Collaboratori
volontari (dei patronati) e accesso alle banche dati (degli enti previdenziali)
Cons. di Stato, VI, 23 giugno 2016, n. 2798
L’accesso dei collaboratori volontari dei
patronati alle banche dati degli enti previdenziali è necessario per consentire la collaborazione istruttoria
DECISIONE
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro
generale 683 del 2016 proposto dal
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona del Ministro in
carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato,
domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO -ROMA -SEZIONE III BIS,
n. 13764/2015, resa tra le parti, concernente “vademecum per lo svolgimento
dell'attività di vigilanza sugli istituti di patronato e di assistenza sociale
nella parte in cui non consente al collaboratore del patronato di accedere alle
banche dati degli enti previdenziali”;
Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Vista la memoria di costituzione in giudizio del Patronato INCA
CGIL e del Patronato ITAL UIL;
Visto l’atto di intervento “ad adiuvandum” ex art. 97 del cod.
proc. amm. dei patronati EPACA, EPASA –ITACO, 50 E PIU’ ENASCO, ENAPA e INAPA,
con i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del 21 aprile 2016 il cons.
Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Bruno Dettori per il
Ministero appellante, Mario Sanino per gli appellati e Raffaele Bifulco per gli
intervenienti;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
1.Gli istituti di patronato Inca Cgil e Ital Uil hanno
impugnato davanti al Tar del Lazio il provvedimento del Ministero del Lavoro
del 7.8.2015 avente a oggetto il “Vademecum per lo svolgimento della attività
di vigilanza sugli Istituti di patronato e di assistenza sociale”, nella parte
in cui non consente al collaboratore volontario del patronato di accedere alle
banche dati degli enti previdenziali.
Con la sentenza in epigrafe il giudice di primo grado, dopo
avere rilevato in via preliminare che con la sentenza n. 523 del 2015 il Tar
del Friuli –Venezia Giulia aveva definito, accogliendolo, un ricorso che
riguardava “una questione assolutamente analoga a quella in trattazione nel
presente giudizio” (la questione decisa dal Tar di Trieste concerneva la
conformità, o meno, alla normativa, della circostanza che i collaboratori
volontari dell’istituto di patronato ricorrente avessero il possesso delle
password di accesso ai sistemi informatici di INPS e INPDAP), ha trascritto
argomentazioni e conclusioni della citata sentenza n. 523 del 2015,
condividendole e recependole e, per l’effetto, ha annullato l’atto impugnato
“siccome affetto dalla dedotta illegittimità”, compensando le spese del
giudizio tra le parti trattandosi di questione nuova.
In particolare la sentenza:
- ha osservato che, ferma la distinzione tra operatore
dipendente dall'istituto di patronato e collaboratore volontario, tale per cui
solamente il primo è responsabile anche verso l'esterno e firma gli atti del
patronato stesso, mentre il collaboratore svolge solo compiti di informazione,
istruzione, raccolta e consegna delle pratiche, la disciplina sui patronati e,
in particolare, l'art. 6 della l. n. 152 del 2010, va interpretata alla luce
del d. lgs n. 82 del 2005 sulla digitalizzazione dell’Amministrazione e della
l. n. 122 del 2010 sull'uso esclusivo dei sistemi telematici nei rapporti con la P. A. , vale a dire “nell’ottica
del nuovo quadro normativo”;
- ha statuito che l’attività di “istruzione delle pratiche”
attribuita ai collaboratori volontari “implica per sua stessa natura l'accesso
alle banche dati pubbliche, il che equivale nell'attuale situazione all'accesso
ai documenti cartacei nel precedente sistema. Fermo restando quindi che spetta
solo all'operatore la stesura e la validazione finale di ogni tipo di
documento, oltre che la responsabilità dei suoi contenuti, non si vede per
quale ragione un collaboratore volontario non possa accedere alle banche dati
per acquisire informazioni e dati, istruire la pratica e predisporre un testo
che naturalmente non può che essere valorizzato e utilizzato dall'operato
responsabile;
- ha specificato che quanto poi alla consegna del documento
finale redato dal patronato essa può avvenire ad opera del collaboratore anche
utilizzando la via informatica, naturalmente anche in tal caso sotto la
responsabilità dell’operatore cui va imputata la redazione del documento
stesso. Attualizzando e “traducendo” il testo della legge numero 152 del 2001
nell’ambito della digitalizzazione della pubblica amministrazione, “l’accesso
alle banche dati da parte dei collaboratori risulta non solo facoltativo ma
necessitato” al fine di rendere effettiva la collaborazione con gli operatori
nell'ambito dell’istruzione delle pratiche;
- ha soggiunto che eventuali istruzioni interne contrarie alla
ricostruzione normativa fornita sono irrilevanti, tenuto conto dell'usuale
canone di gerarchia delle fonti, e che ogni uso improprio delle banche dati
sarà sanzionato sia in via diretta dal patronato e sia dal Ministero in sede di
controllo.
2.Ministero, che ha proposto appello con istanza di sospensiva.
Dopo un inquadramento normativo generale sugli enti di patronato, e dopo avere
evidenziato che il Vademecum “segnala che (ai collaboratori che operino in modo
volontario e gratuito) non può essere consentito l’accesso alle banche dati
degli Enti previdenziali, di esclusiva competenza degli operatori di Patronato.
I compiti a essi attribuiti sono quelli tassativamente individuati nell’art. 6
della legge n. 152/2001 e contenuti nel modello di convenzione approvato dal
Ministero del Lavoro e allegato alla circolare n. 10/2010…ciò in quanto una
confusione tra i due ruoli porrebbe problemi di compatibilità con la normativa
sulla tutela della riservatezza dei dati personali, nonché sulla diversa
responsabilità dell’operatore di Patronato e del collaboratore volontario”,
l’appellante:
2.1. in primo luogo deduce l'inammissibilità del ricorso
introduttivo di primo grado, essendo stato impugnato un atto interno non lesivo
di alcuna posizione di diritto soggettivo o di interesse legittimo;
2.2. in secondo luogo rileva che la sentenza sarebbe incorsa in
ultrapetizione in quanto il Tar avrebbe annullato l'intero vademecum,
quantunque nel ricorso introduttivo le parti ricorrenti avessero chiesto al
giudice di annullare il provvedimento ministeriale del 7 agosto 2015
esclusivamente “nella parte in cui non consente al collaboratore del patronato
di accedere alle banche dati degli enti previdenziali”;
2.3. con il terzo motivo di appello la sentenza è contestata
nel merito per avere il Tar del Lazio ritenuto che la questione risolta dal Tar
Friuli Venezia Giulia con la sentenza n. 523 del 2015 fosse analoga a quella
sottoposta al giudizio del primo Tar;
2.4. infine il Ministero rimarca che la sentenza di primo grado
avrebbe errato nel ritenere possibile e legittimo l'accesso alle banche dati
degli enti previdenziali anche da parte dei collaboratori volontari dato che
così facendo si determina una sostanziale parificazione di ruoli tra
collaboratori volontari e operatori professionali dei patronati, e ciò in
violazione dell'art. 17 del d. lgs. n. 152 del 2001. La parificazione suddetta
è sempre stata negata dalla normativa in materia, diretta a ribadire la
distinzione e la separazione di compiti tra l’operatore dipendente
dall’istituto di patronato e il collaboratore volontario. Del resto, in base a
quanto dispone il citato art. 6, ai collaboratori volontari non possono essere
attribuiti poteri di rappresentanza degli assistiti. Il mandato di assistenza
conferito all’istituto di patronato deve essere firmato dal mandante e
dall’operatore autorizzato a riceverlo dall’istituto di patronato. L’attribuzione,
ai collaboratori volontari, delle credenziali di accesso alle banche dati degli
enti previdenziali conferirebbe la possibilità, ai collaboratori medesimi, di
compiere, per conto dell’utente, tutte le attività previste, senza limiti, pur
in assenza della qualifica e della preparazione professionale proprie degli
operatori. Inoltre, la ricostruzione interpretativa seguita in sentenza
comporta il rischio di favorire la costituzione di fatto di un vincolo
sinallagmatico del collaboratore volontario con il patronato, e ciò in
violazione dell'art. 6 della l. n. 152 del 2001 che prevede il carattere solo
occasionale della collaborazione volontaria e gratuita.
3. Il patronato EPACA e gli altri meglio specificati in
epigrafe hanno svolto intervento “ad adiuvandum” della posizione del Ministero,
premettendo di essersi sempre attenuti alla lettera della legge e della prassi
amministrativa e di avere tenuto ben distinta la figura dell’operatore da
quella del collaboratore volontario.
Nell'atto di intervento si è osservato tra l’altro che la
sentenza di primo grado, consentendo al patronato di svolgere attività di
assistenza mediante personale privo di un’adeguata formazione, responsabilità e
controllo, finisce con l’attribuire poteri di rappresentanza ai collaboratori
volontari, con ricadute pesanti sulla qualità del servizio reso dai patronati.
INCA CGIL e ITAL UIL si sono costituiti per resistere,
concludendo per il rigetto dell'appello che nella camera di consiglio del 21
aprile 2016, sentite le parti, è stato trattenuto in decisione.
4. L’appello è infondato e va respinto. La sentenza va
confermata.
4.1. In rito (v. sopra, punti 2.1. e 2.2.), in primo luogo,
diversamente da quanto afferma l’Amministrazione appellante, il provvedimento
ministeriale in epigrafe, nella parte in cui non consente ai collaboratori
volontari di patronato di ottenere la password per poter accedere alle banche
dati degli enti previdenziali, è lesivo in via immediata e diretta della
posizione giuridica degli istituti di patronato ricorrenti e odierni appellati,
posto che il vademecum stesso non si limita a chiarire il significato di norme
destinate a essere applicate dagli uffici territoriali del lavoro ma, come si
dirà più avanti, al p. 4.2. , mira a innovare la normativa “comprimendo il
ruolo” dei collaboratori volontari previsti dall’art. 6 della l. n. 152 del
2001.
Il carattere lesivo della indicazione del Vademecum è
strettamente correlato alla diminuzione della funzione effettiva di
collaborazione nell’attività di patronato, con riguardo, in particolare, ai
compiti di istruzione delle pratiche.
Il Vademecum ha dunque un contenuto provvedimentale lesivo
della situazione giuridica fatta valere dagli istituti di patronato.
Di qui l’interesse alla impugnazione del Vademecum “in parte
qua”.
In secondo luogo, il Tar non è incorso in nessuna
“ultrapetizione”.
Poiché i motivi di censura “segnano” l’ambito del potere
giurisdizionale di annullamento, dato che nel ricorso di primo grado gli
istituti di patronato –come gli stessi appellati riconoscono- avevano domandato
al giudice di annullare il provvedimento ministeriale del 7 agosto 2015 nella
sola parte in cui non è consentito al collaboratore volontario di accedere alle
banche dati degli enti previdenziali, deducendo una limitazione illegittima dei
compiti del collaboratore medesimo, ne consegue che l’accoglimento e
l’annullamento giurisdizionali, qui confermati, si riferiscono e, ove occorra,
per esigenze di chiarezza, vanno circoscritti a quella prescrizione del
Vademecum con la quale si vieta ai collaboratori volontari di accedere alle
banche dati e si afferma che l’accesso anzidetto rientra nella competenza
esclusiva degli operatori di patronato.
4.2. Quanto al merito (v. sopra, punti 2.3. e 2.4.), occorre
rilevare preliminarmente che la controversia dinanzi al Tar di Trieste, pur
traendo origine da una istanza di rettifica, inutilmente avanzata al Ministero,
da un istituto di patronato, avverso un verbale di accertamento ispettivo,
nella parte in cui tale verbale aveva disconosciuto le convenzioni di alcuni
collaboratori volontari trovati in possesso di password per accedere ai servizi
informatici al fine di raccogliere le pratiche e di rilevare i dati da
consegnare poi all’operatore di patronato; la causa riguardava, effettivamente,
una questione “assolutamente analoga a quella in trattazione” nel giudizio
dinanzi al Tar del Lazio. Di qui la correttezza del richiamo, operato nella
sentenza impugnata, alle argomentazioni e alle conclusioni della decisione del
Tar Friuli –Venezia Giulia.
Sempre in via preliminare pare il caso di rammentare che l'art.
6 della citata l. n. 152 del 2001, recante la nuova “disciplina per gli
istituti di patronato ed assistenza sociale", regolamenta in dettaglio i
compiti del personale presente all'interno del Patronato.
In particolare, con il citato art. 6 è stato stabilito che gli
istituti di patronato e di assistenza sociale, per lo svolgimento delle proprie
attività operative:
a) possono " ... avvalersi esclusivamente di lavoratori
subordinati dipendenti degli istituti stessi o dipendenti delle organizzazioni
promotrici, se comandati presso gli istituti stessi ..." (comma 1);
b) è comunque ammessa "la possibilità di avvalersi,
occasionalmente, di collaboratori che operino in modo volontario e gratuito
esclusivamente per lo svolgimento dei compiti di informazione, di istruzione
delle pratiche, nonché di raccolta e consegna delle pratiche agli assistiti e
agli operatori o, su indicazione di questi ultimi, ai soggetti erogatori delle
prestazioni. In ogni caso, ai collaboratori di cui al presente comma non
possono essere attribuiti poteri di rappresentanza degli assistiti. Resta fermo
il diritto dei collaboratori al rimborso delle spese autorizzate secondo
accordo ed effettivamente sostenute e debitamente documentate, per l'esecuzione
dei compiti affidati. Le modalità di svolgimento delle suddette collaborazioni
devono risultare da accordo scritto vistato dalla competente Direzione
provinciale del lavoro e per l'estero dalle autorità consolari e
diplomatiche" (comma 2);
c) esclusivamente per determinate attività "... di cui
agli articoli 8 e 10 e per periodi limitati di tempo, in corrispondenza di
situazioni di particolare necessità ed urgenza, gli istituti di patronato e di
assistenza sociale possono stipulare contratti di collaborazione coordinata e
continuativa" (art. 6 comma 3).
Per assolvere ai propri compiti
istituzionali, quindi, gli istituti di patronato utilizzano i c. d.
"operatori di patronato", i quali ai sensi del citato comma 1 sono
"lavoratori subordinati dipendenti degli istituti stessi o dipendenti
delle organizzazioni promotrici, se comandati presso gli istituti"; e i c.
d. "collaboratori volontari", i quali operano in forma volontaria e
gratuita (si tratta in genere di delegati sindacali di categoria o dei
pensionati) e che in virtù del citato comma 2, pur non avendo poteri di
rappresentanza, svolgono "compiti di informazione, di istruzione delle
pratiche, nonché di raccolta e consegna delle pratiche agli assistiti e agli
operatori o, su indicazione di questi ultimi, ai soggetti erogatori delle
prestazioni."; e possono avvalersi altresì di altri soggetti (altri
collaboratori) utilizzati esclusivamente per svolgere determinate attività e
per limitati periodi di tempo, stipulando contratti di co. co. co. di cui al
comma 3 dell'art. 6.
L’attività del patronato viene dunque posta in essere dagli
operatori e dai collaboratori volontari, ciascuno in relazione agli ambiti
rispettivi assegnati loro dalla legge. I collaboratori volontari, pur non
avendo potere di rappresentanza dell'assistito (anche se, come gli appellati
non mancano di osservare, il modello di mandato rilasciato dall’assistito,
oltre a contenere uno spazio per inserire i dati dell’operatore di patronato,
significativamente ne reca anche un altro per indicare anche i dati
dell’eventuale collaboratore che ha raccolto e istruito la pratica stessa), in
coerenza con quanto previsto dall'art. 6 della l. n. 152 del 2001 informano gli
utenti, raccolgono il mandato e la documentazione necessaria al fine di istruire
le pratiche e raccolgono e consegnano le pratiche agli assistiti e agli
operatori o, su indicazione di questi ultimi, ai soggetti erogatori delle
prestazioni. Gli operatori, invece, dotati di potere di rappresentanza
dell'assistito, analizzano, valutano, rielaborano, sottoscrivono e dispongono
l'invio agli enti previdenziali delle pratiche raccolte e istruite, anche dai
collaboratori. Gli operatori costituiscono quindi la “figura professionale”
dell’ente di patronato e assumono la responsabilità “finale”, verso l’esterno,
dell’attività compiuta.
Va poi soggiunto che l’art. 17 della l. n. 152 del 2001
–divieti e sanzioni, prevede che “è fatto divieto agli istituti di patronato e
di assistenza sociale di avvalersi, per lo svolgimento delle proprie attività,
di soggetti diversi dagli operatori di cui all'articolo 6. La violazione del
suddetto divieto comporta, per la sede in cui si è verificata detta violazione,
la decadenza dal diritto ai contributi finanziari di cui all'articolo 13, per
le attività svolte dalla sede in cui si è verificata la infrazione”.
Ciò posto, alla luce della normativa di riferimento innanzi
riportata il Collegio osserva anzitutto che, diversamente da quanto ritiene
l’appellante, e in modo conforme a ciò che si è statuito in sentenza di prime
cure, nel consentire ai collaboratori volontari l’accesso alle banche dati
degli enti previdenziali non si viene a determinare alcuna parificazione o
commistione di ruoli tra operatori di patronato e collaboratori volontari.
Come correttamente rilevato in
sentenza, al p. 3.1., la separazione tra le due figure e la distinzione di
compiti tra operatore di patronato e collaboratore volontario, ribadita sopra e
bene delineata dal Tar, persiste.
La distinzione anzidetta non sbiadisce
ove si consenta al collaboratore volontario di accedere munito di password alle
banche dati degli enti previdenziali.
La responsabilità “finale”, ed esterna, dell’operatore di
patronato, rimane ferma (v. sent. , punti 3.1. e 3.2.).
E’ poi esatto (v. sent. , p. 3.2.) che i compiti di “istruzione
delle pratiche” ex art. 6, comma 2, cit. implicano, per loro stessa natura,
l’accesso alle banche dati degli enti previdenziali.
Negare ai collaboratori volontari
l’accesso alle banche dati degli enti previdenziali vorrebbe dire impedire in
concreto, ai collaboratori medesimi, di espletare gran parte dei compiti
attribuiti loro dalla disposizione di riferimento e in particolare di istruire
e consegnare le pratiche e ciò in un contesto anche di “alleviamento”, specie
nei riguardi di alcuni segmenti di utenza, dei disagi legati al c. d. “digital
divide” (divario digitale).
In maniera condivisibile quindi la
sentenza appellata, al p. 3.4. , ha affermato che “attualizzando e traducendo
il testo della l. n. 152 del 2001 nell’ambito della digitalizzazione della P.
A. l’accesso alle banche dati da parte dei collaboratori risulta non solo
facoltativo ma anche necessitato” allo scopo di rendere possibile la
collaborazione istruttoria con gli operatori. E bene gli appellati sottolineano
che il divieto di accesso alle banche dati si sostanzia in una illegittima
limitazione dei compiti del collaboratore volontario il quale, privato della
facoltà di accesso anzidetta, non potrà compiere l'istruttoria necessaria ai
fini della predisposizione delle pratiche oggetto dell'attività del patronato.
Del resto, l’avvalimento di collaboratori volontari e gratuiti
per lo svolgimento dei compiti indicati all’art. 6 della l. n. 152 del 2001 nel
quadro attuale di digitalizzazione e di telematizzazione dei procedimenti nel
settore in questione si pone negli stessi termini ed entro il medesimo
perimetro che caratterizza(va) l’attività di collaborazione volontaria nella
precedente disciplina, contraddistinta dalla “gestione cartacea”, per così
dire, dei procedimenti stessi.
Le nuove modalità di conservazione e di gestione digitalizzata
dei dati non possono essere di ostacolo a uno svolgimento effettivo ed efficace
dei compiti propri del collaboratore volontario: diversamente opinando,
risulterebbe illegittimamente “danneggiato” il servizio stesso –si noti, di
“pubblica utilità” (cfr. art. 1 della l. n. 152 del 2001)- dell’ente di
patronato.
Risulta improprio, quindi, ipotizzare una parificazione
sostanziale tra le due figure.
La previsione di accesso alle banche dati non comporta alcun
pericolo di commistione di ruoli tra operatore di patronato e collaboratore
volontario. L’ “interezza” dell’assunzione di responsabilità in capo
all’operatore non viene in alcun modo scalfita dalla previsione della
possibilità, per i collaboratori volontari, di accedere ai sistemi informatici
di INPS e INPDAP, appunto perché l'accesso di per sé non implica poteri di
rappresentanza del patronato: rappresentanza e responsabilità permangono in
capo all'operatore, il quale “valida” la pratica istruita dal collaboratore
volontario.
La sopravvenuta normativa sulla digitalizzazione non ha
abrogato l'art. 6 della l. n. 152 del 2001 e quindi l'attività di “istruzione
delle pratiche” deve essere consentita anche con i nuovi sistemi e strumenti.
Inoltre, il divieto di cui all’art. 17 della l. n. 152 del 2001
va armonizzato con la disposizione di cui al citato art. 6 della stessa legge
che, come detto, ammette la possibilità di avvalersi in via occasionale di
collaboratori che operino in modo volontario e gratuito.
Il fatto poi che l’art. 6, comma 2, della l. n. 152 del 2001,
nel fare riferimento all’attività dei collaboratori operanti in modo volontario
e gratuito, usi l’avverbio “occasionalmente”, non può sovvertire l’esito della
controversia dato che si tratta di un profilo che attiene alle modalità di
organizzazione interna dell’attività degli istituti di patronato e non incide
sulle modalità di esecuzione dell'attività da parte dei collaboratori. Come
specificato poc’anzi, stando alla disciplina di cui alla l. n. 152 del 2001
assume comunque rilievo preminente la responsabilità “finale”, ed esterna,
dell’operatore professionale.
Né, infine, possono porsi problemi ostativi di “compatibilità
con la normativa sulla tutela della riservatezza dei dati personali”, avuto
riguardo alla responsabilità, per la condotta (anche) dei collaboratori
volontari, in capo all’istituto di patronato, il quale ben potrà, ove del caso,
predisporre strumenti di conservazione e di tutela della riservatezza dei dati;
al fatto che il collaboratore volontario a quanto consta può visionare solo la
pratica che ha in lavorazione e non altre pratiche; e alla circostanza che
l’assistito è invitato a sottoscrivere la dichiarazione di consenso ex d. lgs.
n. 196 del 2003.
Senza tralasciare di considerare, come giustamente segnala il
Tar al p. 4.1. , che ogni uso improprio delle banche dati verrà sanzionato
dall’ente di patronato e dagli organi ministeriali di vigilanza e controllo
sull’operato degli istituti di patronato.
Per le ragioni esposte sopra l’appello va respinto e, per
l’effetto, la sentenza impugnata va confermata, con il conseguente annullamento
del provvedimento impugnato in primo grado nella parte in cui non si consente
al collaboratore volontario di accedere alle banche dati degli enti
previdenziali.
La novità della questione trattata giustifica tuttavia la
compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta),
definitivamente decidendo sull’appello in epigrafe (n. R. G. 683 del 2016) lo
respinge confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.
Spese del secondo grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità
amministrativa.