mercoledì 23 ottobre 2019



Corte Cost. 23 ottobre 2019, n. 221

Oggetto: Procreazione medicalmente assistita - Finalità - Accesso alle tecniche - Esclusione di coppie composte da soggetti dello stesso sesso - Previsione di sanzioni nei confronti di chi [strutture sanitarie o esercenti la professione sanitaria] consente a coppie composte da soggetti dello stesso sesso l'accesso alle tecniche

Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 12, commi 2, 9 e 10, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 31, secondo comma, 32, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale ordinario di Pordenone con l’ordinanza indicata in epigrafe [Con ordinanza del 2 luglio 2018 (r. o. n. 129 del 2018), il Tribunale ordinario di Pordenone ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 31, secondo comma, 32, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione – quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 – degli artt. 5 e 12, commi 2, 9 e 10, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui, rispettivamente, limitano l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (d’ora in avanti: PMA) alle sole «coppie […] di sesso diverso» e sanzionano, di riflesso, chiunque applichi tali tecniche «a coppie […] composte da soggetti dello stesso sesso»]

Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, limitatamente alle parole «di sesso diverso», e 12, comma 2, limitatamente alle parole «dello stesso sesso o», «anche in combinato disposto con i commi 9 e 10», nonché degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4 della legge n. 40 del 2004, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 31, secondo comma, e 32, primo comma, Cost., nonché agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, agli artt. 2, paragrafo 1, 17, 23 e 26 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, e agli artt. 5, 6, 22, paragrafo 1, 23, paragrafo 1, e 25 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo 2009, n. 18, dal Tribunale ordinario di Bolzano con l’ordinanza indicata in epigrafe [Con ordinanza del 3 gennaio 2019 (r. o. n. 60 del 2019), il Tribunale ordinario di Bolzano ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, limitatamente alle parole «di sesso diverso», e 12, comma 2, limitatamente alle parole «dello stesso sesso o», «anche in combinato disposto con i commi 9 e 10», nonché degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4 della legge n. 40 del 2004, «nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie formate da due persone di sesso femminile», deducendone il contrasto con gli artt. 2, 3, 31, secondo comma, e 32, primo comma, Cost., nonché con gli artt. 11 (parametro evocato solo in dispositivo) e 117, primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 8 e 14 CEDU, agli artt. 2, paragrafo 1, 17, 23 e 26 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, e agli artt. 5, 6, 22, paragrafo 1, 23, paragrafo 1, e 25 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo 2009, n. 18]


lunedì 21 ottobre 2019


Cons. di Stato, I, 10 gennaio 2019, n. 136/2019 (adunanza del 19 dicembre 2018, n. 1502/2018), Referendum consultivo comunale


Con riferimento a referendum abrogativo regionale e a referendum consultivo e propositivo comunale, il comitato promotore di referendum agisce nel relativo procedimento in posizione di piena parità con l'organo dell'ente territoriale preposto al controllo della legittimità della richiesta referendaria, operando l'uno e l'altro soggetto a garanzia del diritto fondamentale di svolgere la consultazione e di attuare l'ordinamento, con la conseguenza della non degradabilità della posizione soggettiva del primo per effetto dell'attività posta in essere dal secondo. Il comitato promotore costituisce un vero e proprio potere, in quanto, pur non facendo parte dell'apparato organizzativo dell'ente territoriale, esercita una potestà pubblica ed è titolare di una situazione soggettiva volta alla realizzazione del diritto politico dei cittadini elettori, costituzionalmente garantito e regolato dalla legge e dallo statuto dell'ente, di intraprendere la procedura referendaria, non comprimibile da atti di organi cui siano attribuiti distinti poteri di intervento e di controllo nell'evoluzione della procedura stessa. L'organo di controllo dell'ente territoriale non è portatore di un interesse pubblico nel senso tradizionale in cui detto interesse è proprio della Pubblica Amministrazione, né si pone in posizione di supremazia nei confronti del comitato promotore, ma partecipa con questo della funzione referendaria, concorrendo all'attuazione di tale strumento di democrazia diretta, nell'interesse dello stesso istituto referendario come concretamente configurato. La funzione di controllo che tale organo esercita si esprime nell'accertamento della conformità della pretesa referendaria ai principi posti nell'ordinamento, a fronte della quale sussiste il diritto soggettivo pubblico dei promotori, che può essere affermato o negato, ma non degradato né inciso, essendo i suoi limiti dettati esclusivamente dalle leggi e dalle disposizioni statutarie che disciplinano il ricorso al referendum 

domenica 20 ottobre 2019


Cons. di Stato, I, 7 ottobre 2019, n. 2583/2019 (adunanza del 4 settembre 2019, n. 987/2019), Rappresentanza di genere nelle giunte comunali



L’art. 1, comma 137, della l. 56/2014 deve essere interpretato – conformemente ai principi sanciti dagli articoli 3 e 51 della Costituzione ed alle norme sovranazionali in materia di parità di trattamento tra uomini e donne di cui all’art. 3 del Trattato sull’Unione europea ed agli articoli 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – nel senso che anche nei Comuni più piccoli (sotto la soglia dei 3.000 abitanti) sussiste comunque l’obbligo di garantire la rappresentanza di entrambi i sessi, senza tuttavia la predefinizione – in via legislativa - di soglie numeriche, come invece avviene per i Comuni con popolazione superiore ai 3.000 abitanti, ai sensi della citata norma nazionale [aggiunge il massimo rogano di giustizia amministrativa che a) nel caso deciso, lo Statuto del Comune “– in ossequio a quanto disposto dall’art. 6, comma 3, del decreto legislativo n. 267/2000 – ha previsto condizioni di pari opportunità tra uomo e donna, con riguardo alla presenza di entrambi i sessi nella Giunta comunale, prevedendo che: “nella giunta […] deve, di norma, essere assicurata la presenza di almeno un appartenente a ciascun sesso”, con la precisazione che “l’eventuale impossibilità deve essere adeguatamente motivata al momento della nomina”; b) se è pur vero che, nelle motivazioni del provvedimento di nomina dei componenti della Giunta, il Sindaco  “ha dato atto del mancato riscontro all’interpello indetto con decreto sindacale … rivolto ad aspiranti di sesso femminile”, è anche vero che “tale decreto sindacale (avente natura di avviso conoscitivo al fine di verificare “la disponibilità di una donna ad accettare l’incarico di assessore ..”) ha acuito ed aggravato la discriminazione nei confronti del genere femminile, laddove si è imposto un requisito non previsto invece per i soggetti di sesso maschile, ovvero la dimostrazione “di possedere pregressa esperienza politica ed amministrativa, almeno quinquennale, nonché di possedere, mediante la produzione di idoneo curriculum vitae, competenze coerenti con le materie oggetto di delega al nominando assessore, ovvero competenze in materia di Lavori Pubblici e Urbanistica e/o Turismo e Cultura”, in tal modo palesandosi non solo la lamentata discriminazione, ma venendo altresì in luce un radicale difetto di istruttoria che inficia il gravato provvedimento di nomina dei componenti della Giunta, non essendo stata fornita prova della oggettiva impossibilità (eliminata la menzionata clausola discriminatoria) di garantire la rappresentanza del genere femminile all’interno della Giunta comunale”]

LA SEZIONE
Vista la relazione del 12 giugno 2019, trasmessa con nota prot. n. 9516 del 14 giugno 2019, con la quale il Ministero dell'interno ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Michele Pizzi;

Premesso:
Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica notificato al Comune di P. e spedito a mezzo posta in data 26 ottobre 2018, la ricorrente A.G.M., Consigliera regionale di parità della Regione Puglia, agendo ai sensi dell’art. 37, comma 2, del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, ha impugnato il decreto del Sindaco del Comune di P. n. OMISSIS indicato in epigrafe, con il quale sono stati nominati i due assessori, entrambi di sesso maschile, chiamati a comporre la Giunta del predetto Comune (di popolazione inferiore a 3.000 abitanti), unitamente allo stesso Sindaco, anch’egli di sesso maschile.
Il ricorso è articolato in un unico motivo, con il quale viene dedotta violazione degli articoli 3 e 51 della Costituzione, dell’art. 6, comma 3, del decreto legislativo n. 267/2000, dell’art. 1, comma 137 della legge n. 56/2014, dell’art. 5 dello Statuto comunale, nonché eccesso di potere per sviamento, per aver il Sindaco del Comune di P. illegittimamente adottato il gravato provvedimento di nomina dei componenti della Giunta comunale, all’esito di un interpello contenente condizioni restrittive e discriminatorie ai danni del sesso femminile, violando i riferiti parametri costituzionali, direttamente cogenti nella materia in questione e venendo meno agli obblighi statutari di parità di trattamento.
Il Ministero dell’interno, con la nota del 14 giugno 2019 indicata in epigrafe, ha trasmesso la relazione istruttoria concludendo nel merito per l’accoglimento del ricorso, tuttavia eccependone in via preliminare l’inammissibilità.
Con la medesima nota il Ministero istruttore ha trasmesso la memoria difensiva del Comune di P. – che ha chiesto il rigetto del ricorso eccependone in via preliminare l’irricevibilità per tardività della notifica – nonché le memorie di replica della ricorrente.
Il Ministero riferente ha altresì inviato il verbale della seduta del consiglio comunale del OMISSIS, ove è stata respinta la proposta di revoca della gravata delibera del consiglio comunale n. OMISSIS.
Considerato:
L’eccezione di inammissibilità sollevata dal Ministero dell’interno è infondata.
Infatti, l’art. 37, comma 2, del decreto legislativo n. 198/2006, nel consentire alle consigliere ed ai consiglieri di parità di “proporre ricorso davanti al tribunale in funzione del giudice del lavoro o del tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti”, non preclude affatto la possibilità – qualora la controversia ricada all’interno della giurisdizione amministrativa ai sensi dell’art. 7, comma 8, del codice del processo amministrativo, come appunto avviene nella presente fattispecie – di proporre, in alternativa al ricorso giurisdizionale innanzi al tribunale amministrativo regionale, ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Infondata è, altresì, l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Comune di P., dal momento che il provvedimento lesivo direttamente impugnabile è il decreto del Sindaco del predetto Comune prot. n. OMISSIS (di nomina dei componenti della Giunta comunale), con la conseguenza che il presente ricorso straordinario – notificato a mezzo posta nei confronti del suddetto Comune in data 26 ottobre 2018 (data di spedizione) – è stato proposto tempestivamente nel termine di centoventi giorni di cui all’art. 9 del d.p.r. n. 1199/1971.
Nel merito il ricorso è fondato.
Infatti, come già sottolineato da questo Consiglio di Stato (Sez. I, parere n. 1933/2018), l’art. 1, comma 137, della legge n. 56/2014 deve essere interpretato – conformemente ai principi sanciti dagli articoli 3 e 51 della Costituzione ed alle norme sovranazionali in materia di parità di trattamento tra uomini e donne di cui all’art. 3 del Trattato sull’Unione europea ed agli articoli 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – nel senso che anche nei Comuni più piccoli (sotto la soglia dei 3.000 abitanti) sussiste comunque l’obbligo di garantire la rappresentanza di entrambi i sessi, senza tuttavia la predefinizione – in via legislativa - di soglie numeriche, come invece avviene per i Comuni con popolazione superiore ai 3.000 abitanti, ai sensi del citato comma 137 dell’art. 1 della legge n. 56/2014.
Inoltre, nel presente caso, come affermato nel ricorso e ribadito dal Ministero dell’Interno nella relazione istruttoria, lo Statuto del Comune di P. – in ossequio a quanto disposto dall’art. 6, comma 3, del decreto legislativo n. 267/2000 – ha previsto condizioni di pari opportunità tra uomo e donna, con riguardo alla presenza di entrambi i sessi nella Giunta comunale, prevedendo che: “nella giunta […] deve, di norma, essere assicurata la presenza di almeno un appartenente a ciascun sesso. L’eventuale impossibilità deve essere adeguatamente motivata al momento della nomina.”.
E’ pur vero che nelle motivazioni contenute nel gravato provvedimento di nomina dei componenti della Giunta, il Sindaco del Comune di P. ha dato atto del mancato riscontro all’interpello indetto con decreto sindacale del 18 giugno 2018 rivolto ad aspiranti di sesso femminile, tuttavia è anche vero che tale decreto sindacale (avente natura di avviso conoscitivo al fine di verificare “la disponibilità di una donna ad accettare l’incarico di assessore nella Giunta del Comune di P.”) ha acuito ed aggravato la discriminazione nei confronti del genere femminile, laddove si è imposto un requisito non previsto invece per i soggetti di sesso maschile.
In tale avviso si è infatti previsto – all. 3 della ricorrente - che (solo) la candidata di sesso femminile “dovrà dimostrare di possedere pregressa esperienza politica ed amministrativa, almeno quinquennale, nonché di possedere, mediante la produzione di idoneo curriculum vitae, competenze coerenti con le materie oggetto di delega al nominando assessore, ovvero competenze in materia di Lavori Pubblici e Urbanistica e/o Turismo e Cultura”, in tal modo palesandosi non solo la lamentata discriminazione, ma venendo altresì in luce un radicale difetto di istruttoria che inficia il gravato provvedimento di nomina dei componenti della Giunta, non essendo stata fornita prova della oggettiva impossibilità (eliminata la menzionata clausola discriminatoria) di garantire la rappresentanza del genere femminile all’interno della Giunta comunale.
Pertanto il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento dei gravati provvedimenti comunali.
P.Q.M.
La Sezione esprime il parere che il ricorso debba essere accolto ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione.

venerdì 18 ottobre 2019


Corte Dei Conti – Sezione Di Controllo per le Marche 3 ottobre 2019, n. 42,  Indennità di funzione spettante agli amministratori locali dei Comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti


Posto che l’’indennità di funzione del sindaco e degli assessori nei comuni con popolazione inferiore ai 1.000 ab.  è sottratta alla disciplina dell’art. 1, comma 136, della legge 56/2014, finalizzata  al contenimento e alla neutralizzazione di un possibile incremento di spesa, la stessa deve essere calcolata alla stregua della tabella A allegata al D.M. 4 aprile 2000, n. 119, con la decurtazione del 10% prevista dall’art. 1, comma 54 della L. n. 266/2005, alla stregua dei princìpi affermati dalle Sezioni Riunite di questa Corte con deliberazione n. 1 del 2012. Per contro vanno annoverati nel computo degli oneri soggetti all’invarianza della spesa tutti gli esborsi, di natura variabile, connessi allo status di amministratore di cui al Titolo III, parte IV del TUEL ad eccezione di quelli relativi ai permessi retribuiti, agli oneri previdenziali, assistenziali ed assicurativi, di cui agli artt. 80 ed 86 del T.U., espressamente esclusi da detta disposizione

Al vicesindaco e agli assessori si deve applicare la misura dell’indennità nelle percentuali previste dall’allegato A al citato D.M. n. 119/2000 (al vicesindaco il 15% dell’indennità del sindaco, agli assessori il 10%) con l’abbattimento del 10% ai sensi dell’art. 1, comma 54, della L. n. 266/2005.


 Con nota trasmessa via PEC in data 6 settembre 2019, per il tramite del CAL (Consiglio delle Autonomie locali) il comune di C.  ha avanzato una richiesta di parere a questa Sezione di controllo ai sensi dell’art. 7 della l. n. 131/2003, chiedendo che questa Sezione si esprima sulla “corretta determinazione delle indennità di funzione/gettoni di presenza spettanti agli amministratori locali con meno di 1000 abitanti”.  Con riguardo al quesito posto, ha fatto pervenire “la propria tesi interpretativa”. Ad avviso dell’ente locale l’indennità di funzione del sindaco deve essere parametrata alla tabella di cui al D.M. 119/2000, per la classe demografica di appartenenza, decurtata del 10%, calcolata in forma teorica, senza tenere conto dell’indennità in concreto erogata in un determinato momento storico e pertanto il rispetto del principio dell’invarianza della spesa (fissato dall’art. 1, commi 135 e 136 della L. n. 56/2014) sarebbe attuato non superando tale limite.  Peraltro, fermo restando il limite di spesa così determinato, l’ente locale domanda se avrebbe titolo per sfruttare i risparmi connessi “ad esempio al dimezzamento dell’indennità per un amministratore dipendente non in aspettativa, per attribuire/aumentare l’indennità a favore di altri amministratori (vice-sindaco ed assessori) o, se, diversamente argomentando, gli stessi non avrebbero diritto ad alcuna indennità. 

CONSIDERATO IN DIRITTO 


OMISSIS 


Nel merito 

2. Premessa sulla composizione della giunta nei comuni con popolazione inferiore ai 1000 abitanti. 

Per una più compiuta comprensione della problematica all’esame, va precisato che la normativa contenuta negli artt. 37 e 34 del TUEL, concernente la composizione del consiglio e della giunta comunale, è stata gradualmente superata dalle disposizioni successive, ispirate all’intento di ridurre il numero degli amministratori (art. 2, comma 23 della L. 24 dicembre 2007, n. 244; art. 2, commi 184 e 185 della L. 23 dicembre 2009, n. 191, art. 1 del d.l. 25 gennaio 2010, n. 2). 

Per quanto interessa in questa sede, il numero degli assessori per i comuni con popolazione inferiore ai 1000 abitanti è stato oggetto di un ultimo intervento di riduzione per effetto dell’art. 16, comma 17 del D.L. n. 138/2011, convertito con L. n. 148/2011, per i quali enti era stata esclusa la possibilità di nomina degli assessori, risultando attribuite al solo sindaco le competenze della giunta comunale. Peraltro, il Ministero dell’Interno, con circolare del 16 febbraio 2012, aveva chiarito che le esigenze del funzionamento dell’ente locale comportavano la necessaria presenza del vicesindaco e che tale figura andava individuata tra i consiglieri eletti. 

Successivamente, virando in direzione di segno contrario, l’art. 1 comma 135 della L. n. 56/2014 ha previsto, per i comuni con popolazione fino a 3000 abitanti, che fossero ripristinati gli assessori, in numero di due. Inoltre, ha stabilito che, nonostante siffatto incremento, fosse assicurata l’invarianza della spesa in rapporto alla legislazione vigente, previa specifica attestazione del collegio dei revisori dei conti (art. 1, comma 136, della L. n. 56/2014). 

Inoltre, il Ministero dell’Interno, con circolare del 24 aprile 2014, ha chiarito che tutti gli enti rientranti nella fascia demografica che qui interessa (popolazione fino a 3000 abitanti) potessero provvedere alla rideterminazione della giunta secondo i nuovi parametri e nel rispetto dell’invarianza della spesa, anche in assenza di un rinnovo elettorale. 

Infine la Sezione delle Autonomie, con deliberazione n. 35/SEZAUT/2016/QMIG del 28 novembre 2016, ha specificato che il rispetto al criterio dell’invarianza della spesa debba essere assicurato con riguardo alla spesa teorica che sarebbe stata sostenuta in applicazione del numero ridotto di assessori fissato dal citato D.L. 138/2011, a prescindere dal fatto che, nella vigenza di tale normativa, non fosse occorsa alcuna tornata elettorale (non doveva farsi riferimento dunque alla spesa storica, ma a quella “teorica” ai fini dell’invarianza stessa).  Senonché, ai fini dei quesiti posti a questa Sezione dal comune di C., la questione dell’invarianza della spesa con riferimento all’indennità del sindaco e degli assessori non assume rilievo, come emergerà dalla trattazione che segue. 

3.1.Passando, infatti, a trattare la prima questione posta dall’ente locale, in ordine all’esatta determinazione dell’indennità di funzione del sindaco e degli amministratori, nei comuni con popolazione inferiore ai 1000 abitanti, soccorre ancora il magistero che può attingersi dalla citata deliberazione della Sezione delle autonomie n. 35 del 2016, la quale ha osservato che “direttamente connessa allo status di amministratore locale è l’acquisizione di diritti di carattere economico che rinvengono fondamento nei princìpi sanciti dall’art. 51 della Costituzione nonché nell’art. 7 della Carta europea dell’autonomia locale recepita nel nostro ordinamento con legge di ratifica 30 dicembre 1989 n. 439, che si pone come parametro di riferimento per il legislatore e l’interprete”. Partendo da tale principio la Sezione delle autonomie è pervenuta alla conclusione che l’indennità di funzione del sindaco e degli amministratori (e cioè degli assessori) sia sottratta alla citata disposizione di cui al comma 136, finalizzata al contenimento ed alla neutralizzazione di un possibile incremento di spesa. Conseguentemente detta indennità di funzione deve tuttora essere calcolata facendo riferimento agli importi tabellari per classe demografica di cui al D.M. 119/2000, senza dover fare riferimento ad alcun tetto di spesa complessivo. Per contro, ha soggiunto la Sezione delle autonomie, rientrano nel computo degli oneri soggetti ad invarianza gli esborsi economici di natura variabile derivanti da attività connesse al ruolo di amministratore, contemplati nel Titolo III, parte IV del TUEL (con alcune eccezioni specifiche, delle quali non si farà cenno perché non involte dalla richiesta di parere). 

In definitiva, con riferimento al primo quesito, l’indennità di funzione del sindaco e degli assessori nel comune interessato dovrà essere calcolata alla stregua della tabella a allegata al D.M. 4 aprile 2000, n. 119, con la decurtazione del 10% prevista dall’art. 1, comma 54 della L. n. 266/2005, alla stregua dei princìpi affermati dalle Sezioni Riunite di questa Corte con deliberazione n. 1 del 2012. Per contro vanno annoverati nel computo degli oneri soggetti all’invarianza della spesa tutti gli esborsi, di natura variabile, connessi allo status di amministratore di cui al Titolo III, parte IV del TUEL ad eccezione di quelli relativi ai permessi retribuiti, agli oneri previdenziali, assistenziali ed assicurativi, di cui agli artt. 80 ed 86 del T.U., espressamente esclusi da detta disposizione (in questo senso: Sezione delle Autonomie, n. 35/2016 citata e Sezione Lombardia, n. 7/PAR/2017).

3.2.Per quanto concerne il vicesindaco, l’art. 16, comma 18, del d.l. n. 118/2011, non modificato dalla citata L. n. 56/2014, dispone che ai consiglieri dei comuni con popolazione fino a 1000 abitanti non sono applicabili le disposizioni di cui all’art. 82 del TUEL (in materia di indennità di funzione) né quelle dell’art. 80 del TUEL (in materia di oneri per permessi retribuiti). Da tale dato normativo il Ministero dell’Interno, con nota interpretativa del febbraio 2014, aveva fatto discendere la non applicabilità di alcuna indennità di funzione al consigliere che, nei comuni con popolazione inferiore ai 1000 abitati, svolga anche le funzioni di vicesindaco. 

Peraltro, il citato art. 16 comma 18 fa rinvio applicativo “a decorrere dalla data di cui al comma 9”, per tale dovendosi intendere, in assenza di ulteriore specificazione, il comma 9 del medesimo art. 16 del d.l. n. 138/2011. Tuttavia, detto comma 9 risulta abrogato dall’art. 1, comma 104 della citata legge n. 56/2014. Si deve dunque concludere che tale disposto non trovi più applicazione, perché risulta subordinato alla decorrenza di un termine non indicato nella disposizione cui è fatto rinvio e, comunque, venuto meno con l’abrogazione della medesima disposizione (in questo senso: Sezione di controllo Lazio, parere n. 230/2014). 

A ciò aggiungasi che, nel senso della spettanza dell’indennità al vicesindaco, depongono le medesime argomentazioni svolte dalla citata deliberazione della Sezione delle Autonomie n. 35 del 2016. Va infatti considerato che il vicesindaco, ai sensi dell’art. 53, comma 2 del D.Lgs. n. 267/2000 sostituisce il sindaco in caso di assenza, impedimento temporaneo o sospensione dall’esercizio della funzione di quest’ultimo. In tali casi, inoltre, alle funzioni vicarie del sindaco si sommano quelle a lui spettanti quale ufficiale del Governo.  Conseguentemente, è necessario applicare la misura dell’indennità nelle percentuali previste dall’allegato A al citato D.M. n. 119/2000 (al vicesindaco il 15% dell’indennità del sindaco, agli assessori il 10%) con l’abbattimento del 10% ai sensi dell’art. 1, comma 54, della L. n. 266/2005. 

3.3.Sebbene non direttamente richiesta dal parere, non è ultronea, infine, la precisazione che, ai fini dell’applicazione degli incrementi previsti dall’art. 2 del più volte citato decreto ministeriale n. 119/2000, vadano puntualmente verificate le condizioni ivi previste (stagionalità demografica, virtuosità risultante dall’ultimo bilancio approvato, ecc.) per il raggiungimento dei limiti massimi previsti dallo stesso decreto: condizioni che devono essere certificate da un’apposita delibera approvata dall’ente locale. 

4.Alla luce delle esplicazioni più innanzi svolte, perde di significato il secondo quesito proposto dall’Amministrazione, ossia se la somma spettante al sindaco, qualora ridotta del 50%, poiché lavoratore dipendente, possa essere percepita dagli altri amministratori (assessore e vicesindaco), fermo restando il limite massimo applicabile ai fini dell’invarianza della spesa, calcolato in forma teorica ai sensi dell’allegato A del D.M. n. 119/2000, con l’abbattimento del 10%. 

Al riguardo è utile rammentare che l’art. 82, comma 1 del D. Lgs. n. 267/2000 prevede la corresponsione dell’indennità di funzione in misura dimezzata per gli amministratori, lavoratori dipendenti, che non abbiano richiesto il collocamento in aspettativa non retribuita. 

Orbene, ai fini dell’invarianza della spesa, come più sopra delineata per effetto delle disposizioni della L. n. 56/2014, non può in alcun modo rilevare la riduzione operata nel caso di specie, per effetto di una posizione specifica (dimezzamento dell’indennità), vuoi perché – come chiarito con riguardo al primo quesito - deve farsi unicamente riferimento all’astratto meccanismo di determinazione dell’indennità previsto dalla tabella A allegata al D.M. n. 119/2000 in ordine al quale, come più sopra precisato, non opera il criterio di invarianza; vuoi perché la ratio dell’art. 82, comma 1 è da individuarsi unicamente nell’esigenza di una minore compensazione del sindaco che goda di altro trattamento retribuito, e cioè con riferimento ad una condizione a carattere personale che non può avere effetti ampliativi dei diritti di natura economica degli altri amministratori.


P.Q.M.


la Sezione adita esprime il parere nei termini di cui in parte motiva. 


ORDINA


alla Segreteria di trasmettere la presente deliberazione al Sindaco del comune di C.ed al Presidente del Consiglio delle Autonomie Locali delle Marche. 

Così deliberato in Ancona, nella Camera di consiglio del 3 ottobre 2019.

giovedì 17 ottobre 2019




Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi (c/o Presidenza del Consiglio dei Ministri) 18 settembre 2019, Diritto di accesso dei consiglieri comunali


Il diritto di accesso dei consiglieri comunali  si atteggia quale latissimo diritto all’informazione al quale si contrappone l’obbligo degli uffici di fornire ai richiedenti tutte le notizie e informazioni in loro possesso, fermo il divieto di perseguire interessi personali o di tenere condotte emulative.

Quando il consigliere comunale dichiari di esercitare il diritto di accesso in rapporto alle sue funzioni, e quindi per la tutela degli interessi pubblici (e non di interessi privati e personali), non è soggetto a limiti particolari, nel rispetto, comunque, di quelli imposti dal principio di buon andamento dell'Amministrazione di cui all'articolo 97 della Costituzione, sicché non è tenuto a particolari oneri motivazionali nelle proprie richieste, che possono, dunque, limitarsi ad evidenziare la strumentalità dell'accesso allo svolgimento della funzione, né l'Amministrazione può esercitare un controllo estrinseco di congruità tra la richiesta di accesso e l'espletamento del mandato, salvo casi di richieste di accesso manifestamente inconferenti con l'esercizio delle funzioni dell'Ente locale





Ricorrente: …..
contro
Amministrazione resistente: Comune di ….. (…..)
FATTO
….., in qualità di consigliere comunale del Comune di ….., in ossequio al mandato ricoperto, formulava il 15.1.2019, con nota prot. n. ….., al Servizio Tributi del Comune di ….. una diffida a far conoscere le iniziative assunte in ordine alle posizioni debitorie tributarie in capo ad amministratori in carica e consiglieri comunali, al fine di verificare la presenza di incompatibilità che potrebbero attribuirsi ad eventuali posizioni debitorie tributarie nei confronti dell’Ente, che renderebbero illegittimo l’operato del civico consesso ex art. 63 TUEL.
Ha dedotto nel ricorso alla Commissione che venivano riscontrate situazioni di incandidabilità e/o incompatibilità di consiglieri comunali a seguito dell’insediamento del consiglio comunale, dopo le elezioni amministrative tenutesi in data 9.7.2018.
L’Amministrazione resistente con nota datata 18.1.2019 prot. ….. del 21.1.2019 rigettava la richiesta di esibire le “posizioni debitorie tributarie in capo ad amministratori in carica e consiglieri comunali”, richiamando i principi della giurisprudenza amministrativa secondo cui, non essendo assoluto ed illimitato il diritto all’ostensione del consigliere comunale, va respinta una richiesta indeterminata, senza cioè una esplicita indicazione degli atti che si intendono esaminare e indirizzata a controlli generali di tutta l’attività dell’amministrazione per un determinato arco di tempo.
Parte ricorrente il 30/3/2019 adiva la Commissione affinché riesaminasse il caso, ex art. 25 legge 241/90 e assumesse le conseguenti determinazioni. La Commissione nella seduta dell’8 maggio 2019 dichiarava il ricorso irricevibile perché tardivo, essendo stato presentato oltre il termine di trenta giorni dalla formazione del silenzio rigetto, come prescritto dall’art. 25 comma 4 della legge 241/90.
Il 5.6.2019 ….. ha formulato all’Amministrazione resistente istanza di accesso ex art. 43, comma 2, TUEL n. 267/2000, a “tutte le posizioni tributarie in capo ad amministratori in carica e consiglieri comunali del Comune di ….. al fine di verificare posizioni di incompatibilità degli stessi e le dichiarazioni rese dagli amministratori e consiglieri comunali in carica al momento dell’elezione”.
L’Amministrazione resistente con nota datata 14.6.2019 prot. ….. rigettava la richiesta, richiamando i principi della giurisprudenza amministrativa secondo cui, non essendo assoluto ed illimitato il diritto all’ostensione del consigliere comunale, va respinta una richiesta indeterminata, senza cioè una esplicita indicazione degli atti che si intendono esaminare e indirizzata a controlli generali di tutta l’attività dell’amministrazione per un determinato arco di tempo.
Parte ricorrente il 9/7/2019 adiva la Commissione affinché riesaminasse il caso e, valutata la legittimità del rigetto dell’istanza di accesso, ai sensi e per gli effetti dell’art. 25 della legge n. 241/1990, assumesse le conseguenti determinazioni.
Perveniva memoria del Comune di ….. datata 1/9/2019.
DIRITTO
Preliminarmente la Commissione rileva che l’effettiva competenza ad esaminare il presente gravame, presentato avverso un Comune, spetterebbe al difensore civico; tuttavia, in assenza di tale organismo nella Regione ….., è costante giurisprudenza della Scrivente esaminare tali gravami affinché la mancanza non si traduca in una menomazione degli strumenti a tutela del diritto di accesso.
Sempre in via preliminare la Commissione osserva che ai sensi dell’art. 12, comma 8 del D.P.R. 184/2006 “La decisione di irricevibilità o di inammissibilità del ricorso non preclude la facoltà di riproporre la richiesta d'accesso e quella di proporre il ricorso alla Commissione avverso le nuove determinazioni o il nuovo comportamento del soggetto che detiene il documento”.
La Commissione richiama sul punto quanto sostenuto dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (e, segnatamente, nelle decisioni n.ri 6 e 7 del 2006), a tenore delle quali non è consentita la reiterabilità dell'istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego, laddove a questo possa riconoscersi carattere meramente confermativo del primo, potendo l'interessato reiterare l'istanza di accesso e pretendere riscontro alla stessa solo in presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o meno, non rappresentati nell'originaria istanza o anche a fronte di una diversa prospettazione dell'interesse giuridicamente rilevante.
Nella fattispecie concreta l’istanza di accesso del 5/6/2019 ha un contenuto diverso rispetto all’originaria, essendo stata formulata ex art. 43, comma 2, TUEL n. 267/2000; inoltre differisce anche nel contenuto e nelle premesse.
Il ricorso deve essere accolto, in considerazione del fatto che viene in rilievo l’art. 43 del TUEL, che prevede il diritto dei consiglieri comunali di ottenere dagli uffici tutte le notizie e informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del loro mandato.
La ratio della norma è nel principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale, sicché tale diritto è direttamente funzionale non tanto all’interesse del consigliere comunale (o provinciale) ma alla cura dell’interesse pubblico connessa al mandato conferito, controllando il comportamento degli organi decisionali del Comune.
Il diritto di accesso dei consiglieri comunali quindi si atteggia quale latissimo diritto all’informazione al quale si contrappone l’obbligo degli uffici di fornire ai richiedenti tutte le notizie e informazioni in loro possesso, fermo il divieto di perseguire interessi personali o di tenere condotte emulative.
Con riferimento a tale profilo la Commissione osserva che l’ampiezza del potere d’accesso del consigliere comunale, riconosciuto allo stesso in ragione del particolare munus espletato, si riferisce agli atti e le informazioni detenuti dal comune (e dagli altri soggetti indicati dalla norma dell’art. 43 del TUEL).
L’art. 43, II comma, del d. lgs. 267/2000 (TUEL) dispone infatti che i consiglieri comunali “hanno diritto di ottenere dagli uffici del comune, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge.”
Ne consegue che, quando il consigliere comunale dichiara di esercitare il diritto di accesso in rapporto alle sue funzioni, e quindi per la tutela degli interessi pubblici (e non di interessi privati e personali), non è soggetto a limiti particolari, nel rispetto, comunque, di quelli imposti dal principio di buon andamento dell'Amministrazione di cui all'articolo 97 della Costituzione, sicché non è tenuto a particolari oneri motivazionali nelle proprie richieste, che possono, dunque, limitarsi ad evidenziare la strumentalità dell'accesso allo svolgimento della funzione, né l'Amministrazione può esercitare un controllo estrinseco di congruità tra la richiesta di accesso e l'espletamento del mandato, salvo casi di richieste di accesso manifestamente inconferenti con l'esercizio delle funzioni dell'Ente locale (cfr. T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 04-04-2019, n. 545).
PQM
La Commissione accoglie il ricorso e, per l’effetto, invita l’Amministrazione a riesaminare l’istanza di accesso nei sensi di cui in motivazione

mercoledì 16 ottobre 2019






Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi (c/o Presidenza del Consiglio dei Ministri) 16 luglio 2019, Accesso di consiglieri comunali

L’accesso diretto al protocollo consente una selezione della documentazione di effettivo interesse per il consigliere comunale, senza la previa necessità della materiale apprensione di mole di documentazione tra cui selezionare quella necessitata, con la conseguenza tra l’altro di scongiurare l’aggravio del carico di lavoro per l’ente, in ossequio al principio di buon andamento della P.A..

A seguito dell’accesso così esercitato – non quindi a tutti i documenti dello stesso, si ribadisce, ma ai dati di sintesi ricavabili dal protocollo – il consigliere comunale procederà alla formulazione della istanza di accesso, specifica e dettagliata, recante l’indicazione degli estremi identificativi degli atti e dei documenti o, qualora siano ignoti tali estremi, almeno degli elementi che consentano l’individuazione dell’oggetto dell’accesso



E’ pervenuta a questa Commissione richiesta di parere da parte del Sindaco del Comune di ….. avente ad oggetto la possibilità per il consigliere comunale di accedere “da remoto al sistema informatico dell’Ente”, a seguito della richiesta in tal senso pervenuta da parte dei Consiglieri di minoranza. Si chiede anche se, in caso di riconoscimento del relativo diritto in capo al Consigliere comunale, tale diritto sia limitato all'accesso da remoto solo ai documenti, alle informazioni e ai dati definitivamente cristallizzati nel sistema informatico, con esclusione dell'accesso anche ai dati, informazioni e documenti che siano in fase istruttoria o in corso di lavorazione.
Si richiede inoltre se sia possibile e/o opportuno prevedere specifiche disposizioni regolamentari interne all'Ente dirette ad impedire che l'accesso da remoto all'intero sistema informatico dell'Ente possa dar luogo ad una apprensione generalizzata ed indiscriminata degli atti e dati dell'Amministrazione comunale, per scongiurare un sindacato generale sull’attività della amministrazione.
In merito alla richiesta di parere avanzata si osserva quanto segue.
La Commissione ha già avuto modo di pronunciarsi più volte, esprimendosi in senso favorevole, in merito alla accessibilità diretta al “protocollo dell’ente”, da parte del consigliere comunale, tramite attribuzione di credenziali di accesso ed, in virtù di tale attribuzione, si è precisato che il consigliere comunale può accedere al protocollo dell’ente non solo dalla sede dello stesso ma da qualunque postazione.
In tal senso si è espresso anche il Consiglio di Stato Sez. V con la sentenza n. 3486/2018 avente ad oggetto il caso di un consigliere comunale il quale rivendicava la concessione della “facoltà di accesso anche da autonome postazioni remote, mediante rilascio di apposite credenziali (user id e password) e, per tal via, senza la limitazione riconnessa al necessario ricorso alla postazione fisica predisposta nei locali comunali”.
La Commissione, sul tema oggetto della richiesta di parere, ritiene di dover richiamare la sentenza 531/2018 del TAR Sardegna – Cagliari, che compendia in modo puntuale l’indirizzo adottato dalla Commissione medesima.
L’esigenza conoscitiva fatta valere (…) si basa sul diritto all’accesso previsto e disciplinato dall’art. 43, comma 2, del TUEL, il quale estende a «tutte le notizie e le informazioni» in possesso del Comune l’ambito entro cui i consiglieri comunali possono esercitare il diritto alla conoscenza dell’attività dell’ente locale. In specie, la richiesta di accedere al protocollo informatico, e quindi di essere in possesso delle chiavi di accesso telematico, rappresenta una condizione preliminare, ma nondimeno necessaria, per l’esercizio consapevole del diritto di accesso, in modo che questo si svolga non attraverso una apprensione generalizzata e indiscriminata degli atti dell’amministrazione comunale (che costituisce il timore manifestato anche in questa sede dal Comune intimato), ma mediante una selezione degli oggetti degli atti di cui si chiede l’esibizione. Peraltro, una delle modalità essenziali per poter operare in tal senso è rappresentata proprio dalla possibilità di accedere (non direttamente al contenuto della documentazione in arrivo o in uscita dall’amministrazione, ma) ai dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo”.
Secondo il Tar Sardegna - e secondo l’orientamento ormai consolidato della Commissione in linea con esso - l’accesso diretto al protocollo consente una selezione della documentazione di effettivo interesse per il consigliere comunale, senza la previa necessità della materiale apprensione di mole di documentazione tra cui selezionare quella necessitata, con la conseguenza tra l’altro di scongiurare l’aggravio del carico di lavoro per l’ente, in ossequio al principio di buon andamento della P.A..
A seguito dell’accesso così esercitato – non quindi a tutti i documenti dello stesso, si ribadisce, ma ai dati di sintesi ricavabili dal protocollo – il consigliere comunale procederà alla formulazione della istanza di accesso, specifica e dettagliata, recante l’indicazione degli estremi identificativi degli atti e dei documenti o, qualora siano ignoti tali estremi, almeno degli elementi che consentano l’individuazione dell’oggetto dell’accesso.
Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato permane, infatti, la necessità che le istanze di accesso siano formulate in maniera specifica e recanti la precisa indicazione del documento oggetto di interesse. Tali cautele, secondo il Consiglio di Stato, derivano dall’esigenza che il consigliere comunale non abusi del diritto all’informazione riconosciutogli dall’ordinamento, piegandone le alte finalità a scopi meramente emulativi od aggravando eccessivamente, con richieste non contenute entro immanenti limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, la corretta funzionalità amministrativa dell’ente civico” (C.d.S. Sez. V, 11.12.2013 n. 5931).
Al contrario, osserva la Commissione, la possibilità di un accesso diretto ed indiscriminato a tutta la documentazione dell’ente finirebbe invero per scavalcare, azzerandola, la fase dell’istanza di accesso che deve invece sussistere ed essere connotata dai requisiti ora richiamati, la cui necessaria sussistenza è ribadita costantemente dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato.
La richiesta ostensiva del consigliere comunale, poi, deve essere sempre funzionalmente connessa all’esercizio del mandato amministrativo e alle relative funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo.
Tale sistema di accesso – per rispondere all’ altro quesito posto dal Comune - rende superflua la adozione di un regolamento che scongiuri l’apprensione generalizzata ed indiscriminata degli atti e dati dell'Amministrazione comunale al fine di evitare il paventato sindacato generale sull’attività della amministrazione.
Quanto alla ulteriore richiesta relativa alla eventuale accessibilità dei dati, informazioni e documenti che siano in fase istruttoria o in corso di lavorazione, la Commissione osserva quanto segue.
Se, ad esser richiesto è l’accesso ad un documento che risulti materialmente formato ed esistente agli atti del Comune, questo dovrà sempre essere liberamente accessibile da parte dei consiglieri comunali, con l’immanenza – si ripete - della strumentalità della richiesta avanzata all’esercizio del mandato amministrativo e alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo.
Qualora, invece, la richiesta attenga a documenti non ancora formati ma ancora in fase di istruttoria, si rientra nell’ambito informativo previsto dall’articolo 43 del TUEL, con possibilità per l’ente di differire l’accesso alla effettiva formazione della documentazione de qua, garantendo, però, l’accesso alle informazioni o notizie in possesso degli uffici comunali, utili all’espletamento del mandato ovvero allo svolgimento delle funzioni attribuite ai consiglieri ex lege.
In tal senso è il parere di questa Commissione.

Dal sito  http://www.commissioneaccesso.it/it/

martedì 15 ottobre 2019



Cass. 2 luglio 2019, n. 17713


Nel caso di scrittura privata autenticata all'estero da notaio straniero, l'autenticazione della firma avvenuta tramite il procedimento previsto dalla Convenzione dell'Aja (ratificata e resa esecutiva con l. n. 1253 del 1966) non esime il notaio dall'obbligo di accertare l'identità della persona che sottoscrive l'atto, atteso che il rispetto della "lex fori" italiana richiede che dall'autenticazione sia chiaramente desumibile che la sottoscrizione è stata apposta alla presenza del notaio e che questi ha accertato l'identità del sottoscrittore. (Fattispecie concernente una procura a vendere rilasciata all'estero con scrittura privata autenticata secondo il procedimento previsto dalla Convenzione dell'Aja e, dunque, regolarmente munita di apostille, ma per la quale il notaio straniero non aveva proceduto ad accertare l'identità della persona che aveva sottoscritto la procura).

[Massima redatta dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione]




OMISSIS


Con atto di citazione dell'8.11.1999, D.G. M. citava in giudizio N.F., chiedendo dichiararsi la nullità della procura a vendere un fondo rustico, da lei rilasciata al marito S.S., disconoscendo l'autenticità della propria firma; conseguentemente chiedeva dichiararsi la nullità dell'atto di compravendita per notar D.L. del 21.10.1996, con il quale il marito, quale suo procuratore, aveva venduto il fondo rustico alla N..

Si costituiva N.F., chiedendo preliminarmente l'autorizzazione alla chiamata in causa di S.S. e, nel merito, contestava la domanda, trattandosi di procura a vendere, regolarmente rilasciata dalla D.G. al marito innanzi al notaio A.I. di Pittsburg, Pennsylvania, alla presenza di due testimoni e nel rispetto delle disposizioni previste dalla Convenzione dell'Aja del 1961.

Il Tribunale di Avellino rigettava la domanda, rilevando che la procura, redatta innanzi al notaio americano e munita di apostille, doveva essere qualificata come atto pubblico, munito da pubblica fede, sicché la D.G., per contrastarne la veridicità, avrebbe dovuto proporre querela di falso.

Veniva proposto appello da D.G., resistito da N.F.; il giudizio, interrotto per il decesso di S.S., veniva riassunto nei confronti degli eredi M. e T. S., che si costituivano in giudizio per resistere alla domanda.

La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza del 2.7.2015, in riforma della decisione di primo grado, accoglieva la domanda e, per l'effetto, dichiarava inefficace l'atto di vendita stipulato il 21.10.1996 innanzi al notaio D.L..

La corte territoriale riteneva che la procura a vendere non avesse natura di atto pubblico, in quanto, la legge del 21.8.1953 n. 373 dello Stato della Pennsylvania non consente ai notai di redigere atti negoziali, ma solo li abilita 


OMISSIS   


Per la cassazione, ha proposto ricorso N.F. sulla base di quattro motivi e, in prossimità dell'udienza, ha depositato memorie illustrative.  


OMISSIS  


Nel caso di procura rilasciata all'estero e ricevuta da notaio straniero, l'atto, per avere efficacia nello Stato italiano, deve essere legalizzato, salvo contrari accordi internazionali.

La legalizzazione, richiesta per gli atti ed i documenti formati all'estero da autorità estere e da valere nello Stato, è disciplinata dagli artt. 30, 31 e 33 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa.

La legalizzazione consiste nell'attestazione ufficiale della legale qualità di chi ha apposto la propria firma sopra atti, certificati, copie ed estratti, nonché dell'autenticità della firma stessa.

La Convenzione dell'Aia del 5 ottobre 1961, ratificata e resa esecutiva con legge 20 dicembre 1966 n. 1253, ha abolito l'art. 1, l'obbligo della legalizzazione per gli atti pubblici formati in Stati aderenti, e fra essi esplicitamente include gli atti notarili (art. 1, lettera lett. c). 

Gli artt. 3-5 della Convenzione dell'Ala, al fine della prova della veridicità della firma e del sigillo del pubblico ufficiale da cui promana l'atto, richiedono, ad opera della competente autorità dello Stato di provenienza, una "apostille", ed inoltre ne completano la collocazione sull'atto medesimo o su un suo prolungamento, da apporre sull'atto stesso o su un suo foglio di allungamento, secondo il modello allegato alla Convenzione.

Alla stregua del tenore letterale di dette norme, ed in armonia con il loro inserimento in un accordo abolitivo della formalità della legalizzazione, la "apostille" non si traduce in una sorta di "nuova" legalizzazione od autenticazione della firma del pubblico ufficiale, né ha valenza di parte integrante dell'atto, ma svolge la sua funzione su un piano estrinseco, provando i requisiti occorrenti per il godimento della regola agevolatrice.

L'"apostille" non fa parte dell'atto pubblico.

Come affermato da questa Corte, l'"apostille", che, ai sensi degli artt. 3 e 5 della Convenzione dell'Ala, deve certificare la veridicità della firma e del sigillo del pubblico ufficiale da cui promana non è parte di detto atto, di modo che, ove sia redatta in epoca successiva e su un documento separato, non sposta in avanti la data di formazione dell'atto medesimo (Cass. 17.6.1994, n.5877).

Mancando tale forma legale di autenticità del documento, il giudice italiano non può attribuire efficacia validante a mere certificazioni provenienti dall'estero.

In presenza di una procura proveniente dall'estero, il notaio dovrà verificare:
- che sia un atto valido secondo i criteri di rinvio dettati dal diritto internazionale privato italiano (art. 60 della legge 218/95) e dunque indagare, se occorre, anche la disciplina applicabile nel paese di origine;
- che sia un atto proveniente da un'autorità competente di uno Stato straniero;
- che sia munita di legalizzazione od apostille, salvo la presenza di convenzioni bilaterali che aboliscono la legalizzazione e l'apostille;
- che non sia contraria ai parametri previsti dagli artt. 28 L.N. e 54 R.N. e che abbia in ogni caso, per il principio di congruità con l'atto al quale deve essere allegata, i requisiti minimi di sicurezza giuridica e di accertamento dell'identità del sottoscrittore richiesti per la circolazione in Italia del negozio principale.

Nella specie, il notaio americano aveva il potere di autenticare la firma apposta dalla D.G., ai sensi della Convenzione dell'Ala del 5-10-1961, cui hanno aderito gli Stati Uniti d'America.

Come risulta dalla sentenza impugnata, la procura è stata rilasciata innanzi al al notaio "A.I., notary public, Allegheny County", come risulta dalla "apostille", recante la sottoscrizione "James J Haggerty, Secretary of the Commonwealth of Pennsylvania".

Ciò nonostante, tale autenticazione, per essere valida in Italia, doveva rispettare la disposizione di cui all'art. 2703 c.c.: il pubblico ufficiale deve accertare l'identità della persona che la sottoscrive.

Nella specie, risulta dalla sentenza impugnata che il notaio americano identificò D.G. con la data di nascita del OMISSIS 1929, mentre la predetta era nata OMISSIS 1929.

Risulta, pertanto, che la persona che ha sottoscritto la procura ha generalità diverse da quelle dell'attrice, né sono menzionati i documenti di riconoscimento eventualmente esaminati.

Dal che si evince che non vi è stato un accertamento dell'identità della persona che ha sottoscritto la procura, come richiesto dall'art. 2703 c.c.

La giurisprudenza di legittimità si è occupata in più occasioni della validità della procura alle liti, rilasciata all'estero con scrittura privata autenticata, affermando che il rispetto della lex fori italiana richiede che dall'autenticazione sia chiaramente desumibile che la sottoscrizione sia stata apposta alla presenza del notaio e che questi abbia accertato l'identità del sottoscrittore (Cassazione civile, sez. un., 13/02/2008, n. 3410; Cassazione civile sez. II, 22/05/2008, n.13228).

Questa Corte, pur rinviando alla lex loci, per la validità dell'atto pubblico o la scrittura privata rilasciata all'estero, ha ritenuto necessario che il diritto straniero non debba essere in contrasto con alcuni istituti fondamentali dell'ordinamento italiano e che consistono, per la scrittura privata autenticata, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza e nel preventivo accertamento dell'identità del sottoscrittore.

Più di recente, in applicazione del medesimo principio, questa Corte, ha accolto l'eccezione di inammissibilità del controricorso per nullità della procura speciale rilasciata in Svizzera, non essendo stata allegata l'attività certificativa svolta dal notaio e, cioè, l'attestazione che la firma era stata apposta in sua presenza da persona di cui aveva accertato l'identità (Cassazione civile, sez. III, 15/11/2017, n. 26951).

Ne consegue il rigetto del ricorso non perché, come sostenuto dalla corte territoriale, la medesima avrebbe dovuto proporre istanza di verificazione della scrittura privata, ai sensi dell'art. 216 c.p.c., a seguito del disconoscimento della procura a vendere da parte della D.G., ma perché il notaio americano, che ha autenticato la firma, non ha accertato l'identità della D.G., avendo identificato una persona con generalità diverse.

L'autenticazione della firma, avvenuta tramite il procedimento previsto dalla Convenzione dell'Aja, non esime, infatti l'obbligo del public notary di identificare correttamente il soggetto che conferisce la procura.


OMISSIS

domenica 13 ottobre 2019


Corte di Giustizia UE 3 ottobre 2019, n. C-302/18, X


«Rinvio pregiudiziale – Politica di immigrazione – Status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo – Direttiva 2003/109/CE – Condizioni per acquisire lo status di soggiornante di lungo periodo – Articolo 5, paragrafo 1, lettera a) – Risorse stabili, regolari e sufficienti»





L’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, deve essere interpretato nel senso che la nozione di «risorse» di cui a tale disposizione non riguarda unicamente le «risorse proprie» del richiedente lo status di soggiornante di lungo periodo, ma può anche comprendere le risorse messe a disposizione di tale richiedente da un terzo purché, tenuto conto della situazione individuale del richiedente interessato, siano considerate stabili, regolari e sufficienti.






Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
3 ottobre 2019
Nella causa C‑302/18,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri, Belgio), con decisione del 14 dicembre 2017, pervenuta in cancelleria il 4 maggio 2018, nel procedimento
X
contro
Belgische Staat,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta da A. Prechal (relatrice), presidente di sezione, F. Biltgen, J. Malenovský, C.G. Fernlund e L.S. Rossi, giudici
avvocato generale: H. Saugmandsgaard Øe
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
–        per X, da J. Hardy, advocaat;
–        per il governo belga, da C. Pochet e M. Jacobs, nonché da P. Cottin, in qualità di agenti, assistiti da E. Matterne, advocaat;
–        per il governo ceco, da M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;
–        per il governo tedesco, da T. Henze e J. Möller, in qualità di agenti;
–        per il governo francese, da E. de Moustier, A.‑L. Desjonquères ed E. Armoet, in qualità di agenti;
–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da L. D’Ascia, avvocato dello Stato;
–        per il governo austriaco, da J. Schmoll, in qualità di agente;
–        per la Commissione europea, da C. Cattabriga e G. Wils, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 6 giugno 2019,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU 2004, L 16, pag. 44).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone X al Belgische Staat (Stato belga), in merito, segnatamente, al rigetto di una domanda di autorizzazione di residenza e di ottenimento dello status di soggiornante di lungo periodo.
 Contesto normativo
 Diritto dell’Unione
 Direttiva 2003/86/CE
3        Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/86/CE, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12):
«1.      Al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare, lo Stato membro interessato può chiedere alla persona che ha presentato la richiesta di dimostrare che il soggiornante dispone:
(...)
c)      di risorse stabili e regolari sufficienti per mantenere se stesso e i suoi familiari senza ricorrere al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato. Gli Stati membri valutano queste risorse rispetto alla loro natura e regolarità e possono tener conto della soglia minima delle retribuzioni e delle pensioni nazionali, nonché del numero di familiari».
 Direttiva 2003/109
4        I considerando 1, 2, 4, 6, 7 e 10 della direttiva 2003/109 enunciano quanto segue:
«(1)      Al fine di istituire progressivamente uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, il trattato [CE] prevede, da una parte, l’adozione di misure volte ad assicurare la libera circolazione dei cittadini, accompagnate da provvedimenti in materia di controlli alle frontiere esterne, asilo e immigrazione, e, dall’altra, l’adozione di misure in materia di asilo, immigrazione e salvaguardia dei diritti dei cittadini di paesi terzi.
(2)      Nella riunione straordinaria di Tampere del 15 e del 16 ottobre 1999, il Consiglio europeo ha affermato che occorre ravvicinare lo status giuridico dei cittadini di paesi terzi a quello dei cittadini degli Stati membri e che, alle persone che soggiornano regolarmente in un determinato Stato membro per un periodo da definirsi e sono in possesso di un permesso di soggiorno di lunga durata, lo Stato membro dovrebbe garantire una serie di diritti uniformi e quanto più simili a quelli di cui beneficiano i cittadini dell’Unione europea.
(...)
(4)      L’integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri costituisce un elemento cardine per la promozione della coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale della Comunità enunciato nel trattato.
(...)
(6)      La condizione principale per ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo dovrebbe essere la durata del soggiorno nel territorio di uno Stato membro. Dovrebbe trattarsi di un soggiorno legale ed ininterrotto, a testimonianza del radicamento del richiedente nel paese in questione. È necessaria una certa flessibilità affinché si possa tener conto delle circostanze che possono indurre una persona ad allontanarsi temporaneamente dal territorio.
(7)      Per acquisire lo status di soggiornante di lungo periodo il cittadino di paesi terzi dovrebbe dimostrare che dispone di un reddito sufficiente e di un’assicurazione contro le malattie, in modo da non diventare un onere per lo Stato membro. Gli Stati membri, al momento di valutare la disponibilità di un reddito stabile e regolare, possono tener conto di fattori quali i contributi al regime pensionistico e l’adempimento degli obblighi fiscali.
(...)
(10)      Occorre stabilire un sistema di regole procedurali per l’esame della domanda intesa al conseguimento dello status di soggiornante di lungo periodo. Tali procedure dovrebbero essere efficaci e gestibili in base al normale carico di lavoro delle amministrazioni degli Stati membri nonché trasparenti ed eque in modo da garantire agli interessati un livello adeguato di certezza del diritto. Esse non dovrebbero costituire un mezzo per ostacolare l’esercizio del diritto di soggiorno».
5        L’articolo 5 di tale direttiva, rubricato «Condizioni per acquisire lo status di soggiornante di lungo periodo», così prevede:
«1.      Gli Stati membri richiedono ai cittadini di paesi terzi di comprovare che dispongono, per sé e per i familiari a carico:
a)      di risorse stabili e regolari, sufficienti al sostentamento loro e dei loro familiari, senza fare ricorso al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato. Gli Stati membri valutano dette risorse con riferimento alla loro natura e regolarità e possono tenere conto del livello minimo di retribuzioni e pensioni prima della presentazione della richiesta dello status di soggiornante di lungo periodo;
b)      di un’assicurazione malattia contro tutti i rischi solitamente coperti per i propri cittadini nello Stato membro interessato.
(...)».
6        L’articolo 7, paragrafo 1, della citata direttiva prevede quanto segue:
«Per ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo, il cittadino di paese terzo interessato presenta domanda alle autorità competenti dello Stato membro in cui soggiorna. La domanda è corredata della documentazione comprovante conformemente alla legislazione nazionale la sussistenza delle condizioni di cui agli articoli 4 e 5, nonché, se necessario, di un documento di viaggio valido o di una copia autenticata.
(...)».
7        Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della medesima direttiva:
«Lo status di soggiornante di lungo periodo è permanente, fatto salvo l’articolo 9».
8        L’articolo 9 della direttiva 2003/109, rubricato «Revoca o perdita dello status», al suo paragrafo 1, cosi prevede:
«I soggiornanti di lungo periodo non hanno più diritto allo status di soggiornante di lungo periodo nei casi seguenti:
a)      constatazione dell’acquisizione fraudolenta dello status di soggiornante di lungo periodo;
b)      adozione di un provvedimento di allontanamento a norma dell’articolo 12;
c)      in caso di assenza dal territorio della Comunità per un periodo di dodici mesi consecutivi».
9        L’articolo 11 di detta direttiva prevede quanto segue:
«1.      «Il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda:
a)      l’esercizio di un’attività lavorativa subordinata o autonoma, purché questa non implichi nemmeno in via occasionale la partecipazione all’esercizio di pubblici poteri, nonché le condizioni di assunzione e lavoro, ivi comprese quelle di licenziamento e di retribuzione;
(...)».
10      L’articolo 12 della citata direttiva così dispone:
«1.      Gli Stati membri possono decidere di allontanare il soggiornante di lungo periodo esclusivamente se egli costituisce una minaccia effettiva e sufficientemente grave per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza.
2.      La decisione di cui al paragrafo 1 non è motivata da ragioni economiche.
(...)».
11      L’articolo 13 della medesima direttiva così recita:
«Gli Stati membri possono rilasciare permessi di soggiorno permanenti o di validità illimitata a condizioni più favorevoli rispetto a quelle previste dalla presente direttiva. Tali permessi di soggiorno non conferiscono il diritto di soggiornare negli altri Stati membri ai sensi del capo III della presente direttiva».
 Direttiva 2004/38/CE
12      Ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e rettifica in GU 2004, L 229, pag. 35):
«1.      Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:
a)      di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o
b)      di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; o
c)      –      di essere iscritto presso un istituto pubblico o privato, riconosciuto o finanziato dallo Stato membro ospitante in base alla sua legislazione o prassi amministrativa, per seguirvi a titolo principale un corso di studi inclusa una formazione professionale,
–      di disporre di un’assicurazione malattia che copre tutti i rischi nello Stato membro ospitante e di assicurare all’autorità nazionale competente, con una dichiarazione o con altro mezzo di sua scelta equivalente, di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il suo periodo di soggiorno;
(...)».
13      L’articolo 14, rubricato «Mantenimento del diritto di soggiorno», prevede al paragrafo 2:
«I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui agli articoli 7, 12 e 13 finché soddisfano le condizioni fissate negli stessi.
(...)».
 Diritto belga
14      Ai sensi dell’articolo 15 bis della wet betreffende de toegang tot het grondgebied, het verblijf, de vestiging en de verwijdering van vreemdelingen (legge in materia di ingresso nel territorio, soggiorno, stabilimento ed espulsione degli stranieri), del 15 dicembre 1980 (Belgisch Staatsblad, 31 dicembre 1980, pag. 14584), nella versione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale (in prosieguo: la «legge sugli stranieri»):
«§1. Fatti salvi motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale, deve essere riconosciuto lo status di soggiornante di lungo periodo allo straniero non cittadino dell’Unione europea, il quale soddisfi i requisiti fissati al paragrafo 3 e dimostri un soggiorno legale e ininterrotto nel Regno [del Belgio] nei cinque anni che precedono immediatamente la richiesta di acquisizione dello status di soggiornante di lungo periodo.
(...)
§3.      Lo straniero di cui al paragrafo 1 deve comprovare di disporre, per sé e per i familiari a carico, di risorse stabili e regolari, sufficienti al sostentamento suo e dei suoi familiari, in modo da non diventare un onere per lo Stato, nonché di un’assicurazione malattia che copra i rischi in Belgio.
I mezzi di sussistenza di cui al paragrafo 1 devono corrispondere almeno al livello di risorse al di sotto del quale può essere concesso un aiuto sociale. Nell’ambito della loro valutazione si tiene conto della loro natura e della loro regolarità.
Il Re determina, con Regio Decreto deliberato dal Consiglio dei Ministri e tenendo conto dei criteri definiti al paragrafo 2, l’ammontare minimo dei mezzi di sussistenza necessari».
15      Nella circolare relativa allo status di soggiornante di lungo periodo del 14 luglio 2009 (Belgisch Staatsblad, 11 agosto 2009), si precisa che la prova di tali mezzi di sussistenza può essere stabilita nel seguente modo:
«La prova dei mezzi di sussistenza può essere fornita dal reddito professionale, dall’indennità di disoccupazione, dall’indennità di invalidità, dal prepensionamento, dall’indennità di vecchiaia, dall’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro o dall’assicurazione contro le malattie professionali, (...) Tale elenco non è tassativo».
 Procedimento principale e questioni pregiudiziali
16      Il 26 luglio 2007 X, che ha dichiarato di essere cittadino camerunese, ha presentato domanda di visto per studenti all’ambasciata belga a Yaoundé (Camerun). Egli ha ottenuto detto visto e il suo diritto di soggiorno in Belgio è stato prorogato annualmente fino al 15 gennaio 2016. Il 19 gennaio 2016, su richiesta di X è stato concesso un permesso di soggiorno in quanto in possesso di un permesso di lavoro. La durata di validità di tale permesso andava fino al 14 gennaio 2017.
17      Il 27 dicembre 2016, X ha presentato una domanda intesa ad ottenere il conferimento dello status di soggiornante di lungo periodo. A sostegno di tale richiesta, egli ha presentato, in particolare, come prova di mezzi di sussistenza stabili, regolari e sufficienti, contratti di lavoro, un avviso fiscale e buste paga a nome di suo fratello. Inoltre, X ha prodotto un documento firmato da suo fratello, con il quale quest’ultimo si impegnava a provvedere affinché «l’interessato disponesse, “per sé e per i familiari a carico, di risorse stabili e regolari, sufficienti al sostentamento suo e dei suoi familiari, in modo da non diventare un onere per lo Stato” in conformità all’articolo 15 bis della [legge sugli stranieri]».
18      Il gemachtigde van de staatssecretaris voor Asiel en Migratie en Administratieve Vereenvoudiging (delegato del segretario di Stato per l’asilo e la migrazione, incaricato della semplificazione amministrativa, Belgio) (in prosieguo: il «delegato») ha respinto tale domanda con decisione del 5 aprile 2017. Per quanto riguarda i mezzi di sussistenza stabili, regolari e sufficienti ai sensi dell’articolo 15 bis della legge sugli stranieri, la decisione era così formulata:
«L’interessato non possiede risorse proprie. Risulta che egli non esercita più attività retribuita dal 31 maggio 2016 e che non dispone attualmente di alcuna risorsa. Menziona risorse di suo fratello. L’interessato deve dimostrare di disporre di mezzi di sussistenza sufficienti per se stesso in modo da non diventare un onere per lo Stato belga».
19      X ha proposto ricorso contro tale decisione dinanzi al Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri, Belgio), nel quale sostiene che essa era fondata su un’interpretazione erronea della condizione relativa ai mezzi di sussistenza di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2003/109, disposizione recepita dall’articolo 15 bis della legge sugli stranieri, in quanto tali disposizioni non richiederebbero che siano presi in considerazione soltanto i mezzi propri del ricorrente.
20      X sottolinea che l’espressione «disporre di risorse sufficienti», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2003/109 doveva essere interpretata nello stesso modo dei termini identici usati dalle direttive 2003/86 e 2004/38. La direttiva 2003/109 intende ravvicinare lo status giuridico dei titolari di un permesso di soggiorno di lunga durata a quello conferito ai cittadini dell’Unione. Ne conseguirebbe, in particolare, che la giurisprudenza relativa alla direttiva 2004/38 nonché la giurisprudenza pertinente precedente all’entrata in vigore di tale direttiva, dalla quale risulterebbe che quest’ultima non impone alcun requisito quanto alla provenienza delle risorse sufficienti, devono essere applicate per analogia.
21      Per contro, il delegato sostiene che il solo fatto che X sia preso in carico dal fratello non implica che egli abbia un reddito regolare e stabile. A suo avviso, la valutazione delle risorse nell’ambito di una procedura di ricongiungimento familiare non può essere effettuata allo stesso modo di quella effettuata nell’ambito di una procedura di ottenimento dello status di soggiornante di lungo periodo. Inoltre, nel caso di un ricongiungimento familiare relativo ad un cittadino dell’Unione, potrebbero essere presi in considerazione soltanto i redditi di quest’ultimo.
22      Alla luce di tali osservazioni, il giudice del rinvio si chiede, in particolare, se l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 debba essere interpretato nel senso che le «risorse» di cui a tale disposizione sono unicamente «risorse proprie» del ricorrente o se tale nozione comprenda altri tipi di risorse.
23      Date tali circostanze, il Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri, Belgio) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della [direttiva 2003/109], che prevede (in particolare) che, per acquisire lo status di soggiornante di lungo periodo, i cittadini di paesi terzi devono comprovare che “dispongono”, per sé e per i familiari a carico, di risorse stabili e regolari, sufficienti al sostentamento loro e dei loro familiari, senza fare ricorso al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato, debba essere interpretato nel senso che dette risorse possono essere unicamente “risorse proprie” del cittadino del paese terzo.
2)      Se sia sufficiente, a tal proposito, che dette risorse siano a disposizione del cittadino di un paese terzo, senza che siano poste ulteriori condizioni relative alla provenienza delle medesime, cosicché queste possono essere messe a disposizione del cittadino del paese terzo anche da un familiare o da un altro terzo.
3)      In caso di risposta affermativa all’ultima questione, se in tal caso un impegno di presa in carico assunto da un terzo, in cui detto terzo si impegna a garantire che il richiedente lo status di soggiornante di lungo periodo “disponga per sé e per i familiari a carico di risorse stabili e regolari, sufficienti al sostentamento suo e dei suoi familiari, per evitare di fare ricorso allo Stato”, sia sufficiente a comprovare che il richiedente può disporre di risorse ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della [direttiva 2003/109]».
 Sulle questioni pregiudiziali
24      Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 debba essere interpretato nel senso che la nozione di «risorse», di cui a tale disposizione, riguardi unicamente le «risorse proprie» del richiedente lo status di soggiornante di lungo periodo o se tale nozione comprenda anche le risorse messe a disposizione di tale richiedente da un terzo nonché, eventualmente, se un impegno di assistenza sottoscritto da tale terzo sia sufficiente a fornire la prova che detto richiedente dispone di risorse stabili, regolari e sufficienti, ai sensi di detta disposizione.
25      Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109, gli Stati membri impongono ai cittadini di paesi terzi l’obbligo di fornire la prova che dispongono per sé e per i familiari a carico, di risorse stabili e regolari, sufficienti al sostentamento loro e dei loro familiari, senza fare ricorso al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato. Gli Stati membri valutano dette risorse con riferimento alla loro natura e regolarità e possono tenere conto del livello minimo di retribuzioni e pensioni prima della presentazione della richiesta dello status di soggiornante di lungo periodo.
26      Poiché l’articolo 5, paragrafo1, lettera a), della direttiva 2003/109 non contiene alcun rinvio al diritto nazionale degli Stati membri, l’espressione «risorse» ivi contenuta, deve essere intesa come una nozione autonoma del diritto dell’Unione e interpretata in modo uniforme nel territorio di quest’ultima, indipendentemente dalle qualificazioni utilizzate negli Stati membri, prendendo in considerazione il tenore letterale della disposizione di cui trattasi nonché il suo contesto e gli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v., in tal senso, sentenza del 9 novembre 2017, Maio Marques da Rosa, C‑306/16, EU:C:2017:844, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).
27      Per quanto riguarda, in primo luogo, la formulazione dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109, va osservato che le versioni spagnola, inglese, francese e italiana di tale disposizione utilizzano un termine equivalente al termine «risorse», il quale, secondo il suo significato abituale, può riferirsi a tutti i mezzi finanziari a disposizione del richiedente lo status di residente di lungo periodo, indipendentemente dalla loro fonte. Per contro, le versioni in lingua neerlandese e tedesca di tale disposizione utilizzano termini equivalenti alla nozione di «reddito», che si riferisce più restrittivamente alle risorse personali, come, in particolare, quelle derivanti dall’attività economica del richiedente lo status di soggiornante di lungo periodo, il che tenderebbe ad escludere le risorse provenienti da un terzo, come un familiare.
28      Tenuto conto di questa ambiguità, la formulazione dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 non consente, di per sé, di determinare né la natura né l’origine delle risorse ivi menzionate.
29      Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’obiettivo della direttiva 2003/109, essa mira principalmente all’integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilmente residenti negli Stati membri. Inoltre, come risulta dal considerando 2 di tale direttiva, con la concessione dello status di soggiornante di lungo periodo, essa intende ravvicinare lo status giuridico di tali cittadini a quello dei cittadini degli Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 18 ottobre 2012, Singh, C‑502/10, EU:C:2012:636, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
30      Per quanto riguarda tale integrazione, secondo una giurisprudenza costante, come conferma altresì il considerando 6 della direttiva 2003/109, essa risulta innanzitutto dalla durata del soggiorno legale e ininterrotto per cinque anni che attesta il radicamento della persona di cui trattasi nel paese e quindi il suo stabilimento permanente (v., in tal senso, sentenza del 17 luglio 2014, Tahir, C‑469/13, EU:C:2014:2094, punto 33 e giurisprudenza ivi citata). Da tale punto di vista, la provenienza delle risorse di cui deve disporre un richiedente lo status di soggiornante di lungo periodo non sembra essere un criterio decisivo.
31      Per quanto riguarda, in terzo luogo, il contesto in cui si inserisce l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109, occorre rilevare che l’esigenza di disporre di risorse stabili, regolari e sufficienti costituisce una delle condizioni sostanziali per ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo. Orbene, alla luce dell’obiettivo perseguito dalla direttiva 2003/109 e del sistema da essa istituito, occorre rilevare che i cittadini di paesi terzi, qualora soddisfino le condizioni e rispettino le procedure previste da tale direttiva, hanno il diritto di conseguire lo status di soggiornante di lungo periodo nonché gli altri diritti derivanti dalla concessione di detto status (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2012, Commissione/Paesi Bassi, C‑508/10, EU:C:2012:243, punto 68). In tale contesto, come parimenti rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 46 delle sue conclusioni, l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 non consente, in linea di principio, di stabilire condizioni supplementari relative alla provenienza delle risorse contemplate da tale disposizione.
32      Inoltre, tenendo conto del quadro contestuale più ampio della suddetta disposizione, occorre rilevare che un requisito analogo di disporre di «risorse» figura anche all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/38, ai sensi del quale ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo superiore a tre mesi, in particolare se dispone, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno.
33      La Corte ha dichiarato che un’interpretazione della condizione relativa al carattere sufficiente delle risorse di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 2004/38 nel senso che l’interessato dovrebbe autonomamente disporre di tali risorse e non potrebbe avvalersi, a tale proposito, delle risorse di un familiare che lo accompagna, aggiungerebbe a tale condizione, quale formulata nella direttiva 2004/38, un requisito attinente alla provenienza delle risorse, che rappresenterebbe un’ingerenza sproporzionata nell’esercizio del diritto fondamentale di libera circolazione e di soggiorno garantito dall’articolo 21 TFUE, in quanto esso non è necessario al raggiungimento dell’obiettivo perseguito, cioè la protezione delle finanze pubbliche degli Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2015, Singh e a., C‑218/14, EU:C:2015:476, punto 75 e giurisprudenza ivi citata).
34      La nozione di «risorse» di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 può essere interpretata in modo analogo a quello previsto dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/38, nel senso che non esclude che l’interessato possa avvalersi di risorse provenienti da un terzo, suo familiare.
35      Tuttavia, dato il carattere definitivo dell’acquisizione dello status di residente di lungo periodo e tenuto conto dell’obiettivo dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109, che è quello di preservare il sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato, il requisito delle «risorse» ai sensi di tale direttiva ha un ambito di applicazione diverso da quello di cui alla direttiva 2004/38/CE.
36      Infatti, dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 risulta che gli Stati membri valutano tali risorse rispetto alla loro natura e regolarità e possono tenere conto del livello minimo degli stipendi e delle pensioni prima della domanda di acquisizione dello status di soggiornante di lungo periodo. Inoltre, contrariamente all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/38, l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 richiede che le risorse ivi menzionate siano non solo «sufficienti», ma anche «stabili» e «regolari».
37      Per quanto riguarda, sempre, il contesto di tale disposizione, occorre rilevare che un requisito di disporre di risorse «stabili, regolari e sufficienti» è contenuto anche nell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c) della direttiva 2003/86. La Corte ha dichiarato che deriva dallo stesso tenore letterale di tale disposizione e in particolare dall’impiego dei termini «stabili» e «regolari» che le risorse economiche in esame devono presentare una certa permanenza e una certa continuità. A tale proposito, ai sensi della seconda frase dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86, gli Stati membri valutano le risorse suddette con riferimento, in particolare, alla loro «regolarità» (v., in tal senso, sentenza del 21 aprile 2016, Khachab, C‑558/14, EU:C:2016:285, punto 30).
38      Risulta, quindi, dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86 che il suo dettato non può essere interpretato nel senso che osta alla possibilità per l’autorità competente dello Stato membro cui sia stata presentata una domanda di ricongiungimento familiare di esaminare se la condizione delle risorse del soggiornante sia soddisfatta tenendo conto di una valutazione relativa al mantenimento di tali risorse anche oltre la data di presentazione della domanda (v., in tal senso, sentenza del 21 aprile 2016, Khachab, C‑558/14, EU:C:2016:285, punto 31).
39      Inoltre, per quanto riguarda la stessa disposizione, e in particolare il termine «sufficienti» che emerge dalla sua formulazione, la Corte ha già rilevato che, poiché l’entità delle esigenze può variare notevolmente da un individuo all’altro, tale disposizione deve essere interpretata nel senso che gli Stati membri possono indicare un certo importo come importo di riferimento, ma non nel senso che essi possono stabilire un importo di reddito minimo, indipendentemente da un esame concreto della situazione di ciascun richiedente (v., in tal senso, sentenza del 4 marzo 2010, Chakroun, C‑578/08, EU:C:2010:117, punto 48).
40      Pertanto, dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86 discende che non è la provenienza delle risorse, bensì il loro carattere duraturo e sufficiente, tenuto conto della situazione individuale dell’interessato, che è decisivo.
41      Dall’esame del tenore letterale, dell’obiettivo e del contesto dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109, alla luce segnatamente delle disposizioni analoghe delle direttive 2004/38 e 2003/86, risulta che la provenienza delle risorse contemplate da tale disposizione non è un criterio determinante per lo Stato membro interessato al fine di verificare se queste ultime siano stabili, regolari e sufficienti.
42      Di conseguenza, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 77 delle sue conclusioni, spetta alle autorità competenti degli Stati membri analizzare in pratica la situazione individuale del richiedente lo status di soggiornante di lungo periodo nel suo insieme e indicare i motivi per cui le sue risorse sono sufficienti e se presentano o no una certa permanenza e continuità, in modo che il richiedente non diventi un onere per lo Stato membro ospitante.
43      Le risorse provenienti da un terzo o da un familiare del richiedente non sono quindi escluse dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109, purché esse siano stabili, regolari e sufficienti. A tale riguardo, in una situazione come quella di cui alla causa principale, il carattere giuridicamente vincolante di un impegno di presa in carico da parte di un terzo o di un familiare del richiedente può essere un elemento importante da prendere in considerazione. Le autorità competenti degli Stati membri possono altresì tener conto, in particolare, dei vincoli familiari tra il richiedente lo status di soggiornante di lungo periodo e il familiare o i familiari disposti ad occuparsene. Del pari, la natura e la permanenza delle risorse del o dei familiari di tale richiedente possono costituire elementi pertinenti in tal senso.
44      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 deve essere interpretato nel senso che la nozione di «risorse» di cui a tale disposizione non riguarda unicamente le «risorse proprie» del richiedente lo status di soggiornante di lungo periodo, ma può anche comprendere le risorse messe a disposizione di tale richiedente da un terzo purché, tenuto conto della situazione individuale del richiedente interessato, siano considerate stabili, regolari e sufficienti.
 Sulle spese
45      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
L’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, deve essere interpretato nel senso che la nozione di «risorse» di cui a tale disposizione non riguarda unicamente le «risorse proprie» del richiedente lo status di soggiornante di lungo periodo, ma può anche comprendere le risorse messe a disposizione di tale richiedente da un terzo purché, tenuto conto della situazione individuale del richiedente interessato, siano considerate stabili, regolari e sufficienti.
Dal sito http://curia.europa.eu