lunedì 31 marzo 2014



Corte di Giustizia UE xx marzo 2014, n. xx


Articoli 20 TFUE, 21, paragrafo 1, TFUE e 45 TFUE – Direttiva 2004/38/CE – Diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Aventi diritto – Diritto di soggiorno del cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, nello Stato membro di cui tale cittadino possiede la cittadinanza – Cittadino dell’Unione residente e cittadino di uno stesso Stato membro – Attività professionali – Trasferte regolari in un altro Stato membro








Le disposizioni della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, devono essere interpretate nel senso che non ostano a che uno Stato membro rifiuti il diritto di soggiorno al cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, quando tale cittadino possiede la cittadinanza di detto Stato membro e risiede in questo medesimo Stato, ma si reca regolarmente in un altro Stato membro nell’ambito delle sue attività professionali.

L’articolo 45 TFUE deve essere interpretato nel senso che attribuisce al familiare di un cittadino dell’Unione, cittadino di un paese terzo, un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro di cui tale cittadino possiede la cittadinanza, allorché detto cittadino risiede in quest’ultimo Stato, ma si reca regolarmente in un altro Stato membro in quanto lavoratore ai sensi della menzionata disposizione, quando il rifiuto di un siffatto diritto di soggiorno ha un effetto dissuasivo sull’esercizio effettivo dei diritti che al lavoratore interessato derivano dall’articolo 45 TFUE, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.


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domenica 30 marzo 2014



Corte di Giustizia UE xx marzo 2014, n. xx

Cittadinanza dell’Unione – Principio di non discriminazione – Regime linguistico applicabile ai processi civili



Gli articoli 18 TFUE e 21 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che riconosce il diritto di utilizzare, nei processi civili pendenti dinanzi ai giudici di uno Stato membro che abbiano sede in un determinato ente locale di tale Stato, una lingua diversa dalla lingua ufficiale di detto Stato solo ai cittadini di quest’ultimo che siano residenti in questo stesso ente locale.


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sabato 29 marzo 2014




 Residenza e occupazione abusiva di immobili

Decreto legge 28 marzo 2014, n. 47 (G.U. 28 marzo 2014, n. 73),  Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015.

OMISSIS

Art. 5


Lotta all'occupazione abusiva di immobili

  1. Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo  non  può chiedere la residenza  ne'  l'allacciamento  a  pubblici  servizi  in relazione all'immobile medesimo e gli atti emessi  in  violazione  di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge.


OMISSIS


Corte di Giustizia UE xx gennaio 2014, n. xx


Rinvio pregiudiziale ‒ Direttiva 2004/38/CE ‒ Diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Diritto di soggiorno in uno Stato membro del cittadino di uno Stato terzo discendente diretto di una persona titolare di un diritto di soggiorno in tale Stato membro – Nozione di persona “a carico”






1) L’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che non consente ad uno Stato membro di esigere che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, il discendente diretto di età pari o superiore a 21 anni dimostri, per poter essere considerato a carico e rientrare, quindi, nella nozione di «familiare» contenuta in tale disposizione, di avere inutilmente tentato di trovare un lavoro o di ricevere un aiuto per il proprio sostentamento dalle autorità del suo paese d’origine e/o di aver tentato con ogni altro mezzo di garantire il proprio sostentamento.
2) L’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che il fatto che un familiare sia considerato, alla luce di circostanze personali quali l’età, le qualifiche professionali e lo stato di salute, dotato di ragionevoli possibilità di trovare un lavoro e, inoltre, intenda lavorare nello Stato membro ospitante resta irrilevante ai fini dell’interpretazione della condizione di essere «a carico», prevista da detta disposizione.


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venerdì 28 marzo 2014



Interpello del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 25 marzo 2014, n. 9, Art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – lavoro intermittente – R.D. n. 2657/1923 – personale delle aziende funebri


 Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha avanzato istanza di interpello per avere chiarimenti da questa Direzione generale in merito alla possibilità di instaurare rapporti di lavoro di natura intermittente in relazione alla figure dei necrofori e dei portantini addetti ai servizi funebri.
In particolare, l’istante chiede se il suddetto personale, impiegato presso aziende operanti nello specifico settore, possa essere assimilato alle categorie degli “operai addobbatori o apparatori per cerimonie civili o religiose”, indicate al n. 46 della tabella allegata al R.D. n. 2657/1923, così come richiamata dall’art. 40, D.Lgs. n. 276/2003 e dal D.M. 23 ottobre 2004 di questo Ministero.
Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale delle Relazioni Industriali e dei Rapporti di Lavoro, si rappresenta quanto segue.
Dalla lettura del n. 46 della tabella allegata al R.D. n. 2657/1923, tra le attività a carattere discontinuo con riferimento alle quali è possibile stipulare contratti di lavoro intermittente risulta contemplata, come anticipato dall’istante, quella espletata dagli “operai addobbatori o apparatori per cerimonie civili o religiose”, comprensiva dunque di tutte le prestazioni strumentali alla preparazione e allo svolgimento delle celebrazioni civili e dei riti religiosi.
Sulla base di tale nozione, non sembra possa negarsi una equiparazione tra tali figure e quelle dei necrofori e portantini impiegati dalle aziende di servizio funebre nelle attività preliminari ed esecutive del trasporto, della cerimonia e della connessa sepoltura.
Pertanto, in risposta alla questione sollevata si può ritenere che, a prescindere dai requisiti anagrafici ed oggettivi di cui all’art. 34 del D. Lgs. n. 276/2003, la tipologia di contratto di lavoro intermittente sia configurabile anche nei confronti delle categorie richiamate dall’interpellante, in quanto rientranti nell’ambito delle figure declinate al n. 46 della tabella allegata al citato R.D.

giovedì 27 marzo 2014





Corte di Giustizia UE xx gennaio 2014, n. xx


Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 16, paragrafi 2 e 3 – Diritto di soggiorno permanente dei cittadini di paesi terzi familiari di un cittadino dell’Unione – Considerazione dei periodi di detenzione di tali cittadini






1) L’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, dev’essere interpretato nel senso che i periodi di detenzione nello Stato membro ospitante di un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione che ha acquisito il diritto di soggiorno permanente in tale Stato membro durante detti periodi, non possono essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione, da parte di tale cittadino, del diritto di soggiorno permanente ai sensi di tale disposizione.
2) L’articolo 16, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2004/38 dev’essere interpretato nel senso che la continuità del soggiorno è interrotta da periodi di detenzione nello Stato membro ospitante di un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione che ha acquisito il diritto di soggiorno permanente in detto Stato membro durante tali periodi.



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mercoledì 26 marzo 2014



A proposito di … “scheda ballerina”

Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. xx febbraio 2014, n. xx


FATTO

OMISSIS

In sostanza, secondo l’appellante, le irregolarità riscontrate nel caso di specie rappresenterebbero una evidente violazione delle dettagliate ed analitiche disposizioni volte a garantire la regolarità delle operazioni e ad evitare l’uso fraudolento delle schede (artt. 36, 37 e 39 della l. r.29/1941); in particolare, l’omessa indicazione del dato relativo alle schede autenticate ma non utilizzate per la votazione e l’assenza di elementi idonei alla identificazione del “numero di schede rimaste nel pacco e non firmate”- non consentendo di verificare il corretto uso del materiale elettorale e dando sostanza al cd. meccanismo della “scheda ballerina”- sarebbero presupposti idonei a determinare la nullità delle operazioni elettorali nelle sezioni interessate.

OMISSIS

DIRITTO

OMISSIS

Il primo Giudice, nel dichiarare inammissibile il gravame del sig.M., ha ritenuto le denunziate irregolarità commesse dai seggi elettorali di alcune sezioni “…mere irregolarità formali inidonee a pregiudicare le garanzie connesse alle operazioni elettorali o a comprimere la libertà di voto, in quanto si sostanziano essenzialmente in errori di verbalizzazione non incidenti sull’accertamento della reale volontà del corpo elettorale…”.
Contesta tali conclusioni l’odierno appellante, sostenendo, invece, che le irregolarità riscontrate rappresenterebbero una evidente violazione delle dettagliate ed analitiche disposizioni volte a garantire la regolarità delle operazioni e ad evitare l’uso fraudolento delle schede (artt. 36, 37 e 39 della l. r.29/1941); in particolare, l’omessa indicazione del dato relativo alle schede autenticate ma non utilizzate per la votazione e l’assenza di elementi idonei alla identificazione del “numero di schede rimaste nel pacco e non firmate” non consentono di verificare il corretto uso del materiale elettorale, generando altresì dubbi sull’uso della cd. “scheda ballerina”.

OMISSIS

Nel caso i specie, ritiene il Collegio che i vizi denunziati dall’odierno appellante (ancorchè non confermati da apposita verificazione, rimasta inevasa per cause di forza maggiore) possano assumere carattere sostanziale ed invalidante, dando comunque corpo a fondati sospetti in ordine alla attendibilità del risultato elettorale, sia alla luce di una non corretta utilizzazione di un cospicuo numero di schede elettorali in diverse sezioni, sia anche alla luce del possibile meccanismo fraudolento della cd. “scheda ballerina”(consistente nel far uscire dal saggio una scheda vidimata e non votata,sulla quale viene poi scritto il nome del candidato e consegnata all’elettore che, entrando nel seggio, ritira la scheda bianca assegnatagli, depositando nell’urna non già quest’ultima ma quella consegnatagli all’esterno del seggio); di tal chè appare opportuno disporre il rinnovo delle votazioni nei seggi de quibus.

OMISSIS


martedì 25 marzo 2014




Corte di Giustizia UE xx gennaio 2014, n. xx


Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 28, paragrafo 3, lettera a) – Protezione contro l’allontanamento – Modalità di calcolo del periodo decennale – Presa in considerazione dei periodi di detenzione






1) L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che il periodo di soggiorno decennale previsto da tale disposizione deve essere, in linea di principio, continuativo e calcolato a ritroso, a partire dalla data della decisione di allontanamento della persona di cui trattasi.
2)  L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che un periodo di detenzione della persona di cui trattasi è in linea di principio idoneo ad interrompere la continuità del soggiorno, ai sensi di tale disposizione, e ad incidere sulla concessione della protezione rafforzata da essa prevista, compreso il caso in cui tale persona abbia soggiornato nello Stato membro ospitante duranti i dieci anni precedenti la sua detenzione. Tuttavia, tale circostanza può essere presa in considerazione nella valutazione globale richiesta per determinare se i legami di integrazione precedentemente creatisi con lo Stato membro ospitante siano stati o meno infranti.

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lunedì 24 marzo 2014



Corte di Giustizia UE xx marzo 2014, n. xx


Direttiva 2004/38/CE – Articolo 21, paragrafo 1, TFUE – Diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Aventi diritto – Diritto di soggiorno del cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, nello Stato membro di cui tale cittadino possiede la cittadinanza – Ritorno del cittadino dell’Unione in detto Stato membro dopo soggiorni di breve durata in un altro Stato membro







L’articolo 21, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che, in una situazione in cui un cittadino dell’Unione abbia sviluppato o consolidato una vita familiare con un cittadino di un paese terzo nel corso di un soggiorno effettivo, ai sensi e nel rispetto delle condizioni enunciate agli articoli 7, paragrafi 1 e 2, o 16, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza, le disposizioni della medesima direttiva si applicano per analogia quando detto cittadino dell’Unione ritorni, con il familiare interessato, nel proprio Stato membro d’origine. Di conseguenza, le condizioni per la concessione di un diritto di soggiorno derivato al cittadino di un paese terzo, familiare del menzionato cittadino dell’Unione, nello Stato membro d’origine di quest’ultimo non dovrebbero, in via di principio, essere più severe di quelle previste dalla citata direttiva per la concessione di un diritto di soggiorno derivato al cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, che si è avvalso del proprio diritto di libera circolazione stabilendosi in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza.


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domenica 23 marzo 2014



Corte di Giustizia UE xx febbraio 2014, n. xx


Direttiva 2003/9/CE – Norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri – Articolo 13, paragrafo 1 – Termini di concessione di condizioni materiali di accoglienza – Articolo 13, paragrafo 2 – Misure relative alle condizioni materiali di accoglienza – Garanzie – Articolo 13, paragrafo 5 – Fissazione e concessione di condizioni minime di accoglienza dei richiedenti asilo – Importo dell’aiuto concesso – Articolo 14 – Modalità delle condizioni materiali di accoglienza – Saturazione delle strutture di accoglienza – Rinvio ai sistemi nazionali di protezione sociale – Fornitura delle condizioni materiali di accoglienza in forma di sussidi economici






L’articolo 13, paragrafo 5, della direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, deve essere interpretato nel senso che, qualora uno Stato membro abbia scelto di concedere le condizioni materiali di accoglienza in forma di sussidi economici o buoni, questi sussidi devono essere forniti dal momento di presentazione della domanda di asilo, conformemente alle disposizioni dell’articolo 13, paragrafo 1, di detta direttiva, e rispondere alle norme minime sancite dalle disposizioni dell’articolo 13, paragrafo 2, della medesima direttiva. Tale Stato membro deve assicurare che l’importo totale dei sussidi economici che coprono le condizioni materiali di accoglienza sia sufficiente a garantire un livello di vita dignitoso e adeguato per la salute nonché il sostentamento dei richiedenti asilo, consentendo loro, in particolare, di disporre di un alloggio, tenendo conto eventualmente della salvaguardia dell’interesse delle persone portatrici di particolari esigenze, in forza delle disposizioni dell’articolo 17 della medesima direttiva. Le condizioni materiali di accoglienza previste all’articolo 14, paragrafi 1, 3, 5 e 8, della direttiva 2003/9 non sono imposte agli Stati membri qualora essi abbiano scelto di concedere tali condizioni unicamente in forma di sussidi economici. Tuttavia, l’importo di questi sussidi deve essere sufficiente a consentire ai figli minori di convivere con i genitori in modo da poter mantenere l’unità familiare dei richiedenti asilo.

La direttiva 2003/9 deve essere interpretata nel senso che essa non osta a che gli Stati membri, in caso di saturazione delle strutture d’alloggio destinate ai richiedenti asilo, possano rinviare questi ultimi verso organismi appartenenti al sistema generale di assistenza pubblica, purché tale sistema garantisca ai richiedenti asilo il rispetto delle norme minime previste da detta direttiva.


sabato 22 marzo 2014



Corte di Giustizia UE  xx gennaio 2014, n. xx


Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sull’attribuzione dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Persona ammissibile alla protezione sussidiaria – Articolo 15, lettera c) – Minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato – Nozione di “conflitto armato interno” – Interpretazione autonoma rispetto al diritto internazionale umanitario – Criteri di valutazione





L’articolo 15, lettera c), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che si deve ammettere l’esistenza di un conflitto armato interno, ai fini dell’applicazione di tale disposizione, quando le forze governative di uno Stato si scontrano con uno o più gruppi armati o quando due o più gruppi armati si scontrano tra loro, senza che sia necessario che tale conflitto possa essere qualificato come conflitto armato che non presenta un carattere internazionale ai sensi del diritto internazionale umanitario e senza che l’intensità degli scontri armati, il livello di organizzazione delle forze armate presenti o la durata del conflitto siano oggetto di una valutazione distinta da quella relativa al livello di violenza che imperversa nel territorio in questione.







venerdì 21 marzo 2014




Trib. Mantova xx gennaio 2014



Matrimonio – Matrimonio dello straniero – Matrimonio c/o l’Ambasciata straniera in Italia (con cittadino italiano)

E’ valida la celebrazione del matrimonio contratto con il rito somalo – tra un cittadino somalo e una cittadina italiana –  in seno all'Ambasciata di Somalia in Roma,  dovendo essere garantito il libero e indisturbato esercizio della missione diplomatica [aggiunge il Tribunale che gli sposi “hanno convissuto come coniugi quantomeno fino al 2003 sicché viene in considerazione il disposto di cui all'art. 131 c.c. a norma del quale il possesso di stato conforme all'atto di matrimonio sana ogni difetto di forma sin dalla celebrazione del matrimonio”; per effetto della validità predetta, il Tribunale ha ritenuto giustificato il rifiuto di procedere alle pubblicazioni da parte dell'Ufficiale di Stato Civile, non potendo ritenersi lo straniero di stato libero]

giovedì 20 marzo 2014



Corte Giustizia Ce 12 settembre 2006, n. C-145/04

Parlamento europeo — Elezioni — Diritto di voto — Cittadini del Commonwealth residenti a Gibilterra e privi della cittadinanza dell’Unione

Allo stato attuale del diritto comunitario, la determinazione dei titolari del diritto di elettorato attivo e passivo per le elezioni del Parlamento europeo rientra nella competenza di ciascuno Stato membro, nel rispetto del diritto comunitario. Gli artt. 189 CE, 190 CE, 17 CE e 19 CE non si oppongono a che gli Stati membri concedano tale diritto di elettorato attivo e passivo a determinate persone che possiedono stretti legami con essi, pur non essendo loro cittadini o cittadini dell’Unione residenti sul loro territorio.
Infatti, né gli artt. 189 CE e 190 CE, né l’atto relativo all’elezione dei rappresentanti al Parlamento europeo a suffragio universale diretto indicano in modo esplicito e preciso chi siano i beneficiari del diritto di elettorato attivo e passivo per il Parlamento europeo. Per quanto riguarda gli artt. 17 CE e 19 CE, relativi alla cittadinanza dell’Unione, soltanto la seconda di queste due norme si occupa specificamente, al n. 2, del diritto di voto per il Parlamento europeo. Orbene, tale articolo si limita ad applicare all’esercizio di tale diritto il principio di non discriminazione in base alla nazionalità.
Inoltre, per quanto attiene all’eventuale esistenza di un legame tra la cittadinanza dell’Unione e il diritto di elettorato attivo e passivo, il quale imporrebbe che tale diritto sia riservato ai cittadini dell’Unione, nessuna chiara conclusione in proposito può essere ricavata dagli artt. 189 CE e 190 CE, relativi al Parlamento europeo, i quali indicano che lo stesso è composto da rappresentanti dei popoli degli Stati membri. Il termine «popoli», che non è definito, può, infatti, assumere significati differenti a seconda degli Stati membri e delle lingue dell’Unione. Per quanto riguarda gli articoli del Trattato relativi alla cittadinanza dell’Unione, non è possibile ricavarne il principio secondo il quale solo i cittadini dell’Unione sarebbero i beneficiari di tutte le altre disposizioni del Trattato, il che comporterebbe che solo ad essi si applichino gli artt. 189 CE e 190 CE. Se infatti è vero che l’art. 17, n. 2, CE prevede che i cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal Trattato, quest’ultimo riconosce diritti che non sono legati allo status di cittadino dell’Unione, e neppure a quello di cittadino di uno Stato membro. Quanto all’art. 19, n. 2, CE, se esso prevede che i cittadini di uno Stato membro godono del diritto di elettorato attivo e passivo nel proprio paese ed impone agli Stati membri di riconoscere tali diritti ai cittadini dell’Unione che risiedono sul loro territorio, non se ne può tuttavia dedurre che uno Stato membro non possa concedere il diritto di elettorato attivo e passivo a determinate persone aventi con esso uno stretto legame, pur non possedendo la cittadinanza di questo o di un altro Stato membro.
Inoltre, poiché il numero dei rappresentanti eletti in ciascuno Stato membro è determinato dall’art. 190, n. 2, CE e, allo stato attuale del diritto comunitario, le elezioni del Parlamento europeo sono organizzate in ciascuno Stato membro per i rappresentanti eletti in detto Stato, un’estensione, da parte di uno Stato membro, del diritto di voto in tali elezioni a persone che non sono né suoi cittadini né cittadini dell’Unione residenti sul suo territorio influenza soltanto la scelta dei rappresentanti eletti in tale Stato membro, e non incide né sulla scelta né sul numero dei rappresentanti eletti negli altri Stati membri.
Ne consegue che il Regno Unito non ha violato gli artt. 189 CE, 190 CE, 17 CE e 19 CE con l’adozione di una legge che prevede, per quanto riguarda Gibilterra, che taluni cittadini del Commonwealth residenti sul suo territorio, i quali non sono cittadini comunitari, abbiano il diritto di elettorato attivo e passivo per il Parlamento europeo.

(v. punti 65-66, 70-73, 76-78, 80)


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mercoledì 19 marzo 2014



Corte di Giustizia UE xx marzo 2014, n. xx

Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 92/85/CEE − Misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento – Articolo 8 – Madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata – Rifiuto di riconoscerle un congedo di maternità – Direttiva 2006/54/CE – Parità di trattamento fra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile – Articolo 14 – Trattamento meno favorevole della madre committente riguardo alla concessione del congedo di maternità


1) La direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE), deve essere interpretata nel senso che gli Stati membri non sono tenuti a riconoscere un diritto al congedo di maternità ai sensi dell’articolo 8 di tale direttiva a una lavoratrice che, in qualità di madre committente, abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, nemmeno quando, dopo la nascita, essa effettivamente allatti, o comunque possa allattare, al seno il bambino.
2)  Il combinato disposto dell’articolo 14 con l’articolo 2, paragrafi 1, lettere a) e b), e 2, lettera c), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, deve essere interpretato nel senso che non costituisce una discriminazione fondata sul sesso il rifiuto di un datore di lavoro di riconoscere un congedo di maternità a una madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata.


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Corte di Giustizia UE xx marzo 2014, n. xx

Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 2006/54/CE – Parità di trattamento fra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile – Madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata – Rifiuto di riconoscerle un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità o a un congedo di adozione – Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità − Direttiva 2000/78/CE – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Divieto di qualsiasi discriminazione fondata su un handicap – Madre committente che non può sostenere una gravidanza – Sussistenza di un handicap – Validità delle direttive 2006/54 e 2000/78

1)  La direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, in particolare agli articoli 4 e 14, deve essere interpretata nel senso che non costituisce una discriminazione fondata sul sesso il fatto di negare la concessione di un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità a una lavoratrice che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, in qualità di madre committente.
La situazione di una simile madre committente in ordine al riconoscimento di un congedo di adozione non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva.
2)   La direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretata nel senso che non costituisce una discriminazione fondata sull’handicap il fatto di negare la concessione di un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità o a un congedo di adozione a una lavoratrice che sia incapace di sostenere una gravidanza e si sia avvalsa di un contratto di maternità surrogata.
La validità di tale direttiva non può essere esaminata in riferimento alla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ma la stessa direttiva deve essere oggetto, per quanto possibile, di un’interpretazione conforme a detta convenzione.


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martedì 18 marzo 2014



Corte di Giustizia UE xx marzo 2014, n. xx


Direttiva 2004/38/CE – Articolo 21, paragrafo 1, TFUE – Diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Aventi diritto – Diritto di soggiorno del cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, nello Stato membro di cui tale cittadino possiede la cittadinanza – Ritorno del cittadino dell’Unione in detto Stato membro dopo soggiorni di breve durata in un altro Stato membro






L’articolo 21, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che, in una situazione in cui un cittadino dell’Unione abbia sviluppato o consolidato una vita familiare con un cittadino di un paese terzo nel corso di un soggiorno effettivo, ai sensi e nel rispetto delle condizioni enunciate agli articoli 7, paragrafi 1 e 2, o 16, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza, le disposizioni della medesima direttiva si applicano per analogia quando detto cittadino dell’Unione ritorni, con il familiare interessato, nel proprio Stato membro d’origine. Di conseguenza, le condizioni per la concessione di un diritto di soggiorno derivato al cittadino di un paese terzo, familiare del menzionato cittadino dell’Unione, nello Stato membro d’origine di quest’ultimo non dovrebbero, in via di principio, essere più severe di quelle previste dalla citata direttiva per la concessione di un diritto di soggiorno derivato al cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, che si è avvalso del proprio diritto di libera circolazione stabilendosi in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza.


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Corte di Giustizia UE xx marzo 2014, n. xx


Direttiva 2004/38/CE – Articolo 21, paragrafo 1, TFUE – Diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Aventi diritto – Diritto di soggiorno del cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, nello Stato membro di cui tale cittadino possiede la cittadinanza – Ritorno del cittadino dell’Unione in detto Stato membro dopo soggiorni di breve durata in un altro Stato membro






L’articolo 21, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che, in una situazione in cui un cittadino dell’Unione abbia sviluppato o consolidato una vita familiare con un cittadino di un paese terzo nel corso di un soggiorno effettivo, ai sensi e nel rispetto delle condizioni enunciate agli articoli 7, paragrafi 1 e 2, o 16, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza, le disposizioni della medesima direttiva si applicano per analogia quando detto cittadino dell’Unione ritorni, con il familiare interessato, nel proprio Stato membro d’origine. Di conseguenza, le condizioni per la concessione di un diritto di soggiorno derivato al cittadino di un paese terzo, familiare del menzionato cittadino dell’Unione, nello Stato membro d’origine di quest’ultimo non dovrebbero, in via di principio, essere più severe di quelle previste dalla citata direttiva per la concessione di un diritto di soggiorno derivato al cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, che si è avvalso del proprio diritto di libera circolazione stabilendosi in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza.



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lunedì 17 marzo 2014



DISPOSIZIONI IN MATERIA DI CERTIFICATI E DICHIARAZIONI SOSTITUTIVE AI
SENSI DELL’ART. 15 DELLA LEGGE 12 NOVEMBRE 2011, N. 183

Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 12 marzo 2014, n. 29

Con nota 4250 del 26 luglio 2013, il Collegio Nazionale degli … ha
chiesto chiarimenti in merito alla corretta applicazione dell’articolo 15 della
legge 12 novembre 2011, n. 183, che ha apportato modifiche al decreto del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 (che reca disposizioni in materia di documentazione amministrativa).
Al riguardo, il Collegio istante fa presente che, a seguito delle richieste di verifiche di residenza dei propri iscritti e/o iscrivendi, alcuni Comuni per l’invio delle relative attestazioni richiedono al Collegio di anticipare l’importo relativo all’imposta di bollo, cui è soggetta la certificazione anagrafica.  Il Collegio Nazionale degli … fa presente di aver già interpellato il Ministero della Pubblica Amministrazione e la Semplificazione per chiedere se la pretesa dei Comuni fosse legittima, visto che le disposizioni dell’articolo 15 della legge n. 183 del 2011 sono dirette a consentire una completa “decertificazione” nei rapporti tra Pubbliche Amministrazioni e privati.  Aggiunge, inoltre, il richiedente Collegio che, a seguito di tale intervento, il Direttore dell’Ufficio per la Semplificazione Amministrativa con la nota prot.  n. 9347 del 5 marzo 2012, ha precisato che quando “l’Amministrazione procedente acquisisce direttamente informazioni relative a stati, qualità personali e fatti presso l’Amministrazione competente le suddette informazioni sono acquisite, senza oneri, con qualunque mezzo idoneo ad assicurare la certezza della loro fonte di provenienza”.
Premesso quanto sopra, il Collegio istante chiede, quindi, se per le attestazioni di verifica di residenza dei propri iscritti debba essere corrisposta l’imposta di bollo.
Con riferimento al quesito posto, si rileva, in via preliminare, che l’articolo 4 della tariffa, parte prima, allegata al DPR 26 ottobre 1972, n. 642, prevede l’applicazione dell’imposta di bollo nella misura di euro 16,00, per ogni foglio per gli “Atti e provvedimenti degli organi dell’amministrazione dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni, (…) rilasciati (…) a coloro che ne abbiano fatto richiesta.”
La nota 2 al suindicato articolo specifica che “Sono esenti dell’imposta …c) i certificati, copie ed estratti desunti esclusivamente dai registri dello Stato civile e le corrispondenti dichiarazioni sostitutive…”.  Si precisa che le certificazioni desunte esclusivamente dai registri dello Stato civile riguardano la cittadinanza, la nascita, il matrimonio e la morte (DPR 3 novembre 2000, n. 396). Tra le predette certificazioni, quindi, non rientrano il certificato di residenza ed il certificato di stato di famiglia, che sono rilasciati in base alle risultanze dei registri anagrafici (DPR 30 maggio 1989, n. 223).  In linea generale, quindi, i certificati di residenza sono soggetti all’imposta di bollo, fin dall’origine, ai sensi dell’articolo 4 della tariffa allegata al DPR n.  642 del 1972, nella misura di euro 16,00, per ogni foglio.  Tuttavia, i certificati in discorso possono essere rilasciati senza il pagamento dell’imposta di bollo se destinati a uno degli usi indicati nella tabella, allegato B, annessa al citato DPR n. 642 del 1972, recante l’elencazione degli atti e documenti esenti in modo assoluto dall’imposta, o nei casi previsti da leggi speciali.
Con riferimento al quesito formulato, appare utile ricordare, in via preliminare, che l’articolo 15, comma 1, della legge n. 183 del 2011, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.  (Legge di stabilità 2012)” ha introdotto modifiche alla disciplina dei certificati e delle dichiarazioni sostitutive, contenuta nel “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa”, di cui al DPR 28 dicembre 2000, n. 445.
In taluni casi viene, infatti, demandata direttamente all’amministrazione procedente l’acquisizione delle informazioni relative ai soggetti interessati, esonerando, quindi, i cittadini dall’obbligo di produrre la relativa certificazione.  In particolare, il legislatore con l’articolo 15, comma 1, lett. c), della citata legge n. 183 del 2011, ha introdotto modifiche all’articolo 43 (Accertamenti d’ufficio) del DPR n. 445 del 2000, che disciplina le modalità utilizzabili dalle amministrazioni pubbliche e dai gestori di pubblici servizi (soggetti sia pubblici che privati) per l’accesso alle banche dati delle amministrazioni certificanti, per l’acquisizione diretta delle predette informazioni, ovvero per eseguire i controlli sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni presentate dai cittadini.
A norma del comma 4 dell’articolo 43 in esame, è stabilito che “Al fine di agevolare l’acquisizione d’ufficio di informazioni e dati relativi a stati, qualità personali e fatti, contenuti in albi, elenchi o pubblici registri, le amministrazioni certificanti sono tenute a consentire alle amministrazioni procedenti, senza oneri, la consultazione per via telematica dei loro archivi informatici, nel rispetto della riservatezza dei dati personali”.
Il successivo comma 5 prevede, inoltre, che “In tutti i casi in cui l’amministrazione procedente acquisisce direttamente informazioni relative a stati, qualità personali e fatti presso l’amministrazione competente per la loro certificazione, il rilascio e l’acquisizione del certificato non sono necessari e le suddette informazioni sono acquisite, senza oneri, con qualunque mezzo idoneo ad assicurare la certezza della loro fonte di provenienza”. 
Si ritiene, pertanto, che nel caso in cui il Collegio degli … , in qualità di ente pubblico, proceda ad acquisire direttamente le informazioni relative alla residenza dei propri iscritti, ovvero eseguire il controllo delle dichiarazioni sostitutive da questi ultimi prodotte, presso le amministrazioni comunali competenti per la certificazione, tenuto conto che il citato articolo 43 stabilisce che dette informazioni sono acquisite senza oneri, non deve essere corrisposta l’imposta di bollo.

OMISSIS

domenica 16 marzo 2014



Corte di Giustizia UE 12 settembre 2006, n. C-300/04

Parlamento europeo — Elezioni — Diritto di voto — Condizione di residenza nei Paesi Bassi per i cittadini olandesi di Aruba — Cittadinanza dell’Unione


1. I cittadini di uno Stato membro che hanno la residenza o il domicilio in un territorio facente parte dei paesi e territori d’oltremare, di cui all’art. 299, n. 3, CE, possono far valere i diritti riconosciuti ai cittadini dell’Unione nella seconda parte del Trattato CE.
(v. punto 29, dispositivo 1)
2. Allo stato attuale del diritto comunitario, la determinazione di chi possiede il diritto di elettorato attivo e passivo per le elezioni del Parlamento europeo ricade nella competenza di ciascuno Stato membro nel rispetto del diritto comunitario.
Infatti, né gli artt. 189 CE e 190 CE né l’atto relativo all’elezione dei rappresentanti al Parlamento europeo a suffragio universale diretto indicano in modo esplicito e preciso chi siano i titolari del diritto di elettorato attivo e passivo per l’elezione del Parlamento europeo. Pertanto nessuna chiara conclusione in proposito può essere ricavata dagli artt. 189 CE e 190 CE, relativi al Parlamento europeo, i quali indicano che lo stesso è composto da rappresentanti dei popoli degli Stati membri, laddove il termine «popoli», che non è definito, può assumere significati differenti a seconda degli Stati membri e delle lingue dell’Unione. D’altra parte, le disposizioni della parte seconda del Trattato, relativa alla cittadinanza dell’Unione, non riconoscono ai cittadini dell’Unione un diritto incondizionato di elettorato attivo e passivo per l’elezione del Parlamento europeo. Infatti l’art. 19, n. 2, CE si limita ad applicare a tale diritto di elettorato attivo e passivo il principio di non discriminazione in base alla nazionalità.
Di conseguenza, allo stato attuale del diritto comunitario nulla osta a che gli Stati membri definiscano, nel rispetto del diritto comunitario, le condizioni per il diritto di elettorato attivo e passivo per le elezioni del Parlamento europeo facendo riferimento al criterio della residenza sul territorio nel quale le elezioni sono organizzate.
Tuttavia il principio di parità di trattamento osta a che i criteri scelti comportino che siano trattati in maniera diversa cittadini che si trovano in situazioni comparabili, senza che tale diversità di trattamento sia oggettivamente giustificata.
(v. punti 44-45, 52-53, 61, dispositivo 2)
3. I paesi e territori di oltremare (PTOM) sono oggetto di uno speciale regime di associazione, definito nella quarta parte del Trattato (artt. da 182 CE a 188 CE), così che le disposizioni generali del Trattato sono applicabili nei loro confronti soltanto laddove esplicitamente previsto.
Ne consegue che gli artt. 189 CE e 190 CE, relativi al Parlamento europeo, non sono applicabili a tali paesi e territori e che gli Stati membri non sono tenuti ad organizzarvi le elezioni del Parlamento europeo.
Peraltro, l’art. 19, n. 2, CE, che applica a tale diritto di elettorato attivo e passivo il principio di non discriminazione in base alla nazionalità, non è applicabile al cittadino dell’Unione che risiede in un PTOM e che desidera esercitare il proprio diritto di voto nello Stato membro di cui è cittadino.
(v. punti 44, 46-47, 53)          
4. In assenza di una disciplina comunitaria relativamente alle contestazioni in materia di diritto di elettorato attivo e passivo per il Parlamento europeo, spetta all’ordinamento di ciascuno Stato membro determinare gli strumenti per la riparazione a favore di una persona che, in forza di una disposizione nazionale contraria al diritto comunitario, non sia stata iscritta nelle liste elettorali per l’elezione dei membri del Parlamento europeo del 10 giugno 2004 e sia stata quindi esclusa dalla partecipazione a tali elezioni. Tali rimedi, che possono comprendere un risarcimento del danno causato dalla violazione del diritto comunitario imputabile allo Stato, non devono essere meno favorevoli di quelli relativi alle azioni per far valere diritti fondati sull’ordinamento nazionale (principio di equivalenza) né rendere impossibile o eccessivamente difficile, in pratica, l’esercizio dei diritti garantiti dall’ordinamento comunitario (principio di effettività).
(v. punti 67, 71, dispositivo 3)
5. Il principio della responsabilità di uno Stato membro per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato e uno Stato membro è tenuto a risarcire i danni causati allorché la norma giuridica violata abbia lo scopo di conferire diritti agli individui, la violazione sia sufficientemente qualificata ed esista un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo posto a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi; non si può tuttavia escludere che la responsabilità dello Stato possa essere accertata a condizioni meno restrittive sulla base del diritto nazionale.
Con riserva del diritto al risarcimento che trova direttamente il suo fondamento nel diritto comunitario, nel caso in cui le condizioni indicate al paragrafo precedente siano soddisfatte, è nell’ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato, fermo restando che le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna, e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento.
(v. punti 69-70)

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