Accesso dell’adottato all’identità
della madre biologica
Corte app. Catania 5 dicembre 2014
In difetto di una norma speciale emanata ad hoc dal legislatore, è il
procedimento regolato dal rito camerale, innanzi al Tribunale per i minorenni
che ha disposto l’adozione, che deve – oggi – applicarsi alle istanze formulate
ai sensi dell’art. 28, c. 7, della l. 184/1983, nel testo vigente dopo la
sentenza della Corte Costituzionale 328/2013
Il caso
Una donna chiede all’Autorità Giudiziaria di
conoscere le proprie origini, essendo stata adottata nel 1972, senza che la
madre biologica avesse consentito ad essere nominata.
Il Tribunale per i Minorenni, pur riconoscendo il
diritto della donna, respinge la richiesta, in mancanza di una normativa
legislativa per disciplinare la ricerca della madre biologica e l’indicazione
delle modalità di interpello.
La
Corte d’Appello accoglie il reclamo.
Questi i passaggi fondamentali della decisione:
-L’interesse alla tutela della
vita e della salute psicofisica di madre e figlio, nonché alla tutela della
riservatezza sono ancora oggi considerati rilevanti e meritevoli di tutela, ma
devono essere bilanciati con il diritto del figlio a conoscere le proprie
origini, che è una specificazione del diritto alla vita privata e familiare,
tutelato dalla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.
-Lo Stato italiano è stato
condannato dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU, Godelli c. Italia, 25.9.2012), unico organo legittimato ad interpretare la Convenzione, perché la
legislazione nazionale italiana non
assicurava un adeguato bilanciamento tra l’interesse della madre a mantenere
l’anonimato e l’interesse del figlio a conoscere le proprie origini ed a
costruire la propria personalità anche tramite le informazioni sulla identità
biologica.
-La sentenza resa dalla CEDU ha
effetti nel nostro ordinamento perché obbliga lo Stato italiano a conformarsi
alla decisione, ai sensi dell’art. 46 della Convenzione, ed a prevenire
ulteriori violazioni. Peraltro, secondo il consolidato arresto del Giudice
delle Leggi (cfr. le sentenze genelle
nn. 348 e 349 del 2007) la norma nazionale ritenuta dalla CEDU lesiva dei
diritti tutelati dalla Convenzione non può essere direttamente disapplicata dal
giudice italiano, ma può essere dichiarata costituzionalmente illegittima per
violazione dell’art. 117 Cost.
-Dopo la sentenza Godelli, il Tribunale per i minorenni di
Catanzaro ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28
della legge 184/1983, per violazione dell’art. 2, 3, 32 e 117 Cost. nella parte
in cui pone il divieto di accesso alle informazioni sull’origine dell’adottato,
“senza avere previamente verificato la persistenza della e volontà di non
volere essere nominata da parte della madre biologica”.
-La Corte Costituzionale
con la sentenza n. 328/2013 ha quindi dichiarato la norma illegittima, nella
parte in cui non prevede la possibilità
per il giudice di interpellare la madre, osservando che “mentre la scelta per l’anonimato
legittimamente impedisce l’insorgenza di una “genitorialità giuridica”, con effetti inevitabilmente
stabilizzati pro futuro, non appare ragionevole che quella scelta risulti
necessariamente e definitivamente preclusiva anche sul versante dei rapporti
relativi alla “genitorialità naturale”: potendosi quella scelta riguarda dare,
sul piano di quest’ultima, come opzione eventualmente revocabile (in seguito
alla iniziativa del figlio), proprio perché corrispondente alle motivazioni per
le quali essa è stata compiuta e può essere mantenuta”.
-La sentenza è quindi una sentenza additiva di
principio, ed individua il punto di equilibrio tra i contrapposti interessi, in
conformità alla Corte di Strasburgo, nella reversibilità dell’anonimato e
soprattutto nel riconoscimento in favore dell’adottato del potere di dare impulso ad una procedura che, pur con le
dovute cautele, consenta di verificare se persiste ancora la volontà di
mantenere l’anonimato, ovvero se la donna, anche valutando il desiderio del
figlio di conoscere le proprie origini, non muti la propria volontà al
riguardo.
-Non può quindi oggi dubitarsi
che esista nel nostro ordinamento, sia in ragione del disposto dell’art. 8
della Convenzione EDU, poiché la norma convenzionale vive nell’interpretazione
che della stessa è data dalla Corte di Strasburgo, e segnatamente in questo
caso nella interpretazione data nella sentenza Godelli, sia in virtù della pronunzia additiva di principio resa
dalla Corte Costituzionale, il diritto dell’adottato nato da parto anonimo a
conoscere le proprie origini, con il limite della accertata persistenza della
volontà della madre di mantenere il segreto. In concreto questo diritto si
esercita, come esplicitato nelle sentenze sopra citate, tramite l’impulso che l’adottato può dare alla procedura di
interpello della madre.
-La decisione impugnata appare
viziata da un duplice errore. In primo luogo perché non è attraverso la diretta
ed immediata rivelazione al richiedente della identità materna che si può
esercitare il diritto: la Corte di Strasburgo e la Consulta individuano il
punto di equilibrio tra i contrapposti interessi nel diritto della madre a
mantenere ferma la volontà dell’anonimato e quindi il diritto alla ricerca
delle origini può essere esercitato solo tramite l’interpello riservato, come
peraltro esplicitamente afferma la nostra Corte Costituzionale. In secondo
luogo, è erroneo ritenere che in assenza di una procedura stabilita dal
legislatore, pur fortemente raccomandata dalla Consulta, il giudice non possa
(recte: non debba) procedere comunque all’interpello purché con le opportune
cautele di riservatezza. Infatti, il diritto vivente, costituito dal reciproco
intrecciarsi in maniera coerente dei principi affermati nella sentenza della
Corte di Strasburgo e nella sentenza della Corte Costituzionale, chiaramente
afferma non solo la sussistenza di questo diritto soggettivo, ma anche il suo
limite (la persistenza della contraria volontà materna) e le sue modalità di
esercizio e cioè l’interpello riservato: al legislatore italiano resta quindi
soltanto da emanare la norma di dettaglio per regolare modi e forme di questo
interpello riservato, punto sul quale il legislatore è ancora inadempiente.
-Non può però il giudice, che è
tenuto ad applicare la legge, negare l’attuazione di un diritto fondamentale
della persona, specificamente riconosciuto nella sua consistenza e modalità di
esercizio, solo perché ne mancano nel dettaglio le modalità esecutive. Al
giudice ci si rivolge non perché affermi in via astratta la sussistenza di un
diritto, il che è compito del legislatore e del Giudice delle leggi, ma perché
lo attui nel caso concreto e specifico ed a tal fine egli dispone già di uno
strumento attuativo generale che è il processo. Peraltro, in questo caso, nel
compito di stabilire il “procedimento”
il legislatore è già stato vincolato dalla Corte Costruzione che ha indicato con specificità la
materia sulla quale si deve intervenire: e cioè non sul come bilanciare gli
interessi tra madre e figlio, ma solo su come disciplinare nel dettaglio la
procedura di una modalità di esercizio del diritto già individuata e descritta;
per la precisione, come si esprime la Consulta, il legislatore deve operare “scelte
procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso”.
-Se è pur vero che manca una
norma di dettaglio per stabilire con quali modalità il giudice provvede
all’interpello, è vero altresì che per la attuazione dei diritti della persona
ed in particolare per i diritti
familiari, esiste il procedimento regolato dal rito camerale, che, in difetto di
norma speciale emanata ad hoc dal legislatore, deve oggi applicarsi anche alle
istanze formulate ai sensi del comma 7 dell’art. 28 della legge 184/1983 nel
testo vigente dopo la sentenza additiva della Corte Costituzionale.
-La Corte ritiene inoltre, che
il giudice più adatto all’incombente non può che essere il Tribunale per i
minorenni che ha dato luogo all’adozione e che ha a disposizione strumenti e
risorse per effettuare l’interpello attuando
ogni cautela necessaria a garantire la riservatezza.
-Il reclamo merita pertanto
accoglimento, disponendo l’interpello riservato, in esito al quale, se la madre
presterà il suo consenso, si potrà rivelarne l’identità alla figlia.