giovedì 24 luglio 2014





Tar Lazio, Roma, xx luglio 2014, n. xx

Passaporto (e carta di identità) – Rilascio (divieto di) – Art. 3, lett. d), l. 1185/1967 – Compatibilità con l’art. 27 della Direttiva dell’Unione 2004/38



Gli artt. 3, lett. d), della l. 1185/1967 (Norme sui passaporti) e 2 del d.P.R. 649/1974 (Disciplina dell'uso della carta d'identità e degli altri documenti equipollenti al passaporto ai fini dell'espatrio), che impediscono l’uscita dallo Stato italiano, anche verso altro Stato dell’Unione Europea, a coloro che debbano espiare una pena restrittiva della libertà personale, sono compatibili con l’art. 27 della Direttiva 2004/38/CE [osserva il Tar, da un lato , che “il primo comma dell’art. 27 della direttiva contiene un principio generale che consente l’adozione di normative nazionali che limitano il diritto di circolazione nei territori comunitari; e quindi consente discipline generali ed astratte, sempre giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica”, dall’altro, che “norme tese a garantire l’effettività della pena appaiono chiaramente rientranti nei motivi di ordine pubblico in senso ampio, al quale principio sono improntati gli ordinamenti degli stati comunitari; la proporzionalità della previsione è chiaramente connessa ai tempi necessari per l’espiazione della pena, la quale è evidentemente collegata al comportamento tenuto dal cittadino comunitario e ritenuto in sede giudiziaria contrario alle norme di diritto penale”]




Tar Lombardia, Milano, xx febbraio 2014, n. xx

Cittadinanza italiana – Acquisto per concessione – Tar competente a decidere il ricorso






Nelle controversie in tema di cittadinanza italiana la competenza territoriale del Tar del Lazio con sede in Roma sussiste sia che oggetto del contendere sia il diniego di concessione sia in caso di silenzio serbato dall'Amministrazione sull'istanza di rilascio, atteso che se è vero che il provvedimento espresso, non importa se di accoglimento o di diniego, è di competenza dell'Amministrazione centrale e produce effetti non territorialmente limitati, identiche sono le caratteristiche del comportamento omissivo




Tar Abruzzo, Pescara, xx maggio 2014, n.xx

Cittadinanza italiana – Acquisto per conferimento (matrimonio) – Giurisdizione






In ordine alla concessione della cittadinanza per matrimonio, disciplinata dall’art. 5 della l. 91/1992, la situazione giuridica soggettiva della parte richiedente ha la consistenza del diritto soggettivo, dato che, nella materia in questione, l’unica causa preclusiva alla concessione della cittadinanza, che risulta essere demandata alla valutazione discrezionale della competente Amministrazione, è quella di cui all’art. 6 comma 1, lett. c), ossia la sussistenza di “comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica”.: soltanto in tale evenienza, la citata situazione di diritto soggettivo risulta affievolita in interesse legittimo, con conseguente radicamento della giurisdizione in capo al Giudice amministrativo, mentre le altre cause preclusive alla concessione della cittadinanza - ivi compresa quella oggetto della controversia, e cioè l’intervenuto decesso del coniuge alla data di presentazione della domanda di concessione della cittadinanza italiana - non richiedendo alcuna valutazione discrezionale da parte dell'Amministrazione, determinando il mantenimento della giurisdizione in capo al Giudice ordinario.



Cons. di Stato, V, xx maggio 2014, n. xx

Elezioni – Elezioni comunali – Presentazione delle liste – Contrassegno – Confondibilità




La confondibilità dei simboli elettorali, ai sensi dell’33, c. 1, lett. b) del T.U. 570/1960, norma che ha lo scopo di evitare la confusione del contrassegno con quello utilizzato da altri partiti o raggruppamenti politici e che non prevede affatto il divieto di utilizzo di simboli propri del Comune, deve essere valutata alla luce dell’insieme dei contrassegni e non dei singoli elementi compositivi

sabato 19 luglio 2014





Corte di Giustizia UE XX 2014, (cause riunite) nn. XX

Rinvio pregiudiziale – Tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali – Direttiva 95/46/CE – Articoli 2, 12 e 13 – Nozione di “dati personali” – Portata del diritto di accesso della persona interessata – Dati relativi al richiedente un titolo di soggiorno e analisi giuridica contenuti in un documento amministrativo preparatorio rispetto alla decisione – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articoli 8 e 41







L’articolo 2, lettera a), della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, dev’essere interpretato nel senso che i dati relativi al richiedente un titolo di soggiorno che compaiono in un documento amministrativo, quale la «minuta» discussa nel procedimento principale, in cui viene esposta la motivazione addotta dal funzionario a sostegno della bozza di decisione che egli è incaricato di redigere nell’ambito del procedimento precedente all’adozione di una decisione relativa alla domanda di un simile titolo, e, eventualmente, i dati che figurano nell’analisi giuridica contenuta nel documento medesimo costituiscono «dati personali» ai sensi di tale disposizione, mentre detta analisi non può invece ricevere, di per sé, la stessa qualificazione.
L’articolo 12, lettera a), della direttiva 95/46 e l’articolo 8, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che il richiedente un titolo di soggiorno dispone di un diritto di accesso a tutti i dati personali che lo riguardano che siano oggetto di trattamento da parte delle autorità amministrative nazionali ai sensi dell’articolo 2, lettera b), di tale direttiva. Perché questo diritto sia soddisfatto, è sufficiente che al richiedente sia consegnata un’esposizione completa di tali dati in forma intelligibile, ossia in una forma che gli permetta di prendere conoscenza dei dati medesimi e di verificare che siano esatti e trattati in modo conforme alla suddetta direttiva, così da consentirgli di esercitare, se del caso, i diritti conferitigli dalla direttiva medesima.
L’articolo 41, paragrafo 2, lettera b), della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea dev’essere interpretato nel senso che il richiedente un titolo di soggiorno non può invocare tale disposizione nei confronti delle autorità nazionali.





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Corte di Giustizia UE xx 2014, n. xx

Rinvio pregiudiziale – Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati – Articolo 31 – Cittadino di un paese terzo entrato in uno Stato membro dopo avere attraversato un altro Stato membro – Ricorso ai servizi di passatori – Ingresso e soggiorno irregolari – Esibizione di un passaporto falso – Sanzioni penali – Incompetenza della Corte







La Corte di giustizia dell’Unione europea non è competente a rispondere alle questioni sollevate in via pregiudiziale dall’Oberlandesgericht Bamberg (Germania), con decisione del 29 agosto 2013 nella causa C‑481/13.







OMISSIS
 Sulla competenza della Corte
17      Con le sue questioni, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 31 della Convenzione di Ginevra debba essere interpretato nel senso che esso osta a che una persona possa, da un lato, essere perseguita penalmente, nello Stato membro dove chiede asilo, per reati connessi all’ingresso irregolare nel territorio di tale Stato membro, quali, segnatamente, l’ingresso irregolare tramite passatori e l’uso di un falso documento d’identità, e, dall’altro, avvalersi dell’esenzione di pena di cui a tale articolo, essendo la stessa persona entrata nel territorio di detto Stato membro attraverso un altro Stato membro dell’Unione.
18      Occorre innanzitutto rilevare che la presente domanda di decisione pregiudiziale solleva la questione della competenza della Corte.
19      A tale proposito, i governi tedesco e olandese nonché la Commissione europea eccepiscono l’incompetenza della Corte a rispondere alle questioni pregiudiziali in quanto tali, tendenti a che la Corte interpreti direttamente l’articolo 31 della Convenzione di Ginevra.
20      In tale contesto va ricordato che, tenuto conto che la Convenzione di Ginevra non contiene clausole di attribuzione di competenza alla Corte, quest’ultima può fornire le richieste interpretazioni delle disposizioni di tale Convenzione, nella presente fattispecie l’articolo 31, solo se un tale esercizio delle proprie funzioni scaturisca dall’articolo 267 TFUE (sentenza TNT Express Nederland, C‑533/08, EU:C:2010:243, punto 58).
21      Orbene, secondo giurisprudenza costante il potere di fornire interpretazioni in via pregiudiziale, quale deriva da quest’ultima disposizione, riguarda le sole norme appartenenti al diritto dell’Unione (sentenza TNT Express Nederland, C‑533/08, EU:C:2010:243, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).
22      Nel caso di accordi internazionali, è assodato che quelli stipulati dall’Unione europea costituiscono parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione e possono pertanto formare oggetto di una domanda di pronuncia pregiudiziale. La Corte non è invece, in linea di principio, competente ad interpretare, nell’ambito di un procedimento pregiudiziale, accordi internazionali stipulati tra Stati membri e Stati terzi (sentenza TNT Express Nederland, EU:C:2010:243, punti 60 e 61 nonché giurisprudenza citata).
23      Soltanto qualora e nei limiti in cui l’Unione abbia assunto le competenze precedentemente esercitate dagli Stati membri nel campo d’applicazione di una convenzione internazionale non stipulata dall’Unione e, conseguentemente, le disposizioni di quest’ultima siano vincolanti per l’Unione, la Corte è competente ad interpretare una siffatta convenzione (sentenza TNT Express Nederland, EU:C:2010:243, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).
24      Nella presente fattispecie, sebbene, nell’ambito dell’istituzione di un regime europeo comune in materia di asilo, siano stati adottati vari testi di diritto dell’Unione nell’ambito di applicazione della Convenzione di Ginevra, è assodato che gli Stati membri hanno conservato talune competenze rientranti in tale ambito, in particolare per quanto riguarda la materia dell’articolo 31 di tale Convenzione. Pertanto, la Corte non può essere competente per interpretare direttamente l’articolo 31 di tale Convenzione, né qualsiasi altro articolo della stessa.
25      La circostanza che l’articolo 78 TFUE dispone che la politica comune in materia di asilo deve essere conforme alla Convenzione di Ginevra, e che l’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ribadisce che il diritto di asilo è garantito nel rispetto di tale Convenzione e del protocollo relativo allo status dei rifugiati del 31 gennaio 1967, non è idonea a rimettere in discussione la constatazione dell’incompetenza della Corte operata nel punto precedente.
26      Inoltre, come già dichiarato al punto 71 della sentenza B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661), seppure sussista certamente un interesse dell’Unione a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni di convenzioni internazionali riprese dal diritto nazionale e dal diritto dell’Unione ricevano un’interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate, va rilevato che l’articolo 31 della Convenzione di Ginevra non è stato ripreso da un testo di diritto dell’Unione, mentre diverse disposizioni di tale ordinamento giuridico si riferiscono a tale articolo.
OMISSIS
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giovedì 17 luglio 2014




Corte di Giustizia UE xx 2014, n. xx

Rinvio pregiudiziale – Diritto al ricongiungimento familiare – Direttiva 2003/86/CE – Articolo 4, paragrafo 5 – Normativa nazionale che prevede che il soggiornante e il coniuge abbiano raggiunto l’età di ventun anni al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento – Interpretazione conforme








L’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, deve essere interpretato nel senso che tale disposizione non osta a una normativa nazionale volta a prevedere che i coniugi e i partner registrati debbano già avere compiuto il ventunesimo anno di età al momento della presentazione della domanda per poter essere considerati quali familiari ammissibili al ricongiungimento.



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Corte di Giustizia UE xx 2014, n. xx

Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia – Direttiva 2003/109/CE – Articoli 2, 4, paragrafo 1, 7, paragrafo 1, e 13 – “Permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo” – Presupposti per la concessione – Soggiorno legale e ininterrotto nello Stato membro ospitante nei cinque anni precedenti la presentazione della domanda di permesso – Persona unita al soggiornante di lungo periodo da vincoli familiari – Disposizioni nazionali più favorevoli – Effetti








Gli articoli 4, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, come modificata dalla direttiva 2011/51/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2011, devono essere interpretati nel senso che il familiare, quale definito all’articolo 2, lettera e), della medesima direttiva, di persona che abbia già acquisito lo status di soggiornante di lungo periodo, non può essere esentato dalla condizione prevista all’articolo 4, paragrafo 1, della citata direttiva, secondo la quale, per ottenere tale status, il cittadino di paese terzo deve aver soggiornato legalmente e ininterrottamente nello Stato membro interessato per cinque anni immediatamente prima della presentazione della pertinente domanda.
L’articolo 13 della direttiva 2003/109, come modificata dalla direttiva 2011/51, deve essere interpretato nel senso che esso non consente ad uno Stato membro di rilasciare a condizioni più favorevoli di quelle previste nella stessa direttiva, ad un familiare come definito all’articolo 2, lettera e), di quest’ultima, un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.


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Corte di Giustizia UE xx 2014, xx nn. xx


Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Direttiva 2008/115/CE – Norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Articolo 16, paragrafo 1 – Trattenimento ai fini dell’allontanamento – Trattenimento in un istituto penitenziario – Impossibilità di sistemare i cittadini di paesi terzi in un apposito centro di permanenza temporanea – Mancanza di un centro siffatto nel Land in cui il cittadino di un paese terzo è trattenuto








L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro è tenuto, di norma, a trattenere ai fini dell’allontanamento i cittadini di paesi terzi in situazione di soggiorno irregolare sistemandoli in un apposito centro di permanenza temporanea di questo Stato, ancorché tale Stato membro abbia una struttura federale e lo Stato federato competente a decidere e ad eseguire detto trattenimento ai sensi del diritto nazionale non disponga di un centro di permanenza temporanea siffatto.




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Corte di Giustizia UE xx 2014, n. xx

Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Direttiva 2008/115/CE – Norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Articolo 16, paragrafo 1 – Trattenimento ai fini dell’allontanamento – Trattenimento in un istituto penitenziario – Possibilità di trattenere insieme a detenuti comuni un cittadino di un paese terzo che abbia dato il proprio consenso







L’articolo 16, paragrafo 1, seconda frase, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, deve essere interpretato nel senso che esso non permette a uno Stato membro di trattenere ai fini dell’allontanamento un cittadino di un paese terzo ospitandolo in un istituto penitenziario insieme a detenuti comuni neppure nel caso in cui il cittadino in questione acconsenta a tale sistemazione.





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domenica 13 luglio 2014




Corte di Giustizia UE xx 2014, n. xx

Rinvio pregiudiziale ‑ Direttiva 2004/38/CE – Articolo 16, paragrafo 2 – Diritto di soggiorno permanente dei familiari di un cittadino dell’Unione cittadini di paesi terzi ‑ Fine della vita comune dei coniugi – Convivenza immediata con altri partner durante il periodo di soggiorno ininterrotto di cinque anni – Regolamento (CEE) n. 1612/68 – Articolo 10, paragrafo 3 – Presupposti – Violazione del diritto dell’Unione da parte di uno Stato membro – Esame della natura della violazione di cui trattasi – Necessità di un rinvio pregiudiziale



L’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che si deve considerare che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente, previsto da tale disposizione, il cittadino di un paese terzo il quale, nel corso di un periodo continuativo di cinque anni antecedente alla data di recepimento della suddetta direttiva, abbia soggiornato in uno Stato membro, in qualità di coniuge di un cittadino dell’Unione lavoratore nel medesimo Stato membro, sebbene, nel corso del suddetto periodo, i coniugi abbiano deciso di separarsi, abbiano iniziato a convivere con altri partner e l’alloggio occupato dal suddetto cittadino non sia stato ormai più fornito né messo a disposizione di quest’ultimo dal suo coniuge cittadino dell’Unione.
 La circostanza che, nell’ambito di un’azione di risarcimento danni per violazione del diritto dell’Unione, un giudice nazionale abbia ritenuto necessario porre una questione pregiudiziale, vertente sul diritto dell’Unione in esame nel procedimento principale, non deve essere considerata un elemento decisivo al fine di determinare se sussista una violazione manifesta di tale diritto da parte dello Stato membro.


sabato 12 luglio 2014




Gli indicatori (?) della dimora abituale secondo il Consiglio di Stato (in sede consultiva)

Cons. di Stato, I, xx 2014, n. xx

OMISSIS

Premesso:
L’ufficiale d’anagrafe del comune di R. con provvedimento del 5 luglio 2010 aveva respinto la richiesta d’iscrizione nell’anagrafe in quel comune presentata dal dottor V.M., con la motivazione che gli accertamenti effettuati dal comune circa l’abituale e prevalente dimora nel comune.
Il dottor V.M. ha presentato ricorso al prefetto di L’Aquila il 16 agosto 2010, il quale lo ha respinto con decreto 9 novembre 2010 n. 35498, viste le controdeduzioni del comune e vista altresì la nota del Comando provinciale del carabinieri del OMISSIS di conferma dell’insussistenza degli elementi idonei a dimostrare che il luogo della dimora prevalente ed abituale sia nel comune.
Con il ricorso straordinario in esame il dottor M. chiede l’annullamento dei provvedimenti impugnati perché secondo un’ordinanza della Cassazione civile dell’11 febbraio 2011 il beneficio della prima casa spetta anche a coloro che, pur avendone fatto formale richiesta senza stabilire personalmente nel rispettivo comune anche l’abitazione principale; lo stesso può essere assolto anche dai familiari o da terzi. Deduce anche eccesso di potere per difetto di motivazione perché non sarebbe stata valutata la situazione che per iscriversi nell’anagrafe in un comune non sia necessaria la presenza durevole ma unicamente un minimo di stabilità, come nel caso di specie. Inoltre, i controlli sarebbero stati effettuati durante orari in cui era assente per impegni di lavoro.
Il ministero eccepisce l’inammissibilità del ricorso perché le controversie in materia di iscrizione nei registri dell’anagrafe competono alla giurisdizione del giudice ordinario.

Considerato:
Il ricorso è infondato per cui si prescinde dall’esame dell’eccezione d’inammissibilità sollevata dal ministero.
La questione dei benefici (fiscali) per la prima casa è inconferente rispetto all’oggetto del ricorso, concernente il diniego d’iscrizione all’anagrafe di un Comune.
La legge 24 dicembre 1954 n. 1228 sull’ordinamento delle anagrafi della popolazione residente dispone che all’anagrafe debba essere iscritta la popolazione che ha nel comune la dimora abituale; il che implica l’effettività e continuità della dimora. La tesi che l’iscrizione anagrafica sia dovuta sulla sola base della dichiarazione di residenza, sostenuta dal ricorrente, non ha fondamento, e più volte è stato rilevato da questa Sezione (17 giugno 2009 n. 4616/2007; 30 novembre 2011 n. 693; 13 marzo 2013 n. 20) che la dimora abituale del richiedente l’iscrizione anagrafica dev’essere intesa non come astratta dichiarazione di volontà, ma come situazione di fatto concretamente accertabile. D’altra parte, essendo l’anagrafe una rilevazione fondamentale sia per la programmazione dei servizi comunali sia per la reperibilità delle persone, è evidente che essa non può essere costituita da residenze fittizie. Che R. sia il luogo d’effettiva residenza del ricorrente, non solo non è risultato dall’istruttoria esperita dal Comune prima e poi dal prefetto, ma è smentito dalle stesse dichiarazioni del ricorrente per giustificare di non essere stato reperito presso l’abitazione di R., il quale, chirurgo della OMISSIS dell’ospedale di P. (distante circa 160 km di strada da R.), deve trascorrere tutta la giornata e spesso la notte nel reparto; come pure è implicitamente smentito dalla tesi da lui sostenuta, che all’iscrizione si abbia diritto sulla base della dichiarazione resa al fine di godere di agevolazioni fiscali (vedasi in particolare in fine di pag. 8 del ricorso).
Il ricorso, pertanto, è infondato e va respinto, restando assorbita l’istanza di sospensione cautelare dell’efficacia dei provvedimenti impugnati.
P.Q.M.
esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.

venerdì 11 luglio 2014




Cons. di Stato, V, xx maggio 2014, n. xx

1.Elezioni – Elezioni comunali – Presentazione delle liste – Candidati – Generalità (erronea indicazione delle)

2.Elezioni – Elezioni comunali – Presentazione delle liste – Candidati – Rappresentanza di genere






E’ inaccoglibile l’istanza, indirizzata alla C.E.C., finalizzata alla rettifica della data di nascita di un candidato, qualora le nuove generalità corrispondano a soggetto diverso, residente nello stesso Comune [osserva il Collegio che  “la rettifica della data di nascita equivarrebbe alla sostituzione di un candidato con un altro e quindi alla presentazione di una nuova candidatura, in quanto: a) la non corrispondenza dei dati anagrafici non può considerarsi frutto di un errore materiale chiaramente individuabile, dal momento che i dati anagrafici risultanti nella lista …corrispondevano ad un soggetto diverso, residente nello stesso Comune in cui risiede la sig.ra …, ricorrente; b) era irrilevante la circostanza che la sig.ra (erroneamente indicata), avesse escluso, con dichiarazione autenticata, di avere inteso candidarsi alle elezioni, dal momento che la Sottocommissione elettorale era tenuta unicamente a dare rilievo alla volontà dei sottoscrittori/presentatori all’atto della presentazione della lista, a nulla valendo le loro postume dichiarazioni autenticate, che non appaiono idonee a dimostrare che la loro volontà fosse dall’origine chiaramente orientata nel senso di presentare un candidato con quei dati anagrafici”]

E’ infondata la tesi tendente ad affermare che l’eliminazione di candidati alla carica di consigliere comunale dalla lista sia possibile solo nel caso in cui il mancato rispetto delle quote di genere sussista all’origine e non quando sia conseguenza dell’esclusione di qualche candidato da parte della commissione elettorale: l’esegesi non trova alcun appiglio testuale nella chiara previsione normativa, che impone il rispetto delle quote di genere senza introdurre alcuna distinzione a seconda del momento in cui interviene l’alterazione delle stesse e la cui ratio deve rinvenirsi nel perseguimento della concreta effettività della rappresentatività di una certa quota proporzionale tra candidati di diverso genere, a prescindere dalla circostanza che l’evento che renda indispensabile le modifiche da apportare si sia verificato a seguito di modifiche apportate alla lista dei candidati in questione dopo l’adozione del provvedimento di approvazione ed ammissione dei candidati alla lista.

mercoledì 2 luglio 2014





CEDU e Burqa

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Camera, sent. 1 luglio 2014, S.A.S. c. Francia


Per la Corte di Strasburgo il divieto del burqa – previsto dalla legge francese 11 ottobre 2010, n. 1192 –  non viola la libertà di religione e il rispetto della vita privata