Istruzione - Servizi educativi alla prima infanzia - Norme della
Regione Veneto - Attribuzione di un titolo di precedenza, per l'ammissione al
servizio di asilo nido, ai figli di genitori che risiedono in Veneto o che vi
svolgono un'attività lavorativa da almeno quindici anni.
Corte cost. 25 maggio 2018, n. 107
E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 1, della legge della
Regione Veneto 21 febbraio 2017, n. 6 (Modifiche ed integrazioni alla legge
regionale 23 aprile 1990, n. 32, «Disciplina degli interventi regionali per i
servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi»), nella
parte in cui modifica l’art. 8, comma 4, della legge della Regione Veneto 23
aprile 1990, n. 32 (Disciplina degli interventi regionali per i servizi
educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi), introducendovi
la lettera b)
L.r. (Veneto) 23 aprile 1990, n. 32
OMISSIS
Art. 8 - (Ammissione e
frequenza al servizio).
1. Sono ammessi all’asilo nido
i bambini di età non inferiore a tre mesi e non superiore a tre anni.
2. Al fine di perseguire il pieno utilizzo delle risorse attivate nel
servizio, il regolamento di cui all’art. 7, può prevedere, anche in relazione
alla presenza media dei bambini, un numero di ammissioni superiore ai posti
effettivamente attivati, in misura non superiore al 20%.
3. In caso di gravi necessità possono essere ammessi all’asilo nido bambini
di età inferiore a tre mesi o può essere consentita la loro permanenza
nell’asilo nido fino all’inserimento nella scuola materna.
4. Hanno titolo di precedenza per l’ammissione all’asilo nido nel seguente
ordine di priorità:
a) i bambini portatori di disabilità;
b) i figli di genitori residenti in Veneto
anche in modo non continuativo da almeno quindici anni o che prestino
attività lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni,
compresi eventuali periodi intermedi di cassa integrazione, o di mobilità o
di disoccupazione. (1)
(1)Lettera introdotta a seguito della sostituzione
del comma, operata dall’art. 1, c. 1, della l.r. 21 febbraio 2017, n. 6, Modifiche ed integrazioni alla legge
regionale 23 aprile 1990, n. 32 "Disciplina degli interventi regionali
per i servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi
innovativi"
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OMISSIS
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Corte cost. 25 maggio 2018, n. 107
SENTENZA N. 107
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI,
Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,
Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge
della Regione Veneto 21 febbraio 2017, n. 6 (Modifiche ed integrazioni alla
legge regionale 23 aprile 1990, n. 32, «Disciplina degli interventi regionali
per i servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi»),
promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, spedito per la
notificazione il 26 aprile 2017, depositato in cancelleria il 2 maggio 2017,
iscritto al n. 37 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza pubblica del 10 aprile 2018 il Giudice relatore Daria de
Pretis;
uditi l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio
dei ministri e gli avvocati Ezio Zanon e Luigi Manzi per la Regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1, comma 1,
della legge della Regione Veneto 21 febbraio 2017, n. 6 (Modifiche ed integrazioni
alla legge regionale 23 aprile 1990, n. 32, «Disciplina degli interventi
regionali per i servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi
innovativi»), nella parte in cui modifica l’art. 8, comma 4, della legge reg.
Veneto 23 aprile 1990, n. 32 (Disciplina degli interventi regionali per i
servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi),
introducendovi la lettera b). La difesa erariale riferisce che, prima della
modifica, l’art. 8 della legge reg. Veneto n. 32 del 1990 ammetteva all’asilo
nido i bambini di età non inferiore a tre mesi e non superiore a tre anni e, al
comma 4, riconosceva «titolo di precedenza all’ammissione» ai «bambini
menomati, disabili o in situazioni di rischio e di svantaggio sociale». Dopo la
modifica introdotta dalla disposizione impugnata, l’art. 8, comma 4, della
legge reg. Veneto n. 32 del 1990 dispone quanto segue: «4. Hanno titolo di
precedenza per l’ammissione all’asilo nido nel seguente ordine di priorità: a)
i bambini portatori di disabilità; b) i figli di genitori residenti in Veneto
anche in modo non continuativo da almeno quindici anni o che prestino attività
lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni, compresi
eventuali periodi intermedi di cassa integrazione, o di mobilità o di
disoccupazione».
Il Governo contesta specificamente il criterio di precedenza di cui alla
lettera b), denunciando diversi vizi di illegittimità costituzionale.
1.1.– In primo luogo, tale norma violerebbe l’art. 3, primo e secondo comma,
della Costituzione. L’Avvocatura generale dello Stato, basandosi sui lavori
preparatori, ritiene che la norma abbia lo scopo di “privilegiare” le famiglie
in cui entrambi i genitori lavorano in Veneto da almeno quindici anni o ivi
risiedano da almeno quindici anni rispetto alle famiglie con reddito più basso,
in cui un genitore non lavora, che non siano radicate in Veneto da almeno
quindici anni. Il Governo ritiene violato l’art. 3 Cost. perché non si potrebbe
differenziare, da un lato, la situazione dei figli di genitori residenti o
occupati in Veneto da almeno quindici anni e, dall’altro, le seguenti
situazioni: quella dei «figli di genitori di cui uno solo sia residente in
Veneto, e magari sia il genitore con cui il figlio convive, o dei figli di genitori
di cui uno solo sia occupato in Veneto»; quella «dei figli su cui eserciti la
responsabilità genitoriale un solo genitore residente o occupato in Veneto
(essendo l’altro genitore ignoto o deceduto o decaduto dalla responsabilità
genitoriale)»; quella «dei figli di genitori residenti o occupati in Veneto da
meno di quindici anni, ma comunque da un periodo significativo (o dei figli di
genitori che non possono accumulare periodi così lunghi di lavoro nella stessa
regione perché occupati in attività che comportano frequenti mutamenti di
sede)». Il Governo sostiene poi che non si potrebbe differenziare la situazione
dei figli di genitori residenti o occupati in Veneto da almeno quindici anni,
«quale che sia la loro capacità economica», e quella «dei figli di genitori di
capacità economica ridotta, attestata dall’ISEE o da altri indici, come lo
stato di disoccupazione», oppure quella «del bambino privo di entrambi i
genitori».
Il fatto che lo stato di residenza o di occupazione in Veneto si sia
protratto, per entrambi i genitori, per un dato periodo di tempo (quindici
anni) non sarebbe idoneo, per l’Avvocatura, «a dimostrare che i figli di tali
genitori esprimano una necessità di fruire del servizio degli asili nido
pubblici maggiore» rispetto ai figli dei genitori che si trovino in una delle
situazioni sopra descritte. Il criterio utilizzato dalla norma, dunque, sarebbe
illegittimo perché non presenterebbe «alcun percepibile collegamento logico né
con le esigenze formative del bambino, né con le esigenze educative ed
economiche dei genitori». La norma determinerebbe una differenziazione
arbitraria, in contrasto con l’art. 3 Cost.
In secondo luogo, la norma impugnata violerebbe l’art. 3, primo e secondo
comma, Cost. anche «inteso come canone di ragionevolezza e proporzionalità
della legislazione, in rapporto agli obiettivi sociali che la legge persegue».
Poiché, secondo l’Avvocatura, beneficiario principale del servizio è il
bambino, mentre i genitori sono beneficiari “di riflesso”, sarebbe
«manifestamente irragionevole subordinare la precedenza nelle graduatorie ad
una condizione, come la durata per almeno quindici anni della residenza o
dell’occupazione nella regione, che può riguardare soltanto i genitori ed è,
ovviamente, del tutto estranea alla condizione specifica del bambino».
Comunque, anche a voler considerare il solo interesse “riflesso” dei genitori,
sarebbe «manifestamente irragionevole svincolare del tutto la selezione da
criteri di natura economica, riferiti al reddito o al patrimonio della famiglia».
I criteri della protratta residenza e della protratta occupazione nel
territorio regionale possono portare, secondo il Governo, «a privilegiare
situazioni familiari economicamente migliori e a discriminare situazioni
familiari economicamente più precarie», il che non sarebbe «razionalmente
giustificabile, anche in considerazione del fatto […] che con gli asili nido
pubblici concorre l’offerta delle strutture private, senz’altro accessibili
alle famiglie con redditi più elevati».
L’Avvocatura aggiunge poi che, «anche a voler ammettere, in subordine, che
la durata della residenza o dell’occupazione nel territorio regionale possa
costituire (il che non è) un criterio selettivo logicamente congruo rispetto
all’obiettivo di graduare gli aspiranti al servizio degli asili nido pubblici,
appare palese come una durata pari addirittura a quindici anni sia eccessiva e
comunque fonte di applicazioni irrazionali». Il requisito della residenza o
dell’occupazione per quindici anni sarebbe irragionevole anche perché non sarebbe
neppure idoneo a dare una preferenza ai soggetti “radicati” in Veneto. Infatti,
nel caso in cui il periodo debba calcolarsi con riferimento a ciascun genitore
considerato separatamente, «la norma favorirebbe indebitamente i nati in
Veneto, che è plausibile che vi abbiano risieduto per i primi quindici anni di
vita, attribuendo loro “de futuro” un “diritto di prelazione” esercitabile
anche molti anni dopo, semplicemente tornando a risiedere in Veneto per un
breve periodo, una volta divenuti genitori, magari dopo una lunga assenza che
non è certo indice di radicamento territoriale». Nel caso in cui, invece, il
periodo debba calcolarsi con riferimento ad entrambi i genitori («nel senso che
non i singoli componenti bensì la “coppia” in quanto tale deve avere risieduto
o essere stata occupata in Veneto per almeno quindici anni»), la norma «si
rivelerebbe completamente inutile per tutti i genitori che, come è
statisticamente normale, siano divenuti tali prima che siano decorsi quindici
anni di residenza comune o di occupazione continuativa». In entrambe le ipotesi
(calcolo “separato” o “congiunto” del periodo di quindici anni), il requisito
in questione verrebbe poi «a costituire un disincentivo a divenire genitori
prima di avere accumulato una anzianità lavorativa di almeno quindici anni»,
così contraddicendo «una delle finalità proprie del sistema degli asili nido,
che è quella di favorire, contemporaneamente, il lavoro e la natalità»: di qui
un ulteriore profilo di irragionevolezza della norma impugnata.
L’Avvocatura precisa poi che la violazione dell’art. 3 Cost. sussisterebbe
anche qualora si interpretasse la disposizione impugnata nel senso che il
titolo di precedenza spetta non solo a chi ha entrambi i genitori residenti o
occupati in Veneto da almeno quindici anni, ma anche a chi ha un solo genitore
rispondente a tali requisiti. In tal caso, sarebbero comunque discriminati «i
bambini privi di entrambi i genitori» e quelli che non hanno neppure un
genitore residente o occupato in Veneto da almeno 15 anni. Inoltre, sarebbe pur
sempre manifestamente irrazionale un criterio di preferenza «basato sulla
durata della residenza o dell’occupazione nella regione del genitore, anziché
sulla condizione del bambino, e sulla completa esclusione di qualsiasi rilievo
della situazione economica del genitore», e sarebbe pur sempre «eccessiva» la
durata del periodo di residenza o di occupazione richiesto. Anzi, qualora fosse
sufficiente la residenza o l’occupazione protratta in Veneto in capo a un solo
genitore, si «amplierebbe l’area delle situazioni indebitamente privilegiate».
1.2.– Il Governo lamenta poi la violazione dell’art. 31, secondo comma,
Cost., in quanto il criterio di precedenza individuato dalla norma impugnata
frustrerebbe «i valori costituzionali ivi codificati della tutela dell’infanzia
e della promozione dei necessari istituti»: «[u]na disciplina che porta a
formare le graduatorie di ammissione agli asili nido basandosi sulle condizioni
di residenza e di lavoro dei genitori […], mentre trascura del tutto di
considerare la condizione dei bambini», confliggerebbe con i valori suddetti.
1.3.– Ancora, la norma impugnata violerebbe gli articoli 16 e 120, primo
comma, Cost., in quanto ostacolerebbe «il trasferimento in Veneto di famiglie
che nella propria regione di residenza o di lavoro godano di provvidenze
simili, in quanto con il trasferimento in Veneto le perderebbero (non potendole
riacquistare prima di quindici anni)», e, reciprocamente, costituirebbe «un
incentivo indebito […] a non lasciare il Veneto per coloro che già vi risiedano
o vi lavorino».
1.4.– Infine, la norma in questione violerebbe il diritto dell’Unione
europea (art. 117, primo comma, Cost.), sotto diversi profili.
In primo luogo, essa contrasterebbe «con la normativa europea in materia di
libera circolazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari» (art. 21,
par. 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, come modificato
dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato dalla
legge 2 agosto 2008, n. 137). Il requisito preferenziale, «richiedendo un
periodo così prolungato, eccede quanto necessario al raggiungimento del
legittimo obiettivo di accertare l’esistenza di un nesso reale tra il
richiedente una prestazione e lo Stato membro competente, ovvero di preservare
l’equilibrio finanziario del sistema locale di assistenza sociale».
Inoltre, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con l’art. 19 del
decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 (Attuazione della direttiva
2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari
di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri),
dal momento che l’art. 24 della citata direttiva «garantisce parità di
trattamento ai cittadini di Stati membri che risiedano da più di tre mesi in un
diverso Stato membro, […] rispetto ai cittadini dello Stato ospitante, senza
esigere alcun periodo pregresso di residenza a tal fine». Dunque, la norma in
questione discriminerebbe «tutti i cittadini dell’Unione che soggiornino in
Veneto da più di tre mesi o comunque che abbiano ottenuto il diritto di
soggiorno permanente, non avendo però maturato 15 anni di residenza anche non
continuativa o di lavoro continuativo in Veneto».
Ancora, la norma de qua discriminerebbe i cittadini di Paesi terzi
soggiornanti di lungo periodo, «i quali, secondo quanto previsto dall’art. 11,
paragrafo 1, lettere d) e f), della direttiva 2003/109/CE, recepita con decreto
legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, trascorsi cinque anni di soggiorno regolare
sull’intero territorio nazionale (non necessariamente tutti in un’unica
regione), dovrebbero godere dello stesso trattamento dei cittadini nazionali
sia per quanto riguarda “le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la
protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale”, sia per quanto
riguarda “l’accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico e
all’erogazione degli stessi”».
L’Avvocatura ricorda che la
Corte costituzionale, nella sentenza n. 168 del 2014, ha
ritenuto contrastante con le citate norme europee una legge valdostana che
subordinava ad una residenza minima di otto anni nella regione l’accesso
all’edilizia residenziale pubblica.
2.– La Regione
Veneto si è costituita in giudizio con memoria depositata il
5 giugno 2017.
Con riferimento alla asserita violazione del principio di uguaglianza, la Regione rileva che la
norma impugnata «non prevede un criterio selettivo di accesso al servizio di
asilo nido, ma unicamente introduce un canone preferenziale basato sul
radicamento familiare e lavorativo nel territorio regionale»; essa, cioè, non
preclude ad alcuno l’accesso agli asili nido, ragion per cui non potrebbe
produrre alcuna discriminazione. Inoltre, la Regione osserva che l’erogazione del servizio di
asilo nido non è obbligatoria. Il legislatore regionale avrebbe esercitato la
propria potestà discrezionale, dando precedenza «a coloro che abbiano più a
lungo contribuito alla realizzazione del contesto sociale ed economico pubblico
da cui ha origine il sistema locale di assistenza alla prima infanzia». La
norma non sarebbe affetta da «palese irrazionalità». Inoltre, essa non
discriminerebbe il bambino orfano di un genitore o di entrambi perché la
locuzione genitori si riferirebbe «ai soggetti esercenti la potestà
genitoriale, a qualunque titolo ciò avvenga e pur anche nel caso in cui vi sia
un solo “genitore”».
Quanto alla violazione del principio di ragionevolezza, la Regione osserva, da un
lato, che «gli asili nido pubblici, per espressa previsione della legge statale
[legge 6 dicembre 1971, n. 1044 «Piano quinquennale per l’istituzione di
asili-nido comunali con il concorso dello Stato»], non sono teleologicamente
diretti a soddisfare in via esclusiva e prioritaria un interesse formativo del
bambino, ma invece sono rivolti a garantire una adeguata assistenza familiare e
di promozione del lavoro, soprattutto muliebre, cui accede necessariamente un
esito di socializzazione e formazione educativa»; dall’altro, che i comuni
hanno potestà regolamentare in materia di asili nido pubblici, potendo prevedere
criteri reddituali di graduazione delle domande.
Con riferimento alla asserita violazione dell’art. 31 Cost., la Regione ribadisce che la
norma impugnata non fissa un criterio di ammissione ma solo di precedenza e che
la disciplina degli asili nido serve a tutelare l’infanzia «solo in via
indiretta». Inoltre, osserva che l’art. 31 Cost. sarebbe una norma
«programmatica», inidonea a incidere sul contenuto di istituti che non tocchino
diritti fondamentali dei bambini.
La censura relativa agli artt. 16 e 120 Cost. è giudicata dalla Regione
«inverosimile», non potendo un criterio di preferenza nell’accesso agli asili
nido condizionare la scelta di trasferirsi in Veneto. L’argomento
dell’Avvocatura impedirebbe agli enti territoriali di prevedere qualsiasi forma
di agevolazione economica a favore dei residenti.
Infine, con riferimento alla questione concernente l’art. 117, primo comma,
Cost., la Regione
rileva che la norma impugnata non viola le norme europee invocate perché «il
criterio selettivo opera nei confronti sia dei cittadini sia dei non
cittadini», per cui «nessuna discriminazione può ipotizzarsi».
3.– La Regione
Veneto ha depositato una memoria integrativa il 20 marzo
2018. In essa afferma che la norma impugnata «non prevede un criterio
escludente, ma unicamente un criterio suppletivo di preferenza a parità di
condizioni per accedere agli asili nido», cioè un criterio «che opera solo
secondariamente e unicamente dopo che i soggetti richiedenti siano già stati
selezionati secondo i criteri primari diretti a valorizzare il bisogno di
accedere al servizio per l’infanzia». Tale interpretazione della disposizione
impugnata sarebbe confermata dalla concreta applicazione che ne hanno fatto i
comuni veneti.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri censura l’art. 1, comma 1,
della legge della Regione Veneto 21 febbraio 2017, n. 6 (Modifiche ed
integrazioni alla legge regionale 23 aprile 1990, n. 32, «Disciplina degli
interventi regionali per i servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e
servizi innovativi»), nella parte in cui modifica l’art. 8, comma 4, della
legge reg. Veneto 23 aprile 1990, n. 32 (Disciplina degli interventi regionali
per i servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi),
introducendovi la lettera b).
Per effetto della disposizione impugnata, l’art. 8, comma 4, della legge
reg. Veneto n. 32 del 1990 dispone quanto segue: «4. Hanno titolo di precedenza
per l’ammissione all’asilo nido nel seguente ordine di priorità: a) i bambini
portatori di disabilità; b) i figli di genitori residenti in Veneto anche in
modo non continuativo da almeno quindici anni o che prestino attività
lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni, compresi
eventuali periodi intermedi di cassa integrazione, o di mobilità o di
disoccupazione».
Il ricorrente ritiene che il criterio di precedenza fissato alla lettera b)
sia incostituzionale per violazione delle seguenti norme: a) art. 3 della
Costituzione, con riferimento sia al principio di uguaglianza sia a quello di
ragionevolezza; b) art. 31, secondo comma, Cost., in quanto la norma censurata
frustrerebbe il valore costituzionale della tutela dell’infanzia; c) artt. 16 e
120, primo comma, Cost., in quanto la norma impugnata ostacolerebbe la libertà
di circolazione; d) art. 117, primo comma, Cost., in quanto la norma censurata
violerebbe l’art. 21 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE),
come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007,
ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 137, in materia di libertà di
circolazione; l’art. 24 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e
dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio
degli Stati membri; l’art. 11, paragrafo 1, lettere d) e f), della direttiva
2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei
cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.
2.– Prima di esaminare le questioni di costituzionalità sollevate nel
ricorso, è opportuno definire l’esatto significato della disposizione
impugnata.
In primo luogo, si deve osservare che l’interpretazione proposta dalla
Regione nella memoria integrativa non risulta coerente con la portata della
disposizione impugnata. Questa non prevede un criterio meramente sussidiario,
destinato a operare per i soggetti che si trovino a parità di punti, ma fissa
un «titolo di precedenza» che prevale sui criteri fissati dai singoli comuni.
Ciò risulta dalla formulazione della disposizione, che non accenna al presunto
carattere sussidiario del criterio, e dall’accostamento al titolo di precedenza
rappresentato dalla disabilità, che certamente opera in via prevalente e non
sussidiaria; trova inoltre conferma nei lavori preparatori della legge, che
sono coerenti con l’interpretazione sostenuta dalla Regione nella memoria di
costituzione e non offrono alcuno spunto a sostegno dell’interpretazione
adeguatrice prospettata nella memoria integrativa.
Il titolo di precedenza previsto dalla norma impugnata opera a favore del
complesso dei bambini figli di genitori radicati in Veneto da lungo tempo. Il
periodo di quindici anni deve essere calcolato con riferimento a ciascun
genitore considerato separatamente, e non alla coppia, e il termine «genitori»
è da intendere in modo conforme alla lettera, cioè nel senso che la precedenza
non spetta a chi ha due genitori di cui uno solo radicato da lungo tempo in
Veneto. Un’interpretazione estensiva si giustificherebbe qualora la lettera
della disposizione non esprimesse in modo sufficiente la sua ratio, ma non è
questo il caso, dal momento che la ratio della disposizione converge con la sua
lettera nel privilegiare le coppie (da lungo tempo) venete. Pur non avendo
valore decisivo, i lavori preparatori confermano l’interpretazione letterale,
visto che da essi emerge che lo scopo era quello di favorire le giovani coppie
venete e le famiglie in cui entrambi i genitori lavorano. L’estensione della
precedenza alle famiglie in cui un solo genitore è radicato in Veneto da più di
quindici anni amplierebbe i beneficiari del titolo di precedenza, vanificando
l’obiettivo del legislatore.
Occorre precisare, peraltro, che, se la disposizione impugnata non intende privilegiare
le famiglie in cui un genitore su due possiede i requisiti, ad essa non si può
attribuire l’intento di discriminare i bambini orfani (o comunque privi) di un
genitore o di entrambi, sicché in base ad essa, nei casi in cui la
responsabilità genitoriale è esercitata da una sola persona radicata in Veneto
da lungo tempo, il titolo di precedenza spetta.
Da ultimo, è opportuno rilevare che la norma impugnata, benché non
disciplini un requisito di accesso, fissa un titolo di precedenza a favore di
un’ampia categoria di persone e produce così effetti sostanzialmente escludenti
dei soggetti non radicati in Veneto da almeno quindici anni (data la notoria
scarsità di asili nido pubblici), essendo dunque paragonabile alle norme che
considerano la residenza prolungata come requisito di accesso.
3.– La questione relativa all’art. 3 Cost. è fondata.
Per vagliare la ragionevolezza del titolo di precedenza fissato dalla norma
impugnata, è preliminarmente necessario soffermarsi sulla funzione degli asili
nido.
La legge 6 dicembre 1971, n. 1044 (Piano quinquennale per l’Istituzione di
asili-nido comunali con il concorso dello Stato), ha istituito gli asili nido
come «servizio sociale di interesse pubblico» (art. 1, primo comma). All’epoca
il servizio era incentrato maggiormente sui bisogni dei genitori, avendo
soprattutto il fine di facilitare l’accesso della donna al lavoro (art. 1,
secondo comma).
L’art. 6 della legge n. 1044 del 1971 affidava alle regioni il compito di
fissare, «con proprie norme legislative, […] i criteri generali per la
costruzione, la gestione e il controllo degli asili-nido». Le leggi regionali
adottate in sua attuazione hanno attribuito una funzione educativa agli asili
nido, nella cui disciplina ha dunque assunto peso crescente l’interesse del
bambino. Ciò è attestato, ad esempio, dalla citata legge reg. Veneto n. 32 del
1990 (modificata dalla legge impugnata), che definisce gli asili nido «attività
educativo-assistenziale» (art. 1) e nella quale, anzi, è il bambino il
destinatario principale del servizio degli asili nido («L’asilo nido è un
servizio di interesse pubblico rivolto alla prima infanzia e ha finalità di
assistenza, di socializzazione e di educazione nel quadro di una politica di
tutela dei diritti dell’infanzia», art. 5, comma 1).
La doppia valenza degli asili nido (sociale ed educativa) si conferma nella
successiva legislazione statale: da un lato, la legge 8 novembre 2000, n. 328
(Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e
servizi sociali), dedica l’art. 16 alla «[v]alorizzazione e sostegno delle
responsabilità familiari» e dispone, all’art. 22, comma 2, che «gli interventi
di seguito indicati costituiscono il livello essenziale delle prestazioni
sociali […] d) misure per il sostegno delle responsabilità familiari, ai sensi
dell’articolo 16, per favorire l’armonizzazione del tempo di lavoro e di cura
familiare […]» (il decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 2001,
recante «Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003», considera
il sostegno delle responsabilità familiari come il primo fra gli obiettivi
prioritari e tratta degli asili nido nel punto 1.2); dall’altro, l’art. 70
della legge 28 dicembre 2001, n. 448, recante «Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)»,
definisce gli asili nido «strutture dirette a garantire la formazione e la
socializzazione delle bambine e dei bambini di età compresa tra i tre mesi ed i
tre anni ed a sostenere le famiglie ed i genitori», e la legge 13 luglio 2015,
n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per
il riordino delle disposizioni legislative vigenti), prevede l’«istituzione del
sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni,
costituito dai servizi educativi per l’infanzia e dalle scuole dell’infanzia,
al fine di garantire ai bambini e alle bambine pari opportunità di educazione,
istruzione, cura, relazione e gioco, superando disuguaglianze e barriere
territoriali, economiche, etniche e culturali, nonché ai fini della
conciliazione tra tempi di vita, di cura e di lavoro dei genitori» (art. 1,
comma 181, lettera e), comprendendo in particolare i «servizi educativi per
l’infanzia» gli asili nido (art. 2, comma 3, lettera a del decreto legislativo
13 aprile 2017, n. 65, recante «Istituzione del sistema integrato di educazione
e di istruzione dalla nascita sino a sei anni, a norma dell’articolo 1, commi
180 e 181, lettera e, della legge 13 luglio 2015, n. 107»). La doppia valenza
degli asili nido emerge anche nella legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge finanziaria 2007)» (art. 1, comma 1259), e nella legge 24 dicembre 2007,
n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)» (art. 2, commi 458 e 460),
che, con riferimento agli asili nido, parlano di servizi socio-educativi.
In definitiva, gli asili nido hanno una funzione educativa, a vantaggio dei
bambini, e una funzione socio-assistenziale, a vantaggio dei genitori che non
hanno i mezzi economici per pagare l’asilo nido privato o una baby-sitter;
dalla disciplina legislativa emerge soprattutto l’intento di favorire l’accesso
delle donne al lavoro, finalità che ha specifica rilevanza costituzionale,
garantendo espressamente la
Costituzione la possibilità per la donna di conciliare il
lavoro con la «funzione familiare» (art. 37, primo comma, Cost.).
3.1.– Chiarita la funzione del servizio degli asili nido, è opportuno
ricordare che questa Corte ha affermato «il principio che “se al legislatore,
sia statale che regionale (e provinciale), è consentito introdurre una
disciplina differenziata per l’accesso alle prestazioni assistenziali al fine
di conciliare la massima fruibilità dei benefici previsti con la limitatezza
delle risorse finanziarie disponibili” (sentenza n. 133 del 2013), tuttavia “la
legittimità di una simile scelta non esclude che i canoni selettivi adottati
debbano comunque rispondere al principio di ragionevolezza” (sentenza n. 133
del 2013) e che, quindi, debbano essere in ogni caso coerenti ed adeguati a
fronteggiare le situazioni di bisogno o di disagio, riferibili direttamente
alla persona in quanto tale, che costituiscono il presupposto principale di
fruibilità delle provvidenze in questione (sentenza n. 40 del 2011)”» (sentenza
n. 168 del 2014). Ha inoltre affermato che «l’introduzione di regimi
differenziati è consentita solo in presenza di una causa normativa non
palesemente irrazionale o arbitraria, che sia cioè giustificata da una
ragionevole correlazione tra la condizione cui è subordinata l’attribuzione del
beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento
e ne definiscono la ratio» (sentenza n. 172 del 2013).
Con particolare riferimento al requisito della residenza protratta, questa
Corte ha anche osservato che, «mentre la residenza costituisce, rispetto a una
provvidenza regionale, “un criterio non irragionevole per l’attribuzione del
beneficio” (sentenza n. 432 del 2005), non altrettanto può dirsi quanto alla
residenza protratta per un predeterminato e significativo periodo minimo di
tempo (nella specie, quinquennale). La previsione di un simile requisito,
infatti, ove di carattere generale e dirimente, non risulta rispettosa dei
principi di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto “introduce nel tessuto
normativo elementi di distinzione arbitrari”, non essendovi alcuna ragionevole
correlazione tra la durata prolungata della residenza e le situazioni di
bisogno o di disagio, riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che
in linea astratta ben possono connotare la domanda di accesso al sistema di
protezione sociale (sentenza n. 40 del 2011)» (sentenza n. 222 del 2013).
3.2.– Tenuto conto di quanto esposto sopra sulla funzione degli asili nido e
alla luce della giurisprudenza costituzionale appena rammentata, la norma
impugnata risulta lesiva dell’art. 3 Cost.
La configurazione della residenza (o dell’occupazione) protratta come titolo
di precedenza per l’accesso agli asili nido, anche per le famiglie
economicamente deboli, si pone in frontale contrasto con la vocazione sociale
di tali asili. Il relativo servizio risponde direttamente alla finalità di uguaglianza
sostanziale fissata dall’art. 3, secondo comma, Cost., in quanto consente ai
genitori (in particolare alle madri) privi di adeguati mezzi economici di
svolgere un’attività lavorativa; il servizio, pertanto, elimina un ostacolo che
limita l’uguaglianza sostanziale e la libertà dei genitori e impedisce il pieno
sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione dei genitori stessi
alla vita economica e sociale del Paese.
Per questa ragione, il servizio degli asili nido dovrebbe essere destinato
primariamente alle famiglie in condizioni di disagio economico o sociale, come
era previsto dall’art. 8, comma 4, della legge reg. Veneto n. 32 del 1990,
nella sua previgente formulazione («Hanno titolo di precedenza all’ammissione i
bambini menomati, disabili o in situazioni di rischio e di svantaggio
sociale»), in coerenza con la disciplina statale, che sancisce il principio
dell’accesso prioritario ai servizi sociali a favore dei soggetti in condizioni
di difficoltà economico-sociale (art. 2, comma 3, della legge n. 328 del 2000).
La norma impugnata, invece, prescinde totalmente dal fattore economico e,
favorendo le persone radicate in Veneto da lungo tempo, adotta un criterio che
contraddice anche lo scopo dei servizi sociali di garantire pari opportunità e
di evitare discriminazioni (art. 1, comma 1, della legge n. 328 del 2000).
In definitiva, il titolo di precedenza previsto dalla norma impugnata è
contrario sia alla funzione sociale degli asili nido sia alla vocazione
“universalistica” dei servizi sociali.
Quanto alla funzione educativa degli asili nido, l’estraneità ad essa del
“radicamento territoriale” risulta ugualmente evidente, e tanto più risulta
tale nella norma impugnata che riferisce il requisito ai genitori e non ai
beneficiari dell’attività educativa, essendo ovviamente irragionevole ritenere
che i figli di genitori radicati in Veneto da lungo tempo presentino un bisogno
educativo maggiore degli altri.
3.3.– Quanto alla vocazione universalistica dei servizi sociali, a
differenza del requisito della residenza tout court (che serve a identificare
l’ente pubblico competente a erogare una certa prestazione ed è un requisito
che ciascun soggetto può soddisfare in ogni momento), quello della residenza
protratta integra una condizione che può precludere in concreto a un
determinato soggetto l’accesso alle prestazioni pubbliche sia nella regione di
attuale residenza sia in quella di provenienza (nella quale non è più
residente). Le norme che introducono tale requisito vanno dunque vagliate con particolare
attenzione, in quanto implicano il rischio di privare certi soggetti
dell’accesso alle prestazioni pubbliche solo per il fatto di aver esercitato il
proprio diritto di circolazione o di aver dovuto mutare regione di residenza.
L’argomento utilizzato dalla Regione Veneto a sostegno dell’infondatezza
della questione (ossia che la norma impugnata darebbe la precedenza «a coloro
che abbiano più a lungo contribuito alla realizzazione del contesto sociale ed
economico pubblico da cui ha origine il sistema locale di assistenza alla prima
infanzia») non convince. In primo luogo, nessuno dei due criteri utilizzati
dalla norma impugnata (residenza prolungata in Veneto o occupazione prolungata
in Veneto) assicura che i genitori abbiano pagato tributi in Veneto per un
lungo periodo (la residenza può non essere coincisa con un periodo lavorativo e
l’occupazione prolungata in Veneto non implica necessariamente la residenza in
Veneto). L’argomento si presenta opinabile anche alla luce dell’effettivo
assetto delle fonti di finanziamento degli asili nido, dato che le risorse
necessarie per la costruzione degli edifici e lo svolgimento del servizio
possono essere di origine non regionale (gli artt. 8 e 12 del citato d.lgs. n.
65 del 2017 prevedono finanziamenti statali, e la stessa legge reg. Veneto n.
32 del 1990 menziona «contributi statali» all’art. 32, comma 1), e che, per
quanto riguarda le risorse provenienti dai bilanci dei comuni e delle regioni,
si dovrebbe distinguere fra finanza “propria” e “derivata”. E ciò senza contare
che, sotto un profilo più generale, l’argomento del contributo pregresso tende
inammissibilmente ad assegnare al dovere tributario finalità commutative,
mentre esso è una manifestazione del dovere di solidarietà sociale, e che
applicare un criterio di questo tipo alle prestazioni sociali è di per sé
contraddittorio, perché porta a limitare l’accesso proprio di coloro che ne
hanno più bisogno.
Si può osservare infine che chi si sposta in un’altra regione non ha
contribuito al welfare di quella regione ma ha pagato i tributi nella regione
di provenienza, e non è costituzionalmente ammissibile sfavorirlo nell’accesso
ai servizi pubblici solo per aver esercitato il proprio diritto costituzionale
di circolazione (o per essere stato trasferito o assegnato al Veneto per
ragioni di lavoro o di altra natura).
In conclusione, poiché il titolo di precedenza previsto dalla norma
impugnata non ha alcun collegamento con la funzione degli asili nido né può
essere giustificato con l’argomento del contributo pregresso, il suo scopo, che
si esaurisce nel riconoscere una preferenza nell’accesso agli asili nido
pubblici alle persone radicate in Veneto da lungo tempo, è incompatibile con
l’art. 3 Cost.
4.– Anche la questione relativa all’art. 117, primo comma, Cost. e all’art.
21 del TFUE è fondata.
L’art. 21, paragrafo 1, del TFUE dispone che «[o]gni cittadino dell’Unione
ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli
Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati
e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi».
In relazione ai requisiti di residenza prolungata, la Corte di giustizia
dell’Unione europea ha affermato che «[u]na siffatta normativa nazionale, che
svantaggia taluni cittadini di uno Stato membro per il solo fatto che essi
hanno esercitato la loro libertà di circolare e di soggiornare in un altro
Stato membro, costituisce una restrizione alle libertà riconosciute dall’art.
21, n. 1, TFUE ad ogni cittadino dell’Unione», e che «[u]na simile restrizione
può essere giustificata, con riferimento al diritto dell’Unione, solo se è
basata su considerazioni oggettive indipendenti dalla cittadinanza delle
persone interessate ed è proporzionata allo scopo legittimamente perseguito dal
diritto nazionale» (sentenza 21 luglio 2011, in causa C-503/09, Stewart, punti
86 e 87; si vedano anche le sentenze 26 febbraio 2015, in causa C-359/13,
B. Martens; 24 ottobre 2013, in causa C-220/12, Andreas Ingemar Thiele
Meneses (punti 22-29); 15 marzo 2005, in causa C-209/03, The Queen, ex parte di
Dany Bidar, punti 51-54; 23 marzo 2004, in causa C-138/02, Brian Francis
Collins; 30 settembre 2003, in causa C-224/01, Gerhard Köbler).
La Corte di
giustizia non esclude a priori l’ammissibilità di requisiti di residenza per
l’accesso a prestazioni erogate dagli Stati membri, ma richiede che la norma
persegua uno scopo legittimo, che sia proporzionata e che il criterio adottato
non sia «troppo esclusivo», potendo sussistere altri elementi rivelatori del
«nesso reale» tra il richiedente e lo Stato (si vedano le citate sentenze
Stewart, punti 92 e 95, e Thiele Meneses, punto 36). La norma impugnata è
difettosa già in relazione allo scopo perseguito (come visto nel punto
precedente) ed è inoltre sicuramente sproporzionata quanto alla durata –
eccezionalmente lunga: quindici anni – del legame richiesto. Il fatto che
discrimini anche cittadini italiani (non radicati in Veneto da più di quindici
anni) non è rilevante ai fini della conformità al diritto europeo (Corte di giustizia
dell’Unione europea, sentenze Thiele Meneses, punto 27; 16 gennaio 2003, in
causa C-388/01, Commissione, punto 14; 6 giugno 2000, in causa C-281/98,
Angonese, punto 41).
Questa Corte ha già censurato, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.,
e dell’art. 21 TFUE, una norma che annoverava, fra i requisiti di accesso
all’edilizia residenziale pubblica, la «residenza nella Regione da almeno otto
anni, maturati anche non consecutivamente»: «la norma regionale in esame li
pone [i cittadini dell’Unione europea] in una condizione di inevitabile
svantaggio in particolare rispetto alla comunità regionale, ma anche rispetto
agli stessi cittadini italiani, che potrebbero più agevolmente maturare gli
otto anni di residenza in maniera non consecutiva, realizzando una
discriminazione vietata dal diritto comunitario […], in particolare dall’art.
18 del TFUE, in quanto determina una compressione ingiustificata della loro
libertà di circolazione e soggiorno, garantita dall’art. 21 del TFUE» (sentenza
n. 168 del 2014; si vedano anche le sentenze n. 190 del 2014 e n. 264 del
2013).
4.1.– Possono considerarsi assorbite le altre questioni sollevate con
riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., con cui si lamenta la violazione
dell’art. 24 della citata direttiva 2004/38/CE e dell’art. 11, paragrafo 1,
lettere d) e f), della citata direttiva 2003/109/CE.
5.– La questione relativa all’art. 120, primo comma, Cost. è anch’essa
fondata.
Occorre premettere che la questione concernente l’art. 16 Cost. è da
ritenere ricompresa in quella riguardante l’art. 120, primo comma, Cost., che
risulta il parametro più pertinente con riferimento al caso di specie («La Regione non può istituire
dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare
provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle
persone e delle cose tra le Regioni, né limitare l’esercizio del diritto al
lavoro in qualunque parte del territorio nazionale»).
La norma impugnata, non incidendo in modo immediato sul diritto di
circolazione e di svolgere l’attività lavorativa, non viola direttamente i
divieti posti dall’art. 120, primo comma, Cost. Essa pone tuttavia un ostacolo
all’esercizio dei diritti ivi previsti, per le stesse ragioni illustrate con
riferimento all’art. 21 TFUE. È evidente, infatti, che un genitore che deve
trasferirsi in Veneto per ragioni di lavoro può trovarsi in difficoltà a
compiere il trasferimento se non ha i mezzi sufficienti per pagare un asilo
nido privato, visto che la norma impugnata lo esclude di fatto dagli asili nido
pubblici.
Il divieto di cui all’art. 120, primo comma, Cost. è idoneo a colpire quelle
discipline che limitano, anche solo in via di fatto, i diritti da esso
menzionati, come si può ricavare sia dalla lettera della disposizione
costituzionale («in qualsiasi modo»), sia dal suo collegamento con l’art. 3,
secondo comma, Cost., che “codifica” il nesso tra libertà e condizioni
materiali della libertà, sia ancora dalla giurisprudenza europea che, come
visto, ha ravvisato un limite alla libertà di circolazione in certe discipline
limitative dell’accesso a prestazioni pubbliche.
Così definita la portata del divieto fissato all’art. 120, primo comma,
Cost., occorre verificare se la limitazione prevista dalla norma impugnata sia
costituzionalmente tollerabile, stante che il divieto stesso non va inteso in
modo “assoluto”, dovendosi invece vagliare la ragionevolezza delle leggi
regionali che limitano i diritti con esso garantiti. Questa Corte ha
individuato a tale fine i seguenti criteri: «occorre esaminare: a) se si
sia in presenza di un valore costituzionale in relazione al quale
possano essere posti limiti alla libera circolazione delle cose o degli
animali; b) se, nell’ambito del suddetto potere di limitazione, la regione
possegga una competenza che la legittimi a stabilire una disciplina
differenziata a tutela di interessi costituzionalmente affidati alla sua cura;
c) se il provvedimento adottato in attuazione del valore suindicato e
nell’esercizio della predetta competenza sia stato emanato nel rispetto dei
requisiti di legge e abbia un contenuto dispositivo ragionevolmente commisurato
al raggiungimento delle finalità giustificative dell’intervento limitativo
della regione, così da non costituire in concreto un ostacolo arbitrario alla
libera circolazione delle cose fra regione e regione» (sentenza n. 51 del
1991).
La norma impugnata è inidonea a superare il primo e il terzo passaggio del
test, dal momento che, come visto sopra (punto 3), essa non persegue un
interesse pubblico meritevole, mirando solo a dare precedenza alle persone
radicate in Veneto da lungo tempo (in violazione dell’art. 3 Cost., come
visto), e che la durata richiesta (della residenza o dell’occupazione), se può
considerarsi proporzionata a tale illegittimo obiettivo, certamente non lo è a
quello di garantire un legame tra il richiedente e la Regione.
6.– È fondata infine anche la questione riferita all’art. 31, secondo comma,
Cost., in base a cui la
Repubblica «[p]rotegge la maternità, l’infanzia e la
gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo». La norma impugnata
fissa un titolo di precedenza che tradisce il senso dell’art. 31, secondo
comma, Cost.: essa, cioè, non incide sul quantum e sul quomodo del servizio
degli asili nido ma ne distorce la funzione, indirizzandolo non allo scopo di
tutelare le famiglie che ne hanno bisogno ma a quello di privilegiare chi è
radicato in Veneto da lungo tempo. La norma impugnata, dunque, persegue un fine
opposto a quello della tutela dell’infanzia, perché crea le condizioni per
privare del tutto una categoria di bambini del servizio educativo dell’asilo
nido.
per questi motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge
della Regione Veneto 21 febbraio 2017, n. 6 (Modifiche ed integrazioni alla
legge regionale 23 aprile 1990, n. 32, «Disciplina degli interventi regionali
per i servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi»),
nella parte in cui modifica l’art. 8, comma 4, della legge della Regione Veneto
23 aprile 1990, n. 32 (Disciplina degli interventi regionali per i servizi
educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi), introducendovi
la lettera b).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 10 aprile 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Dal sito https://www.cortecostituzionale.it/default.do