giovedì 26 febbraio 2015





Residenza e (beneficio fiscale) ‘prima casa’

Cass. xx gennaio 2015, n. xx


Ai fini del beneficio fiscale ‘prima casa’, la prevalenza del dato anagrafico sulle risultanze fattuali deve tener conto della unicità del procedimento amministrativo finalizzato al mutamento dell'iscrizione anagrafica, sancito dalla vigente normativa, che, nell'affermare la necessità della saldatura temporale tra cancellazione dall'anagrafe del comune di precedente iscrizione ed iscrizione in quella del comune di nuova residenza, stabilisce che la decorrenza è quella della dichiarazione di trasferimento resa dall'interessato nel comune di nuova residenza; ne consegue che il beneficio fiscale della "prima casa" spetta a coloro che, pur avendone fatto formale richiesta, al momento dell'acquisto dell'immobile non abbiano ancora ottenuto il trasferimento della residenza nel comune in cui è situato l'immobile stesso

mercoledì 25 febbraio 2015





Documentazione amministrativa – Accesso (diritto di) – Consigliere comunale – Limiti


Tar Lombardia, Milano, xx settembre 2014, n. xx





Fermo il limite esterno di perseguire interessi personali o di tenere condotte emulative (limite esterno perché al di là di esso nemmeno è configurabile un diritto di accesso consiliare), il diritto all’accesso del consigliere comunale, incontra altri limiti – questa volta interni –  peculiari, in quanto per un verso connaturati allo scopo riconducibile all’accesso consiliare, per altro verso derivanti dalla necessità di non impedire l’esplicazione delle attività degli uffici amministrativi; sotto il primo profilo, deve sussistere un collegamento tra gli atti richiesti e l’attività consiliare, così da consentire al consigliere di valutare - con piena cognizione - la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell’ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale; sotto il secondo profilo, le richieste non possono essere né assolutamente generiche, né tali, in quanto non contenute entro gli immanenti limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, da aggravare eccessivamente la corretta funzionalità degli uffici amministrativi, fermo restando tuttavia che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso  In definitiva, fermo il limite esterno di perseguire interessi personali o di tenere condotte emulative, i limiti interni all’esercizio dell’accesso consiliare possono rinvenirsi, per un verso, nel fatto che esso non deve sostanziarsi in richieste di documentazione inutile all’espletamento del mandato, ovvero assolutamente generiche, e, per altro verso, nel fatto che esso deve avvenire in modo da non aggravare eccessivamente la corretta funzionalità degli uffici amministrativi, fermo restando tuttavia che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso.


martedì 24 febbraio 2015





Circolare Ministero (F.L.) dell’Interno 19 febbraio 2015, n. 4,  Documentazione rendiconti spese elettorali anticipate dai comuni. Dematerializzazione dei documenti



Com’è noto, i comuni, in presenza di consultazioni elettorali di interesse statale, devono trasmettere alle Prefetture il documentato rendiconto delle spese sostenute per l’organizzazione tecnica e l’attuazione delle consultazioni medesime ai fini del successivo rimborso (articolo 15, decreto legge n. 8 del 1993 e s.m.i).
Stante il notevole volume cartaceo prodotto dalle Amministrazioni interessate, questo Ufficio, alla luce dell’evoluzione normativa relativa alla dematerializzazione degli atti introdotta dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e s.m.i., ha interessato il competente Ministero dell’economia e delle finanze circa la possibilità di trasmettere la suddetta documentazione mediante supporti informatici.
Il citato Dicastero si è espresso positivamente ed ha fornito gli elementi utili ai fini della trasmissione telematica della documentazione in parola rinviando, per i profili di dettaglio, alla circolare n. 3 del 20 gennaio 2014 del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, disponibile sul sito internet del Dipartimento medesimo.
In particolare, ha precisato che la trasmissione telematica dei documenti deve avvenire nel rispetto di taluni imprescindibili requisiti, quali l’utilizzo della posta elettronica certificata, in quanto in grado di identificare univocamente il mittente ed il destinatario di un messaggio e di attestarne i momenti di invio e ricezione, e l’utilizzo della firma digitale, in quanto meccanismo riconosciuto dall’ordinamento per sottoscrivere, in formato elettronico, un documento informatico, attestandone l’autenticità e la provenienza.
Pertanto, per la piena efficacia giuridica della trasmissione telematica, le due condizioni (PEC e firma digitale), che soddisfano il requisito della forma scritta, devono sussistere contestualmente.
Ciò premesso, in occasione delle future consultazioni elettorali di interesse statale, i comuni dovranno trasmettere i rendiconti elettorali telematicamente per posta elettronica certificata (PEC).
A tal fine, sulle copie informatiche dei documenti da inviare, siano essi in origine analogici oppure informatici, dovrà essere apposta (singolarmente, su ciascuna delle copie) o associata (collettivamente, ad un insieme di copie) la firma digitale del responsabile del servizio, che attesti la conformità agli originali.
Si prega di prestare la massima attenzione sulle immagini riprodotte informaticamente ed in modo particolare su quelle che superano le dimensioni del foglio A4.
Gli enti che non possono provvedere alla trasmissione telematica della documentazione, essendo la dimensione degli atti da allegare superiore alla dimensione massima dei messaggi ammessa dal sistema di posta elettronica certificata, dovranno memorizzare i documenti informatici, completi della necessaria firma digitale del responsabile del servizio, su CD-ROM. Questi ultimi, al fine di soddisfare i caratteri di certezza dell’invio e della ricezione richiesti, dovranno essere trasmessi nelle forme tradizionali, quali allegati di una nota cartacea e spediti alla Prefettura di riferimento per posta raccomandata, ovvero mediante consegna a mano. Tale modalità, in ogni caso, è da considerarsi residuale e solo se ne ricorrono i presupposti sopra richiamati.
Infatti, il Ministero dell’economia e delle finanze ha evidenziato che il ricorso a questa forma di trasmissione “ibrida” (lettera cartacea con allegati informatici), non espressamente prevista dalle norme, trova giustificazione solo nel suddetto caso di eccessiva dimensione degli atti da trasmettere.
Alla luce di quanto suesposto, codeste Prefetture, ultimati i controlli di competenza, trasmetteranno alle locali Ragionerie provinciali, tramite posta elettronica certificata, ovvero con nota cartacea completa degli allegati CD-ROM, la documentazione di cui trattasi prodotta su supporto informatico, firmata digitalmente, in conformità alla normativa vigente che conferisce alla stessa il valore di originale ad ogni effetto di legge.
Tenuto conto delle innovazioni derivanti dalla dematerializzazione dei rendiconti elettorali, si prega di dare massima diffusione alla presente circolare, invitando i comuni ad attivare tutte le necessarie iniziative volte ad assicurare l’esatto adempimento delle nuove procedure informatiche.
Roma, 19 febbraio 2015

lunedì 23 febbraio 2015




Dichiarazione di residenza e responsabilità penale

Cass. Pen. xx 2014 (ud. xx 2014), n. xx


Poiché gli interessati hanno un obbligo di veridicità nelle proprie dichiarazioni anagrafiche, integra gli estremi del reato, previsto dall'art. 495 c.p., ogni falsa dichiarazione relativa all'effettivo luogo di residenza, considerato che per qualità personali deve intendersi, non solo lo stato e l'identità del soggetto, ma anche le altre indicazioni che concorrono a stabilire le condizioni della persona, ad individuarla ed identificarla, tra le quali rientrano residenza o domicilio

venerdì 20 febbraio 2015








ELETTORALE

ELEZIONI COMUNALI – PRESENTAZIONE DELLE LISTE – AUTENTICAZIONE DELLE FIRME – AUTENTICAZIONE DELLA PROPRIA FIRMA – POSIZIONI DELLA GIURISPRUDENZA


QUESITO

Avendo le elezioni comunali, nel primo semestre di quest’anno, ed avendo letto il suo saggio sulla presentazione delle liste per le elezioni comunali, pubblicato nella rivista Lo Stato Civile, Le chiedo se è a conoscenza di ulteriori sentenze in tema di auto-autenticazione della firma, oltre a quella del Tar Sardegna, citata nell’articolo di cui sopra ?





RISPOSTA


La – (pur) esigua (a quanto mi consta) – giurisprudenza sul punto non è univoca. Le segnalo le seguenti decisioni:

Favorevoli all’ammissibilità dell’ (auto)autenticazione

-Tar Sardegna xx 2000, n. xx

Osserva il Collegio come la legge 16 febbraio 1913, n. 89 (legge notarile), all’art. 28 individui in relazione al contenuto negoziale o meno della dichiarazione le fattispecie nelle quali il notaio non può ricevere atti che contengono disposizioni che interessano se stesso o suoi parenti in linea retta.
OMISSIS
La problematica deve essere ulteriormente rivista alla luce della richiamata legge 30 aprile 1999, n. 120, la quale ha consentito agli amministratori locali di autenticare le firme dei presentatori dei candidati alle elezioni del medesimo ente.
Deve essere rimarcato il contenuto della disposizione in commento, che ammette esplicitamente il pubblico ufficiale ad intervenire con i poteri certificativi attribuitigli sulla firma di un atto del quale ben può essere beneficiario, nell’ipotesi (certamente la più frequente nella pratica) nella quale egli sia uno dei candidati di quella lista (non è ipotesi del tutto isolata: l’art. 12, quarto comma, del R.D. 29 marzo 1942, n. 239, esplicitamente ammette il notaio ad autenticare la sottoscrizione del girante di titoli azionari anche quando la girata è disposta in suo favore).
Se questo è vero, deve anche essere osservato come la disposizione si presti ad abusi nella sola ipotesi in cui l’amministratore sia chiamato a certificare la sottoscrizione altrui: in quel caso, può esservi l’interesse dell’amministratore ad attestare falsamente l’autenticità di una firma, senza la quale il numero dei presentatori della lista sarebbe insufficiente.
E’ palese, invece, che l’amministratore non ha alcun interesse a falsamente attestare l’autenticità della propria firma: non ravvisa, quindi, il Collegio alcun interesse attinente alla salvaguardia della pubblica fede che impedisca all’amministratore locale, pubblico ufficiale legittimato all’autentica di firme di soggetti che compiono una dichiarazione della quale è beneficiario, ad attestare che la firma apposta in calce all’accettazione della candidatura è effettivamente la propria.
OMISSIS


-Tar Campania. Napoli, xx 2011, n. xx


OMISSIS
A parte l’assenza sia di un simile precetto, sia, ovviamente, della prospettata sanzione di nullità, a non convincere è la stessa prospettazione del ricorrente, secondo cui nell’attività di autenticazione delle sottoscrizioni dovrebbe sussistere necessariamente una condizione di terzietà – da intendersi, più propriamente, come alterità fisica – tra chi appone la sottoscrizione e colui che procede all’autentica.
OMISSIS
Dalla evocata disciplina emerge che la funzione generale di autenticazione, non resa diversa ai fini della censura in esame dalla specialità del procedimento elettorale, consta di due compiti specifici: il pubblico ufficiale attesta che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza in luogo e data specificati da parte di un soggetto di cui egli ha proceduto all’identificazione. Si tratta, quindi, dell’attestazione del compimento di un’attività materiale, segnatamente l’apposizione della sottoscrizione, con immediata trasposizione del risultato di tale percezione in un documento rappresentativo dell’accaduto munito di fede privilegiata, come avviene per gli atti pubblici.
Ebbene, a parte la considerazione che nemmeno in questo caso è dato rinvenire nella disciplina di settore alcuna norma che ponga formalmente come limite all’attività di autenticazione la necessaria alterità soggettiva tra chi autentica e chi sottoscrive, è proprio all’essenza della funzione di autenticazione che non osta la mancanza di un’indefettibile dualità fisica; invero, l’autenticazione non rientra né si risolve in una funzione di controllo, attività, quest’ultima, a cui in linea generale può ricondursi l’esigenza di una differenziazione soggettiva tra controllore e controllato, che, assecondando logiche di trasparenza e di imparzialità amministrativa, consente di giustificare il fatto che il titolare del potere di controllo sia, in questi termini, “terzo”, ossia indipendente o comunque svincolato da un punto di vista organizzativo e funzionale da chi ha svolto l’attività di primo grado.
Nell’attività di autenticazione, invece, non sussiste una finalità di controllo, essendovi unicamente la certificazione da parte del pubblico ufficiale dell’avvenuta apposizione in sua presenza di una sottoscrizione da parte di un soggetto identificato, quindi di un’attività materiale, magari in calce ad un’istanza o dichiarazione della cui veridicità sotto il profilo ideologico egli non si pone nemmeno come garante; a ben vedere, anche nell’affine attività di autenticazione di copie di atti e documenti (art. 18 del D.P.R. 28 dicembre 2000 n.445) chi procede all’attestazione di conformità non risponde del contenuto ideologico di questi, ma solo della loro accertata identità fisica.
Non ricorrendo i presupposti di applicazione del principio generale per cui nessuno sarebbe idoneo a controllare se stesso – principio, tra l’altro, di discutibile rigidità in diritto pubblico, in cui il dominio dei canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento sottendono piuttosto un generale potere di revirement che si risolve nella funzione di autotutela a cui non sono estranee finalità di controllo successivo – nel caso di specie non vi è ragione di ritenere che il soggetto titolare del relativo potere non possa autenticare anche la propria sottoscrizione, purché, ovviamente, l’attestazione contenga i requisiti minimi prescritti dalla legge ossia l’identificazione di chi appone la sottoscrizione e l’indicazione della data e del luogo in cui la stessa è stata apposta. Opinare diversamente significherebbe introdurre una presunzione assoluta di incompatibilità di cui manca ogni traccia in diritto positivo e che non trova giustificazione nemmeno in esigenze sostanziali di certezza giuridica ulteriori rispetto a quelli esigibili dall’attività di autentica della sottoscrizione di soggetti diversi dal pubblico ufficiale che vi procede.
OMISSIS



-Tar Lombardia, Brescia, xx 2014, n. xx

OMISSIS

(b) l’autenticazione delle sottoscrizioni dei candidati (v. art. 28 comma 7 del DPR 16 maggio 1960 n. 570) è diretta a prevenire il rischio di abusi e contraffazioni, e pertanto una volta che tale fine sia stato raggiunto, anche se con modalità diverse da quelle ordinarie, l’atto sottoscritto deve essere considerato esistente ed efficace;
(c) con riferimento al caso specifico, si ritiene che il requisito della terzietà, normalmente necessario in capo al soggetto investito della funzione autenticante, possa essere sostituito dalla certezza sui dati personali associata alla qualifica di consigliere uscente, la quale è appunto il presupposto della funzione autenticante. In altri termini, quando il consigliere uscente opera contemporaneamente e contestualmente come soggetto con compiti notarili e come soggetto politico interessato a presentare la propria candidatura, se non si dubita (come in effetti non si dubita) della provenienza delle sottoscrizioni degli altri candidati autenticate da tale consigliere, non è neppure possibile dubitare della genuinità della sottoscrizione apposta dallo stesso sulla propria dichiarazione di accettazione della candidatura;
(d) al contrario, esigere come requisito di validità l’intervento di un diverso soggetto autenticatore implicherebbe non solo un formalismo superfluo ma l’esistenza di un’aporia nella normativa elettorale. In sostanza, le disposizioni sulla presentazione delle candidature risulterebbero contraddittorie, perché attribuirebbero piena fede alla dichiarazione di identità del consigliere uscente quando quest’ultimo autentica sottoscrizioni di terzi e nessun rilievo alla medesima dichiarazione di identità quando la stessa riguarda la candidatura dello stesso consigliere uscente. Quale regola generale occorre invece evitare di attribuire alla norma un significato contraddittorio o irragionevole;
OMISSIS



Contrari all’ammissibilità dell’ (auto)autenticazione



-Tar Friuli Venezia Giulia xx 2014, n. xx

OMISSIS

Inoltre la certificazione relativa all'identità personale di un soggetto, ovvero, il che è uguale, l'autentica di una firma, cioè la certificazione che il soggetto che ha firmato corrisponde all'identità della firma, per sua stessa natura non può che provenire da un pubblico ufficiale che sia diverso rispetto al soggetto autenticato.
L'intera normativa citata da parte ricorrente e sopra citata, se da un lato non vieta in modo espresso un'autocertificazione, tuttavia deve essere interpretata alla luce dei principi che disciplinano le autentiche, tra cui l'ovvia circostanza che l'autentica di una firma e la certificazione dell'identità non può altro che provenire da un soggetto diverso dal soggetto della cui autentificazione si tratta.
Del resto, la stessa normativa relativa alle autentiche di cui all’articolo 2703 del Codice civile, nel definire il concetto di autentificazione, parla di attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata posta in sua presenza previo accertamento dell'identità della persona che sottoscrive. Tale disposizione implica chiaramente per sua stessa natura che il pubblico ufficiale sia persona diversa dal sottoscrittore.
La normativa in materia di elezioni ha esteso, ben oltre alla categoria dei notai, il novero dei soggetti pubblici ufficiali che possono procedere all'autentificazione dei candidati, includendovi anche i consiglieri comunali, ma non ha affatto modificato la natura e il contenuto dell’autentificazione stessa.
OMISSIS









Tar Piemonte xx ottobre 2014, n. xx

Elezioni – Elezioni amministrative – Impugnative





E’ inammissibile l’impugnativa degli atti di nomina (e di revoca della nomina) a Presidente di seggio, avanzata con il rito – speciale – ex art. 130 c.p.a., anziché con il rito ordinario [osserva il Collegio che “in questo caso …. non si tratta propriamente di “atti del procedimento elettorale” (gli unici che il citato art. 130 assoggetta al rito speciale elettorale), ma di atti meramente preparatori che non afferiscono né al momento dello svolgimento delle operazioni di voto, né alla successiva fase dello spoglio e dell’attribuzione, alle singole liste, dei voti di preferenza”]

giovedì 19 febbraio 2015





Tar Veneto xx 2014, n. xx

1.Cittadinanza italiana – Acquisto per concessione – Rigetto dell’istanza – Tar competente a decidere il ricorso

2.Cittadinanza italiana – Acquisto per concessione – Presupposti – Residenza (decennale) – Nozione



Non rientra nella competenza del Tar del Lazio, sede di Roma, ma in quella del tribunale territoriale, la controversia avverso l’atto con il quale il Prefetto dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento della cittadinanza, posto che tale atto non è pienamente equiparabile ad un diniego, e solo il diniego, emanato da un organo centrale dello Stato, è idoneo ad incidere sullo “status” del soggetto interessato con efficacia “erga omnes”, ed ha efficacia su tutto il territorio nazionale.

La residenza legale non può prescindere dall’iscrizione anagrafica, la quale rappresenta un requisito richiesto dalla norma, alla cui assenza non è possibile ovviare mediante la produzione di dati ed elementi atti a comprovare la presenza sul territorio [sulla base del principio, il Collegio ha respinto il ricorso dello straniero contro il provvedimento del Prefetto che, per effetto della mancata notifica del decreto di concessione della cittadinanza italiana, a seguito della cancellazione anagrafica del beneficiario,  per emigrazione all’estero, aveva dichiarato inammissibile (?) l’istanza, a norma dell’art. 4, c. 7, del d.P.R. 572/1993]


mercoledì 18 febbraio 2015





Atti dell’autorità politica e … cinguettii


Cons. di Stato, VI, 12 febbraio 2015, n. 769

OMISSIS

FATTO
Con ricorso notificato in data 27 settembre 2013 il Comune di S. esponeva di aver approvato, all’esito di un apposito concorso di progettazione, un intervento di riqualificazione architettonica ed artistica di piazza Verdi; poiché la piazza in questione é stata realizzata oltre settanta anni fa, nelle more della verifica della effettiva sussistenza dell’interesse culturale, tutelata come bene culturale ai sensi degli artt. 10 comma 4 lett. g) e 12 comma 1 del D. Lgs. n. 42/2004, il Comune, con istanza dell’8 maggio 2012 chiedeva alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della OMISSIS l’autorizzazione ex art. 21 del D. Lgs. citato all’esecuzione del progetto; con provvedimento del 6 novembre 2012 n. 33062 la Soprintendenza rilasciava l’autorizzazione in questione, con la motivazione che le opere “sembrano, allo stato attuale delle conoscenze, migliorare l’aspetto generale della piazza e quindi risultare compatibili con le esigenze di tutela monumentale del sito”; nel contesto dell’atto la Soprintendenza invitava il Comune ad avviare presso la Direzione regionale la necessaria procedura di verifica dell’interesse culturale relativo all’immobile in oggetto; ottenuta l’autorizzazione ex art. 21 D. Lgs. n. 42/2004, il Comune stipulava in data 29 maggio 2013 il contratto con l’impresa aggiudicataria, ed il successivo 17 giugno 2013 procedeva alla consegna dei lavori; successivamente e nel contempo, si sviluppava un’accesa contestazione del progetto prescelto (V.) da parte di singoli cittadini, di comitati e di associazioni ambientaliste contrari ad esso e in particolare all’abbattimento del filare di pini marittimi, insito nella realizzazione dei lavori di riqualificazione di piazza Verdi; in data 15 giugno 2013 un tweet del Ministro OMISSIS preannunciava la richiesta al comune di sospendere i lavori in attesa della verifica del progetto da parte del Ministero; in data 17 giugno 2013 gli organi periferici del Ministero per i beni e le attività culturali sollecitavano nuovamente al Comune l’avvio del procedimento di verifica dell’interesse culturale della piazza, invitandolo a non procedere nelle more alla rimozione di componenti il cui interesse culturale non fosse stato definitivamente accertato e autorizzando la prosecuzione dei lavori “limitatamente agli interventi sulla sede viaria ed i marciapiedi, con esclusione delle opere interessanti l’area centrale della piazza e le componenti arboree ivi presenti” (con nota della Soprintendenza del 21 giugno 2013 n. 18386).
Gli atti da ultimo menzionati venivano impugnati dal Comune di S. con il ricorso originario deducendo i vizi di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere, sotto vari profili.
In sintesi, si sosteneva che: a) le dichiarazioni via tweet e a mezzo stampa del Ministro integravano un’inammissibile usurpazione di funzioni amministrative di esclusiva competenza dirigenziale; b) l’atto della Direzione regionale aveva in sostanza disapplicato l’atto autorizzatorio della Soprintendenza del 6 novembre 2012, con il quale si escludeva ogni valore artistico e storico del filare di pini; c) l’avvio del procedimento di verifica dell’interesse culturale era per il Comune una mera facoltà, poichè, ai sensi dell’art. 12, primo comma del codice dei beni culturali, l’autorizzazione soprintendentizia del 6 novembre 2012 legittima comunque l’esecuzione dei lavori, anche in pendenza della verifica; d) con l’autorizzazione del 6 novembre 2012 la Soprintendenza aveva ritenuto il progetto in toto compatibile, escludendo il riconoscimento di alcun valore storico-artistico alla alberatura centrale, a prescindere dall’età dei pini; e) l’avvio della verifica ex art. 12.2 del D. Lgs. n. 42/2004 non legittimava comunque la sospensione dei lavori, in quanto la sua funzione è quella di escludere – sussistendone i presupposti – l’interesse dei beni cautelarmente tutelati all’art. 12, primo comma; f) difettava la comunicazione di avvio del procedimento, né era motivata la omissione; g) gli atti impugnati non motivavano circa le gravi ragioni richieste dalla norma rubricata per disporre la sospensione dell’efficacia dell’autorizzazione soprintendentizia h) se gli atti di sospensione fossero stati espressione del potere cautelare ex art. 28.2 del D. Lgs. n. 42/2004, essi sarebbero stati illegittimi in quanto tale potere è esercitabile soltanto in carenza di atti autorizzativi, nel caso di specie invece sussistenti.
OMISSIS
DIRITTO

OMISSIS

Al riguardo, solo per scrupolo di completezza, il Collegio osserva che gli atti dell’autorità politica, limitati all’indirizzo, controllo e nomina ai sensi del decreto legislativo n.165 del 2001, debbono pur sempre concretarsi nella dovuta forma tipica dell’attività della pubblica amministrazione (Cons. Stato, V, 24 settembre 2003, n.5444, Cassazione civile, sezione II, 30 maggio 2002, n.7913; III, 12 febbraio 2002, n.1970), anche, e a maggior ragione, nell’attuale epoca di comunicazioni di massa, messaggi, cinguettii, seguiti ed altro, dovuti alle nuove tecnologie e alle nuove e dilaganti modalità di comunicare l’attività politica.


OMISSIS



VENETO - ELEZIONI REGIONALI 2015



ZAIA PROMULGA LA NUOVA LEGGE ELETTORALE DEL VENETO E CIAMBETTI FIRMA IN PREFETTURA LA CONVENZIONE PER LA GESTIONE DELLE OPERAZIONI DI VOTO

martedì 27 gennaio 2015

COMUNICATO STAMPA

l presidente Luca Zaia ha promulgato oggi la legge, approvata dall’assemblea di palazzo Ferro Fini il 22 gennaio scorso, che modifica la precedente normativa elettorale e che introduce le nuove regole per l’elezione del presidente della Regione del Veneto e il rinnovo del Consiglio regionale, sulla base delle quali i cittadini veneti potranno esprimere per la prima volta il proprio voto la prossima primavera.

Queste, in sintesi, le novità rispetto alle elezioni del 2010, che si sono svolte in base alla legge statale:
• i consiglieri regionali passano da 60 a 49 (oltre al presidente eletto e al candidato presidente miglior perdente);
• è introdotto - da ora in poi - il limite di due mandati sia per il presidente che per gli assessori, nonché (in base alle modifiche da ultimo introdotte) per i consiglieri regionali;
• gli elettori potranno votare sia per i candidati presidenti, sia per i propri rappresentanti in Consiglio regionale: è data la massima libertà agli elettori, che potranno anche esprimere un voto disgiunto, cioè il voto a un candidato presidente e, contemporaneamente, a una lista a lui non collegata;
• in Consiglio regionale non siederanno dei “nominati” dai partiti: è infatti consentita l’espressione del voto di preferenza;
• le liste dovranno essere composte in misura eguale da candidati di sesso maschile e femminile, alternati tra loro (50% dei candidati di ciascuna lista dovrà essere di genere femminile);
• a livello provinciale, le liste di ogni partito saranno composte da un numero di candidati pari ai consiglieri da eleggere in ogni circoscrizione; è stata però introdotto un correttivo per le Province di Belluno e Rovigo che essendo meno popolose si trovano a eleggere un minor numero di consiglieri. In queste Province il numero di candidati per ogni lista potrà arrivare fino a 5 (in modo da rendere possibili eventuali sostituzioni in caso di dimissioni o impedimenti degli eletti);
• a differenza che in altre Regioni non è stata innalzata la soglia di sbarramento: sono ammesse al riparto dei seggi sia le coalizioni (insieme di partiti che appoggiano lo stesso presidente) che ottengono il 5 % dei voti di coalizione, sia le coalizioni composte da  almeno un partito (gruppo di liste presentate in più province con lo stesso simbolo) che hanno ottenuto il 3% dei voti di lista.

Nel frattempo l’assessore agli enti locali, Roberto Ciambetti, si è recato in Prefettura a Venezia, dove è stato dato l’avvio al percorso organizzativo e procedurale che porterà alla prossima chiamata alle urne. 
“Essendo stata trasferita la competenza in materia elettorale dallo Stato alla Regione – ha spiegato Ciambetti – stiamo, attraverso apposite convenzioni, acquisendo gli strumenti per organizzare il voto: abbiamo già firmato quella con il Ministero dell’Interno per l’uso della piattaforma informatica e ora firmiamo con le Prefetture per la gestione del procedimento e delle operazioni elettorali sul territorio, avvalendoci della loro consolidata esperienza in materia”.

“Per quanto riguarda la data delle elezioni – ha precisato Ciambetti –, da alpino  escluderei il 17 maggio, quando decine di migliaia di Penne Nere venete parteciperanno all’adunata nazionale all’Aquila. Il problema dell’election day non è solo veneto e credo che la soluzione, rispettosa delle esigenze di tutti, tocchi a chi in maniera improvvida lo ha creato. Fortunatamente l’ostacolo è aggirabile con un pizzico di buona volontà”.

Dal sito http://www.regione.veneto.it/web/guest/comunicati-stampa/dettaglio-comunicati?_spp_detailId=2830842

lunedì 16 febbraio 2015





Ripresa della convivenza dopo la separazione


Cass. xx dicembre 2014, n. xx


La convivenza, ripresa dopo la separazione ed idonea ad interromperla, non deve essere caratterizzata dalla temporaneità, dovendosi ricostituire concretamente il preesistente vincolo coniugale, nella sua essenza materiale e spirituale, di certo non realizzabile se l'altro coniuge si trova in carcere.

venerdì 13 febbraio 2015





Circolare I.N.P.S. 13 febbraio 2015, n. 33, Trasmissione telematica all’Inps del certificato di accertamento del decesso da parte dei medici necroscopi. Attuazione della legge n. 190 del 23 dicembre 2014 (legge di stabilità per il 2015)


Quadro di riferimento

Il puntuale aggiornamento delle variazioni anagrafiche permette all’Istituto di verificare la permanenza delle condizioni e/o dei requisiti per l’erogazione delle prestazioni e di svolgere in maniera tempestiva gli adempimenti connessi all’eventuale eliminazione delle prestazioni non dovute.

Come noto, tali informazioni pervengono all’Istituto da parte dei Comuni mediante trasmissione telematica, nel rispetto delle modalità e dei tempi previsti dalla normativa vigente. Il raggiungimento di un elevato livello del processo di comunicazione, riducendo sensibilmente il rischio di possibili pagamenti di prestazioni non dovute, ha prodotto, con la diminuzione dei costi, rilevanti risultati in termini di efficacia e di efficienza dell’azione amministrativa.

L’art. 1 della legge n. 190 del 23 dicembre 2014, al comma 303 e seguenti, ha introdotto alcune importanti novità sulla materia. In particolare, ha previsto per i medici necroscopi l’obbligo di invio telematico all’Inps del certificato di accertamento del decesso entro 48 ore dall’evento, utilizzando le stesse modalità già in uso per la trasmissione delle certificazioni di malattia on-line.

In caso di violazione del suddetto obbligo da parte dei medici necroscopi, si applicano le medesime sanzioni pecuniarie di importo variabile tra 100 e 300 euro previste per il responsabile del procedimento amministrativo delle anagrafi comunali (art. 46 D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326).

Dalla data del decesso, le prestazioni in denaro già erogate al pensionato da parte dell’INPS si intendono corrisposte con riserva, ai fini della verifica del diritto.

Gli Uffici pagatori (Banche e Poste), sui cui conti correnti tali somme sono accreditate, sono tenuti:

  • a restituire prontamente all’Istituto le somme corrisposte con riserva, nel caso in cui si accertasse che il beneficiario non ne avesse avuto diritto;
  • a fornire all’INPS le generalità del soggetto che ha disposto di tali somme, in caso di impossibilità sopravvenuta ad effettuare la restituzione.

Ciò premesso, al fine di dare piena esecuzione a quanto previsto dalla nuova norma di legge, la Direzione Centrale Sistemi Informativi ha messo a punto l’ applicazione, ad uso dei medici che accertano i decessi,  per la trasmissione della “comunicazione di constatazione del decesso” attraverso il portale INTERNET.

Specifiche tecniche

L’accesso al servizio di trasmissione telematica dei certificati di constatazione del decesso avviene attraverso il portale INTERNET dell’Istituto, nell’ambito dei Servizi per i Medici Certificatori, con l’identificazione tramite codice fiscale e l’autenticazione tramite PIN.

I medici già riconosciuti dall’Istituto, perché accreditati per l’invio dei certificati medici introduttivi alle domande di invalidità civile, e convenzionati con il S.S.N., non hanno bisogno di richiedere di nuovo l’abilitazione all’Istituto.

I medici non ancora riconosciuti dall’Istituto dovranno, ai fini dell’accreditamento:

  • scaricare e stampare il modulo di richiesta del PIN disponibile sul sito Inps e presso le Strutture territoriali dell’Istituto;
  • recarsi personalmente presso una qualunque Struttura territoriale  dell’Inps, muniti di un documento d’identità;
  • consegnare il modulo di richiesta del PIN, debitamente compilato e sottoscritto, che verrà conservato agli atti.

L’operatore Inps provvederà alla registrazione dei dati anagrafici e all’attribuzione di un codice PIN iniziale di accesso che consegnerà in busta chiusa numerata al medico.
Al primo accesso, il medico dovrà modificare il PIN iniziale seguendo la procedura guidata.
Per le successive eventuali comunicazioni con l’Istituto, il medico fornirà  l’indirizzo della sua casella PEC (Posta Elettronica Certificata), prevista dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.

Per accedere al servizio è necessario seguire la seguente procedura:
  • Collegarsi al portale dell’Istituto, disponibile all’indirizzo http://www.inps.it
  • nella sezione “Servizi Online”, selezionare la voce “Per tipologia di utente”;
  • nella schermata riportante l’elenco dei servizi, suddivisi per tipologia di utente, posizionarsi sulla categoria dei “Medici Certificatori” e selezionare la voce “Certificato di constatazione del decesso”.

Una volta fornite le credenziali di accesso (Codice fiscale e PIN), al medico autenticato verrà presentata la Home Page (o Pagina di accoglienza), riportante i suoi dati i identificativi (da confermare e/o modificare).

Il medico potrà accedere alle varie funzionalità messe a disposizione dal sistema tramite un menù di scelta rapido che consente di:
  • trasmettere il certificato tramite il Codice Fiscale del deceduto;
  • consultare e stampare i certificati di competenza emessi e trasmessi o l’elenco dei soggetti per i quali la trasmissione del certificato non sia riuscita;
  • annullare un certificato.

Per maggiori dettagli in ordine alle modalità operative si rimanda al manuale utente pubblicato sulle singole pagine del servizio.

Le informazioni presenti sui certificati di decesso pervenuti dai medici saranno, in modalità del tutto analoga alla gestione dei dati provenienti dalle anagrafi comunali, messe prontamente a disposizione della base anagrafica ARCA e degli archivi delle prestazioni pensionistiche erogate.

Si precisa, infine, che l’INPS procederà all’acquisizione telematica dei certificati di accertamento del decesso con data evento successiva alla pubblicazione della presente circolare.





Accesso dell’adottato all’identità della madre biologica

Corte app. Catania 5 dicembre 2014
In difetto di una norma speciale emanata ad hoc dal legislatore, è il procedimento regolato dal rito camerale, innanzi al Tribunale per i minorenni che ha disposto l’adozione, che deve – oggi – applicarsi alle istanze formulate ai sensi dell’art. 28, c. 7, della l. 184/1983, nel testo vigente dopo la sentenza della Corte Costituzionale 328/2013


Il caso
Una donna chiede all’Autorità Giudiziaria di conoscere le proprie origini, essendo stata adottata nel 1972, senza che la madre biologica avesse consentito ad essere nominata.
Il Tribunale per i Minorenni, pur riconoscendo il diritto della donna, respinge la richiesta, in mancanza di una normativa legislativa per disciplinare la ricerca della madre biologica e l’indicazione delle modalità di interpello.
La Corte d’Appello accoglie il reclamo.
Questi i passaggi fondamentali della decisione:
-L’interesse alla tutela della vita e della salute psicofisica di madre e figlio, nonché alla tutela della riservatezza sono ancora oggi considerati rilevanti e meritevoli di tutela, ma devono essere bilanciati con il diritto del figlio a conoscere le proprie origini, che è una specificazione del diritto alla vita privata e familiare, tutelato dalla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.

-Lo Stato italiano è stato condannato dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU, Godelli c. Italia, 25.9.2012), unico  organo legittimato ad interpretare la Convenzione, perché la  legislazione nazionale italiana non assicurava un adeguato bilanciamento tra l’interesse della madre a mantenere l’anonimato e l’interesse del figlio a conoscere le proprie origini ed a costruire la propria personalità anche tramite le informazioni sulla identità biologica.

-La sentenza resa dalla CEDU ha effetti nel nostro ordinamento perché obbliga lo Stato italiano a conformarsi alla decisione, ai sensi dell’art. 46 della Convenzione, ed a prevenire ulteriori violazioni. Peraltro, secondo il consolidato arresto del Giudice delle Leggi (cfr. le sentenze genelle nn. 348 e 349 del 2007) la norma nazionale ritenuta dalla CEDU lesiva dei diritti tutelati dalla Convenzione non può essere direttamente disapplicata dal giudice italiano, ma può essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117 Cost.

-Dopo la sentenza Godelli, il Tribunale per i minorenni di Catanzaro ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28 della legge 184/1983, per violazione dell’art. 2, 3, 32 e 117 Cost. nella parte in cui pone il divieto di accesso alle informazioni sull’origine dell’adottato, “senza avere previamente verificato la persistenza della e volontà di non volere essere nominata da parte della madre  biologica”.

-La Corte Costituzionale con la sentenza n. 328/2013 ha quindi dichiarato la norma illegittima, nella parte in cui non prevede  la possibilità per il giudice di interpellare la madre, osservando che “mentre la scelta  per          l’anonimato legittimamente impedisce  l’insorgenza  di una “genitorialità giuridica”, con effetti inevitabilmente stabilizzati pro futuro, non appare ragionevole che quella scelta risulti necessariamente e definitivamente preclusiva anche sul versante dei rapporti relativi alla “genitorialità naturale”: potendosi quella scelta riguarda dare, sul piano di quest’ultima, come opzione eventualmente revocabile (in seguito alla iniziativa del figlio), proprio perché corrispondente alle motivazioni per le quali essa è stata compiuta e può essere mantenuta”.

 -La sentenza è quindi una sentenza additiva di principio, ed individua il punto di equilibrio tra i contrapposti interessi, in conformità alla Corte di Strasburgo, nella reversibilità dell’anonimato e soprattutto nel riconoscimento in favore dell’adottato del potere di  dare impulso ad una procedura che, pur con le dovute cautele, consenta di verificare se persiste ancora la volontà di mantenere l’anonimato, ovvero se la donna, anche valutando il desiderio del figlio di conoscere le proprie origini, non muti la propria volontà al riguardo.

-Non può quindi oggi dubitarsi che esista nel nostro ordinamento, sia in ragione del disposto dell’art. 8 della Convenzione EDU, poiché la norma convenzionale vive nell’interpretazione che della stessa è data dalla Corte di Strasburgo, e segnatamente in questo caso nella interpretazione data nella sentenza Godelli, sia in virtù della pronunzia additiva di principio resa dalla Corte Costituzionale, il diritto dell’adottato nato da parto anonimo a conoscere le proprie origini, con il limite della accertata persistenza della volontà della madre di mantenere il segreto. In concreto questo diritto si esercita, come esplicitato nelle sentenze sopra citate, tramite l’impulso che  l’adottato può dare alla procedura di interpello della madre.


-La decisione impugnata appare viziata da un duplice errore. In primo luogo perché non è attraverso la diretta ed immediata rivelazione al richiedente della identità materna che si può esercitare il diritto: la  Corte di Strasburgo e la Consulta individuano il punto di equilibrio tra i contrapposti interessi nel diritto della madre a mantenere ferma la volontà dell’anonimato e quindi il diritto alla ricerca delle origini può essere esercitato solo tramite l’interpello riservato, come peraltro esplicitamente afferma la nostra Corte Costituzionale. In secondo luogo, è erroneo ritenere che in assenza di una procedura stabilita dal legislatore, pur fortemente raccomandata dalla Consulta, il giudice non possa (recte: non debba) procedere comunque all’interpello purché con le opportune cautele di riservatezza. Infatti, il diritto vivente, costituito dal reciproco intrecciarsi in maniera coerente dei principi affermati nella sentenza della Corte di Strasburgo e nella sentenza della Corte Costituzionale, chiaramente afferma non solo la sussistenza di questo diritto soggettivo, ma anche il suo limite (la persistenza della contraria volontà materna) e le sue modalità di esercizio e cioè l’interpello riservato: al legislatore italiano resta quindi soltanto da emanare la norma di dettaglio per regolare modi e forme di questo interpello riservato, punto sul quale il legislatore è  ancora inadempiente.

-Non può però il giudice, che è tenuto ad applicare la legge, negare l’attuazione di un diritto fondamentale della persona, specificamente riconosciuto nella sua consistenza e modalità di esercizio, solo perché ne mancano nel dettaglio le modalità esecutive. Al giudice ci si rivolge non perché affermi in via astratta la sussistenza di un diritto, il che è compito del legislatore e del Giudice delle leggi, ma perché lo attui nel caso concreto e specifico ed a tal fine egli dispone già di uno strumento attuativo generale che è il processo. Peraltro, in questo caso, nel compito di stabilire il  “procedimento” il legislatore è già stato vincolato dalla Corte  Costruzione che ha indicato con specificità la materia sulla quale si deve intervenire: e cioè non sul come bilanciare gli interessi tra madre e figlio, ma solo su come disciplinare nel dettaglio la procedura di una modalità di esercizio del diritto già individuata e descritta; per la precisione, come si esprime la Consulta, il legislatore deve operare “scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso”.

-Se è pur vero che manca una norma di dettaglio per stabilire con quali modalità il giudice provvede all’interpello, è vero altresì che per la attuazione dei diritti della persona ed in particolare  per i diritti familiari, esiste il procedimento regolato dal rito camerale, che, in difetto di norma speciale emanata ad hoc dal legislatore, deve oggi applicarsi anche alle istanze formulate ai sensi del comma 7 dell’art. 28 della legge 184/1983 nel testo vigente dopo la sentenza additiva della Corte Costituzionale.

-La Corte ritiene inoltre, che il giudice più adatto all’incombente non può che essere il Tribunale per i minorenni che ha dato luogo all’adozione e che ha a disposizione strumenti e risorse per effettuare l’interpello  attuando ogni cautela necessaria a garantire la riservatezza.

-Il reclamo merita pertanto accoglimento, disponendo l’interpello riservato, in esito al quale, se la madre presterà il suo consenso, si potrà rivelarne l’identità alla figlia.


giovedì 12 febbraio 2015





Assegno di maternità e Accordo Euromediterraneo  UE / Tunisia

Corte App. Trento 30 maggio 2014, n. 42

Per effetto  dell’art. 65 dell’Accordo Euromediterraneo  UE / Tunisia, ratificato con l. 35/1977, ha diritto all’assegno di maternità, ex art. 74 del d. lgs. 151/2001, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, il coniuge del lavoratore tunisino, a prescindere dallo status di lungo soggiornante




Cittadinanza italiana – Acquisto per concessione – Presupposti – Residenza (decennale) ininterrotta

Cons. di Stato xx 2014, n. xx



In carenza della residenza decennale ininterrotta, causata da interruzioni nell’iscrizione anagrafica, il diniego prefettizio – concretatosi, nel caso deciso, nell’inammissibilità dell’istanza di concessione della cittadinanza italiana – costituisce un atto dovuto e vincolato, che non necessita di alcun ulteriore onere istruttorio, posto che ai fini della “residenza legale” decennale ininterrotta non è possibile far ricorso ai documenti ed elementi prodotti dalla parte atti a comprovare aliunde la presenza sul territorio [il Collegio aggiunge: a) che è del tutto priva di pregio la fictio iuris dedotta, secondo cui alla annotazione “provenienza da altre iscrizioni” si collegherebbe la continuità dell’iscrizione nelle anagrafi di altri Comuni e la reiscrizione verrebbe a cancellare ex tunc la dichiarata duplice irreperibilità, affermazione … meramente assertiva ma nessuna prova viene prodotta al riguardo né spettava alla P.A. accertarlo”; b) che “l’iscrizione anagrafica ininterrotta rappresenta “requisito ineludibile” nella fattispecie, soprattutto per lo straniero che sostiene, come nel caso all’esame, di non essersi mai allontanato dal territorio nazionale e di aver ivi mantenuto il centro delle proprie relazioni sociali ed economiche”]

mercoledì 11 febbraio 2015



Pluralità di nomi divisi da trattino

Tar Lazio xx settembre 2014, n. xx




L’art. 35  del d.P.R.  396/2000 (sia nel testo previgente che in quello attuale) non prevede che l’atto di nascita non debba riportare il trattino che separa i due nomi e, quindi, non può in tal caso giustificare il diniego di rilascio del passaporto dovendosi, in quest’ottica, ritenere corretto l’operato dell’ufficiale dello stato civile che nell’estratto dell’atto di nascita ha riportato il segno d’interpunzione de quo.

Gli artt. 1, 3, 9 e 12 l. 1185/1967 non prevedono che l’esistenza del trattino tra i due nomi dell’interessato costituisca causa ostativa al rilascio del passaporto.





Esposti – diritto di accesso

Tar Lombardia, xx novembre 2014, n. xx



Il privato che subisce un procedimento di controllo vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per l’esercizio del potere – inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l’azione dell’autorità – suscettibili per il loro particolare contenuto probatorio di concorrere all’accertamento di fatti pregiudizievoli per il denunciato [aggiunge il Collegio che: a) l’esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell’amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un’attività ispettiva o di un intervento in autotutela, e di conseguenza il denunciante perde il controllo sulla propria segnalazione la quale diventa un elemento nella disponibilità dell’amministrazione; b) la sua divulgazione non è preclusa da esigenze di tutela della riservatezza, giacché il predetto diritto non assume un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione a carico di terzi; c) la tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un valore estraneo al nostro ordinamento giuridico, e gli autori degli esposti sono tutelati dagli strumenti predisposti dall’ordinamento contro ogni forma di ritorsione o vendetta privata; d) il principio di trasparenza dell’attività amministrativa vale sia per il denunciato nei confronti del denunciante sia in senso inverso, in quanto la posizione di denunciante legittima l’accesso agli atti della procedura che ha preso origine dall’esposto]

martedì 10 febbraio 2015





Accesso civico e accesso ex l. 241/1990



Tar Lombardia,  xx dicembre 2014, n. xx





Il d. lgs. 33/2013 è diretto ad assicurare a tutti i cittadini la più ampia conoscibilità delle informazioni, concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, al fine di attuare “il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche”, quale integrazione del diritto “ad una buona amministrazione”, nonché per la “realizzazione di un’amministrazione aperta, al servizio del cittadino”. Tale normativa, avente pure dichiarate finalità di contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, impone la pubblicazione di una serie di documenti nei siti istituzionali delle medesime, con diritto di chiunque di accedere a tali siti “direttamente ed immediatamente, senza autenticazione ed identificazione” e solo in caso di omessa pubblicazione può essere esercitato, ai sensi dell’art. 5 del citato decreto, il cosiddetto “accesso civico”, consistente in una richiesta – che non deve essere motivata – di effettuare tale attività conoscitiva, con possibilità, in caso di omesso adempimento all’obbligo in questione, di ricorrere al giudice amministrativo, secondo le disposizioni contenute nel codice del processo amministrativo. Di contro, l’accesso ai documenti amministrativi, disciplinato in generale dalla l. 241/1990, non si correla alla violazione del generale dovere di pubblicità dell’attività amministrativa, declinato secondo i parametri suddetti, ma è riferito al “diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre copia di documenti amministrativi”, intendendosi per “interessati….tutti i soggetti….che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” e proprio in funzione di tale interesse la domanda di accesso deve essere motivata






lunedì 9 febbraio 2015





Matrimonio tra persone dello stesso sesso

Cass. 9 febbraio 2015, n. 2400


Nel nostro sistema giuridico di diritto positivo, il matrimonio tra persone dello stesso sesso è inidoneo a produrre effetti perché non previsto tra le ipotesi legislative di unione coniugale

Deve ritenersi che la legittimità costituzionale e convenzionale della scelta del legislatore ordinario in ordine alle forme ed ai modelli all’interno dei quali predisporre per le unioni tra persone dello stesso sesso uno statuto di diritti e doveri coerente con il rango costituzionale di tali relazioni conduce ad escludere il fondamento delle censure prospettate, non solo sotto il profilo della creazione giurisprudenziale dell’unione coniugale tra persone dello stesso sesso, risultando tale operazione ben diversa da quella consentita di adeguamento ed omogeneizzazione nella titolarità e nell’esercizio dei diritti, ma anche delle censure d’incostituzionalità prospettate nel ricorso




Approvazione della nomina dei ministri di culto acattolico

Tar Lazio  xx 2015, n. xx

L'approvazione governativa della nomina a ministro di culto acattolico, ex art. 3 l. 1159/1929, è unicamente finalizzata a consentire la produzione di effetti giuridici, validi per l'ordinamento statale, di alcuni atti del ministro di culto, quali il matrimonio.


Per quanto la particolare struttura della Chiesa Evangelica Pentecostale non consenta alcuna assimilazione con l’articolazione territoriale delle parrocchie propria della Chiesa Cattolica, la necessità di valutare una consistenza numerica minima di fedeli che giustifichi l’attribuzione al Ministro di culto del potere di porre in essere atti dotati di effetti nell’ordinamento statale non viene meno alla luce della sentenza della Corte costituzionale 58/1959: la suddetta valutazione non può che essere effettuata con riferimento alla specifica Chiesa,  nella quale il Ministro di culto esercita il suo ministero e in relazione alla quale l’approvazione della nomina a Ministro di culto è stata effettata, trattandosi per di più di enti dotati di autonomia, caratterizzati da un proprio statuto associativo e dal un proprio credo.