lunedì 29 febbraio 2016





Diritto di accesso alle ‘movimentazioni’ Postamat

Tar Sicilia, Catania, 26 febbraio 2016, n. 597

Documentazione amministrativa – Accesso (diritto di) – Soggetti passivi – Poste italiane s.p.a.




La normativa sull’accesso, ex l. 241/1990, è inapplicabile all’attività creditizia –  sottesa alla titolarità del libretto di risparmio e della natura strettamente privatistica del rapporto al quale la pretesa attiene – svolta da Poste Italiane s.p.a. [nel caso deciso, il Collegio ha reputato legittimo il diniego, opposto da Poste Italiane s.p.a. al “giornale di fondo ovvero dei registri di tutte le operazioni poste in essere dal dispositivo” Postamat]













FATTO e DIRITTO
Il ricorrente, titolare di un libretto di risparmio postale presso la filiale postale “Catania 4”, sita in Catania, via … - attesa la contabilizzazione di un prelievo di euro 600,00 dal dispositivo automatico ivi presente e la mancata erogazione il 7 maggio 2015 del relativo danaro contante - avanzava a Poste Italiane s.p.a., tramite posta elettronica certificata del 27 luglio 2015, specifica istanza di accesso mediante estrazione e rilascio di copia del “giornale di fondo ovvero dei registri di tutte le operazioni poste in essere dal dispositivo” in questione “ove si evinca la quadratura di cassa”.
La società resistente, con la nota impugnata, respingeva l’istanza del ricorrente sulla scorta della motivazione che “i giornali di fondo in questione dell’apparato informatico rappresentano documenti operativi interni, per altro contenenti dati sensibili di soggetti terzi”.
Il ricorrente, dunque – sul presupposto che Poste Italiane s.p.a., nel gestire attività di pubblico interesse, sia soggetta alla normativa in tema di accesso ai documenti amministrativi di cui agli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990 - insorge proponendo, ai sensi dell’art. 116 cod. proc. amm., il ricorso in epigrafe, sostenendo l’illegittimità del rifiuto opposto ed evidenziando l’indispensabilità di detta documentazione in relazione all’esigenza di agire giudizialmente nei confronti della resistente al fine di ottenere il rimborso della somma indebitamente prelevata dal suo conto.
La società resistente si costituiva in giudizio eccependo, tra l’altro, come gli atti in questione non afferirebbero alla gestione del servizio pubblico postale demandato alla società medesima, bensì a un rapporto privatistico nel cui ambito non può essere evocato il diritto di accesso, invece invocato dal ricorrente.
Parte ricorrente, con memoria depositata il 13 gennaio 2016, insisteva nell’accoglimento del ricorso precisando come “l’esigenza che ha legittimato la richiesta della domanda di accesso è scaturita da un problema nella procedura di prelevamento da un distributore automatico di denaro contante, tentato tramite l’uso di una carta magnetica” e “la richiesta di accesso è quindi finalizzata a dimostrare, in ulteriore sede giudiziaria, dinanzi l’Autorità ordinaria, che Poste Italiane non ha erogato banconote, come avrebbe dovuto, nonostante l’avvenuto addebito”.
Alla camera di consiglio del 28 gennaio 2016, la causa veniva trattata e, quindi, trattenuta in decisione.
Il ricorso è infondato per insussistenza del diritto di accesso di cui agli artt. 22 e seguenti della l. n. 241/1990, condividendosi la prospettazione nel merito della società intimata circa l’inapplicabilità alla fattispecie in esame di tale normativa, in ragione della non riferibilità al servizio pubblico postale (svolto dalla società resistente) dell’attività creditizia sottesa alla titolarità del libretto di risparmio e della natura strettamente privatistica del rapporto al quale la pretesa attiene (in tal senso, ex multis, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sezione II, n. 455/2015 e T.A.R. Campania, Napoli, sezione VI, n. 25187/2010).
Osserva, infatti, preliminarmente il Collegio come l’astratta accessibilità - per effetto della riforma di cui alla l. n. 15/2005 - anche agli atti dei soggetti privati svolgenti pubbliche funzioni o pubblici servizi, “limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”, debba essere correttamente circoscritta onde evitare indebite estensioni del sotteso diritto all’ostensione, valorizzando la necessità della sussistenza, a tal fine, di uno specifico “collegamento, anche indiretto, tra la documentazione oggetto della pretesa ostensiva ed un pubblico interesse che soddisfi la ratio legis della trasparenza della sfera d’azione amministrativa” (in tal senso, Consiglio di Stato, sezione VI, n. 7977/2010).
Orbene, nel caso di specie, l’istanza avanzata dal ricorrente - quale privato cliente di Poste Italiane, titolare di un libretto di risparmio postale - al solo fine di meglio tutelare le proprie (asserite) ragioni creditorie nei confronti della società intimata, non appare sorretta da un tale ineludibile e necessario collegamento con l’attività di gestione del servizio pubblico postale svolta dalla medesima società né con atti “funzionalmente inerenti alla gestione di interessi collettivi”, bensì inerente un rapporto di carattere strettamente privatistico sotteso alla titolarità di tale libretto di risparmio (di deposito, di conto corrente o similia), riferibile all’attività creditizia esercitata da Poste Italiane non diversamente dagli altri istituti di credito (in tal senso, Consiglio di Stato, sezione VI, n. 1119/2007 relativa ad un caso del tutto analogo al presente).
Ben si comprende, dunque, come tale attività di carattere finanziario, integrando a pieno titolo attività di diritto privato, sia integralmente assoggettata alle regole di diritto privato e non anche alla normativa in materia di accesso ai documenti amministrativi, “dato che altrimenti sarebbe necessario, per evidente par condicio e per non falsare il gioco della concorrenza, assoggettare alla medesima disciplina anche gli analoghi rapporti … in essere presso istituti di credito diversi da Poste italiane s.p.a., i quali svolgono analoga attività creditizia (non potendo certo essere valido criterio discretivo, ai fini che qui interessano, il fatto che Poste italiane s.p.a., a differenza degli altri istituti creditizi privati, sia una società in titolarità pubblica)” (in tal senso, cit. Consiglio di Stato, sezione VI, n. 7977/2010).
Ne consegue che l’interesse del ricorrente a conoscere i prelievi eseguiti dal dispositivo in questione potrà, quindi, trovare eventuale tutela solo sul piano degli specifici obblighi derivanti dal contratto relativo al collocamento del libretto di risparmio postale e secondo le regole civilistiche applicabili a tale genere di rapporti, ivi comprese quelle volte ad assicurare la trasparenza nell’attività creditizia (si confronti, l’art. 119, u.c., del d. lgs. n. 385/1993).
In conclusione, per tutte le considerazioni sin qui svolte, il ricorso deve essere rigettato, attesa la radicale insussistenza del diritto di accesso invocato, con conseguente infondatezza della relativa domanda di ostensione.
Sussistono, comunque, giusti motivi, valutate le concrete modalità di svolgimento della vicenda, per compensare integralmente fra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

domenica 28 febbraio 2016





Corte di Giustizia UE 25 febbraio 2016, n. C-299/14

Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione delle persone – Cittadinanza dell’Unione – Parità di trattamento – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 24, paragrafo 2 – Prestazioni di assistenza sociale – Regolamento (CE) n. 883/2004 – Articoli 4 e 70 – Prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo – Esclusione dei cittadini di uno Stato membro durante i primi tre mesi di soggiorno nello Stato membro ospitante








L’articolo 24 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, e l’articolo 4 del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, come modificato dal regolamento (UE) n. 1244/2010 della Commissione, del 9 dicembre 2010, vanno interpretati nel senso che non ostano a una normativa di uno Stato membro che esclude dal beneficio di talune «prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo», ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004, che sono parimenti costitutive di una «prestazione d’assistenza sociale», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, i cittadini di altri Stati membri che si trovano in una situazione come quella prevista dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva medesima.









SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
25 febbraio 2016
Nella causa C‑299/14,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Landessozialgericht Nordrhein-Westfalen (tribunale per il contenzioso in materia sociale del Land Renania settentrionale-Vestfalia, Germania), con decisione del 22 maggio 2014, pervenuta in cancelleria il 17 giugno 2014, nel procedimento
Vestische Arbeit Jobcenter Kreis Recklinghausen
contro
Jovanna García-Nieto,
Joel Peña Cuevas,
Jovanlis Peña García,
Joel Luis Peña Cruz,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta da A. Tizzano, vicepresidente della Corte, facente funzione di presidente della Prima Sezione, F. Biltgen, E. Levits, M. Berger (relatore) e S. Rodin, giudici,
avvocato generale: M. Wathelet
cancelliere: M. Aleksejev, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 aprile 2015,
considerate le osservazioni presentate:
–        per J. García-Nieto, J. Peña Cuevas, J. Peña García e J.L. Peña Cruz, da M. Schmitz, Rechtsanwalt;
–        per il governo tedesco, da T. Henze e J. Möller, in qualità di agenti;
–        per il governo francese, da R. Coesme, in qualità di agente;
–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;
–        per il governo del Regno Unito, da M. Holt, in qualità di agente, assistito da B. Kennelly, barrister;
–        per la Commissione europea, da D. Martin, Kellerbauer e C. Tufvesson, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 4 giugno 2015,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 18 TFUE e 45, paragrafo 2, TFUE, degli articoli 4 e 70 del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 166, pag. 1 e rettifica in GU 2004, L 200, pag. 1), come modificato dal regolamento (UE) n. 1244/2010 della Commissione, del 9 dicembre 2010 (GU L 338, pag. 35; in prosieguo: il «regolamento n. 883/2004»), nonché dell’articolo 24 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, nonché rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34).
2        Tale domanda è stata presentata nel contesto di una controversia tra il Vestische Arbeit Jobcenter Kreis Recklinghausen (centro per l’impiego del distretto di Recklinghausen; in prosieguo: il «centro per l’impiego»), da una parte, e il sig. Peña Cuevas e la sig.ra García-Nieto nonché loro figlia, Jovanlis Peña García, e il figlio del sig. Peña Cuevas, Joel Luis Peña Cruz (in prosieguo, congiuntamente, la «famiglia Peña-García») in ordine al rifiuto, da parte del centro suddetto, di concedere prestazioni dell’assicurazione di base («Grundsicherung») prevista dalla normativa tedesca.
 Contesto normativo
 Diritto internazionale
3        L’articolo 1 della convenzione europea di assistenza sociale e medica, firmata a Parigi l’11 dicembre 1953 dai membri del Consiglio d’Europa e in vigore dal 1956 in Germania (in prosieguo: la «convenzione di assistenza»), enuncia un principio di non discriminazione nei termini seguenti:
«Ciascuna delle Parti Contraenti si impegna a far beneficiare i cittadini delle altre Parti Contraenti in regolare soggiorno in qualsiasi parte del suo territorio al quale si applica la presente convenzione e che sono privi di risorse sufficienti, al pari dei propri cittadini e alle medesime condizioni, dell’assistenza sociale e medica (…) prevista dalla legislazione in vigore nella parte del territorio considerato».
4        Ai sensi dell’articolo 16, punto b), della convenzione di assistenza, «ogni Parte Contraente comunica al Segretario Generale del Consiglio d’Europa qualsiasi nuova legge o regolamento non ancora inclusi nell’allegato I. In tale sede, la Parte Contraente può formulare riserve in merito all’applicazione della sua nuova legislazione o normativa ai cittadini delle altre Parti Contraenti». La riserva presentata dal governo tedesco, il 19 dicembre 2011, ai sensi di tale disposizione è così formulata:
«Il Governo della Repubblica federale di Germania non s’impegna a far sì che i cittadini delle altre Parti contraenti beneficino, al pari dei propri cittadini e alle stesse condizioni, delle prestazioni previste nel libro II del codice tedesco della previdenza sociale – Tutela sociale di base per le persone in cerca di occupazione [(Sozialgesetzbuch Zweites Buch – Grundsicherung für Arbeitsuchende)], nella versione vigente al momento della domanda [(in prosieguo: il “libro II del codice della previdenza sociale”)]».
5        Conformemente all’articolo 16, punto c), della convenzione di assistenza, tale riserva è stata notificata alle altre parti di tale convenzione.
 Diritto dell’Unione
 Regolamento n. 883/2004
6        L’articolo 4 del regolamento n. 883/2004, rubricato «Parità di trattamento», così dispone:
«Salvo quanto diversamente previsto dal presente regolamento, le persone alle quali si applica il presente regolamento godono delle stesse prestazioni e sono soggette agli stessi obblighi di cui alla legislazione di ciascuno Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato».
7        L’articolo 70 di tale regolamento, rubricato «Disposizione generale», contenuto nel titolo III, capitolo 9, relativo alle «[p]restazioni speciali in denaro di carattere non contributivo», così prevede:
«1.      Il presente articolo si applica alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo previste dalla legislazione la quale, a causa del suo ambito di applicazione ratione personae, dei suoi obiettivi e/o delle condizioni di ammissibilità, ha caratteristiche tanto della legislazione in materia di sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, quanto di quella relativa all’assistenza sociale.
2.      Ai fini del presente capitolo, le “prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo” sono quelle:
a)      intese a fornire:
i)      copertura in via complementare, suppletiva o accessoria dei rischi corrispondenti ai settori di sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, e a garantire, alle persone interessate, un reddito minimo di sussistenza in relazione al contesto economico e sociale dello Stato membro interessato;
oppure
ii)      unicamente la protezione specifica dei portatori di handicap, strettamente collegate al contesto sociale del predetto soggetto nello Stato membro interessato;
e
b)      relativamente alle quali il finanziamento deriva esclusivamente dalla tassazione obbligatoria intesa a coprire la spesa pubblica generale e le condizioni per la concessione e per il calcolo della prestazione, non dipendono da alcun contributo da parte del beneficiario. Tuttavia, le prestazioni concesse ad integrazione della prestazione contributiva non sono da considerare prestazioni contributive per questo solo motivo;
e
c)      sono elencate nell’allegato X.
3.      L’articolo 7 e gli altri capitoli del presente titolo non si applicano alle prestazioni di cui al paragrafo 2 del presente articolo.
4.      Le prestazioni di cui al paragrafo 2 sono erogate esclusivamente nello Stato membro in cui gli interessati risiedono e ai sensi della sua legislazione. Tali prestazioni sono erogate dall’istituzione del luogo di residenza e sono a suo carico».
8        L’allegato X del regolamento n. 883/2004, rubricato «Prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo», prevede, riguardo alla Repubblica federale di Germania, le seguenti prestazioni:
«(...)
b)      prestazioni assicurative di base per persone in cerca di lavoro, destinate a garantire il loro sostentamento, a meno che, in riferimento a tali prestazioni, non siano soddisfatte le condizioni di ammissibilità ad un supplemento temporaneo susseguente alla ricezione delle prestazioni di disoccupazione (articolo 24, paragrafo 1, del libro II del codice sociale)».
 Direttiva 2004/38
9        Ai sensi dei considerando 10, 16 e 21 della direttiva 2004/38:
«(10) Occorre tuttavia evitare che coloro che esercitano il loro diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo iniziale di soggiorno. (...)
(...)
(16)      I beneficiari del diritto di soggiorno non dovrebbero essere allontanati finché non diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. Pertanto una misura di allontanamento non dovrebbe essere la conseguenza automatica del ricorso al sistema di assistenza sociale. Lo Stato membro ospitante dovrebbe esaminare se si tratta di difficoltà temporanee e tener conto della durata del soggiorno, della situazione personale e dell’ammontare dell’aiuto concesso prima di considerare il beneficiario un onere eccessivo per il proprio sistema di assistenza sociale e procedere all’allontanamento. In nessun caso una misura di allontanamento dovrebbe essere presa nei confronti di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi o richiedenti lavoro, quali definiti dalla Corte di giustizia, eccetto che per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
(...)
(21)      Dovrebbe spettare tuttavia allo Stato membro ospitante decidere se intende concedere a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari prestazioni di assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o per un periodo più lungo in caso di richiedenti lavoro, o sussidi per il mantenimento agli studi, inclusa la formazione professionale, prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente».
10      L’articolo 6 di detta direttiva, rubricato «Diritto di soggiorno sino a tre mesi», così recita:
1.      I cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità.
2.      Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari in possesso di un passaporto in corso di validità non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnino o raggiungano il cittadino dell’Unione».
11      L’articolo 7, paragrafo 1, di detta direttiva, rubricato «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», così recita:
«Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:
a)      di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o
b)      di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; (…)
(...)».
12      Ai sensi dell’articolo 14 della stessa direttiva, rubricato «Mantenimento del diritto di soggiorno»:
«1.      I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui all’articolo 6 finché non diventano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.
2.      I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui agli articoli 7, 12 e 13 finché soddisfano le condizioni fissate negli stessi.
In casi specifici, qualora vi sia un dubbio ragionevole che il cittadino dell’Unione o i suoi familiari non soddisfano le condizioni stabilite negli articoli 7, 12 e 13, gli Stati membri possono effettuare una verifica in tal senso. Tale verifica non è effettuata sistematicamente.
3.      Il ricorso da parte di un cittadino dell’Unione o dei suoi familiari al sistema di assistenza sociale non dà luogo automaticamente ad un provvedimento di allontanamento.
4.      In deroga ai paragrafi 1 e 2 e senza pregiudizio delle disposizioni del capitolo VI, un provvedimento di allontanamento non può essere adottato nei confronti di cittadini dell’Unione o dei loro familiari qualora:
a)      i cittadini dell’Unione siano lavoratori subordinati o autonomi; oppure
b)      i cittadini dell’Unione siano entrati nel territorio dello Stato membro ospitante per cercare un posto di lavoro. In tal caso i cittadini dell’Unione e i membri della loro famiglia non possono essere allontanati fino a quando i cittadini dell’Unione possono dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo».
13      L’articolo 24 della direttiva 2004/38, rubricato «Parità di trattamento», prevede quanto segue:
«1.      Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.
2.      In deroga al paragrafo 1, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d’assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, se del caso, durante il periodo più lungo previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), né è tenuto a concedere prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente aiuti di mantenimento agli studi, compresa la formazione professionale, consistenti in borse di studio o prestiti per studenti, a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari».
 Diritto tedesco
 Codice della previdenza sociale
14      L’articolo 19 bis, paragrafo 1, contenuto nel libro I del codice della previdenza sociale (Sozialgesetzbuch Erstes Buch), prevede nei termini seguenti i due principali tipi di prestazioni assicurative di base di cui possono godere i richiedenti lavoro:
«Possono essere richieste a titolo di diritto all’assicurazione di base per i richiedenti lavoro:
1.      prestazioni intese all’inserimento nel mercato del lavoro,
2.      prestazioni volte a garantire la sussistenza».
15      L’articolo 1 del libro II del codice della previdenza sociale, rubricato «Funzione e obiettivo dell’assicurazione di base per i richiedenti lavoro», ai suoi paragrafi 1 e 3 così dispone:
«(1)      L’assicurazione di base per i richiedenti lavoro mira a consentire ai suoi beneficiari di condurre una vita conforme alla dignità umana.
(...)
(3)      L’assicurazione di base per i richiedenti lavoro comprende prestazioni
1.      intese a porre fine o a ridurre lo stato d’indigenza, in particolare tramite l’inserimento nel mercato del lavoro, e
2.      volte a garantire la sussistenza».
16      L’articolo 7 del libro II del codice della previdenza sociale, rubricato «Beneficiari», al suo paragrafo 1 così recita:
«Le prestazioni ai sensi del presente libro sono destinate alle persone che:
1.      abbiano raggiunto l’età di 15 anni e non abbiano ancora raggiunto il limite di età di cui all’articolo 7 bis,
2.      sono idonee a lavorare,
3.      sono indigenti e
4.      dimorino abitualmente nella Repubblica federale di Germania (beneficiari abili al lavoro).
Sono esclusi:
1.      le straniere e gli stranieri che non sono lavoratori subordinati o autonomi nella Repubblica federale di Germania e che non godono del diritto alla libera circolazione in forza dell’articolo 2, paragrafo 3, della legge sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione [(Freizügigkeitsgesetz/EU; in prosieguo: la “legge sulla libera circolazione”)], e i loro familiari, durante i primi tre mesi del loro soggiorno,
2.      le straniere e gli stranieri il cui diritto di soggiorno sia giustificato unicamente dalla ricerca di un lavoro e i loro familiari,
(...)
La seconda frase, punto 1, non si applica alle straniere e agli stranieri che soggiornano nella Repubblica federale di Germania conformemente a un titolo di soggiorno rilasciato a norma del capitolo 2, sezione 5, della legge sul diritto di soggiorno [(Aufenthaltgesetz)]. Le disposizioni in materia di diritto di soggiorno restano invariate».
17      Risulta dai paragrafi 2 e 3 di detto articolo 7 che minori inabili al lavoro, che vivono con beneficiari abili al lavoro e costituiscono in tal modo con questi ultimi una «comunità di necessità», godono del diritto derivato alle prestazioni previste dal libro II del codice della previdenza sociale.
18      L’articolo 8, paragrafo 1, del libro II del codice della previdenza sociale, rubricato «Abilità al lavoro», è così formulato:
«È abile al lavoro chiunque non sia incapace in un futuro prevedibile, in ragione di una malattia o di un handicap, di esercitare un’attività lavorativa per almeno tre ore al giorno nelle condizioni abituali del mercato del lavoro».
19      L’articolo 9, paragrafo 1, del codice della previdenza sociale così dispone:
«È indigente chiunque non possa garantire la propria sussistenza, o non possa garantirla in maniera sufficiente, sulla base del reddito o del patrimonio da prendere in considerazione, e non riceva l’assistenza necessaria da parte di altre persone, in particolare da parte dei suoi familiari o di altri organismi previdenziali».
20      L’articolo 20 del libro II del codice della previdenza sociale contiene disposizioni complementari sui bisogni di sussistenza di base. L’articolo 21 del libro II del codice della previdenza sociale contiene disposizioni sui bisogni supplementari e l’articolo 22 di detto codice riguarda i bisogni relativi all’alloggio e al riscaldamento. Infine, gli articoli da 28 a 30 del libro II sono dedicati alle prestazioni di formazione e di partecipazione.
21      L’articolo 1 del libro XII del codice della previdenza sociale, relativo all’aiuto sociale, è così redatto:
«L’obiettivo dell’aiuto sociale è di consentire ai beneficiari di condurre un’esistenza conforme alla dignità umana. (...)».
22      L’articolo 21 del libro XII del codice della previdenza sociale prevede quanto segue:
«Non vengono erogate prestazioni di sussistenza alle persone a cui sono destinate le prestazioni in forza del libro II del codice della previdenza sociale nella misura in cui esse sono abili al lavoro oppure in ragione del loro legame familiare (...)».
 Legge sulla libera circolazione
23      L’ambito di applicazione della legge sulla libera circolazione, nella sua versione applicabile ai fatti di causa, è precisato al suo articolo 1:
«La presente legge regola l’ingresso e il soggiorno dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea (cittadini dell’Unione) e dei loro familiari».
24      L’articolo 2 di detta legge dispone quanto segue con rifermento al diritto di ingresso e di soggiorno:
«(1)      I cittadini dell’Unione che beneficiano della libera circolazione nonché i loro familiari hanno il diritto di entrare e di soggiornare nel territorio federale conformemente alle disposizioni della presente legge.
(2)      Fruiscono della libera circolazione in forza del diritto dell’Unione:
1.      i cittadini dell’Unione che desiderano soggiornare in qualità di lavoratori, per cercare un impiego o per seguire una formazione professionale;
(...)      
5.      i cittadini dell’Unione non occupati, al ricorrere dei presupposti di cui all’articolo 4;
6.      i familiari, in conformità dei presupposti di cui agli articoli 3 e 4;
(...)
(3)      Per i lavoratori dipendenti o autonomi il diritto previsto dal paragrafo 1 resta impregiudicato:
1.      per una temporanea inabilità al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio;
2.      per la disoccupazione involontaria confermata dal centro per l’impiego competente o per la cessazione di un’attività autonoma a seguito di circostanze indipendenti dalla volontà del lavoratore, dopo più di un anno di attività;
3.      per la formazione professionale ove sussista un collegamento tra la formazione e la precedente attività professionale; il collegamento non è richiesto se il cittadino dell’Unione ha perso involontariamente il suo impiego.
Il diritto sancito dal paragrafo 1 è mantenuto per un periodo di sei mesi in caso di disoccupazione involontaria confermata dal centro per l’impiego competente dopo un periodo di impiego inferiore a un anno.
(...)».
25      L’articolo 3 della legge sulla libera circolazione, relativo ai familiari, così dispone:
«(1)      I familiari dei cittadini dell’Unione di cui all’articolo 2, paragrafo 2, punti da 1 a 5, godono del diritto ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, quando accompagnano detto cittadino dell’Unione o si ricongiungono allo stesso. Per i familiari dei cittadini dell’Unione di cui all’articolo 2, paragrafo 2, punto 5, tale principio si applica conformemente ai requisiti di cui all’articolo 4.
(2)      Sono familiari:
1.      Il coniuge e i discendenti delle persone di cui all’articolo 2, paragrafo 2, punti da 1 a 5 e 7, o dei loro coniugi, che non abbiano ancora raggiunto il ventunesimo anno di età;
2.      gli ascendenti o i discendenti delle persone di cui all’articolo 2, paragrafo 2, punti da 1 a 5 e 7, o dei loro coniugi, alla sussistenza dei quali provvedono tali persone o i loro coniugi.
(...)».
26      L’articolo 5 della legge sulla libera circolazione, rubricato «Carte di soggiorno e attestazione relativa al diritto di soggiorno permanente», prevede quanto segue:
«(1)      Ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che possiedono la cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea e che sono autorizzati a circolare liberamente nel suo territorio è immediatamente rilasciata d’ufficio un’attestazione del loro diritto di soggiorno.
(...)
(3)      L’ufficio per gli stranieri competente può richiedere che i requisiti del diritto previsti dall’articolo 2, paragrafo 1, siano dimostrati in modo credibile entro i tre mesi successivi all’ingresso nel territorio federale. Le indicazioni e le prove necessarie ai fini della giustificazione possono essere ricevute, all’atto della registrazione amministrativa, dall’autorità competente per la registrazione, che trasmette le indicazioni e le prove all’ufficio per gli stranieri competente (...)
(...)».
 Procedimento principale e questioni pregiudiziali
27      I membri della famiglia Peña-García sono tutti cittadini spagnoli. La sig.ra García-Nieto e il sig. Peña Cuevas vivevano da vari anni in coppia in Spagna e costituivano un’unità economica, senza essere sposati e senza aver contratto un’unione registrata, insieme a Jovanlis Peña Garcìa, la figlia, e al figlio ancora minorenne del sig. Peña Cuevas, Joel Luis Peña Cruz.
28      Nel mese di aprile del 2012, la sig.ra García-Nieto faceva ingresso in Germania con sua figlia Jovanlis e, il 1° giugno 2012, dichiarava di essere in cerca di occupazione. A decorrere dal 12 giugno 2012, cominciava a svolgere l’attività di aiuto cuoca, per la quale era iscritta a titolo obbligatorio, a far data dal 1º luglio 2012, alla previdenza sociale tedesca e percepiva una retribuzione mensile netta di EUR 600.
29      Il 23 giugno 2012, il sig. Peña Cuevas e suo figlio raggiungevano la sig.ra García-Nieto e Jovanlis. Fino al 1° novembre 2012 la famiglia Peña-García abitava presso la madre della sig.ra García-Nieto e traeva i propri mezzi di sussistenza dal reddito della sig.ra García-Nieto. Inoltre, dal mese di luglio del 2012 il sig. Peña Cuevas e la sig.ra García-Nieto hanno percepito assegni familiari per i loro figli Jovanlis e Joel Luis, che frequentano la scuola dal 22 agosto 2012.
30      Il 30 luglio 2012, la famiglia Peña-García presentava una domanda di prestazioni di sussistenza ai sensi del libro II del codice della previdenza sociale presso il centro per l’impiego (in prosieguo: le «prestazioni in parola»). Quest’ultimo rifiutava tuttavia di concedere tali prestazioni nella parte in cui esse riguardano il sig. Peña Cuevas e suo figlio per i mesi di agosto e settembre del 2012, ove le medesime prestazioni erano state invece concesse a far data dal mese di ottobre 2012.
31      La decisione di diniego della concessione del centro per l’impiego si basava sull’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 1, del libro II del codice della previdenza sociale, atteso che, al momento della domanda, il sig. Peña Cuevas e suo figlio soggiornavano in Germania da meno di tre mesi e il sig. Peña Cuevas, peraltro, non era un lavoratore subordinato o autonomo. Secondo il centro per l’impiego, l’esclusione del beneficio di dette prestazioni valeva anche per il figlio del sig. Peña Cuevas. A seguito della riserva formulata il 19 dicembre 2011 dal governo tedesco quanto alla convenzione di assistenza, infatti, quest’ultima non poteva più far sorgere diritti.
32      Il ricorso proposto dalla famiglia Peña-García avverso tale decisione del centro per l’impiego veniva accolto dal Sozialgericht Gelsenkirchen (tribunale per il contenzioso in materia sociale di Gelsenkirchen), il quale respingeva i motivi di esclusione di cui all’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 1, del libro II del codice della previdenza sociale per ragioni connesse al sistema della normativa nazionale. Il centro per l’impiego impugnava tale decisione dinanzi al giudice del rinvio, il Landessozialgericht Nordrhein-Westfalen (tribunale per il contenzioso in materia sociale del Land Renania settentrionale-Vestfalia).
33      Il giudice del rinvio esprime dubbi riguardo alla compatibilità con il diritto dell’Unione della completa esclusione dal beneficio delle prestazioni in parola nelle ipotesi previste dall’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 1, del libro II del codice della previdenza sociale.
34      In tale contesto, il Landessozialgericht Nordrhein-Westfalen (tribunale per il contenzioso in materia sociale del Land Renania settentrionale-Vestfalia) decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se il principio della parità di trattamento di cui all’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 valga – con l’eccezione della non esportabilità delle prestazioni di cui all’articolo 70, paragrafo 4, di detto regolamento – anche per le prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo ai sensi dell’articolo 70, paragrafi 1 e 2, del regolamento medesimo.
2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione, se – ed eventualmente in che misura – sia possibile prevedere restrizioni al principio della parità di trattamento di cui all’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 mediante disposizioni delle legislazioni nazionali di attuazione dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, in base alle quali l’accesso alle prestazioni in parola non è garantito senza eccezioni per i primi tre mesi di soggiorno, quando i cittadini dell’Unione non svolgono nella Repubblica federale di Germania un’attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo né godono del diritto alla libera circolazione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, della legge sulla libera circolazione.
3)      In caso di risposta negativa alla prima questione, se altri principi inerenti alla parità di trattamento sanciti dal diritto primario, in particolare dall’articolo 45, paragrafo 2, TFUE in combinato disposto con l’articolo 18 TFUE, ostino a una disposizione di diritto nazionale che nega senza eccezioni a cittadini dell’Unione, per i primi tre mesi di soggiorno, una prestazione sociale finalizzata a garantire la sussistenza e, nel contempo, ad agevolare l’accesso al mercato del lavoro, quando nella Repubblica federale di Germania tali cittadini dell’Unione non sono lavoratori subordinati o autonomi né possono avvalersi del diritto alla libera circolazione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, della legge sulla libera circolazione, ma possono dimostrare un legame reale con lo Stato ospitante e, in particolare, con il mercato del lavoro di tale Stato».
35      Con decisione del 19 marzo 2015, il giudice del rinvio ha tuttavia dichiarato che non occorreva rispondere alla prima questione poiché una questione di analogo contenuto era stata sollevata nell’ambito della causa che ha dato luogo alla sentenza Dano (C‑333/13, EU:C:2014:2358) e la Corte vi aveva risposto in senso affermativo dichiarando che «il regolamento n. 883/2004 dev’essere interpretato nel senso che le “prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo” ai sensi degli articoli 3, paragrafo 3, e 70 di detto regolamento ricadono nella sfera di applicazione dell’articolo 4 del regolamento stesso».
 Sulle questioni pregiudiziali
 Sulla seconda questione
36      Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 24 della direttiva 2004/38 e l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 vadano interpretati nel senso che ostano a una normativa di uno Stato membro che esclude dal beneficio di talune «prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo» ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004, e che sono parimenti costitutive di una «prestazione d’assistenza sociale», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, i cittadini di altri Stati membri che si trovano in una situazione come quella prevista dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva medesima.
37      In limine, occorre ricordare che, nella sentenza Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597, punti da 44 a 46), la Corte ha già avuto occasione di affermare che prestazioni come quelle in parola non possono essere qualificate quali prestazioni di natura finanziaria destinate a facilitare l’accesso all’impiego nel mercato del lavoro di uno Stato membro, ma devono essere considerate alla stregua di «prestazioni d’assistenza sociale» ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.
38      Per quanto riguarda l’accesso a prestazioni di tal sorta, un cittadino dell’Unione può richiedere la parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 solo se il suo soggiorno sul territorio dello Stato membro ospitante rispetta i requisiti di cui alla direttiva 2004/38 (sentenze Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 69, e Alimanovic, C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 49).
39      Riconoscere, infatti, che persone che non beneficiano di un diritto di soggiorno in forza della direttiva 2004/38 possano rivendicare il diritto a prestazioni sociali alle stesse condizioni applicabili ai cittadini nazionali si porrebbe in contrasto con un obiettivo di tale direttiva, enunciato al suo considerando 10, che è quello di evitare che i cittadini di altri Stati membri dell’Unione diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante (sentenze Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 74, e Alimanovic, C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 50).
40      Conseguentemente, al fine di determinare se prestazioni di assistenza sociale, quali le prestazioni oggetto di causa, possano essere negate sulla base della deroga dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, occorre verificare previamente l’applicabilità del principio di parità di trattamento richiamato all’articolo 24, paragrafo 1, di detta direttiva e, pertanto, la legittimità del soggiorno nel territorio dello Stato membro ospitante del cittadino dell’Unione interessato (sentenza Alimanovic, C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 51).
41      Occorre rilevare, al riguardo, che, come risulta dal fascicolo sottoposto alla Corte, il sig. Peña Cuevas può fondare un diritto di soggiorno sull’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.
42      Tale disposizione, infatti, prevede che i cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare sul territorio di un altro Stato membro per un periodo fino a tre mesi, senza condizioni o formalità oltre al requisito del possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, e l’articolo 14, paragrafo 1, di detta direttiva conserva tale diritto finché il cittadino dell’Unione e i suoi familiari non divengano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante (sentenze Ziolkowski e Szeja, C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 39, e Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 70).
43      Così stando le cose, occorre tuttavia rilevare che, in tal caso, lo Stato membro ospitante può avvalersi della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 per negare a tale cittadino la concessione della prestazione d’assistenza sociale richiesta (sentenza Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 70).
44      Infatti, emerge espressamente dal tenore letterale di tale disposizione che lo Stato membro ospitante può negare a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi o che mantengano tale status la concessione di qualsivoglia prestazione d’assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno.
45      Orbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 70 delle conclusioni, detta disposizione è conforme all’obiettivo di preservare l’equilibrio finanziario del sistema di previdenza sociale degli Stati membri, perseguito dalla direttiva 2004/38, come risulta, segnatamente, dal suo considerando 10. Atteso che gli Stati membri non possono esigere che i cittadini dell’Unione possiedano mezzi di sussistenza sufficienti e un’assicurazione malattia personale per un soggiorno della durata massima di tre mesi sui loro rispettivi territori, è legittimo non imporre a detti Stati membri la presa in carico di tali cittadini durante detto periodo.
46      In tale contesto, occorre parimenti precisare che, sebbene la direttiva 2004/38 richieda che lo Stato membro ospitante prenda in conto la situazione individuale della persona interessata al momento dell’adozione di una misura di allontanamento o prima di stabilire che tale persona costituisce un onere eccessivo per il sistema nazionale di assistenza sociale nell’ambito del suo soggiorno (sentenza Brey, C‑140/12, EU:C:2013:565, punti 64, 69 e 78), tuttavia tale esame individuale non è necessario in una fattispecie quale quella di cui al procedimento principale.
47      Nella sentenza Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 60), infatti, la Corte ha già avuto modo di statuire che la direttiva 2004/38, istituendo un sistema graduale di mantenimento dello status di lavoratore, che mira a tutelare il diritto di soggiorno e l’accesso alle prestazioni sociali, prende essa stessa in considerazione diversi fattori che caratterizzano la situazione individuale di ogni richiedente una prestazione sociale e, in particolare, la durata dell’esercizio di un’attività economica.
48      Pertanto, se un siffatto esame non è necessario nel caso di un cittadino alla ricerca di un impiego che non abbia più lo status di lavoratore, lo stesso vale, a fortiori, anche per quanto riguarda le persone che si trovano in una situazione come quella del sig. Peña Cuevas nel procedimento principale.
49      Infatti, consentendo agli interessati di conoscere senza ambiguità i loro diritti e doveri, l’eccezione prevista dall’articolo 7, paragrafo 1, seconda frase, punto 1, del libro II del codice della previdenza sociale, in combinato disposto con l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, secondo la quale la Repubblica federale di Germania non è tenuta a concedere il diritto all’assistenza sociale nel corso dei primi tre mesi di soggiorno di un cittadino dell’Unione sul suo territorio, è idonea a garantire un livello elevato di certezza del diritto e di trasparenza nell’ambito della concessione di prestazioni di assistenza sociale dell’assicurazione di base, restando al contempo conforme al principio di proporzionalità (v., per analogia, sentenza Alimanovic, C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 61).
50      Inoltre, per quanto riguarda l’esame individuale inteso alla valutazione globale dell’onere che la concessione di una prestazione configurerebbe in concreto per l’insieme del sistema nazionale di assistenza sociale di cui al procedimento principale, occorre rilevare che l’assistenza accordata a un solo richiedente difficilmente può essere qualificata come «onere eccessivo» per uno Stato membro, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, ove tale onere potrebbe essere gravoso per lo Stato membro interessato non dopo che quest’ultimo abbia ricevuto una domanda individuale, ma necessariamente a fronte della somma di tutte le domande individuali che gli vengano sottoposte (v. sentenza Alimanovic, C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 62).
51      In tale contesto, l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, ove essa esclude dal beneficio di talune «prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo» ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004, i cittadini di altri Stati membri che si trovano in una situazione come quella prevista dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva medesima.
52      La medesima conclusione s’impone quanto all’interpretazione dell’articolo 4 del regolamento n. 883/2004. Infatti, le prestazioni in parola, che costituiscono «prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo» ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, di detto regolamento sono concesse, ai sensi del paragrafo 4 di questo stesso articolo, esclusivamente nello Stato membro di residenza dell’interessato e conformemente alla normativa dello stesso. Ne consegue che nulla osta a che tali prestazioni siano negate a cittadini di altri Stati membri che non abbiano lo status di lavoratore subordinato o autonomo o a persone che mantengano tale status durante i primi tre mesi del loro soggiorno nello Stato ospitante (v., in tal senso, sentenze Brey, C‑140/12, EU:C:2013:965, punto 44, e Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 83).
53      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, occorre rispondere alla seconda questione affermando che l’articolo 24 della direttiva 2004/38 e l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 vanno interpretati nel senso che non ostano a una normativa di uno Stato membro che esclude dal beneficio di talune «prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo» ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004, che sono parimenti costitutive di una «prestazione d’assistenza sociale», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, i cittadini di altri Stati membri che si trovano in una situazione come quella prevista dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva medesima.
 Sulla terza questione
54      Dato che la terza questione è stata posta nell’ipotesi in cui fosse stata data una risposta negativa alla prima e che la Corte ha apportato una risposta positiva a una questione di contenuto analogo sollevata nelle cause sfociate nelle sentenze Dano (C‑333/13, EU:C:2014:2358) e Alimanovic (C‑67/14, EU:C:2015:597), non occorre rispondere alla terza questione pregiudiziale.
 Sulle spese
55      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
L’articolo 24 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, e l’articolo 4 del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, come modificato dal regolamento (UE) n. 1244/2010 della Commissione, del 9 dicembre 2010, vanno interpretati nel senso che non ostano a una normativa di uno Stato membro che esclude dal beneficio di talune «prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo», ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento n. 883/2004, che sono parimenti costitutive di una «prestazione d’assistenza sociale», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, i cittadini di altri Stati membri che si trovano in una situazione come quella prevista dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva medesima.
Firme

Dal sito http://curia.europa.eu

venerdì 26 febbraio 2016




Caratteristiche dell’analogia


Cons. di Stato, I, 24 febbraio 2016, n. 470/2016 (adunanza del 27 gennaio 2016, n. 194/2015), Quesito relativo al trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici nominati alla carica di Assessore regionale


L’analogia interviene nei casi in cui manca una disposizione, ma esiste una norma, quella appunto ricavabile dall’analogia, che attinge ad altre disposizioni di legge (analogia legis), o ai principi generali dell’ordinamento (analogia iuris). L’analogia è, dunque, una figura di collegamento tra il caso e la disposizione che non lo regola, ma alla cui norma può essere riportato.
Diversamente dall’interpretazione e dalle altre forme di estensione dell’ordinamento, l’analogia risolve il problema insorgente dalla lacuna mediante ricorso ad una o più norme vigenti la cui ratio sia tale da comprendere anche il caso non regolato.
Il procedimento per analogia è più complesso dell’interpretazione, perché occorre non solo interpretare la disposizione da applicare al caso non previsto dalla legge, ma anche accertare l’affinità del caso a tale disposizione, analizzando gli indicatori della ratio che lo accomuna al caso contemplato, nel duplice senso di principio superiore di diritto da cui la disposizione è derivata e di scopo pratico che la legge persegue.
Benché abbia il medesimo contenuto della norma che ha una disposizione, la norma creata con l’analogia è nuova. La norma è costituita da tre componenti: il fatto, la regola, l’effetto; la norma desunta per analogia condivide con quella da cui è ricavata la regola e l’effetto, ma non il fatto

LA SEZIONE
Vista la nota di trasmissione della relazione prot. n. 857 in data 05/02/2015 con la quale il Presidenza del consiglio dei ministri - segretariato generale ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Francesco Bellomo;

PREMESSO:
La Presidenza del Consiglio dei ministri chiede un parere sull’applicabilità dell’art. 68 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 al caso dei dipendenti pubblici nominati alla carica di Assessore regionale senza essere membri del Consiglio regionale.
La disposizione prevede che “I dipendenti delle pubbliche amministrazioni eletti al Parlamento nazionale, al Parlamento europeo e nei Consigli regionali sono collocati in aspettativa senza assegni per la durata del mandato. Essi possono optare per la conservazione, in luogo dell'indennità parlamentare e dell'analoga indennità corrisposta ai consiglieri regionali, del trattamento economico in godimento presso l'amministrazione di appartenenza, che resta a carica della medesima. II periodo di aspettativa e utile ai fini dell'anzianità di servizio e del trattamento di quiescenza e di previdenza. II collocamento in aspettativa ha luogo all'atto della proclamazione degli eletti: di questa le Camere ed i Cansigli regianali danno camunicaziane alle amministrazioni di appartenenza degli eletti per i conseguenti provvedimenti. Le regioni adeguano i propri ordinamenti ai principi di cui ai commi 1, 2 e 3”.
Ad avviso Presidenza del Consiglio dei ministri, poichè l’ipotesi del dipendente pubblico chiamato a ricoprire la carica di Assessore regionale, senza rivestire lo status di consigliere (c.d. Assessore per nomina diretta o Assessore esterno), è priva di una regolamentazione ad hoc, il citato articolo potrebbe trovare applicazione.
Si evidenzia, al riguardo, che nel modello regionale delineato dalla riforma costituzionale, la figura dell'Assessore regionale esterno nominato dal Presidente della Giunta concorre all'interno della Giunta regionale, alla direzione collegiale delle funzioni amministrative regionali in modo assolutamente identico agli assessori scelti all'interno del Consiglio regionale.
Per motivi di coerenza logico-sistematica e, in particolare, per evitare disparita ne1 trattamenti, si dovrebbe ritenere che la disciplina di cui al citato art. 68 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 possa trovare integrale applicazione anche nei confronti degli Assessori estranei alla compagine consiliare. Il mancato riferimento, nel testo dell'art. 68 alla figura degli Assessori “non eletti” non impedirebbe l’ampliamento dell'ambito soggettivo della fattispecie, poiche, in presenza di una lacuna del sistema, al criterio letterale dovrebbero subentrare i criteri ermeneutici estensivo-analogici.
CONSIDERATO:
A fronte dell’univoco tenore letterale della disposizione, che si riferisce solo alle cariche elettive, della stessa è in astratto configurabile solo un’applicazione a titolo di analogia al caso dell’assessore esterno.
L’analogia interviene nei casi in cui manca una disposizione, ma esiste una norma, quella appunto ricavabile dall’analogia, che attinge ad altre disposizioni di legge (analogia legis), o ai principi generali dell’ordinamento (analogia iuris). L’analogia è, dunque, una figura di collegamento tra il caso e la disposizione che non lo regola, ma alla cui norma può essere riportato.
Da qui emerge la differenza con l’interpretazione e con altre forme di estensione dell’ordinamento: diversamente da tali procedimenti l’analogia risolve il problema insorgente dalla lacuna mediante ricorso ad una o più norme vigenti la cui ratio sia tale da comprendere anche il caso non regolato.
Il procedimento per analogia è dunque più complesso dell’interpretazione, perché occorre non solo interpretare la disposizione da applicare al caso non previsto dalla legge, ma anche accertare l’affinità del caso a tale disposizione, analizzando gli indicatori della ratio che lo accomuna al caso contemplato, nel duplice senso di principio superiore di diritto da cui la disposizione è derivata e di scopo pratico che la legge persegue.
Benché abbia il medesimo contenuto della norma che ha una disposizione, la norma creata con l’analogia è nuova. La norma è costituita da tre componenti: il fatto, la regola, l’effetto; la norma desunta per analogia condivide con quella da cui è ricavata la regola e l’effetto, ma non il fatto. A regolare il caso non previsto è la disposizione che prevede il caso simile, ma una diversa norma, costruita utilizzando detta disposizione.
Tale meccanismo non sembra poter operare nell’ipotesi in esame, poiché tra il caso regolato e quello non espressamente previsto non vi è la necessaria simmetria: la situazione del dipendente pubblico eletto in un’assemblea (europea, nazionale o) regionale è ben diversa da quello del dipendente pubblico nominato in una giunta regionale.
Nè si può accostare il caso dell’Assessore regionale che è anche Consigliere regionale a quello dell’Assessore esterno: l’art. 68 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 non si occupa dell’Assessore regionale che è anche Consigliere regionale, ma del Consigliere regionale, e ciò sul presupposto che si tratta di carica elettiva, come le altre due contemplate dalla disposizione.
In sostanza, la legge disciplina la posizione del dipendente pubblico chiamato a funzioni legislative in forza di un’elezione popolare, ed è in virtù di questa posizione – non già dell’ingresso nell’organo esecutivo – che il trattamento giuridico ed economico speciale è previsto.
Occorre considerare, altresì, che la citata disposizione prevede obbligatoriamente il collocamento in aspettativa del dipendente pubblico, soluzione poco appropriata nell’ipotesi in cui il dipendente sia chiamato a ricoprire una carica non elettiva.
In tal senso, sarebbe più congrua l’applicazione al caso in esame dell’art. 81 Testo Unico sugli enti locali, secondo il quale “I sindaci, i presidenti delle province, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti dei consigli circoscrizionali dei comuni di cui all'articolo 22, comma 1, i presidenti delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché i membri delle giunte di comuni e province, che siano lavoratori dipendenti possono essere collocati a richiesta in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato. Il periodo di aspettativa è considerato come servizio effettivamente prestato, nonché come legittimo impedimento per il compimento del periodo di prova […]”.
In ordine a tale questione la Sezione ha disposto istruttoria per acquisire il parere del Dipartimento della funzione pubblica e del Dipartimento degli affari regionali, il quale ultimo potrà anche riferire sulle soluzioni adottate nelle Regioni che hanno legiferato in materia.
L’istruttoria non è stata ancora adempiuta, nonostante sia ampiamente decorso il termine assegnato, pertanto la Sezione reitera la richiesta di collaborazione istituzionale, con l’avvertenza che, in mancanza, si renderà la risposta al quesito in assenza del parere delle Autorità interessate.
P.Q.M.
Dispone l’istruttoria di cui in motivazione, assegnando sessanta giorni per provvedervi.


giovedì 25 febbraio 2016





Denuncia di smarrimento (o furto) della tessera elettorale

Cons. di Stato, V, 22 febbraio 2016, n. 708


Non vi è alcuna preclusione nei confronti della Polizia municipale a ricevere utilmente la denuncia di smarrimento o di furto della tessera elettorale, anche se poi è lo stesso Comune, mediante altra articolazione organizzativa, che rilascia il duplicato della tessera elettorale [diversamente, aggiunge il Collegio, “si dovrebbe irragionevolmente concludere che la Polizia municipale è abilitata, in quanto polizia giudiziaria, a ricevere la denuncia per furto (che è notitia criminis), ma non quella per smarrimento (che non si riferisce a un reato): benché siano i medesimi gli effetti pratici riguardo all’abilitazione pratica al voto, cioè il rilascio da parte del comune del duplicato della tessera elettorale”]


FATTO e DIRITTO
Risulta dagli atti che il giorno 25 maggio 2014 si svolsero in S. le elezioni per il rinnovo del Sindaco e del Consiglio comunale. Vi partecipavano quattro liste che riportavano rispettivamente: la lista n.2 voti 3.970, la lista n.4 voti 3.293, la lista n.1 voti 273 e la lista n.3 voti 22. Tale risultato veniva impugnato davanti al Tribunale amministrativo della Campania da due cittadini elettori, D.P. e C.I., perché viziato in termini di procedure di identificazione degli elettori e di ammissione al voto, in quanto da un lato la quasi totalità degli elettori sarebbe stata ammessa senza la previa esibizione di un valido documento di riconoscimento, bensì sulla base di attestazione di conoscenza da parte degli scrutatori così come verificabile dalle liste elettorali di sezione e dall’altro l’abnormità del ricorso a circa cinquecento duplicati della tessera elettorale ed ancora dalla irregolare designazione degli scrutatori chiamati a comporre gli undici seggi elettorali e del presidente del seggio n. 7.
Il Comune di S. si costituiva in giudizio per dedurre l’inammissibilità e l’infondatezza dei motivi di ricorso. Si costituivano inoltre i controinteressati, i quali deducevano la genericità e comunque l’infondatezza del ricorso.
Il Tribunale amministrativo si pronunciava con la sentenza 24 settembre 2015, n. 4605 che riteneva inammissibile, per genericità, la censura relativa all’ammissione al voto al voto di “moltissimi” elettori senza l’annotazione degli estremi del documento di riconoscimento ma sulla base della “conoscenza personale” in assenza delle formalità previste dall'art.48 d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), dato che la censura non precisava né il numero, né le sezioni dove le irregolarità si sarebbero svolte, tanto da apparire meramente strumentale ed esplorativa.
La sentenza riteneva invece fondata la censura sull’anomalia del numero di duplicati da parte dell’ufficio elettorale, poiché l’uso del duplicato è subordinato dalla legge alla presentazione di una denuncia presso gli Uffici di Pubblica Sicurezza. In sede di istruttoria era stato accertato che, rispetto ai 304 nominativi trasmessi dal Comune, solo in 99 casi erano state presentate denunce alla Stazione dei Carabinieri di S., mentre in 125 casi esistevano denunce di smarrimento presentate al Comandante del Corpo di Polizia Municipale di S., in un caso vi era dichiarazione sostitutiva senza denuncia di smarrimento e per i restanti 79 elettori non era stata esibita documentazione.
Tutto ciò, per il Tribunale amministrativo, violava la legge quanto ad acquisizione delle denunce di smarrimento ed al rilascio di duplicati delle tessere elettorali, in quanto per buona parte le denunce erano state presentate alla Polizia municipale, anziché alla Polizia di Stato o ai Carabinieri. In caso di furto o smarrimento della tessera viene rilasciato dal Comune al titolare, su domanda accompagnata dalla denuncia presentata ai competenti uffici di pubblica sicurezza quali questure, caserme dei Carabinieri e commissariati di P.S., mentre in ipotesi di deterioramento il rilascio del duplicato è subordinato alla presentazione di apposita domanda ed alla riconsegna del documento deteriorato. Nella fattispecie era palese la violazione di tali disposizioni, tant’è che così era stato consentito l’esercizio del diritto di voto a soggetti che non erano in condizione di farlo.
Con appello in Consiglio di Stato notificato il 13 ottobre 2015 il candidato sindaco eletto C.V. e gli altri interessati riportati in epigrafe impugnavano la sentenza in questione, sostenendo l’inammissibilità del ricorso di primo grado e in particolare delle censure formulate con il motivo accolto in primo grado.
In sintesi, gli appellanti deducono che i due ricorrenti non avevano evidenziato essere effettive, alcune asserite violazioni che a dire loro avrebbero inciso sulla regolarità delle operazioni elettorali; non avevano indicato con precisione i singoli episodi, né se i titolari dei duplicati avessero effettivamente espresso il voto; ancora, che per i 79 elettori che avevano ottenuto il duplicato della stessa tessera elettorale senza la prescritta denuncia mancasse nel ricorso di primo grado l’inerente censura e conseguentemente si versava in ultrapetizione. Inoltre le funzioni ausiliarie assegnate dall’art. 5 l. 7 marzo 1986, n. 65 al personale della polizia municipale non potevano escludere in capo ai loro uffici la qualifica di uffici di pubblica sicurezza, al punto da escludere la competenza di ricevere una denuncia di smarrimento di tessera elettorale e la possibilità di richiesta di duplicato.
Gli appellati P. e I. si costituivano in giudizio con appello incidentale notificato il 26 ottobre 2015, con il quale insistevano sulla correttezza della decisione di primo grado relativamente alla questione dei duplicati delle tessere e affermavano l’infondatezza dell’appello circa la genericità del motivo, in secondo luogo rinnovavano il motivo di ricorso respinto con la sentenza impugnata sull’ammissione al voto diversi cittadini sulla base della mera conoscenza personale e non del documento d’identità ed in terzo luogo ribadivano il motivo tacitamente assorbito nella sentenza del Tribunale amministrativo sull’irregolare composizione dei seggi elettorali, assumendo che tutti gli scrutatori che ne avevano fatto parte erano membri della maggioranza uscente facenti parte della commissione elettorale consiliare, in violazione delle norme disciplinanti la materia, in particolare l’art. 6 del l. 8 marzo 1989, n. 85 nel testo vigente.
Quindi gli appellati concludevano per l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello principale e per la fondatezza e l’accoglimento dell’appello incidentale.
All’odierna udienza del 4 febbraio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello principale va accolto, vista la fondatezza della sua unica censura.
La sentenza impugnata indica l’irregolarità di 205 duplicati di tessere elettorali, in quanto per 125 casi il rilascio del duplicato è stato preceduto da denuncia di smarrimento presentata al Comandante della Polizia municipale di S. e non alla Polizia di Stato o ai Carabinieri secondo disposizioni di legge; e per un caso vi era solo una dichiarazione sostitutiva senza denuncia di smarrimento mentre per i residui 79 elettori non risultava alcuna documentazione di accompagnamento.
In primo luogo va rilevato che nulla è stato precisato con il ricorso originario, né dalle difese degli appellati, circa quanto abbia effettivamente inciso una tale asserita irregolarità; se gli elettori dotati di duplicato abbiano effettivamente espresso il loro voto ed in quale seggio elettorale; nemmeno risulta una censura specifica relativamente ai 79 elettori dotati di duplicato di tessera senza la previa denuncia, né le difese del P. e della I. controdeducono elementi sul punto: perciò il vizio di ultrapetizione della sentenza appare fondato.
In secondo luogo si deve richiamare l’art. 5, comma 1, l. 7 marzo 1986 n. 65 recante le disposizioni quadro sull’ordinamento della polizia municipale, il quale recita: “Il personale che svolge servizio di polizia municipale, nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni, esercita anche:
a) funzioni di polizia giudiziaria, rivestendo a tal fine la qualità di agente di polizia giudiziaria, riferita agli operatori, o di ufficiale di polizia giudiziaria, riferita ai responsabili del servizio o del Corpo e agli addetti al coordinamento e al controllo, ai sensi dell'articolo 221, terzo comma, del codice di procedura penale;
b) (…);
c) funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza ai sensi dell'articolo 3 della presente legge;
Ora, è sufficiente nel caso di specie la previsione cui alla rassegnata lett. a) per cogliere la fondatezza della doglianza degli appellanti: la statuizione normativa comprende il ricevimento di una denuncia di smarrimento da parte di un privato, senza preclusioni riguardo agli effetti riflessi sulla tenuta dei registri elettorali, che pure è attribuzione propria dei Comuni. È perciò ben possibile che la sequenza composta dalla denuncia di smarrimento della tessera elettorale e dal successivo rilascio del duplicato possa svilupparsi interamente all’interno dell’organizzazione comunale, senza cioè che vi sia l’esclusiva di una ripartizione esterna della fase iniziale della sequenza stessa (mediante denuncia di smarrimento solo agli uffici della Polizia di Stato o dell’Arma dei Carabinieri). Non vi è, in altri termini, per la legge alcuna preclusione nei confronti della Polizia municipale a ricevere utilmente una tale denuncia di smarrimento o di furto, anche se poi è lo stesso Comune, mediante altra articolazione organizzativa, che rilascia il duplicato della tessera elettorale. Diversamente, del resto, si dovrebbe irragionevolmente concludere che la Polizia municipale è abilitata, in quanto polizia giudiziaria, a ricevere la denuncia per furto (che è notitia criminis), ma non quella per smarrimento (che non si riferisce a un reato): benché siano i medesimi gli effetti pratici riguardo all’abilitazione pratica al voto, cioè il rilascio da parte del comune del duplicato della tessera elettorale.
La giurisprudenza, del resto, è consolidata circa le funzioni di pubblica sicurezza della polizia municipale: la caratterizzazione di ausiliarietà è legata in via precipua alla funzione in senso generale, e non si riferisce alla figura del singolo agente di polizia municipale (Cons. Stato, IV, 30 settembre 2002 n. 4982).
E’ poi infondato l’appello incidentale nei due motivi sostenuti, l’uno concernente l’ammissione al voto di una serie di elettori sulla base della “conoscenza personale”, l’altro la composizione dei seggi elettorali.
Quanto alla questione dell’ammissione al voto, si deve ribadire quanto assunto dal Tribunale amministrativo sulla genericità della censura, visto che nulla si dice sul numero degli elettori che sarebbero stati ammessi al voto per conoscenza da parte degli scrutatori, né dei seggi nei quali ciò sarebbe accaduto: e ciò a prescindere dal fatto che il d.P.R. n. 570 del 1960 ammette pacificamente tale modalità di azione dell’elettore, dandole una specifica regolamentazione con specificazione su quanto va riportato nel registro elettorale.
Non è dunque dato qui muovere dall’assunto che sia stata comunque commessa una violazione di legge: non soccorre in senso invero quanto afferma l’appello incidentale, laddove fa questione dell’ammissione al voto con il sistema contestato di “quasi tutti i 7.960 votanti” – pag. 21 - allorché l’istruttoria ne ha rilevato il numero in 5.119, ovverosia nel 64% (cioè quasi due terzi); nemmeno può costituire indizio di illegittimità che il metodo sia stato seguito di più in determinati seggi rispetto che in altri: in ogni caso si tratta di un Comune di circa 11.000 abitanti, caratterizzato da un suo centro urbano storico e da altre 64 frazioni, località e nuclei abitati sparsi: vale a dire da un corpo elettorale piuttosto contenuto e da una serie di piccole aggregazioni abitative, dove la frequente reciproca conoscenza personale è un dato sociale ben plausibile.
Dunque non si ravvisano le illegittimità sostenute.
Inammissibile è poi il secondo motivo, concernente la designazione degli scrutatori: la censura appare generica e si limita a richiamare un’indistinta indicazione degli scrutatori componenti di seggi come non meglio identificati “membri” della maggioranza uscente, senza riportare nomi, modalità del procedimento seguito nemmeno nei tratti sommari e senza specificare gli accadimenti nel dettaglio in almeno uno dei seggi.
Per le suesposte considerazioni l’appello principale va accolto, mentre va dichiarato inammissibile l’appello incidentale, con la conseguente riforma della sentenza impugnata.
La particolarità della controversia permette la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, accoglie l 'appello principale e dichiara inammissibile l’appello incidentale e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.