esso non
stabilisce norme procedurali comuni per quanto riguarda la competenza ad
adottare una nuova decisione relativa a una domanda di protezione
internazionale dopo l’annullamento, da parte del giudice investito
dell’impugnazione, della decisione iniziale adottata in merito a tale domanda.
Tuttavia, la necessità di assicurare un effetto utile all’articolo 46,
paragrafo 3, di tale direttiva e di garantire un ricorso effettivo a norma
dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali impone che, in caso di
rinvio del fascicolo all’organo quasi giurisdizionale o amministrativo di cui
all’articolo 2, lettera f), di detta direttiva, sia adottata entro un breve
termine una nuova decisione che sia conforme alla valutazione contenuta nella
sentenza che ha disposto l’annullamento.
56) Corte di Giustizia UE 25 luglio 2018, n. C-404/17, A: Rinvio pregiudiziale –
Politica d’asilo – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 31, paragrafo 8, e
articolo 32, paragrafo 2 – Domanda di protezione internazionale
manifestamente infondata – Concetto di paese di origine sicuro –
Assenza di norme nazionali relative a tale concetto – Dichiarazioni del
richiedente considerate affidabili, ma insufficienti in ragione
dell’adeguatezza della protezione offerta dal paese di origine del richiedente
L’articolo 31, paragrafo 8, lettera b), della direttiva 2013/32/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure
comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione
internazionale, letto in combinato disposto con l’articolo 32, paragrafo 2, di
tale direttiva, dev’essere interpretato nel senso che esso non consente di
ritenere manifestamente infondata una domanda di protezione internazionale in
una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, nella
quale, da un lato, dalle informazioni sul paese di origine del richiedente
risulti che a quest’ultimo può essere garantita in tale paese una protezione
accettabile e, dall’altro, il medesimo richiedente abbia fornito informazioni
insufficienti per giustificare il riconoscimento di una protezione
internazionale, qualora lo Stato membro di proposizione della domanda non abbia
adottato norme per l’attuazione del concetto di paese di origine sicuro.
57) Corte di Giustizia UE 13 settembre 2018, n. C-369/17, Ahmed: Rinvio pregiudiziale –
Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Frontiere, asilo e
immigrazione – Status di rifugiato o status di protezione
sussidiaria – Direttiva 2011/95/UE – Articolo 17 – Esclusione
dallo status di protezione sussidiaria – Cause – Condanna per un
reato grave – Determinazione della gravità sulla base della pena prevista
ai sensi del diritto nazionale – Ammissibilità – Necessità di una
valutazione individuale
L’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme
sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di
beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i
rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione
sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere
interpretato nel senso che esso osta a una legislazione di uno Stato membro in
forza della quale si considera che il richiedente protezione sussidiaria abbia
«commesso un reato grave» ai sensi di tale disposizione, il quale può
escluderlo dal beneficio di tale protezione, sulla sola base della pena
prevista per un determinato reato ai sensi del diritto di tale Stato membro.
Spetta all’autorità o al giudice nazionale competente che statuisce sulla
domanda di protezione sussidiaria valutare la gravità dell’illecito
considerato, effettuando un esame completo di tutte le circostanze del caso
individuale di cui trattasi.
58) Corte di Giustizia UE 26 settembre 2018, n. C-175/17, X: Rinvio pregiudiziale –
Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria –
Direttiva 2005/85/CE – Articolo 39 – Direttiva 2008/115/CE –
Articolo 13 – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo
18, articolo 19, paragrafo 2, e articolo 47 – Diritto a un ricorso
effettivo – Principio di non respingimento – Decisione che respinge
una domanda di protezione internazionale e impone un obbligo di
rimpatrio – Normativa nazionale che prevede un secondo grado di giudizio –
Effetto sospensivo automatico limitato al ricorso di primo grado
L’articolo 39 della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del
1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli
Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di
rifugiato, e l’articolo 13 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni
applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui
soggiorno è irregolare, letti alla luce dell’articolo 18 e dell’articolo 19,
paragrafo 2, nonché dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una
normativa nazionale la quale, pur prevedendo un appello contro le sentenze di
primo grado confermative di decisioni che respingono domande di protezione
internazionale e impongono un obbligo di rimpatrio, non dota tale mezzo di
impugnazione di effetto sospensivo automatico, anche quando la persona
interessata invochi un grave rischio di violazione del principio di non
respingimento.
59) Corte di Giustizia UE 26 settembre 2018, n. C-180/17, X e Y: Rinvio pregiudiziale – Politica
comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Direttiva
2013/32/UE – Articolo 46 – Direttiva 2008/115/CE – Articolo
13 – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo
18, articolo 19, paragrafo 2, e articolo 47 – Diritto a un ricorso
effettivo – Principio di non respingimento – Decisione che respinge
una domanda di protezione internazionale e impone un obbligo di
rimpatrio – Normativa nazionale che prevede un secondo grado di
giudizio – Effetto sospensivo automatico limitato al ricorso di primo
grado
L’articolo 46 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del
riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e
l’articolo 13 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati
membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare,
letti alla luce dell’articolo 18 e dell’articolo 19, paragrafo 2, nonché
dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale
la quale, pur prevedendo un appello contro le sentenze di primo grado
confermative di decisioni che respingono domande di protezione internazionale e
impongono un obbligo di rimpatrio, non dota tale mezzo di impugnazione di
effetto sospensivo automatico, anche quando la persona interessata invochi un
grave rischio di violazione del principio di non respingimento
60) Corte di Giustizia UE 4 ottobre 2018, n. C-56/17, Fathi: Rinvio pregiudiziale –
Spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia – Frontiere, asilo e
immigrazione – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Articolo 3 –
Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di
protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino
di un paese terzo – Esame di una domanda di protezione internazionale
senza decisione esplicita in merito alla determinazione dello Stato membro
competente per l’esame – Direttiva 2011/95/UE – Articoli 9 e
10 – Motivi di persecuzione fondati sulla religione – Prova –
Legislazione iraniana sull’apostasia – Direttiva 2013/32/UE –
Articolo 46, paragrafo 3 – Ricorso effettivo
1) L’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento
(UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno
2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato
membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un
apolide, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, deve
essere interpretato nel senso che non osta a che le autorità di uno Stato
membro procedano all’esame del merito di una domanda di protezione
internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), del medesimo regolamento,
in mancanza di una decisione esplicita delle stesse autorità che stabilisca,
sulla base dei criteri previsti dal regolamento succitato, che la competenza a effettuare
un simile esame incombeva a tale Stato membro.
2) L’articolo 46, paragrafo 3, della
direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno
2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello
status di protezione internazionale, in una situazione come quella di cui al
procedimento principale, deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito di
un ricorso proposto da un richiedente protezione internazionale avverso una
decisione di ritenere infondata la sua domanda di protezione internazionale, il
giudice competente di uno Stato membro non è tenuto a verificare d’ufficio se i
criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per
l’esame della domanda in questione, quali previsti dal regolamento
n. 604/2013, siano stati correttamente applicati.
3) L’articolo 10, paragrafo 1,
lettera b), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi
terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale,
su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a
beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione
riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che un richiedente protezione
internazionale che, a sostegno della sua domanda, adduce l’esistenza di un
rischio di persecuzione per motivi fondati sulla religione non è tenuto, al
fine di comprovare le sue affermazioni relative al suo credo religioso, a
rendere dichiarazioni o produrre documenti su tutte le componenti della nozione
di «religione», contemplata nella disposizione citata. Il richiedente è
tuttavia tenuto a comprovare in maniera credibile le suddette affermazioni,
presentando elementi che consentano all’autorità competente di assicurarsi
della loro veridicità.
4) L’articolo 9, paragrafi 1 e 2,
della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che il divieto,
sanzionato con la pena capitale o con la reclusione, di atti contro la
religione di Stato del paese d’origine del richiedente protezione
internazionale può configurare un «atto di persecuzione», ai sensi del medesimo
articolo, purché, per la violazione del divieto in questione, le autorità di detto
paese impongano, nella prassi, sanzioni di questo tipo, circostanza che spetta
al giudice del rinvio verificare.
61) Corte di Giustizia UE 4 ottobre 2018, n. C-652/16, Ahmedbekova: Rinvio
pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di protezione
sussidiaria – Norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o
apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale –
Direttiva 2011/95/UE – Articoli 3, 4, 10 e 23 – Domande di protezione
internazionale presentate separatamente da membri di una stessa famiglia –
Esame su base individuale – Presa in considerazione delle minacce
incombenti su un familiare nell’ambito dell’esame su base individuale della
domanda di un altro familiare – Disposizioni più favorevoli che possono
essere mantenute o adottate dagli Stati membri al fine di estendere l’asilo o
la protezione sussidiaria ai familiari del beneficiario di protezione
internazionale – Valutazione dei motivi di persecuzione –
Partecipazione di un cittadino azero alla proposizione di un ricorso contro il
suo paese dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo – Norme comuni
di procedura – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46 – Diritto a un
ricorso effettivo – Esame completo ed ex nunc – Motivi di persecuzione
o elementi di fatto taciuti dinanzi all’autorità accertante ma dedotti
nell’ambito del ricorso proposto avverso la decisione adottata da tale autorità
1) L’articolo 4 della direttiva
2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011,
recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della
qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme
per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione
sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere
interpretato nel senso che, nell’ambito dell’esame su base individuale di una
domanda di protezione internazionale, si deve tener conto delle minacce di
persecuzione e di danni gravi incombenti su un familiare del richiedente, al
fine di determinare se quest’ultimo, a causa del legame familiare con detta
persona minacciata, sia a sua volta esposto a siffatte minacce.
2) La direttiva 2011/95 e la
direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno
2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello
status di protezione internazionale, devono essere interpretate nel senso che
non ostano a che le domande di protezione internazionale presentate
separatamente da membri di una stessa famiglia siano oggetto di misure volte a
gestire un’eventuale connessione, ma ostano a che tali domande siano oggetto di
una valutazione congiunta. Esse ostano altresì a che la valutazione di una di
dette domande sia sospesa fino alla chiusura della procedura d’esame relativa a
un’altra di tali domande.
3) L’articolo 3 della direttiva
2011/95 deve essere interpretato nel senso che consente a uno Stato membro, in
caso di riconoscimento, in forza del sistema istituito da tale direttiva, della
protezione internazionale a un membro di una famiglia, di prevedere
l’estensione del beneficio di tale protezione ad altri membri di detta
famiglia, purché questi ultimi non rientrino in una causa di esclusione di cui
all’articolo 12 della stessa direttiva e la loro situazione presenti, a motivo
dell’esigenza di mantenimento dell’unità del nucleo familiare, un nesso con la
logica della protezione internazionale.
4) Il motivo di inammissibilità
enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2013/32 non
riguarda una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento
principale, nella quale un adulto presenta, per sé e per suo figlio minore, una
domanda di protezione internazionale fondata, in particolare, sull’esistenza di
un legame familiare con un’altra persona, che ha separatamente presentato una
domanda di protezione internazionale.
5) La partecipazione del richiedente
protezione internazionale alla proposizione di un ricorso contro il suo paese
dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo non può in linea di principio
essere considerata, nell’ambito della valutazione dei motivi di persecuzione
contemplati all’articolo 10 della direttiva 2011/95, come prova
dell’appartenenza di tale richiedente a un «determinato gruppo sociale», ai
sensi del paragrafo 1, lettera d), di tale articolo, ma deve essere considerata
come un motivo di persecuzione per «opinione politica», ai sensi del paragrafo
1, lettera e), del medesimo articolo, se sussistono fondati motivi di temere che
la partecipazione alla proposizione di tale ricorso sia percepita da detto
paese come un atto di dissidenza politica contro il quale esso potrebbe
prevedere di esercitare rappresaglie.
6) L’articolo 46, paragrafo 3, della
direttiva 2013/32, letto in combinato disposto con il riferimento al
procedimento di ricorso contenuto all’articolo 40, paragrafo 1, di tale
direttiva, deve essere interpretato nel senso che il giudice investito di un
ricorso contro una decisione di diniego di protezione internazionale è in linea
di principio tenuto a valutare, a titolo di «ulteriori dichiarazioni» e dopo
aver richiesto un esame di queste ultime da parte dell’autorità accertante, i
motivi di riconoscimento della protezione internazionale o gli elementi di
fatto che, pur essendo relativi ad eventi o a minacce asseritamente
verificatisi prima dell’adozione di detta decisione di diniego o addirittura
prima della presentazione della domanda di protezione internazionale, sono per
la prima volta dedotti durante il procedimento di ricorso. Tale giudice non vi
è, per contro, tenuto se constata che tali motivi o detti elementi sono stati
dedotti in una fase tardiva del procedimento di ricorso o non sono presentati
in maniera sufficientemente concreta per poter essere debitamente esaminati, o
ancora, qualora si tratti di elementi di fatto, se esso constata che questi
ultimi non sono significativi o non sono sufficientemente distinti dagli
elementi di cui l’autorità accertante ha già potuto tenere conto.
62) Corte di Giustizia UE 18 ottobre 2018, n. C-662/17, E.G.: Rinvio pregiudiziale –
Sistema europeo comune di asilo – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46,
paragrafo 2 – Ricorso contro una decisione che nega il riconoscimento
dello status di rifugiato, ma accorda lo status conferito dalla protezione
sussidiaria – Ricevibilità – Assenza di interesse sufficiente qualora
lo status di protezione sussidiaria concesso da uno Stato membro offra gli
stessi diritti e gli stessi vantaggi che il diritto dell’Unione e quello nazionale
riconoscono allo status di rifugiato – Rilevanza, ai fini dell’esame
dell’identità dei suddetti diritti e vantaggi, della situazione individuale del
richiedente
L’articolo 46, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2013/32/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure
comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione
internazionale, deve essere interpretato nel senso che lo status conferito
dalla protezione sussidiaria, concesso da una normativa di uno Stato membro
come quella di cui trattasi nel procedimento principale, non offre «gli stessi
diritti e gli stessi vantaggi che il diritto dell’Unione e quello nazionale
riconoscono allo status di rifugiato», ai sensi di tale disposizione, di modo
che un giudice di tale Stato membro non può respingere, in quanto irricevibile,
un ricorso proposto contro una decisione che considera una domanda infondata
sotto il profilo del riconoscimento dello status di rifugiato, ma che concede
lo status conferito dalla protezione sussidiaria, a causa dell’insufficiente
interesse del richiedente alla continuazione del procedimento, allorché si
accerti che, conformemente alla normativa nazionale applicabile, tali diritti e
vantaggi attribuiti da tali due status di protezione internazionale non sono
effettivamente identici.
Un ricorso siffatto non può essere respinto, in quanto irricevibile,
neanche qualora si constati, alla luce della concreta situazione del
richiedente, che il riconoscimento dello status di rifugiato non sarebbe tale
da attribuirgli maggiori diritti e vantaggi rispetto alla concessione dello
status conferito dalla protezione sussidiaria, dal momento che il richiedente
non fa valere, o non fa ancora valere, diritti che sono attribuiti in forza
dello status di rifugiato, ma che non lo sono, ovvero lo sono, ma in misura
minore, in forza dello status conferito dalla protezione sussidiaria.
63) Corte di Giustizia UE 7 novembre 2018, n. C-380/17, K e B: Rinvio pregiudiziale –
Competenza della Corte – Direttiva 2003/86/CE – Diritto al
ricongiungimento familiare – Articolo 12 – Mancato rispetto del
termine di tre mesi dalla concessione di una protezione internazionale –
Beneficiario dello status conferito dalla protezione sussidiaria – Rigetto
di una domanda di visto
1) La Corte è competente, ai sensi
dell’articolo 267 TFUE, a interpretare l’articolo 12, paragrafo 1, della
direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto
al ricongiungimento familiare, in una situazione come quella di cui al
procedimento principale, in cui il giudice del rinvio è chiamato a pronunciarsi
sul diritto al ricongiungimento familiare di un beneficiario dello status
conferito dalla protezione sussidiaria, qualora detta disposizione sia stata
resa applicabile a una situazione siffatta, in modo diretto e incondizionato,
dal diritto nazionale.
2) L’articolo 12, paragrafo 1, della
direttiva 2003/86 non osta a una normativa nazionale che consente di respingere
una domanda di ricongiungimento familiare presentata per un familiare di un
rifugiato, sulla base delle disposizioni più favorevoli applicabili ai
rifugiati contenute nel capo V di tale direttiva, per il fatto che la suddetta
domanda è stata presentata più di tre mesi dopo la concessione al soggiornante
dello status di rifugiato, offrendo nel contempo la possibilità di presentare
una nuova domanda nell’ambito di un altro regime, a condizione che tale
normativa:
– preveda che un
siffatto motivo di rigetto non possa essere utilizzato in situazioni in cui
particolari circostanze rendono oggettivamente scusabile la presentazione
tardiva della prima domanda;
– preveda che le persone
interessate siano pienamente informate delle conseguenze della decisione di
rigetto della loro prima domanda e delle misure che sono tenute ad adottare al
fine di far valere efficacemente il loro diritto al ricongiungimento familiare,
e
– garantisca che i
soggiornanti riconosciuti come rifugiati continuino a godere delle condizioni
più favorevoli per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare
applicabili ai rifugiati, previste agli articoli 10 e 11 o all’articolo 12,
paragrafo 2, della suddetta direttiva
64) Corte di Giustizia UE 13 novembre 2018, (cause riunite) nn. C-47/17
e C-48/17, X e X: Rinvio
pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Regolamento (CE)
n. 1560/2003 – Determinazione dello Stato membro competente per
l’esame di una domanda di protezione internazionale – Criteri e meccanismi
di determinazione – Richiesta di presa o di ripresa in carico di un
richiedente asilo – Risposta negativa dello Stato membro richiesto –
Domanda di riesame – Articolo 5, paragrafo 2, del regolamento
n. 1560/2003 – Termine per la risposta – Scadenza – Effetti
L’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1560/2003 della
Commissione, del 2 settembre 2003, recante modalità di applicazione del
regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i
meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una
domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un
paese terzo, come modificato dal regolamento di esecuzione (UE)
n. 118/2014 della Commissione, del 30 gennaio 2014, dev’essere
interpretato nel senso che, nell’ambito della procedura di determinazione dello
Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione
internazionale, lo Stato membro investito di una richiesta di presa o di
ripresa in carico ai sensi dell’articolo 21 o dell’articolo 23 del regolamento
(UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno
2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato
membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un
apolide, il quale, dopo aver proceduto alle verifiche necessarie, abbia
risposto negativamente alla stessa entro i termini di cui all’articolo 22 o
all’articolo 25 di quest’ultimo regolamento e che abbia successivamente
ricevuto una domanda di riesame a norma del citato articolo 5, paragrafo 2,
deve, entro un termine di due settimane, procurare di rispondere a tale
domanda, in uno spirito di leale cooperazione.
Se lo Stato membro richiesto non risponde alla domanda stessa entro
tale termine di due settimane, la procedura aggiuntiva di riesame è
definitivamente chiusa, sicché, a partire dalla scadenza del suddetto termine,
lo Stato membro richiedente dev’essere considerato competente ai fini
dell’esame della domanda di protezione internazionale, salvo che disponga
ancora del tempo necessario per poter presentare, entro i termini improrogabili
previsti a tal fine dall’articolo 21, paragrafo 1, e dall’articolo 23,
paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013, una nuova richiesta di presa o di
ripresa in carico.
65) Corte di Giustizia UE 21 novembre 2018, n. C-713/17, Ayubi: Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2011/95/UE – Norme
inerenti al contenuto della protezione internazionale – Status di
rifugiato – Articolo 29 – Protezione sociale – Trattamento
differente – Rifugiati beneficiari di un diritto di soggiorno temporaneo
1) L’articolo 29 della direttiva
2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011,
recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della
qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme
per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione
sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere
interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui
trattasi nel procedimento principale, che prevede che ai rifugiati beneficiari
di un diritto di soggiorno temporaneo in uno Stato membro siano concesse
prestazioni di assistenza sociale di importo inferiore a quello delle
prestazioni riconosciute ai cittadini di tale Stato membro e ai rifugiati
beneficiari di un diritto di soggiorno permanente nel medesimo Stato membro.
2) Un rifugiato può invocare,
dinanzi ai giudici nazionali, l’incompatibilità con l’articolo 29, paragrafo 1,
della direttiva 2011/95 di una normativa come quella di cui trattasi nel
procedimento principale, affinché venga meno la restrizione dei suoi diritti
derivante da tale normativa.
Rober PANOZZO
(2 gennaio 2019)