lunedì 30 giugno 2014





Cons. di Stato, V, xx maggio 2014, n. xxx

Elezioni – Elezioni comunali – Presentazione delle liste – Autenticazione delle firme – Elementi




Sono elementi essenziali costitutivi della procedura di autenticazione: l’apposizione del timbro; l’indicazione del luogo e della data di sottoscrizione del pubblico ufficiale procedente, le modalità di identificazione del sottoscrittore, l’accertamento della sua identità, dell’apposizione della sottoscrizione in sua presenza e le generalità del pubblico ufficiale che procede all’autenticazione e la sua legittimazione

giovedì 26 giugno 2014




Concessione della cittadinanza italiana e residenza legale

Tar Lombardia, Brescia, xx gennaio 2014, n. xx


Non configura il presupposto della residenza legale ultradecennale, necessario per la concessione della cittadinanza italiana, il mantenimento di una situazione residenziale di mero fatto, essendo invece a tal fine necessario che la stessa sia stata accertata in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe. Ne consegue che non si può prescindere dall'iscrizione anagrafica mediante la produzione di dati ed elementi atti a comprovare "aliunde" la presenza sul territorio.



mercoledì 25 giugno 2014






In tema di impugnabilità del decreto prefettizio di accoglimento (parziale) del ricorso gerarchico in materia anagrafica


Cons. di Stato, VI, xx 2014, n. xx


E’ inammissibile, per mancanza della lesività necessaria per proporre un’impugnativa giurisdizionale, il ricorso contro la decisione prefettizia che, in accoglimento del ricorso gerarchico avverso il provvedimento dell’ufficiale d’anagrafe di rigetto dell’istanza di iscrizione anagrafica, ordina al suddetto ufficiale di anagrafe di disporre gli accertamenti previsti dall’art. 19 del d.P.R. 223/1989 [il Collegio, in disparte la questione attinente alla “legittimazione dell’ente comunale a impugnare i provvedimenti dell’autorità statale (nel caso di specie il prefetto) in materia di anagrafe”, rileva come la – impugnata – decisione costituisca mero “atto interlocutorio”]


martedì 24 giugno 2014





Conversione (in legge) del decreto (legge) su competitività e giustizia sociale: novità (fiscali) in tema di riconoscimento della cittadinanza italiana (all’estero) e passaporto


Legge 23 giugno 2014, n. 89  (G.U. 23 giugno 2014, n. 143), Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24  aprile 2014, n. 66, recante  misure  urgenti  per  la  competitività  e  la giustizia sociale. Deleghe al  Governo  per  il  completamento  della revisione della struttura del bilancio dello Stato, per  il  riordino della disciplina per la gestione  del  bilancio  e  il  potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonché per  l'adozione  di  un testo unico in materia di  contabilità  di  Stato  e  di  tesoreria.

 
 
 
Art. 5-bis
Modifiche al regime di entrate riscosse per atti  di  competenza  del Ministero degli affari esteri

1.         Alla tabella dei diritti consolari da riscuotersi  dagli  uffici diplomatici e consolari, allegata al decreto legislativo  3  febbraio 2011, n. 71, alla  Sezione  I,  dopo  l’articolo  7  e’  inserito  il seguente:
«Art. 7-bis. - Diritti  da  riscuotere  per  il  trattamento  della domanda di riconoscimento  della  cittadinanza  italiana  di  persona maggiorenne: euro 300,00».

2.         L’articolo  18  della  legge  21  novembre  1967,  n.  1185,  e’ sostituito dal seguente:
«Art. 18. –
1. Per il rilascio del passaporto ordinario  e’  dovuto un contributo amministrativo  di  euro  73,50,  oltre  al  costo  del libretto.
2.         Il contributo amministrativo e’ dovuto in occasione del rilascio del  libretto  e  va  corrisposto  non  oltre  la  consegna  di  esso all’interessato.
3.         Con decreto  del  Ministro  dell’economia  e  delle  finanze  di concerto con il Ministro degli affari  esteri,  sono  determinati  il costo del libretto  e  l’aggiornamento,  con  cadenza  biennale,  del contributo di cui al comma 1.
4.         All’estero la riscossione avviene in valuta locale,  secondo  le norme dell’ordinamento consolare, con facoltà per il Ministero degli affari esteri di stabilire il necessario arrotondamento».

 3. Sono abrogati:
a)         il comma 6 dell’articolo 55 della legge  21  novembre  2000,  n. 342;
b)         l’articolo 1 della tariffa annessa  al  decreto  del  Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, e successive modificazioni, recante la disciplina delle tasse sulle concessioni governative.

lunedì 23 giugno 2014





Cons. di Stato, I, xx marzo 2014, n. xx (parere interlocutorio), Quesito relativo all’applicazione dell’art. 17 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396


LA SEZIONE
Vista la relazione n. 2802 del 06/11/2013 con il quale il Ministero dell'Interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Francesco Bellomo;

PREMESSO:
Con il quesito in oggetto il Ministero dell’Interno si rivolge a questo Consiglio di Stato per conoscere l’esatta interpretazione ed applicazione dell’art. 17 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, il quale stabilisce che “1. L'autorità diplomatica o consolare trasmette ai fini della trascrizione copia degli atti e dei provvedimenti relativi al cittadino italiano formati all'estero all'ufficiale dello stato civile del comune in cui l'interessato ha o dichiara che intende stabilire la propria residenza, o a quello del comune di iscrizione all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero o, in mancanza, a quello del comune di iscrizione o trascrizione dell'atto di nascita, ovvero, se egli è nato e residente all'estero, a quello del comune di nascita o di residenza della madre o del padre di lui, ovvero dell'avo materno o paterno. Gli atti di matrimonio, se gli sposi risiedono in comuni diversi, saranno inviati ad entrambi i comuni, dando ad essi comunicazione del doppio invio. Nel caso in cui non è possibile provvedere con i criteri sopra indicati, l'interessato, su espresso invito dell'autorità diplomatica o consolare, dovrà indicare un comune a sua scelta”.
Il Ministero riferisce che è invalsa la prassi – giustificata dalla rilevanza pubblicistica della trascrizione – che alla trasmissione degli atti formati all’estero possano provvedere gli interessati, presentandoli direttamente all’ufficiale dello stato civile competente.
Tale prassi è stata, però, messa in discussione dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Arezzo, che ha espresso il parere secondo cui la disposizione debba trovare letterale applicazione, sancendo l’esclusiva competenza dell’Autorità diplomatica o consolare.
Pertanto, il Ministero domanda lumi sulle istruzioni da dare agli ufficiali di Stato civile che si trovino dinanzi a documentazione presentata dagli interessati, onde contemperare l’esigenza di certezza con quella di non aggravamento del procedimento.
CONSIDERATO:
La Sezione ritiene che il quesito, per come è formulato, manchi di alcuni elementi di fatto necessari per un’adeguata soluzione.
Ad esempio, quando il Ministero fa riferimento alla “variabilità e diversità delle possibili fattispecie concrete”, non chiarisce a quali elementi tale variabilità si riferisca e come essi possano influire su un problema di carattere generale, che non pare modulabile in concreto, ammettendo soltanto una secca alternativa (positiva o negativa) sulla legittimazione dei privati interessati a presentare direttamente la documentazione pertinente.
Né viene indicato – e si comprende – quali sarebbero gli “oneri non indispensabili in punto di diritto” imposti agli ufficiali di stato civile da una procedura letteralmente fedele al disposto normativo.
È opportuno, dunque, invitare il Ministero a chiarire tali punti, nonché a prendere posizione sulle argomentazioni addotte dall’autorità giudiziaria a sostegno della soluzione opposta a quella seguita dalla prassi amministrativa, anticipando sin d’ora che l’unica giustificazione possibile a tale prassi, estranea all’ambito letterale e sistematico della disposizione da applicare, può essere ravvisata nel principio di sussidiarietà orizzontale, non essendo sufficiente – come ovvio – invocare generiche e sempre esistenti esigenze di semplificazione dei procedimenti amministrativi.
La Sezione ritiene opportuno, altresì, acquisire sulla questione in esame il parere del Ministero della Giustizia e del Ministero degli Affari esteri.
P.Q.M.
Sospende l’emanazione del parere in attesa degli adempimenti di cui in motivazione, da trasmettere anche sul file elettronico in cui sono formati.
 


mercoledì 18 giugno 2014





Sì definitivo della Camera al decreto legge su competitività e giustizia sociale: novità (fiscali) in tema di riconoscimento della cittadinanza italiana (all’estero) e passaporto


Al Capo II del Titolo I, dopo l’articolo 5 è aggiunto il seguente:

«Art. 5-bis. - (Modifiche al regime di entrate riscosse per atti di
competenza del Ministero degli affari esteri). –

1. Alla tabella dei diritti consolari da riscuotersi dagli uffici diplomatici e consolari, allegata al decreto legislativo 3 febbraio 2011, n. 71, alla Sezione I, dopo l’articolo 7 è inserito il seguente:
"Art. 7-bis. – Diritti da riscuotere per il trattamento della domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana di persona maggiorenne: euro 300,00".


2. L’articolo 18 della legge 21 novembre 1967, n. 1185, è sostituito dal seguente:
“1. Per il rilascio del passaporto ordinario è dovuto un contributo amministrativo di euro 73,50, oltre al costo del libretto.
2.  Il contributo amministrativo è dovuto in occasione del rilascio del libretto e va corrisposto non oltre la consegna di esso all’interessato.
3.  Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministro degli affari esteri, sono determinati il costo del libretto e l’aggiornamento, con cadenza biennale, del contributo di cui al comma 1.
4.  All’estero la riscossione avviene in valuta locale, secondo le norme dell’ordinamento consolare, con facoltà per il Ministero degli affari esteri di stabilire il necessario arrotondamento”. 

3. Sono abrogati:
a)  il comma 6 dell’articolo 55 della legge 21 novembre 2000, n. 342;
b)  l’articolo 1 della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, e successive modificazioni, recante la disciplina delle tasse sulle concessioni governative».

lunedì 16 giugno 2014




Illegittimità costituzionale di norme regionali limitative – sulla base del requisito residenziale – del diritto di accesso all’edilizia residenziale pubblica

Corte cost. 11 giugno 2014, n. 168

OMISSIS


Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso, depositato il 14 maggio 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale, in via principale, dell’art. 19, comma 1, lettera b), della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 13 febbraio 2013, n. 3 (Disposizioni in materia di politiche abitative), nella parte in cui annovera, fra i requisiti di accesso all’edilizia residenziale pubblica, quello della «residenza nella Regione da almeno otto anni, maturati anche non consecutivamente».
OMISSIS


Considerato in diritto
OMISSIS
2.– La questione è fondata nei termini di seguito precisati.
Questa Corte ha da tempo rilevato che le finalità proprie dell’edilizia residenziale pubblica sono quelle di «garantire un’abitazione a soggetti economicamente deboli nel luogo ove è la sede dei loro interessi» (sentenza n. 176 del 2000), al fine di assicurare un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti (art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), mediante un servizio pubblico deputato alla «provvista di alloggi per i lavoratori e le famiglie meno abbienti» (sentenze n. 417 del 1994, n. 347 del 1993, n. 486 del 1992). Dal complesso delle disposizioni costituzionali relative al rispetto della persona umana, della sua dignità e delle condizioni minime di convivenza civile, emerge, infatti, con chiarezza che l’esigenza dell’abitazione assume i connotati di una pretesa volta a soddisfare un bisogno sociale ineludibile, un interesse protetto, cui l’ordinamento deve dare adeguata soddisfazione, anche se nei limiti della disponibilità delle risorse finanziarie. Per tale motivo, l’accesso all’edilizia residenziale pubblica è assoggettato ad una serie di condizioni relative, tra l’altro, ai requisiti degli assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica, quali, ad esempio, il basso reddito familiare (sentenza n. 121 del 1996) e l’assenza di titolarità del diritto di proprietà o di diritti reali di godimento su di un immobile adeguato alle esigenze abitative del nucleo familiare dell’assegnatario stesso, requisiti sintomatici di una situazione di reale bisogno.
In questa prospettiva la legge n. 3 del 2013 della Regione Valle d’Aosta, intitolata «Disposizioni in materia di politiche abitative», stabilisce che la Regione «promuove una serie coordinata di interventi di interesse generale e di carattere sociale» (art. 1), tesi, fra l’altro, a «risolvere, anche con interventi straordinari, gravi e imprevedibili emergenze abitative presenti sul territorio regionale o espresse da particolari categorie sociali» (comma 1, lettera g), fra le quali ricomprende gli anziani, i soggetti diversamente abili, gli immigrati. Fra gli interventi suddetti, vi è la realizzazione della cosiddetta edilizia residenziale pubblica, definita dalla stessa legge, all’art. 8, comma 1, come «il patrimonio immobiliare realizzato con il concorso finanziario di enti pubblici e costituito da abitazioni destinate a ridurre il disagio abitativo dei nuclei familiari che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato», e quindi destinate a sopperire a situazioni di “emergenza abitativa”(art. 13, comma 5, lettera a).
Al fine di realizzare tale servizio sociale, di natura gratuita per il fruitore, la Regione ha stabilito, all’art. 19, comma 1, specifici criteri di accesso per l’assegnazione dei beni facenti parte del patrimonio abitativo regionale in esame, fra i quali, accanto alla previsione di indicatori del basso reddito e della assenza di titolarità di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione su quote di immobili adeguati alle esigenze abitative del nucleo familiare richiedente (requisiti rivelatori della situazione di bisogno), indica, alla lettera b), il diverso criterio della residenza protratta per otto anni, anche non consecutivi, sul territorio regionale.
Questa Corte ha riconosciuto che «le politiche sociali delle Regioni legate al soddisfacimento dei bisogni abitativi ben possono prendere in considerazione un radicamento territoriale ulteriore rispetto alla sola residenza» (sentenza n. 222 del 2013), considerato che «L’accesso a un bene di primaria importanza e a godimento tendenzialmente duraturo, come l’abitazione, […] può richiedere garanzie di stabilità, che, nell’ambito dell’assegnazione di alloggi pubblici in locazione, scongiurino avvicendamenti troppo ravvicinati tra conduttori, aggravando l’azione amministrativa e riducendone l’efficacia» (sentenza n. 222 del 2013). Un simile requisito, tuttavia, deve essere «contenuto entro limiti non palesemente arbitrari ed irragionevoli» (sentenza n. 222 del 2013), anche in linea con il principio che «se al legislatore, sia statale che regionale (e provinciale), è consentito introdurre una disciplina differenziata per l’accesso alle prestazioni assistenziali al fine di conciliare la massima fruibilità dei benefici previsti con la limitatezza delle risorse finanziarie disponibili» (sentenza n. 133 del 2013), tuttavia «la legittimità di una simile scelta non esclude che i canoni selettivi adottati debbano comunque rispondere al principio di ragionevolezza» (sentenza n. 133 del 2013) e che, quindi, debbano essere in ogni caso coerenti ed adeguati a fronteggiare le situazioni di bisogno o di disagio, riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che costituiscono il presupposto principale di fruibilità delle provvidenze in questione (sentenza n. 40 del 2011).
Nella specie, la previsione dell’obbligo di residenza da almeno otto anni nel territorio regionale, quale presupposto necessario per la stessa ammissione al beneficio dell’accesso all’edilizia residenziale pubblica (e non, quindi, come mera regola di preferenza), determina un’irragionevole discriminazione sia nei confronti dei cittadini dell’Unione, ai quali deve essere garantita la parità di trattamento rispetto ai cittadini degli Stati membri (art. 24, par. 1, della direttiva 2004/38/CE), sia nei confronti dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, i quali, in virtù dell’art. 11, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2003/109/CE, godono dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda anche l’accesso alla procedura per l’ottenimento di un alloggio.
Quanto ai primi, risulta evidente che la norma regionale in esame li pone in una condizione di inevitabile svantaggio in particolare rispetto alla comunità regionale, ma anche rispetto agli stessi cittadini italiani, che potrebbero più agevolmente maturare gli otto anni di residenza in maniera non consecutiva, realizzando una discriminazione vietata dal diritto comunitario (oggi «diritto dell’Unione europea», in virtù dell’art. 2, numero 2, lettera a, del Trattato di Lisbona, che modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007), in particolare dall’art. 18 del TFUE, in quanto determina una compressione ingiustificata della loro libertà di circolazione e soggiorno, garantita dall’art. 21 del TFUE. Infatti, il requisito della residenza protratta per otto anni sul territorio regionale induce i cittadini dell’Unione a non esercitare la libertà di circolazione abbandonando lo Stato membro cui appartengono (Corte di giustizia, sentenza 21 luglio 2011, in causa C-503/09, Stewart), limitando tale libertà in una misura che non risulta né proporzionata, né necessaria al pur legittimo scopo di assicurare che a beneficiare della provvidenza siano soggetti che abbiano dimostrato un livello sufficiente di integrazione nella comunità presso la quale risiedono (Corte di giustizia, sentenza 23 marzo 2004, in causa C-138/02, Collins), anche al fine di evitare oneri irragionevoli onde preservare l’equilibrio finanziario del sistema locale di assistenza sociale (Corte di giustizia, sentenza 2 agosto 1993, in cause riunite C-259/91, C-331/91 e C-332/91, Allué). Non è, infatti, possibile presumere, in termini assoluti, che i cittadini dell’Unione che risiedano nel territorio regionale da meno di otto anni, ma che siano pur sempre ivi stabilmente residenti o dimoranti, e che quindi abbiano instaurato un legame con la comunità locale, versino in stato di bisogno minore rispetto a chi vi risiede o dimora da più anni e, per ciò stesso siano estromessi dalla possibilità di accedere al beneficio.
Sulla base di analoghe argomentazioni, è agevole ravvisare la portata irragionevolmente discriminatoria della norma regionale impugnata anche con riguardo ai cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo. L’art. 11 della direttiva 2003/109/CE stabilisce, alla lettera f) del paragrafo 1, che il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda «l’accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico e all’erogazione degli stessi, nonché alla procedura per l’ottenimento di un alloggio». Tale previsione, che è stata recepita dall’art. 9, comma 12, lettera c), del d.lgs. n. 286 del 1998 (nel testo modificato dal decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, recante «Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo»), mira ad impedire qualsiasi forma dissimulata di discriminazione che, applicando criteri di distinzione diversi dalla cittadinanza, conduca di fatto allo stesso risultato, a meno che non sia obiettivamente giustificata e proporzionata al suo scopo. La previsione di una certa anzianità di soggiorno o di residenza sul territorio ai fini dell’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, che si aggiunge al requisito prescritto per ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo, costituito dal possesso del permesso di soggiorno da almeno cinque anni nel territorio dello Stato, ove tale soggiorno non sia avvenuto nel territorio della Regione, potrebbe trovare una ragionevole giustificazione nella finalità di evitare che detti alloggi siano assegnati a persone che, non avendo ancora un legame sufficientemente stabile con il territorio, possano poi rinunciare ad abitarvi, rendendoli inutilizzabili per altri che ne avrebbero diritto, in contrasto con la funzione socio-assistenziale dell’edilizia residenziale pubblica. Tuttavia, l’estensione di tale periodo di residenza fino ad una durata molto prolungata, come quella pari ad otto anni prescritta dalla norma impugnata, risulta palesemente sproporzionata allo scopo ed incoerente con le finalità stesse dell’edilizia residenziale pubblica, in quanto può finire con l’impedire l’accesso a tale servizio proprio a coloro che si trovino in condizioni di maggiore difficoltà e disagio abitativo, rientrando nella categoria dei soggetti in favore dei quali la stessa legge della Regione Valle d’Aosta n. 3 del 2013 dispone, all’art. 1, comma 1, lettera g), l’adozione di interventi, anche straordinari, finalizzati a fronteggiare emergenze abitative.
Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera b), della legge della Regione Valle d’Aosta n. 3 del 2013, nella parte in cui indica, fra i requisiti di accesso all’edilizia residenziale pubblica, quello della «residenza nella Regione da almeno otto anni, maturati anche non consecutivamente», per violazione dell’art. 3 e dell’art. 117, primo comma, Cost. in riferimento all’art. 21, paragrafo 1, del TFUE, all’art. 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE, nonché all’art. 11, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2003/109/CE.
3.– Restano assorbite le ulteriori censure formulate dal ricorrente.


per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera b), della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 13 febbraio 2013, n. 3 (Disposizioni in materia di politiche abitative), nella parte in cui annovera, fra i requisiti di accesso all’edilizia residenziale pubblica, quello della «residenza nella Regione da almeno otto anni, maturati anche non consecutivamente».

giovedì 12 giugno 2014




Effetti della rettificazione di sesso sul matrimonio preesistente – Sentenza di incostituzionalità (additiva)

Corte cost. 11 giugno 1014, n. 170


OMISSIS

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore;
2) dichiara, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale dell’art. 31, comma 6, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), nella parte in cui non prevede che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che determina lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore.
OMISSIS




lunedì 9 giugno 2014





In tema di presentazione delle liste per le elezioni comunali

Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. xx maggio 2014, n. xx




L’omessa autenticazione delle sottoscrizioni non è integrabile aliunde perché si traduce nella sostanziale assenza delle sottoscrizioni e impone l’esclusione della lista rispondendo all’interesse della collettività evitare che vengano presentate liste di cui non è certa, sotto un profilo giuridico, la genuinità delle firme dei presentatori

L’autenticazione non può avvenire in un momento successivo a quello del termine di presentazione delle candidature perché la disciplina della autenticazione impone a colui che autentica le sottoscrizione alcuni adempimenti che non possono non essere contestuali – o comunque immediatamente successivi ma pur sempre senza alcuna soluzione di continuità – con l’apposizione della sottoscrizione

sabato 7 giugno 2014





In tema di residenza (ai sensi del diritto dell’Unione)


Corte di Giustizia UE xx giugno 2014, n. xx




L’articolo 1, lettere j) e k), del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, deve essere interpretato nel senso che, ai fini degli articoli 19, paragrafo 1, o 20, paragrafi 1 e 2, di detto regolamento, qualora un cittadino dell’Unione, che risiedeva in un primo Stato membro, sia colpito da una grave e improvvisa malattia mentre si trova in vacanza in un secondo Stato membro e sia obbligato a rimanere per undici anni in tale Stato a causa di detta malattia e della disponibilità di cure mediche specialistiche nelle vicinanze del luogo in cui abita, egli deve essere considerato «dimorante» in quest’ultimo Stato membro qualora il centro principale dei suoi interessi si trovi nel primo Stato membro. Incombe al giudice nazionale determinare il centro principale degli interessi di detto cittadino in base a una valutazione di tutti i fatti pertinenti e tenendo conto della volontà di quest’ultimo, come emerge da tali fatti, mentre la mera circostanza che il cittadino di cui trattasi sia rimasto nel secondo Stato membro per un lungo periodo non è sufficiente, in quanto tale e di per sé, per considerare che egli risiede in detto Stato.



Dal sito http://curia.europa.eu

venerdì 6 giugno 2014




Elezioni – Elezioni comunali – Operazioni elettorali – Voto assistito




Tar Calabria, Catanzaro, xx gennaio 2014, n. xx


Ai sensi del novellato – a seguito dell’art. 9 della l. 271/1991 – art. 41, c. 8, del T.U. 570/1960, l’accertamento sull’attitudine dell’infermità fisica da cui è affetto l’elettore ad impedire l’autonoma manifestazione del voto, può essere apprezzata unicamente dal funzionario medico, designato dai competenti organi dell'unità sanitaria locale, che dell'attestazione dell'esistenza dell'impedimento si assume la piena responsabilità giuridica; il presidente di seggio, pertanto, non è più tenuto a valutare, attraverso la c.d. prova empirica, se l’infermità di cui si tratta rientri tra quelle ostative indicate dal citato art. 41, in quanto siffatta valutazione è stata affidata dalla norma in questione ad un altro organo pubblico, direttamente individuato e provvisto di adeguate competenze tecniche. Inoltre, per effetto dell’ultimo comma del citato art. 41 – da leggersi in combinato disposto con il (precedente) comma 6, ove l’esibizione del certificato sanitario è testualmente definita come "eventuale" – in presenza dell’annotazione apposta sulla tessera elettorale, l’elettore non è obbligato ad esibire la documentazione sanitaria da cui essa risulta, né il presidente del seggio ha il potere di contestare l'infermità fisica che autorizza il voto assistito.

giovedì 5 giugno 2014




Sull’impugnazione delle circolari

Cons. di Stato, IV, xx febbraio 2014, n. xx

ORDINANZA

OMISSIS
Con sentenza n. 7395 del 2012 il TAR LAZIO dichiarava inammissibili i ricorsi, proposti dagli attuali appellanti, per carenza dell’interesse ad impugnare:
-la risoluzione del 3 aprile 2008 n. 10/DF (prot. n. 2888) del Ministero dell’economia e delle finanze in base alla quale, la categoria dei soggetti iscritti all’albo degli agrotecnici, sarebbe tra quelle legittimate ( al pari delle categorie dei Geometri e dei Geometri laureati e dei Periti agrari) allo svolgimento delle attività in materia di atti catastali ai sensi dell’art. 145, comma 96, l. 23 dicembre 2000, n. 388 e dell’art. 26, comma 7-ter d.l. 248 del 2007, nonché al compimento delle attività in materia estimativa nel settore immobiliare.
-la circolare dell’Agenzia del Territorio 14 aprile 2008 n. 3 (prot. n. 28606) con la quale si è ritenuto, con interpretazione autentica, che l’art. 26, comma 7-ter del decreto legge 31 dicembre 2007, n. 248, avesse abilitato anche i soggetti iscritti nell’albo professionale degli agrotecnici a redigere e sottoscrivere atti catastali di cui all’art. 8 l. n. 679/1969 ed agli artt. 5 e 7 d.p.r. n. 650/1972.
OMISSIS
A fronte dell’orientamento prevalente ( ex plurimis Cass. civ., Sez. Un. n. 23031/2007) che ritiene non impugnabile la circolare interpretativa, in quanto avente natura di “parere della P.A.”, né innanzi al giudice amministrativo, né innanzi al giudice ordinario, “non essendo atto di esercizio di potestà amministrativa” e sussistendo, pertanto, in ordine ad essa, “un difetto assoluto di giurisdizione”, va segnalato un altro indirizzo di questo Consiglio che appare preferibile e che evidenzia come la circolare, pur qualificandosi come mero atto interno alla P.A., può realizzare, in riferimento ai suoi atti applicativi, profili di eccesso di potere deducibili con ricorso dinanzi al giudice amministrativo (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 177 del 2011).
OMISSIS
In conclusione, sussistono i presupposti di rilevanza e di non manifesta infondatezza che impongono al Collegio di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 7-ter del decreto legge 31 dicembre 2007 n. 248 – aggiunto dalla legge di conversione 28 febbraio 2008 n. 31 - per contrasto con gli artt. 3, 77, comma secondo e 97, comma secondo, della Costituzione.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), visto l’art. 23 della legge 11.3.1953 n.87, ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza, rimette alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 7-ter del decreto legge 31 dicembre 2007 n. 248 – aggiunto dalla legge di conversione 28 febbraio 2008 n. 31 - per contrasto con gli artt. 3, 77, comma secondo e 97, comma secondo, della Costituzione, nella parte in cui prevede che “il comma 96 dell’articolo 145 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, si interpreta nel senso che gli atti ivi indicati possono essere redatti e sottoscritti anche dai soggetti in possesso del titolo di cui alla legge 6 giugno 1986, n. 251, e successive modificazioni”, sospende il giudizio e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
OMISSIS