martedì 23 dicembre 2014





Occupazione abusiva di immobili (privati): verso la depenalizzazione (?) (*)


Codice penale


Art. 633.
Invasione di terreni o edifici.
Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032.

Le pene si applicano congiuntamente, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso da più di cinque persone, di cui una almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza armi.





Art. 639-bis.
Casi di esclusione della perseguibilità a querela.
Nei casi previsti dagli articoli 631, 632, 633 e 636 si procede d'ufficio se si tratta di acque, terreni, fondi o edifici pubblici o destinati ad uso pubblico.





La novella





Legge 28 aprile 2014, n. 67, Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie  e  di riforma  del  sistema  sanzionatorio.  Disposizioni  in  materia   di sospensione del procedimento con messa alla  prova  e  nei  confronti degli irreperibili.


Art. 2
 
 
Delega al Governo per la riforma
della disciplina sanzionatoria
 
  
 
1. Il Governo e' delegato ad adottare, entro i  termini  e  con  le
procedure di cui ai commi 4 e 5, uno o piu' decreti  legislativi  per
la  riforma  della  disciplina  sanzionatoria  dei  reati  e  per  la
contestuale introduzione di  sanzioni  amministrative  e  civili,  in
ordine alle fattispecie e secondo  i  principi  e  criteri  direttivi
specificati nei commi 2 e 3. 
 
OMISSIS
 
  3. La riforma della disciplina sanzionatoria nelle  fattispecie  di
cui al presente comma e' ispirata  ai  seguenti  principi  e  criteri
direttivi: 
    a) abrogare i reati  previsti  dalle  seguenti  disposizioni  del
codice penale: 
 
      OMISSIS 
 
      4) articoli 631, 632 e 633, primo comma, escluse le ipotesi  di
cui all'articolo 639-bis;
 
      OMISSIS
 
    c) fermo il diritto al risarcimento del danno, istituire adeguate
sanzioni pecuniarie civili in relazione ai reati di cui alla  lettera
a); 
    d) prevedere una sanzione pecuniaria civile che,  fermo  restando
il suo carattere aggiuntivo rispetto al diritto al  risarcimento  del
danno dell'offeso, indichi tassativamente: 
      1) le condotte alle quali si applica; 
      2) l'importo minimo e massimo della sanzione; 
      3) l'autorita' competente ad irrogarla; 
    e) prevedere che le  sanzioni  pecuniarie  civili  relative  alle
condotte di cui alla lettera a)  siano  proporzionate  alla  gravita'
della violazione, alla reiterazione dell'illecito,  all'arricchimento
del  soggetto  responsabile,   all'opera   svolta   dall'agente   per
l'eliminazione o attenuazione delle  sue  conseguenze,  nonche'  alla
personalita' dello stesso e alle sue condizioni economiche. 
 
  OMISSIS
 
 






(*)Cfr., sul punto, la nota (critica) di CERRINA FERONI Ginevra, Esiste ancora la proprietà privata in Italia? Tra occupazioni abusive e distorsioni del sistema locatizio, in http://www.confronticostituzionali.eu/?p=1353  (23 dicembre 2014)

sabato 20 dicembre 2014





RICONOSCIMENTO DEI FIGLI NATURALI - REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE DELL’ARTICOLO 5, COMMA 1, DELLA LEGGE 10 DICEMBRE 2012, N. 219

1)SCHEMA DEL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

2)RELAZIONE DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA

3)PARERE DEL CONSIGLIO DI STATO



1) SCHEMA DI DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA RECANTE REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE DELL’ARTICOLO 5, COMMA 1, DELLA LEGGE 10 DICEMBRE 2012, N. 219, IN MATERIA DI RICONOSCIMENTO DEI FIGLI NATURALI.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
VISTO l’articolo 87, quinto comma, della Costituzione;
VISTA la legge 10 dicembre 2012, n. 219 ed, in particolare, l’articolo 5, comma 1, che prevede che con regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della normativa delegata prevista dall’articolo 2 della legge, sono apportate le necessarie e conseguenti modifiche alla disciplina dettata in materia di ordinamento dello stato civile dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396;
VISTO l’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1998, n. 400;
VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396;
VISTO il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154;
VISTA la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del …;
UDITO il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del ……;
VISTA la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del ……;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro dell'interno, del Ministro della giustizia e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
Emana
il seguente regolamento:
ART. 1
(Inserire la rubrica)
1. Al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) nel Titolo VII, alla rubrica, la parola: “naturali” è sostituita dalle seguenti: “nati fuori del matrimonio”;
b) all’articolo 28, comma 1, lettera b), le parole: “di filiazione naturale” sono sostituite dalle seguenti: “del figlio nato fuori del matrimonio”;
c) all’articolo 29, comma 2, le parole: “legittimi nonché di quelli che rendono la dichiarazione di riconoscimento di filiazione naturale” sono sostituite dalle seguenti: “del figlio nato nel matrimonio nonché di quelli che rendono la dichiarazione di riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio”;
d) all’articolo 30, comma 4, secondo periodo, la parola: “naturale” è sostituita dalle seguenti: “nato fuori del matrimonio”;
e) all’articolo 33, sono apportate le seguenti modificazioni:
1) il comma 1 è abrogato;
2) il comma 2 è sostituito dal seguente: “2. Il figlio maggiorenne che subisce il cambiamento o la modifica del proprio cognome a seguito della variazione di quello del genitore da cui il cognome deriva, nonché il figlio nato fuori del matrimonio, riconosciuto, dopo il raggiungimento della maggiore età, da uno dei genitori o contemporaneamente da entrambi, hanno facoltà di scegliere, entro un anno dal giorno in cui ne vengono a conoscenza, di mantenere il cognome portato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o di anteporre ad esso, a loro scelta, quello del genitore.”;
3) il comma 3 è sostituito dal seguente: “3. Le dichiarazioni di cui al comma 2 sono rese all'ufficiale dello stato civile del comune di nascita dal figlio personalmente o con comunicazione scritta. Esse vengono annotate nell'atto di nascita del figlio medesimo.”;
f) all’articolo 42, sono apportate le seguenti modificazioni:
1) alla rubrica, la parola: “naturali” è sostituita dalle seguenti: “nati fuori del matrimonio”;
2) al comma 1, la parola: “naturale” è sostituita dalle seguenti: “nato fuori del matrimonio”;
3) al comma 2, la parola: “incestuosi” è sostituita dalle seguenti: “nati da persone tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, ai sensi dell’articolo 251 del codice civile”;
g) all’articolo 43, comma 1, la parola: “naturale” è sostituita dalle seguenti: “nato fuori del matrimonio”;
h) all’articolo 45, sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al comma 1, la parola: “naturale” è sostituita dalle seguenti: “nato fuori del matrimonio” e la parola: “sedici” è sostituita dalla seguente: “quattordici”;
2) al comma 2, la parola: “sedici” è sostituita dalla seguente: “quattordici”;
i) all’articolo 46, comma 1, la parola: “naturale” è sostituita dalle seguenti: “nato fuori del matrimonio”;
l) all’articolo 47, comma 1, la parola: “naturale” è sostituita dalle seguenti: “nato fuori del matrimonio”;
m) all’articolo 48, comma 3, la parola: “naturale” è soppressa;
n) all’articolo 49, sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al comma 1, alla lettera k), le parole: “di filiazione naturale” sono sostituite dalle seguenti: “del figlio nato fuori del matrimonio”;
2) al comma 1, la lettera n) è soppressa;
3) al comma 1, alla lettera o), le parole: “la filiazione legittima” sono sostituite dalle seguenti: “che il figlio è nato nel matrimonio”;
4) i commi 2 e 3 sono abrogati;
5) al comma 4, le parole: “ai commi 1, 2 e 3” sono sostituite dalle seguenti: “al comma 1”;
o) all’articolo 50, la parola: “potestà” è sostituita dalle seguenti: “responsabilità genitoriale”;
p) all’articolo 64, comma 2, la parola: “naturali” sono sostituite dalle seguenti: “nati fuori del matrimonio”;
q) all’articolo 98, il comma 2 è sostituito dal seguente: “2. L'ufficiale dello stato civile provvede con le stesse modalità di cui al comma 1 nel caso in cui riceva, per la registrazione, un atto di nascita relativo a cittadino italiano nato all'estero nel matrimonio ovvero relativo a cittadino italiano riconosciuto come figlio nato fuori del matrimonio ai sensi dell'articolo 262, primo comma, del codice civile, al quale sia stato imposto un cognome diverso da quello ad esso spettante per la legge italiana. Quest'ultimo cognome deve essere indicato nell'annotazione.”.

2. Dall'attuazione del presente regolamento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

2)RELAZIONE DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA


Articolato


La legge 10 dicembre 2012, n. 219, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 293 del 17 dicembre 2012, in vigore dal 1° gennaio 2013 – nel modificare le disposizioni del codice civile in materia di riconoscimento di figli naturali (artt. 1 e 3) e nel delegare il Governo alla revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione (art. 2) – all’articolo 5, comma 1, prevede che entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della normativa delegata, siano apportate le necessarie e conseguenti modifiche alla disciplina regolamentare dello stato civile di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.

Il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, recante “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219”, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 5 dell’8 gennaio 2014, ed è entrato in vigore il 7 febbraio successivo.

In particolare, l’articolo 105 del citato decreto legislativo n. 154, del 2012, rubricato “Sostituzione termini”, dispone la sostituzione, in tutta la legislazione vigente, delle seguenti parole: “potestà genitoriale” con “responsabilità genitoriale” (comma 1), “figlio legittimo” con “figlio nato nel matrimonio” (comma 2), “figlio naturale” con “figlio nato fuori del matrimonio” (comma 3) e, infine, stabilisce la soppressione delle parole “figli legittimati”.

Per le modalità di adozione del regolamento di cui al citato comma 1 dell’articolo 5 della legge n. 219, del 2012, tale ultima disposizione prevede che lo stesso sia adottato, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta delle amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 2 della legge n. 219 citata, ovvero su proposta del Ministro dell'interno, del Ministro della giustizia, del Ministro per le pari opportunità e del Ministro o Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri delegato per le politiche per la famiglia. Attualmente le politiche per la famiglia fanno capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Il presente schema reca, pertanto, le modificazioni del citato regolamento sull’ordinamento dello stato civile e, in particolare, si compone del solo articolo 1, articolato in tre commi, dei quali si illustra il contenuto.

Nel comma 1, in osservanza dell’articolo 105, comma 3, del decreto legislativo n. 154, del 2013, citato in premessa, si dispone, per l’intero regolamento, che l’espressione riferita ai figli naturali sia sostituita dal riferimento ai figli nati fuori del matrimonio: tale sostituzione è disposta, segnatamente, nella rubrica del titolo VII; nell’articolo 28, comma 1, lettera b); nell’articolo 29, comma 2; nell’articolo 30, comma 4; nell’articolo 42, alla rubrica e al comma 1; nell’articolo 43, comma 1; nell’articolo 45, comma 1; nell’articolo 46, comma 1; nell’articolo 47, comma 1; nell’articolo 49, comma 1, lettera k); nell’articolo 64, comma 2; nell’articolo 98, comma 2, del quale si ripropone l’intera riformulazione.

Sempre nel medesimo comma, in osservanza dell’articolo 105, comma 2, del decreto legislativo n. 154, del 2013, citato in premessa, viene stabilito che in tutto il regolamento l’espressione riferita ai figli legittimi sia sostituita dal riferimento ai figli nati nel matrimonio e, in particolare, nell’articolo 29, comma 2; nell’articolo 33, comma 2; nell’articolo 49, comma 1, lettera o); nell’articolo 98, comma 2, nei termini già illustrati in relazione alla sostituzione dell’espressione relativa ai figli naturali.

Nell’ambito del comma 1 dello schema sono, inoltre, disposte le ulteriori modifiche di seguito illustrate.

Nell’articolo 33, il comma 1 è abrogato e i commi 2 e 3 sono modificati, esclusivamente sul piano descrittivo – e confermando la disciplina vigente in materia di cambiamento del cognome per il figlio nato nel matrimonio e il figlio maggiorenne di persona che modifica il cognome – attraverso la sola eliminazione del riferimento al figlio legittimato. Tale modifica è motivata dall’abrogazione della Sezione II del Capo II del Titolo VII del Libro Primo del codice civile, relativa alla legittimazione dei figli naturali, recata dal comma 10 dell’articolo 1 della legge n. 219, del 2012, nonché dalla conseguente soppressione dell’espressione “figlio legittimato”, recata dal citato articolo 105, comma 4, del decreto legislativo n. 154, del 2013.

Nell’articolo 42, al comma 2, la parola “incestuosi” è sostituita dall’espressione descrittiva di tale fattispecie, introdotta nell’articolo 251 del codice civile, per effetto della modifica disposta dal comma 3 dell’articolo 1 della legge n. 219, del 2012.

Nell’articolo 45, ai commi 1 e 2, il riferimento all’età di sedici anni, per la disciplina del riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio, è sostituito dalla previsione dell’età di quattordici, in ossequio alla modifica dell’articolo 250 del codice civile, recata nell’articolo 1, comma 2, lettere da a) ad e), della legge n. 219, del 2012.

Nell’articolo 48, comma 3, si prevede la soppressione dell’aggettivo “naturale” riferito alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, in coerenza con quanto disposto dall’articolo 30, comma 2, del decreto legislativo n. 154, del 2013 che ha apportato la medesima modifica all’articolo 269 del codice civile.

Nell’articolo 49, già menzionato per la sostituzione dell’espressione relativa ai figli naturali, la lettera n) del comma 1 è soppressa e i commi 2 e 3 sono abrogati, per effetto dell’abrogazione della fattispecie relativa ai figli legittimati, sopra illustrata relativamente alle modifiche dell’articolo 33; correlativamente, nel comma 4 dell’articolo 49 in esame, le parole “ai commi 1, 2 e 3” sono sostituite dalle seguenti “al comma 1”.

All’articolo 50, la parola “potestà” è sostituita dalle seguenti: “responsabilità genitoriale”, in ossequio alla previsione di cui al comma 1 dell’articolo 105 del decreto legislativo n. 154, del 2013, citato in premessa.

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria.


3)PARERE DEL CONSIGLIO DI STATO


Cons. di Stato, Sez. Consultiva Atti normativi, Adunanza del xx novembre 2014, n. xxx, Ministero dell'interno ufficio affari legislativi e parlamentari. Schema di d.P.R. recante regolamento di attuazione dell’art. 5, co. 1, l. 10 dicembre 2012, n. 219, in materia del riconoscimento dei figli naturali.
LA SEZIONE
Vista la relazione n. 22/A2014002391/III senza data, pervenuta in Segreteria l’11 novembre 2014, con la quale il Ministero dell’Interno (Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari) chiede il parere del Consiglio di Stato sull’affare in oggetto;
Esaminati gli atti ed udito il relatore ed estensore, Consigliere Damiano Nocilla;

Premesso:
Riferisce l’Amministrazione che “la legge 10 dicembre 2012, n. 219, ha riformato la materia della filiazione naturale e del relativo riconoscimento, eliminando dall’ordinamento le residue distinzioni tra figli legittimi e figli naturali ed affermando il principio dell’unicità dello stato giuridico dei figli.
Sempre allo scopo di eliminare ogni discriminazione tra i figli, anche adottivi, l’art. 2 della legge n. 219 del 2012 ha conferito una delega” al Governo all’adozione di uno o più decreti legislativi “per la modifica delle disposizioni vigenti in materia di filiazione e di dichiarazione dello stato di adottabilità, al fine dì adeguarle ai nuovi principi da essa introdotti nell’ordinamento”.
La medesima legge, “all’articolo 5, comma 1, ha anche previsto che entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della normativa delegata fossero apportate le necessarie e conseguenti modifiche alla disciplina regolamentare dello stato civile, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396”.
Il Governo ha esercitato la delega legislativa “attraverso l’adozione del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, entrato in vigore il 7 febbraio 2014, con il quale, all’articolo 105, è stata disposta la sostituzione, in tutta la legislazione vigente, delle parole “potestà genitoriale” con “responsabilità genitoriale”, “figlio legittimo” con “figlio nato nel matrimonio”, “figlio naturale” con “figlio nato fuori del matrimonio” ed è stata stabilita la soppressione delle parole “figli legittimati”.
Lo schema di regolamento sul quale viene richiesto il parere di competenza “intende, pertanto, dare attuazione alle sopracitate disposizioni, trasponendo nella normazione secondaria il principio dell’unicità dello stato giuridico dei figli ed adeguando la terminologia con le nuove definizioni introdotte dal predetto articolo del decreto legislativo n. 154 del 2013”.
Dopo aver ricordato che l’articolo 5 della legge n. 219 del 2012 prevede che il regolamento di modifica del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 venga adottato, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta delle amministrazioni di cui al comma 3 dell’articolo 2 della citata legge n. 219 citata, e cioè su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro dell’interno, del Ministro della giustizia, del Ministro per le pari opportunità e del Ministro o Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri delegato per le politiche per la famiglia, l’Amministrazione riferente fa presente che le politiche per la famiglia fanno capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, mentre non risulta assegnata la delega per le pari opportunità; il che spiega come sia stato chiesto il concorso del Ministro del Lavoro e non vi sia stato nell’iter dello schema in oggetto quello del Ministro o Sottosegretario delegato per le pari opportunità.
Lo schema di decreto consta di un solo articolo, diviso in due commi.
Nel comma 1, in ossequio alla disposizione dell’art. 105 d.lgs. n. 154 del 2013, si prevede, per l’intero regolamento, che l’espressione riferita ai figli naturali sia sostituita dal riferimento ai figli nati fuori del matrimonio: tale sostituzione è disposta esplicitamente nella rubrica del titolo VII (vedi lett. a), nell’art. 28, co. 1, lett. b) (vedi lett. b), nell’art. 29, comma 2 (vedi lett. c), nell’art. 30, comma 4 (vedi lett. d), alla rubrica e al comma 1 dell’art. 42 (vedi lett. f) nn. 1 e 2), nell’art. 43, comma 1 8Vedi lett. g), nell’art. 45, comma 1 (vedi lett. h) n. 1, nell’art. 46, comma 1 (vedi lett. i), nell’art. 47, comma 1 (vedi lett. l), nell’art. 49, comma 1, lett. K (vedi lett. n), n. 1) e all’art. 98, comma 2, la sostituzione per la sua necessaria intera riformulazione (vedi lett. q), anche al fine di modificare l’espressione “figlio nato all’estero da genitori legittimamente uniti in matrimonio” con quella “figlio nato all’estero nel matrimonio”.
Sempre nel comma 1, in osservanza dell’art. 105, comma 2, del d.lgs. n. 154 del 2013, viene prescritto che in tutto il regolamento l’espressione riferita ai “figli legittimi” sia sostituita da quella “figli nati nel matrimonio”. Così per l’art. 29, comma 2 (vedi lett. c) e per l’art. 49, comma 1, lett. o) (vedi lett. n.), n. 3).
Ulteriori modifiche al regolamento dello stato civile sono costituite dall’abrogazione dell’art. 33, comma 1, e dalla modifica dei commi 2 e 3 attraverso l’eliminazione del riferimento al figlio legittimato (vedi lett. e).
L’Amministrazione sottolinea che tale modifica si rende necessaria in ragione dell’abrogazione della Sezione TI del Capo TI del Titolo VII del Libro Primo del codice civile, relativa alla legittimazione dei figli naturali, recata dal comma 10 dell’articolo 1 della legge n. 219 del 2012, nonché della conseguente soppressione dell’espressione “figlio legittimato”, recata dal citato articolo 105, comma 4, del d.lgs. n. 154 del 2013, e che, comunque, la disciplina sostanziale dei vigenti commi 2 e 3, in materia di cambiamento del cognome per il figlio nato nel matrimonio e il figlio maggiorenne di persona che modifica il cognome, non subisce modifiche.
Ulteriore modifica è quella all’articolo 42, dove, al comma 2, la parola “incestuosi” viene sostituita “dall’espressione descrittiva di tale fattispecie, introdotta nell’articolo 251 del codice civile, per effetto della modifica disposta dal comma 3 dell’articolo 1 della legge n. 219 del 2012 (vedi lett. f), n. 3)”.
Da ricordare infine le seguenti ulteriori modificazioni:
a) all’articolo 45, ai commi 1 e 2, “il riferimento all’età di sedici anni, per la disciplina del riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio, è sostituito dalla previsione dell’età di quattordici, in ossequio alla modifica dell’articolo 250 del codice civile, recata nell’articolo 1, comma 2, lettere da
a) ad e), della legge n. 219 del 2012 (vedi lett. h, nn. 1 e 2)”;
b) all’articolo 48, comma 3, si prevede la soppressione dell’aggettivo
“naturale” riferito alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, in coerenza con quanto disposto dall’articolo 30, comma 2, del decreto legislativo n. 154 del 2013 che ha apportato la medesima modifica all’articolo 269 del codice civile (vedi lett. m);
c) all’articolo 49 la lettera n) del comma 1 è soppressa (vedi lett. n),
n. 2) e i commi 2 e 3 sono abrogati (vedi lett. n), n. 4), per effetto
dell’abrogazione della fattispecie relativa ai figli legittimati, derivante, come sopra riferito. dall’art. 105, comma 4, dl.lgs. n. 154 del 2013; correlativamente, nel comma 4 dell’articolo 49 in esame, le parole “ai commi 1, 2 e 3” sono sostituite dalle seguenti “al comma 1” (vedi lett. n), n. 5);
d) all’articolo 50, la parola “potestà” è sostituita da “responsabilità genitoriale”, in ossequio alla previsione di cui al comma 1 dell’articolo 105 del decreto legislativo n. 154 del 2013 (vedi lett. o).
La clausola di invarianza finanziaria è contenuta, infine, nel comma 2 dell’unico articolo del provvedimento normativo in esame.
Considerato:
La Sezione ritiene di dover fare due considerazioni preliminari.
Il combinato disposto del co. 3 dell’art. 2 e del co. 1 dell’art. 5 della legge n. 319 del 2012 attribuisce il potere di proposta del regolamento in oggetto congiuntamente al Presidente del Consiglio ed ai Ministri dell’Interno e della Giustizia, nonché a quelli delegati per le pari opportunità e per le politiche per la famiglia. Fermo restando quanto illustrato nella premessa in ordine alla delega per le pari opportunità al Ministro del Lavoro e delle politiche sociali ed in ordine all’inesistenza di una delega relativa alle politiche per la famiglia, i Ministri suindicati debbono considerarsi coproponenti del provvedimento in esame, assumendosene, per così dire, la paternità e la responsabilità politica.
Ne deriva che non può considerarsi sufficiente, al fine dell’assunzione della proposta del provvedimento stesso, né l’approvazione preliminare in Consiglio dei Ministri, né il mero assenso alla prosecuzione dell’iter del titolare di un ufficio di diretta collaborazione, che neppure faccia riferimento ad un’espressa delega ricevuta in proposito dal Ministro.
Si invita pertanto l’Amministrazione riferente a regolarizzare l’iter del provvedimento in esame prima della deliberazione definitiva da parte del Consiglio dei Ministri.
La seconda considerazione preliminare attiene, invece, a quanto dispone l’art. 105 d.lgs. n. 154 del 2013. Vi si prevede, infatti, la sostituzione di talune espressioni o la soppressione di altre espressioni “in tutta la legislazione vigente”. Non vi è dubbio che la parola “legislazione” assume un duplice significato: da un lato, essa sta a significare il complesso del diritto scritto (così come spesso “legge” è assunto a sinonimo di norma scritta), mentre, dall’altro, essa indica il complesso delle disposizioni di rango primario, contenute cioè in leggi o atti aventi forza di legge (così come “legge” indica un particolare tipo di atto normativo). A favore dell’interpretazione dell’art. 105 d.lgs. n. 154 del 2013, nel senso che esso avrebbe già operato sostituzioni e soppressioni formali nel d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, residuando allo schema di d.P.R. in esame le più articolate modifiche necessarie alla piena comprensione delle proposizioni modificate e quelle di tipo sostanziale, si può argomentare dal tenore letterale dell’art. 105, che fa riferimento complessivamente alla legislazione vigente (visto che nel concetto di vigenza deve ricomprendersi la normazione di rango secondario), dal fatto che già alcune raccolte di norme private hanno operato sostituzioni o soppressioni nel d.P.R. n. 396 del 2000, senza attendere il regolamento modificativo.
Infine, ulteriore argomento può trarsi dal comma 2 dell’art. 105 del citato d.lgs. n. 154 del 2013, che ha direttamente introdotto una modifica all’art. 35 del d.P.R. n. 396 del 2000.
Né va dimenticato che la sostituzione della locuzione “figli naturali” e “figli legittimi” era oggetto della delega legislativa contenuta nell’art. 2 l. n. 219 del 2012 con la stessa formula generica (“sostituzione, in tutta la legislazione vigente”), che poi sarà usata nel più volte citato art. 105 d.lgs. n. 154 del 2013, sicchè, ove quest’ultimo dovesse riferirsi alle sole fonti di rango legislativo, costituirebbe un poco corretto esercizio della delega per inosservanza del principio direttivo, di cui alla lett. a) del co. 1 del suddetto art. 2, come specificato peraltro nel co. 2 dello stesso articolo.
Tuttavia, nessuno degli argomenti suddetti sembra essere in sé decisivo, sicchè il progetto di d.P.R., sul quale viene richiesto il parere di competenza, può ben recare le disposizioni di cui all’art. 1, comma 1, lettere a), b), c), d), f) nn. 1 e 2, g), h) n. 1 prima parte, i), l), o) e p), anche se esse appaiono frutto di mero tuziorismo, con la conseguenza che, ove l’Amministrazione dovesse ritenere di espungerle dal provvedimento normativo in oggetto, nulla vi sarebbe da obiettare.
Quanto, poi, al fatto che l’approvazione preliminare del progetto di regolamento in esame è avvenuta circa due mesi oltre il termine fissato dall’art. 5 l. n. 219 del 2012, la Sezione conferma la consolidata giurisprudenza, che interpreta il termine in questione come meramente sollecitatorio. Sul piano meramente redazionale la Sezione ritiene molto opportuno che – data l’ambiguità del titolo del progetto in esame, nel quale l’espressione “in materia di riconoscimento dei figli naturali” potrebbe apparire come riferita al regolamento di attuazione e non, come invece intende correttamente l’Amministrazione, alla l. n. 219 del 2012, che sia omessa la parola “naturali”, tutt’al più sostituita con le altre “nati nel matrimonio e fuori del matrimonio”, in modo che l’espressione “figli naturali”, che il legislatore ha ritenuto odiosa, scompaia dalla legislazione vigente.
Quanto al preambolo, si ritiene che l’alinea “visto il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154” prenda il terzo posto nel preambolo stesso prima dell’alinea “visto l’art. 17, co. 1, della legge 23 agosto 1998, n. 400;”.
Poiché la ratio dell’art. 34 d.P.R. n. 396 del 2000, per il quale al bambino (da intendersi di ambedue i sessi) non può essere imposto solo il nome del padre vivente e non anche quello della madre vivente, sembra essere quella di evitare possibili perfette omonimie, si deve richiamare l’attenzione dell’Amministrazione su quanto disposto dal precedente art. 33, primo comma, che può determinare casi di perfetta omonimia tra madre (che abbia contratto successivo matrimonio con il padre, che in precedenza abbia riconosciuto la propria prole) e figlia
P.Q.M.
Esprime il parere favorevole con le osservazioni di cui in motivazione.








venerdì 19 dicembre 2014



I lavoratori, reperibili nei giorni festivi, non hanno sempre diritto al riposo compensativo



Cass., Sez. Lav., xx dicembre 2014, n. xxx


La reperibilità, prevista dalla disciplina collettiva, si configura come una prestazione strumentale ed accessoria qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro, consistendo nell'obbligo del lavoratore di porsi in condizione di essere prontamente rintracciato, fuori del proprio orario di lavoro, in vista di un'eventuale prestazione lavorativa; conseguentemente il servizio di reperibilità svolto nel giorno destinato al riposo settimanale limita soltanto, senza escluderlo del tutto, il godimento del riposo stesso e comporta il diritto ad un particolare trattamento economico aggiuntivo stabilito dalla contrattazione collettiva o, in mancanza, determinato dal giudice, mentre non comporta, salvo specifiche previsioni della contrattazione collettiva, il diritto ad un giorno di riposo compensativo, il cui riconoscimento, attesa la diversa incidenza sulle energie psicofisiche del lavoratore della disponibilità allo svolgimento della prestazione rispetto al lavoro effettivo, non può trarre origine dall'art. 36 della Costituzione, ma la cui mancata concessione è idonea ad integrare un'ipotesi di danno non patrimoniale (per usura psico-fisica) da fatto illecito o da inadempimento contrattuale, che è risarcibile in caso di pregiudizio concreto patito dal titolare dell'interesse leso, sul quale grava però l'onere della specifica deduzione e della prova




Svolgimento del processo
La Corte di Appello di …, confermando la sentenza del Tribunale di …, rigettava l’opposizione dell'ASL di ....avverso i decreti ingiuntivi emessi, su istanza dei lavoratori in epigrafe (medici ed operatori sanitari), a titolo di differenze retributive relative a giorni di riposo non goduto, avendo gli stessi prestato servizio di pronta reperibilità in giorni festivi.
A base del decisum la Corte del merito poneva il rilievo fondante secondo il quale l'art. 18 del DPR n. 270 del 1987, richiamato dall'art. 44 n. 1 del CCNL del comparto sanità, così come l'art. 20 n.6 del CCNL area dirigenza medica, prevedeva che al dipendente - nel caso in cui la pronta disponibilità coincideva con una giornata festiva - spettava un riposo compensativo senza riduzione dell'orario di servizio settimanale e conseguentemente non si poteva dubitare del diritto dei lavoratori ad ottenere la compensazione monetaria afferente la mancata fruizione del riposo compensativo nelle giornate di pronta reperibilità per cui era causa.
D'altro canto, secondo la Corte territoriale, una diversa interpretazione della norma non avrebbe consentito al dipendente di beneficiare del previsto riposo compensativo da ritenersi comunque irrinunciabile a noma dagli artt. 36 Cost. e 2109 cc.
Avverso questa sentenza la predetta ASL ricorre in cassazione sulla base di tre censure.
Le parti intimate non svolgono attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo parte ricorrente, deducendo violazione dell'art. 18 del DPR n. 270 del 1987, artt. 7, 20 n.6 e 44 n.1 del CCNL comparto sanità nonché 40 del CCL integrativo comparto sanità 7 aprile 1999, chiede se la mancata fruizione del giorno di riposo compensativo è monetizzabile.
Con la seconda censura l'ASL ricorrente, denunciando violazione dell’art. 18 del DPR n. 270 del 1987, artt.7, 20 n.6 e 44 n.1 del CCNL comparto sanità nonché 40 del CCL integrativo comparto sanità 7 aprile 1999, sostiene che i dipendenti non hanno mai chiesto di volere usufruire di un giorno dì riposo compensativo.
Con la terza critica parte ricorrente, prospettando violazione degli artt. 36 Cost. e 2109 cc nonché dell’art. 20 del CCNL comparto sanità del 1° settembre 1995, allega che la reperibilità prestata in giorno festivo non implica una prestazione lavorativa tale da confliggere con il principio dell'irrinunciabilità del diritto al riposo settimanale.
I motivi, che in quanto strettamente connessi dal punto di vista logico-giuridico vanno esaminati congiuntamente, sono, alla luce di specifico precedente di questo giudice di legittimità (n. 9316/2014) fondati.
Premesso che, nei casi di specie, il compenso è stato richiesto in assenza di prestazione lavorativa (cosiddetta reperibilità passiva), va rilevato che la giurisprudenza di questa Corte ha già più volte affrontato le tematiche sollevate in ricorso, osservando che la reperibilità, prevista dalla disciplina collettiva, si configura come una prestazione strumentale ed accessoria qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro, consistendo nell'obbligo del lavoratore di porsi in condizione di essere prontamente rintracciato, fuori del proprio orario di lavoro, in vista di un'eventuale prestazione lavorativa; conseguentemente il servizio di reperibilità svolto nel giorno destinato al riposo settimanale limita soltanto, senza escluderlo del tutto, il godimento del riposo stesso e comporta il diritto ad un particolare trattamento economico aggiuntivo stabilito dalla contrattazione collettiva o, in mancanza, determinato dal giudice, mentre non comporta, salvo specifiche previsioni della contrattazione collettiva, il diritto ad un giorno di riposo compensativo, il cui riconoscimento, attesa la diversa incidenza sulle energie psicofisiche del lavoratore della disponibilità allo svolgimento della prestazione rispetto al lavoro effettivo, non può trarre origine dall'art. 36 della Costituzione, ma la cui mancata concessione è idonea ad integrare un'ipotesi di danno non patrimoniale (per usura psico-fisica) da fatto illecito o da inadempimento contrattuale, che è risarcibile in caso di pregiudizio concreto patito dal titolare dell'interesse leso, sul quale grava però l'onere della specifica deduzione e della prova (Cfr., ex plurimis, Cass., nn. 27477/2008; 14439/2011; 14288/2011; 11727/2013).
A tale ormai consolidato e condiviso orientamento ermeneutico il Collegio intende qui dare continuità, rilevando che non consta essere stato dedotto e, tanto meno, provato, da parte dei lavoratori, un danno non patrimoniale da usura psico-fisica.
Poiché la sentenza impugnata si è discostata dai su ricordati principi, i motivi all'esame devono ritenersi fondati.
Il ricorso va, in conclusione, accolto e, per l'effetto, la pronuncia impugnata deve essere cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può essere definita nel merito, con la revoca dei decreti ingiuntivi opposti e il rigetto delle domande.
Il difforme esito dei gradi di merito e la mancanza, all'atto della proposizione delle azioni monitorie, di un consolidato orientamento nella giurisprudenza di legittimità, consigliano la compensazione delle spese dell'intero processo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, revoca i decreti ingiuntivi opposti e rigetta le domande. Compensa le spese dell'intero processo.

giovedì 18 dicembre 2014





Corte di Giustizia UE 18 dicembre 2014, n. C-202/13

Cittadinanza dell’Unione europea – Direttiva 2004/38/CE – Diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio di uno Stato membro – Diritto d’ingresso – Cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, in possesso di una carta di soggiorno rilasciata da uno Stato membro – Normativa nazionale che subordina l’ingresso nel territorio nazionale al previo ottenimento di un permesso di ingresso – Articolo 35 della direttiva 2004/38/CE – Articolo 1 del protocollo (n. 20) sull’applicazione di alcuni aspetti dell’articolo 26 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea al Regno Unito e all’Irlanda








Tanto l’articolo 35 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, quanto l’articolo 1 del protocollo (n. 20) sull’applicazione di alcuni aspetti dell’articolo 26 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea al Regno Unito e all’Irlanda, devono essere interpretati nel senso che non consentono ad uno Stato membro di sottoporre, perseguendo uno scopo di prevenzione generale, i familiari di un cittadino dell’Unione europea non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e titolari di una carta di soggiorno in corso di validità, rilasciata ai sensi dell’articolo 10 della direttiva 2004/38 dalle autorità di un altro Stato membro, all’obbligo di essere in possesso, a norma delle disposizioni di diritto nazionale, di un permesso di ingresso, quale il permesso per familiare SEE (Spazio economico europeo), al fine di poter entrare nel suo territorio.








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mercoledì 10 dicembre 2014





Decreto Ministro dell’Interno 9 dicembre 2014, Modifiche al Decreto Ministeriale 5 aprile 2002, a seguito del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162.  Approvazione delle formule per la redazione degli atti dello stato civile relative agli adempimenti in materia  di separazione personale, scioglimento del matrimonio, cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché modifica delle condizioni di separazione o divorzio

mercoledì 3 dicembre 2014





Cittadini (dell’Unione) inattivi e libera circolazione


Corte di Giustizia UE xx novembre 2014, n. xx

 Libera circolazione delle persone – Cittadinanza dell’Unione – Parità di trattamento – Cittadini di uno Stato membro che non esercitano un’attività economica e soggiornano nel territorio di un altro Stato membro – Esclusione di tali persone dalle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo ai sensi del regolamento (CE) n. 883/2004 – Direttiva 2004/38/CE – Diritto di soggiorno superiore a tre mesi – Articoli 7, paragrafo 1, lettera b), e 24 – Requisito delle risorse economiche sufficienti






Il regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, quale modificato dal regolamento (UE) n. 1244/2010 della Commissione, del 9 dicembre 2010, dev’essere interpretato nel senso che le «prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo» ai sensi degli articoli 3, paragrafo 3, e 70 di detto regolamento ricadono nella sfera di applicazione dell’articolo 4 del regolamento stesso.
 L’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva stessa, e l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004, quale modificato dal regolamento n. 1244/2010, devono essere interpretati nel senso che non ostano alla normativa di uno Stato membro in forza della quale cittadini di altri Stati membri sono esclusi dal beneficio di talune «prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo» ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004, mentre tali prestazioni sono garantite ai cittadini dello Stato membro ospitante che si trovano nella medesima situazione, allorché tali cittadini di altri Stati membri non godono di un diritto di soggiorno in forza della direttiva 2004/38 nello Stato membro ospitante.
 La Corte di giustizia dell’Unione europea non è competente a rispondere alla quarta questione.




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Intervento della Corte di Giustizia su status di rifugiato e orientamento sessuale

Corte di Giustizia UE 2 dicembre 2014, (cause riunite) nn. C-148/13, C-149/13, C-150/13

Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Articolo 4 – Valutazione dei fatti e delle circostanze – Modalità di valutazione – Accettazione di taluni elementi di prova – Portata dei poteri delle autorità nazionali competenti – Timore di persecuzione a causa dell’orientamento sessuale – Differenze tra, da un lato, i limiti relativi alle verifiche delle dichiarazioni e delle prove documentali o di altro tipo quanto all’asserito orientamento sessuale di un richiedente asilo e, dall’altro, quelli che si applicano alle verifiche di tali elementi concernenti altri motivi di persecuzione – Direttiva 2005/85/CE – Norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato – Articolo 13 – Condizioni a cui è soggetto il colloquio personale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 1 – Dignità umana – Articolo 7 – Rispetto della vita privata e della vita familiare





L’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, e l’articolo 13, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, devono essere interpretati nel senso che ostano a che, nell’ambito dell’esame – effettuato dalle autorità nazionali competenti, che agiscono sotto il controllo del giudice – dei fatti e delle circostanze riguardanti l’asserito orientamento sessuale di un richiedente asilo, la cui domanda è fondata su un timore di persecuzione a causa di tale orientamento, le dichiarazioni di tale richiedente nonché gli elementi di prova documentali o di altro tipo presentati a sostegno della sua domanda siano oggetto di una valutazione, da parte di dette autorità, mediante interrogatori fondati unicamente su nozioni stereotipate riguardo agli omosessuali.
L’articolo 4 della direttiva 2004/83, alla luce dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che osta a che, nell’ambito di tale esame, le autorità nazionali competenti procedano a interrogatori dettagliati sulle pratiche sessuali di un richiedente asilo.
L’articolo 4 della direttiva 2004/83, alla luce dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che osta a che, nell’ambito di tale esame, le predette autorità accettino elementi di prova, quali il compimento di atti omosessuali da parte del richiedente asilo considerato, il suo sottoporsi a «test» per dimostrare la propria omosessualità o ancora la produzione da parte dello stesso di registrazioni video di tali atti.
L’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2004/83 e l’articolo 13, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2005/85 devono essere interpretati nel senso che ostano a che, nell’ambito del predetto esame, le autorità nazionali competenti concludano che le dichiarazioni del richiedente asilo considerato manchino di credibilità per il solo motivo che il suo asserito orientamento sessuale non è stato fatto valere da tale richiedente alla prima occasione concessagli per esporre i motivi di persecuzione.





Dal sito http://curia.europa.eu

lunedì 1 dicembre 2014







DOCUMENTAZIONE AMMINISTRATIVA – LINGUA ITALIANA



QUESITO

Fedele all’indirizzo prevalente, mi sono sempre rifiutato di procedere all’autentica di firma su dichiarazioni redatte in lingua straniera, forte della convinzione che la lingua italiana è – anche e soprattutto costituzionalmente – la lingua ufficiale della Repubblica. Recentemente, un utente mi ha fatto notare come non esista, nella Costituzione, una norma che espressamente stabilisca tale caratteristica. Sono in difficoltà.







RISPOSTA


E’ vero: non esiste, nella nostra Costituzione, una norma che espressamente riconosca l’italiano quale lingua ufficiale della Repubblica; come osserva attenta dottrina, “non si volle stabilire formalmente l’esistenza di una “lingua di Stato”, dando per scontato che l’italiano fosse –comunque – la lingua stabilmente e comunemente utilizzata nel territorio, e – nel contempo – evitando che l’ufficializzazione di esso potesse assumere un significato nazionalistico” venne espressamente recepito, anzi, “il solenne principio costituzionale del riconoscimento e della tutela delle minoranze alloglotte, già represse dal precedente regime politico, che della nazionalizzazione generale forzata della lingua italiana aveva fatto uno dei propri caratteri ideologici e politici peculiari” (1)


Esistono, tuttavia, numerosi elementi che suffragano la tesi (2):

-l’art. 6 della Costituzione, ove si afferma che “la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”: “l’esigenza costituzionale di tutelare minoranze linguistiche, non predeterminate dalla carta costituzionale, sorge proprio in dipendenza del carattere ufficiale della lingua italiana, come lingua che caratterizza lo Stato italiano” (3);

-la giurisprudenza del Giudice delle Leggi, che ha rilevato come “la Costituzione conferma per implicito che il nostro sistema riconosce l'italiano come unica lingua ufficiale, da usare obbligatoriamente, salvo le deroghe disposte a tutela dei gruppi linguistici minoritari, da parte dei pubblici uffici nell'esercizio delle loro attribuzioni” (4);

-gli Statuti (speciali) del Trentino Alto Adige e della Valle d’Aosta:  principalmente il primo (5), il cui art. 99 espressamente stabilisce che “nella regione la lingua tedesca è parificata a quella italiana che è la lingua ufficiale dello Stato”, ma – seppur indirettamente – anche il secondo (6), nella norma (art. 38) in cui parifica la lingua francese a quella italiana




(1) FRANCHINI, “Costituzionalizzare” l’italiano: lingua ufficiale o lingua culturale?, in http://www.rivistaaic.it/. Nello stesso sito si vedano i contributi di DE MINICO, Il monopolio anglofono vs. i diritti fondamentali; GALBERSANINI, La tutela delle nuove minoranze linguistiche: un’interpretazione evolutiva dell’art. 6 cost.?


 (2) Rilevando, nel quesito, l’ottica costituzionale, si tralascia la l. 15 dicembre 1999, n. 482, Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, il cui art. 1, c. 1, stabilisce che “La lingua ufficiale della Repubblica è l’italiano”; come pure la l. 23 febbraio 2001, n. 38, Norme  a  tutela  della  minoranza  linguistica slovena della regione Friuli-Venezia Giulia, nel cui art. 8, c. 1,  si rimarca “il carattere ufficiale della lingua italiana”.

(3)Tar Lombardia, Milano, 23 maggio 2013, n. 1348, aggiungendo che l’ufficialità “non può tradursi in una vuota formula o in una mera dichiarazione di intenti, ma ... assume valenza di principio cogente, immediatamente operativo, tanto che per la valorizzazione di determinate minoranze linguistiche si è resa necessaria l’adozione di una specifica disciplina correlata ad un precetto costituzionale”.

(4)Corte cost. 20 gennaio 1982, n. 28, in relazione all’art. 137 c.p.p. (allora vigente). Si veda anche, recentemente, Corte cost. 22 maggio 2009, n. 159, ove si osserva che la particolare tutela riservata alle lingue minoritarie deve essere interpretata in modo da evitare che “esse possano essere intese come alternative alla lingua italiana o comunque tali da porre in posizione marginale la lingua ufficiale della Repubblica”.

(5)D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino- Alto Adige.

(6)L.c. 26 febbraio 1948, n. 4, Statuto speciale per la Valle d’Aosta.