Corte di Giustizia UE 12 novembre
2019, n. C-233/18, Haqbin
Rinvio pregiudiziale – Richiedenti protezione
internazionale – Direttiva 2013/33/UE – Articolo 20, paragrafi 4 e
5 – Gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza o
comportamenti gravemente violenti – Portata del diritto degli Stati membri
di stabilire le sanzioni applicabili – Minore non accompagnato –
Riduzione o revoca delle condizioni materiali di accoglienza
L’articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33/UE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative
all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, letto alla luce
dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve
essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può prevedere, tra le
sanzioni che possono essere inflitte ad un richiedente in caso di gravi
violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché di comportamenti
gravemente violenti, una sanzione consistente nel revocare, seppur
temporaneamente, le condizioni materiali di accoglienza, ai sensi dell’articolo
2, lettere f) e g), della menzionata direttiva, relative all’alloggio, al vitto
o al vestiario, dato che avrebbe l’effetto di privare il richiedente della
possibilità di soddisfare le sue esigenze più elementari. L’imposizione di
altre sanzioni ai sensi del citato articolo 20, paragrafo 4, deve, in qualsiasi
circostanza, rispettare le condizioni di cui al paragrafo 5 di tale articolo,
in particolare quelle relative al rispetto del principio di proporzionalità e
della dignità umana. Nel caso di un minore non accompagnato, dette sanzioni
devono, in considerazione, segnatamente, dell’articolo 24 della Carta dei
diritti fondamentali, essere adottate tenendo conto con particolare riguardo
dell’interesse superiore del minore.
Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
12 novembre 2019
Nella causa C‑233/18,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’arbeidshof te
Brussel (Corte del lavoro di Bruxelles, Belgio), con decisione del 22 marzo
2018, pervenuta in cancelleria il 29 marzo 2018, nel procedimento
Zubair
Haqbin
contro
Federal
agentschap voor de opvang van asielzoekers
LA CORTE
(Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva
de Lapuerta, vicepresidente, J.‑C. Bonichot, M. Vilaras (relatore),
M. Safjan e S. Rodin, presidenti di sezione, L. Bay Larsen, T.
von Danwitz, C. Toader, D. Šváby, F. Biltgen, K. Jürimäe e
C. Lycourgos, giudici,
avvocato generale: M. Campos Sánchez-Bordona
cancelliere: M.-A. Gaudissart, cancelliere
aggiunto,
vista la fase scritta del procedimento e in seguito
all’udienza dell’11 marzo 2019,
considerate le osservazioni presentate:
– per
Z. Haqbin, da B. Dhont e K. Verstrepen, advocaten;
– per il
governo belga, da C. Van Lul, C. Pochet e P. Cottin, in qualità
di agenti, assistiti da. S. Ishaque e A. Detheux, advocaten;
– per il
governo ungherese, da. M.Z. Fehér, G. Koós e M.M. Tátrai, in
qualità di agenti;
– per il
governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman e P. Huurnink, in qualità
di agenti;
– per il
governo del Regno Unito, da R. Fadoju, in qualità di agente, assistita da
D. Blundell, barrister;
– per la Commissione europea,
da M. Condou-Durande e G. Wils, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale,
presentate all’udienza del 6 giugno 2019,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La
domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 20
della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26
giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione
internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96).
2 Tale
domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia fra il
sig. Zubair Haqbin e la Federaal Agentschap voor de opvang van
asielzoekers (Agenzia federale per l’accoglienza dei richiedenti asilo, Belgio;
in prosieguo: la «Fedasil») relativamente ad una domanda di risarcimento danni
presentata dal sig. Haqbin contro la Fedasil, a seguito di due decisioni di
quest’ultima che lo escludono temporaneamente dalle condizioni materiali di
accoglienza.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Direttiva 2013/33
3 Ai
sensi dell’articolo 32, la direttiva 2013/33, per gli Stati membri da essa
vincolati, ha abrogato e sostituito la direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del
27 gennaio 2003, 2003/9/CE, recante norme minime relative all’accoglienza dei
richiedenti asilo negli Stati membri (GU 2003, L 31, pag. 18).
4 I
considerando 7, 25 e 35 della direttiva 2013/33 così recitano:
«(7) Alla luce
dei risultati delle valutazioni effettuate dell’attuazione degli strumenti
della prima fase, è opportuno in questa fase ribadire i principi che ispirano
la direttiva [2003/9] al fine di migliorare le condizioni di accoglienza dei
richiedenti protezione internazionale (“richiedenti”).
(...)
(25) La
possibilità di abuso del sistema di accoglienza dovrebbe essere contrastata
specificando le circostanze in cui le condizioni materiali di accoglienza dei
richiedenti possono essere ridotte o revocate, pur garantendo nel contempo un
livello di vita dignitoso a tutti i richiedenti.
(...)
(35) La
presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi
riconosciuti segnatamente dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea. In particolare, la presente direttiva intende assicurare il pieno
rispetto della dignità umana nonché promuovere l’applicazione degli articoli 1,
4, 6, 7, 18, 21, 24 e 47 della Carta [dei diritti fondamentali] e deve essere
attuata di conseguenza».
5 Ai
sensi dell’articolo 1, la direttiva 2013/33 ha lo scopo di stabilire norme
relative all’accoglienza dei richiedenti negli Stati membri.
6 L’articolo
2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», dispone quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva si intende per:
(...)
d) “minore”:
il cittadino di un paese terzo o l’apolide d’età inferiore agli anni diciotto;
e) “minore non
accompagnato”: il minore che entri nel territorio degli Stati membri senza
essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile per legge o per prassi
dello Stato membro interessato, fino a quando non sia effettivamente affidato a
un tale adulto; il termine include il minore che viene abbandonato dopo essere
entrato nel territorio degli Stati membri;
f) “condizioni
di accoglienza”: il complesso delle misure garantite dagli Stati membri a
favore dei richiedenti ai sensi della presente direttiva;
g) “condizioni
materiali di accoglienza”: le condizioni di accoglienza che includono alloggio,
vitto e vestiario, forniti in natura o in forma di sussidi economici o buoni, o
una combinazione delle tre possibilità, nonché un sussidio per le spese
giornaliere;
(...)
i) “centro di
accoglienza”: qualsiasi struttura destinata all’alloggiamento collettivo di
richiedenti;
(...)».
7 L’articolo
8 della direttiva 2013/33, intitolato «Trattenimento», al paragrafo 3, prevede
quanto segue:
«Un richiedente può essere trattenuto soltanto:
(...)
e) quando lo
impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico;
(...)».
8 L’articolo
14 della menzionata direttiva, che figura al titolo «Scolarizzazione e
istruzione dei minori», prevede:
«1. Gli Stati membri
consentono ai figli minori di richiedenti e ai richiedenti minori di accedere
al sistema educativo a condizioni simili a quelle dei propri cittadini, finché
non sia concretamente eseguito un provvedimento di espulsione nei confronti
loro o dei loro genitori. Tale istruzione può essere impartita nei centri di
accoglienza.
Gli Stati membri interessati possono stabilire che tale
accesso sia limitato al sistema educativo pubblico.
Gli Stati membri non revocano la possibilità di accedere
all’istruzione secondaria per il solo fatto che il minore abbia raggiunto la
maggiore età.
2. L’accesso al
sistema educativo non è differito di oltre tre mesi dalla data di presentazione
della domanda di protezione internazionale da parte o per conto del minore.
Sono impartiti corsi di preparazione, anche di lingua,
ai minori, se necessari per agevolarne l’accesso e la partecipazione al sistema
educativo come stabilito al paragrafo 1.
3. Qualora l’accesso
al sistema educativo previsto al paragrafo 1 non sia possibile a causa della
situazione specifica del minore, lo Stato membro interessato offre altre
modalità d’insegnamento conformemente al proprio diritto e alla propria prassi
nazionali».
9 L’articolo
17 di detta direttiva, intitolato «Disposizioni generali relative alle
condizioni materiali di accoglienza e all’assistenza sanitaria», così dispone
ai paragrafi da 1 a 4:
«1. Gli Stati membri
provvedono a che i richiedenti abbiano accesso alle condizioni materiali d’accoglienza
nel momento in cui manifestano la volontà di chiedere la protezione
internazionale.
2. Gli Stati membri
provvedono a che le condizioni materiali di accoglienza assicurino un’adeguata
qualità di vita che garantisca il sostentamento dei richiedenti e ne tuteli la
salute fisica e mentale.
Gli Stati membri provvedono a che la qualità di vita sia
adeguata alla specifica situazione delle persone vulnerabili, ai sensi
dell’articolo 21, nonché alla situazione delle persone che si trovano in stato di
trattenimento.
3. Gli Stati membri
possono subordinare la concessione di tutte le condizioni materiali
d’accoglienza e dell’assistenza sanitaria, o di parte delle stesse, alla
condizione che i richiedenti non dispongano di mezzi sufficienti a garantire
loro una qualità della vita adeguata per la loro salute, nonché ad assicurare
il loro sostentamento.
4. Gli Stati membri
possono obbligare i richiedenti a sostenere o a contribuire a sostenere i costi
delle condizioni materiali di accoglienza e dell’assistenza sanitaria previsti
nella presente direttiva, ai sensi del paragrafo 3, qualora i richiedenti
dispongano di sufficienti risorse, ad esempio qualora siano stati occupati per
un ragionevole lasso di tempo.
Qualora emerga che un richiedente disponeva di mezzi
sufficienti ad assicurarsi le condizioni materiali di accoglienza e
l’assistenza sanitaria all’epoca in cui tali esigenze essenziali sono state
soddisfatte, gli Stati membri possono chiedere al richiedente un rimborso».
10 L’articolo
18 della medesima direttiva è intitolato «Modalità relative alle condizioni
materiali di accoglienza» e prevede, al paragrafo 1:
«Nel caso in cui l’alloggio è fornito in natura, esso
dovrebbe essere concesso in una delle seguenti forme oppure mediante una combinazione
delle stesse:
a) in locali
utilizzati per alloggiare i richiedenti durante l’esame della domanda di
protezione internazionale presentata alla frontiera o in zone di transito;
b) in centri
di accoglienza che garantiscano una qualità di vita adeguata;
c) in case
private, appartamenti, alberghi o altre strutture atte a garantire un alloggio
per i richiedenti».
11 L’articolo
20 della direttiva 2013/33, unica disposizione del capo III della stessa, è
intitolato «Riduzione o revoca delle condizioni materiali di accoglienza».
Detto articolo è così formulato:
«1. Gli Stati membri
possono ridurre o, in casi eccezionali debitamente motivati, revocare le
condizioni materiali di accoglienza qualora il richiedente:
a) lasci il luogo
di residenza determinato dall’autorità competente senza informare tali
autorità, oppure, ove richiesto, senza permesso; o
b) contravvenga
all’obbligo di presentarsi alle autorità o alla richiesta di fornire
informazioni o di comparire per un colloquio personale concernente la procedura
d’asilo durante un periodo di tempo ragionevole stabilito dal diritto
nazionale; o
c) abbia
presentato una domanda reiterata quale definita all’articolo 2, lettera q),
della direttiva 2013/32/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26
giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca
dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60)].
In relazione ai casi di cui alle lettere a) e b), se il
richiedente viene rintracciato o si presenta volontariamente all’autorità
competente, viene adottata una decisione debitamente motivata, basata sulle
ragioni della scomparsa, nel ripristino della concessione di tutte le
condizioni materiali di accoglienza revocate o ridotte o di una parte di esse.
2. Gli Stati membri
possono inoltre ridurre le condizioni materiali di accoglienza quando possono
accertare che il richiedente, senza un giustificato motivo, non ha presentato
la domanda di protezione internazionale non appena ciò era ragionevolmente
fattibile dopo il suo arrivo in tale Stato membro.
3. Gli Stati membri
possono ridurre o revocare le condizioni materiali di accoglienza qualora un
richiedente abbia occultato risorse finanziarie, beneficiando in tal modo indebitamente
delle condizioni materiali di accoglienza.
4. Gli Stati membri
possono prevedere sanzioni applicabili alle gravi violazioni delle regole dei
centri di accoglienza nonché ai comportamenti gravemente violenti.
5. Le decisioni di
ridurre o revocare le condizioni materiali di accoglienza o le sanzioni di cui
ai paragrafi 1, 2, 3 e 4 del presente articolo, sono adottate in modo
individuale, obiettivo e imparziale e sono motivate. Le decisioni sono basate
sulla particolare situazione della persona interessata, specialmente per quanto
concerne le persone contemplate all’articolo 21, tenendo conto del principio di
proporzionalità. Gli Stati membri assicurano in qualsiasi circostanza l’accesso
all’assistenza sanitaria ai sensi dell’articolo 19 e garantiscono un tenore di
vita dignitoso per tutti i richiedenti.
6. Gli Stati membri
provvedono a che le condizioni materiali di accoglienza non siano revocate o
ridotte prima che sia adottata una decisione ai sensi del paragrafo 5».
12 L’articolo
21 della direttiva 2013/33, intitolato «Principio generale», prevede che, nelle
misure nazionali di attuazione della medesima direttiva, gli Stati membri
tengono conto della specifica situazione delle persone vulnerabili, in
particolare dei minori e dei minori non accompagnati.
13 L’articolo
22 della direttiva summenzionata, intitolato «Valutazione delle particolari
esigenze di accoglienza delle persone vulnerabili», dispone, al paragrafo 1,
terzo comma, e al paragrafo 3, quanto segue:
«1. (...)
Gli Stati membri assicurano che il sostegno fornito ai
richiedenti con esigenze di accoglienza particolari ai sensi della presente
direttiva tenga conto delle loro esigenze di accoglienza particolari durante
l’intera procedura di asilo e provvedono a un appropriato controllo della loro
situazione.
(...)
3. Solo le persone
vulnerabili ai sensi dell’articolo 21 possono essere considerate come persone
con esigenze di accoglienza particolari e possono pertanto beneficiare del
sostegno particolare previsto conformemente alla presente direttiva».
14 L’articolo
23 della direttiva 2013/33, relativo ai minori, recita quanto segue:
«1. L’interesse
superiore del minore costituisce un criterio fondamentale nell’attuazione, da
parte degli Stati membri, delle disposizioni della presente direttiva
concernenti i minori. (...)
2. Nel valutare
l’interesse superiore del minore, gli Stati membri tengono debito conto, in
particolare, dei seguenti fattori:
(...)
b) il
benessere e lo sviluppo sociale del minore, con particolare riguardo ai
trascorsi del minore;
c) le
considerazioni in ordine all’incolumità e alla sicurezza, in particolare se
sussiste il rischio che il minore sia vittima della tratta di esseri umani;
(...)».
15 L’articolo
24 di detta direttiva, dedicato, a sua volta, ai minori non accompagnati,
prevede, al paragrafo 2, quanto segue:
«I minori non accompagnati che presentano domanda di
protezione internazionale, dal momento in cui entrano nel territorio dello
Stato membro in cui la domanda di protezione internazionale è stata presentata
o è esaminata sino al momento in cui ne debbono uscire, sono alloggiati:
(...)
c) in centri di
accoglienza che dispongano di specifiche strutture per i minori;
d) in altri alloggi
idonei per i minori.
(...)».
Direttiva 2013/32
16 Una
«domanda reiterata» è definita, all’articolo 2, lettera q), della direttiva
2013/32, come un’ulteriore domanda di protezione internazionale presentata dopo
che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente, anche
nel caso in cui il richiedente abbia esplicitamente ritirato la domanda e nel
caso in cui l’autorità accertante abbia respinto la domanda in seguito al suo
ritiro implicito ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 1 della direttiva in
parola.
Diritto belga
17 L’articolo
45 della legge 12 gennaio 2007, relativa all’accoglienza dei richiedenti asilo
e di talune altre categorie di stranieri (
Moniteur belge del 7 maggio
2007, pag. 24027), nella versione applicabile al procedimento principale
(in prosieguo: la «legge sull’accoglienza»), così disponeva:
«Il beneficiario dell’accoglienza può essere oggetto di
una sanzione in caso di grave violazione del regime e delle regole di
funzionamento applicabili alle strutture di accoglienza di cui all’articolo 19.
All’atto della scelta della sanzione, si tiene conto della natura e della
gravità della violazione nonché delle circostanze concrete in cui è stata
commessa.
Possono essere pronunciate soltanto le seguenti
sanzioni:
(...)
7° l’esclusione
temporanea dal beneficio del sostegno materiale in una struttura di
accoglienza, per una durata massima di un mese.
Le sanzioni sono inflitte dal direttore o dal
responsabile della struttura di accoglienza. La sanzione di cui al comma 2,
punto 7°, deve essere confermata dal direttore generale [della Fedasil] entro
un termine di tre giorni lavorativi a decorrere dall’adozione della sanzione da
parte del direttore o del responsabile della struttura di accoglienza. In
mancanza di conferma entro tale termine, la sanzione dell’esclusione temporanea
è automaticamente revocata.
Le sanzioni possono essere ridotte o revocate durante
l’esecuzione da parte dell’autorità che le ha inflitte.
La decisione di infliggere una sanzione è adottata in
modo obiettivo e imparziale e dev’essere motivata.
Fatta salva la sanzione di cui al comma 2, punto 7°, in
nessun caso l’attuazione di una sanzione può avere come effetto la completa
soppressione del sostegno materiale concesso in forza della presente legge, o
la limitazione dell’accesso all’assistenza medica. La sanzione di cui al comma
2, punto 7°, comporta per la persona che ne è oggetto l’impossibilità di
beneficiare di qualsiasi altra forma di accoglienza, ad eccezione dell’accesso
all’assistenza medica, quale previsto agli articoli 24 e 25 della [legge
sull’accoglienza].
La sanzione di cui al comma 2, punto 7°, può essere
pronunciata solo in caso di violazione molto grave del regolamento interno
della struttura di accoglienza che metta in pericolo il personale o gli altri
residenti della struttura di accoglienza o che faccia sorgere rischi specifici
per la sicurezza o per il rispetto dell’ordine pubblico nella struttura di
accoglienza.
La persona cui si riferisce la sanzione di esclusione
temporanea deve essere sentita prima dell’adozione di quest’ultima.
(...)».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
18 Il
sig. Haqbin, cittadino afghano, è arrivato in Belgio come minore non
accompagnato e ha presentato domanda di protezione internazionale il 23
dicembre 2015. Gli è stato assegnato un tutore e successivamente è stato
accolto nei centri di accoglienza di Sugny e Broechem. In quest’ultimo centro,
il 18 aprile 2016 è stato coinvolto in una rissa tra residenti di varie origini
etniche. La polizia ha dovuto intervenire per farla cessare e ha arrestato il
sig. Haqbin, con la motivazione che egli sarebbe stato uno degli
istigatori di tale colluttazione. Il sig. Haqbin è stato rilasciato il
giorno successivo.
19 Con
decisione del direttore del centro di accoglienza Broechem del 19 aprile 2016,
confermata dalla decisione del direttore generale della Fedasil del 21 aprile
2016, il sig. Haqbin è stato escluso, per un periodo di 15 giorni,
dall’assistenza materiale in un centro di accoglienza, ai sensi dell’articolo
45, secondo comma, 7°, della legge sull’accoglienza.
20 Secondo
le sue stesse dichiarazioni e quelle del suo tutore, il sig. Haqbin ha
trascorso le notti dal 19 al 21 aprile e dal 24 aprile al 1° maggio 2016
in un parco a Bruxelles e le altre notti presso amici o conoscenti.
21 Il
25 aprile 2016, il tutore del sig. Haqbin ha presentato
all’arbeidsrechtbank te Antwerpen (tribunale del lavoro di Anversa, Belgio) una
richiesta di sospensione della misura di esclusione imposta dalle decisioni di
cui al punto 19 della presente sentenza. La richiesta è stata respinta per
mancanza di estrema urgenza, in quanto il sig. Haqbin non aveva dimostrato
di essere costretto a vivere in strada.
22 Dal
4 maggio 2016, il sig. Haqbin è stato assegnato ad un altro centro di
accoglienza.
23 Il
tutore del sig. Haqbin ha proposto un ricorso dinanzi al Nederlandstalige
arbeidsrechtbank te Brussel (tribunale del lavoro di lingua neerlandese di
Bruxelles, Belgio) per ottenere l’annullamento delle decisioni del 19 e 21
aprile 2016 e il risarcimento del danno subito. Con sentenza del 21 febbraio
2017 di tale giudice, il ricorso è stato respinto in quanto infondato.
24 Il
27 marzo 2017, il tutore del sig. Haqbin ha impugnato la sentenza dinanzi
al giudice del rinvio, l’arbeidshof te Brussel (corte del lavoro di Bruxelles,
Belgio). L’11 dicembre 2017, il sig. Haqbin, che nel frattempo era
diventato maggiorenne, si è costituito nel procedimento in proprio nome.
25 Il
giudice del rinvio ritiene che l’articolo 20 della direttiva 2013/33 ponga un
problema di interpretazione. Esso rileva che il comitato di contatto, istituito
presso la Commissione
europea per assistere gli Stati membri nella trasposizione della direttiva
2013/33, ha indicato, nel corso di una riunione del 12 settembre 2013, che, a
suo avviso, l’articolo 20, paragrafo 4, di tale direttiva si riferisce a tipi
di sanzioni diverse dalle misure che comportano la riduzione o la revoca del
beneficio delle condizioni materiali di accoglienza. Secondo il parere di
suddetto comitato, una simile interpretazione deriverebbe dal carattere
tassativo delle ragioni, elencate all’articolo 20, paragrafi da 1 a 3 della
direttiva in parola, che giustificano la riduzione o la revoca delle condizioni
materiali di accoglienza. Tuttavia, nel parere formulato nell’ambito dei lavori
preparatori della legge del 6 luglio 2016 che modifica la legge
sull’accoglienza (
Moniteur belge del 5 agosto 2016, pag. 47647),
adottata per la trasposizione parziale della direttiva 2013/33, il Raad van
State (Consiglio di Stato, Belgio) ha considerato che siffatta lettura
dell’articolo 20 della direttiva 2013/33 non sarebbe l’unica possibile, tenuto
conto della formulazione e dell’articolazione dei paragrafi da 4 a 6 di tale
articolo.
26 Secondo
il giudice del rinvio, la risposta da dare alla questione di interpretazione di
cui al punto precedente è rilevante ai fini della risoluzione della
controversia ad esso sottoposta, dal momento che, se occorresse interpretare
l’articolo 20 della direttiva 2013/33 nel senso che l’esclusione dal beneficio
delle condizioni materiali di accoglienza è possibile soltanto nei casi
previsti dai paragrafi da 1 a 3 di tale articolo e che non può avvenire
nell’ambito di una misura sanzionatoria adottata ai sensi del paragrafo 4 dello
stesso articolo, siffatta circostanza sarebbe sufficiente per dichiarare che le
decisioni del 19 e 21 aprile 2016 sono viziate da illegittimità e che la Fedasil è incorsa in un
errore infliggendo una sanzione contraria alla legge.
27 Inoltre,
il giudice del rinvio ritiene che anche la concreta applicazione dell’obbligo
di garantire un tenore di vita dignitoso per tutti i richiedenti, imposto agli
Stati membri ai sensi dell’articolo 20, paragrafi 5 e 6, della direttiva 2013/33,
sollevi degli interrogativi. A detto riguardo, esso fa presente in particolare
che dai lavori preparatori della legge del 6 luglio 2016 che modifica la legge
sull’accoglienza, di cui al punto 25 della presente sentenza, e più
specificamente dalla motivazione del progetto di legge, risulta che, secondo i
ministri competenti, l’obiettivo della direttiva 2013/33 può essere raggiunto
attraverso la possibilità di cui dispongono i richiedenti, temporaneamente o
permanentemente esclusi dalle condizioni materiali di accoglienza, di
rivolgersi a uno dei centri privati per i senzatetto, di cui viene fornito loro
un elenco.
28 Secondo
il giudice del rinvio, si pone la questione se, per garantire un livello di
vita dignitoso ai richiedenti, l’autorità pubblica responsabile della loro
accoglienza debba aver adottato le misure necessarie affinché un richiedente
asilo escluso dalle condizioni materiali di accoglienza a titolo di sanzione
goda nondimeno di un livello di vita dignitoso o se detta autorità si possa
limitare a fare affidamento sull’assistenza privata e ad intervenire solo se
quest’ultima non è in grado di garantire tale livello di vita alla persona
interessata.
29 Infine,
se si dovesse ritenere che le sanzioni di cui all’articolo 20, paragrafo 4,
della direttiva 2013/33 possano assumere la forma di esclusione dalle
condizioni materiali di accoglienza, il giudice del rinvio si chiede se tali
sanzioni possano essere imposte a un minore, in particolare a un minore non
accompagnato.
30 È
in tale contesto che l’arbeidshof te Brussel (corte del lavoro di Bruxelles) ha
deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:
«1) Se
l’articolo 20, paragrafi da 1 a 3, della direttiva [2013/33] debba essere
interpretato nel senso che esso stabilisce in modo tassativo i casi nei quali
le condizioni materiali di accoglienza possono essere ridotte o revocate, o se
dall’articolo 20, paragrafi 4 e 5, [di tale direttiva] discenda che la revoca
del diritto alle condizioni materiali di accoglienza può avere luogo anche a
titolo di sanzione applicabile alle gravi violazioni delle regole dei centri di
accoglienza nonché ai comportamenti gravemente violenti.
2) Se
l’articolo 20, paragrafi 5 e 6, [di tale direttiva], debba essere interpretato
nel senso che, prima di adottare una decisione relativa alla riduzione o alla
revoca delle condizioni materiali di accoglienza o a sanzioni, gli Stati membri
devono adottare le misure necessarie che garantiscono il diritto a un tenore di
vita dignitoso durante il periodo di esclusione, o se tali disposizioni possano
essere rispettate mediante un sistema in cui, dopo la decisione di riduzione o
di revoca della condizione materiale di accoglienza, si verifica se la persona che
forma l’oggetto della decisione goda di un tenore di vita dignitoso ed
eventualmente si adottano in quel momento misure correttive.
3) Se
l’articolo 20, paragrafi 4, 5 e 6, [della direttiva 2013/33], in combinato
disposto con [i suoi] articoli 14 e da 21 a 24 (...) e con gli articoli da 1,
3, 4 e 24 della [Carta], debba essere interpretato nel senso che una misura o
sanzione di esclusione provvisoria (o definitiva) dal diritto a condizioni
materiali di accoglienza è possibile, o non è possibile, nei confronti di un
minore, segnatamente nei confronti di un minore non accompagnato».
Sulle questioni pregiudiziali
31 Con
le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio
chiede, in sostanza, se l’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33
debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro può prevedere, fra le
sanzioni che possono essere inflitte ad un richiedente in caso di violazione
grave del regolamento dei centri di accoglienza nonché di comportamento particolarmente
violento, la revoca o la riduzione delle condizioni materiali di accoglienza ai
sensi dell’articolo 2, lettere f) e g), di detta direttiva e, in caso
affermativo, a quali condizioni una tale sanzione può essere inflitta, in
particolare laddove riguarda un minore e, più specificamente, un minore non
accompagnato ai sensi del menzionato articolo, lettere d) ed e).
32 A
tale riguardo, va osservato che, come risulta dalle definizioni riportate
all’articolo 2, lettere f) e g), della direttiva 2013/33, l’espressione
«condizioni materiali d’accoglienza» si riferisce a tutte le misure adottate
dagli Stati membri, conformemente a tale direttiva, a favore dei richiedenti e
che includono alloggio, vitto e vestiario, forniti in natura o in forma di sussidi
economici o buoni, o una combinazione delle tre possibilità, nonché un sussidio
per le spese giornaliere.
33 In
forza dell’articolo 17, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2013/33, gli Stati
membri provvedono a che i richiedenti abbiano accesso alle condizioni materiali
d’accoglienza nel momento in cui manifestano la volontà di chiedere la
protezione internazionale e che le misure adottate a tal fine assicurino
un’adeguata qualità di vita che garantisca il sostentamento dei richiedenti e
ne tuteli la salute fisica e mentale.
34 Per
quanto riguarda le «persone vulnerabili», ai sensi dell’articolo 21 di tale
direttiva, in cui rientrano i minori non accompagnati come il sig. Haqbin
al momento in cui è stato oggetto della sanzione in discussione nel
procedimento principale, l’articolo 17, paragrafo 2, secondo comma, della
suddetta direttiva prevede che gli Stati membri siano tenuti a garantire che
tale qualità di vita sia adeguata.
35 Tuttavia,
l’obbligo per gli Stati membri di provvedere a che i richiedenti abbiano
accesso alle condizioni materiali di accoglienza non è assoluto. Il legislatore
dell’Unione ha infatti previsto, all’articolo 20 della direttiva 2013/33, al
capo III della stessa, entrambi intitolati «Riduzione o revoca delle condizioni
materiali di accoglienza», le circostanze in cui dette condizioni possono
essere ridotte o revocate.
36 Come
posto in rilievo dal giudice del rinvio, i primi tre paragrafi dell’articolo
menzionato fanno esplicito riferimento alle «condizioni materiali di
accoglienza».
37 A
tale riguardo, l’articolo 20, paragrafo 1, di detta direttiva prevede che gli
Stati membri possono ridurre o, in casi eccezionali debitamente motivati,
revocare le condizioni materiali di accoglienza qualora il richiedente lasci
senza permesso o senza darne informazione il luogo di residenza determinato
dall’autorità competente dello Stato membro interessato, contravvenga
all’obbligo di presentarsi alle autorità o alla richiesta di fornire
informazioni o di comparire per un colloquio personale concernente la procedura
d’asilo, o presenti una «domanda reiterata», ai sensi dell’articolo 2, lettera
q), della direttiva 2013/32.
38 L’articolo
20, paragrafo 2, della direttiva 2013/33 prevede che le condizioni materiali di
accoglienza possono essere ridotte quando sia accertato che il richiedente,
senza un giustificato motivo, non ha presentato la domanda di protezione
internazionale non appena ciò era ragionevolmente fattibile dopo il suo arrivo
nello Stato membro di cui si tratti.
39 Inoltre,
ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 3, della direttiva 2013/33, gli Stati
membri possono ridurre o revocare le condizioni materiali di accoglienza
qualora un richiedente abbia occultato risorse finanziarie, beneficiando in tal
modo indebitamente di siffatte condizioni.
40 L’articolo
20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, dal canto suo, prevede che gli Stati
membri possono prevedere «sanzioni» applicabili alle gravi violazioni delle
regole dei centri di accoglienza nonché ai comportamenti gravemente violenti.
41 In
mancanza di una definizione nella direttiva 2013/33 della nozione di «sanzione»
di cui, in particolare, all’articolo 20, paragrafo 4, e in assenza di
precisazione quanto alla natura delle sanzioni che possono essere imposte ad un
richiedente ai sensi di tale disposizione, gli Stati membri dispongono di un
margine di discrezionalità nella determinazione delle sanzioni in parola.
42 Poiché
la formulazione dell’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33 non
consente, di per sé, di rispondere alle questioni sollevate dal giudice del
rinvio, quali riformulate al punto 31 della presente sentenza, è necessario, ai
fini dell’interpretazione della menzionata disposizione, tener conto del suo
contesto nonché dell’economia generale e della finalità di tale direttiva (v.,
per analogia, sentenza del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14,
EU:C:2015:480, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).
43 In
particolare, per quanto riguarda la questione se una «sanzione», ai sensi
dell’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, possa comprendere le
«condizioni materiali di accoglienza», va osservato, da un lato, che una misura
che riduca o revochi le condizioni materiali di accoglienza ad un richiedente a
causa di una violazione delle regole che disciplinano i centri di accoglienza o
di un comportamento particolarmente violento costituisce, in considerazione
della sua finalità e delle sue conseguenze negative per tale richiedente, una
«sanzione» nel senso comune del termine e, d’altro lato, che la menzionata
disposizione figura nel capo III della direttiva in parola, vertente sulla
riduzione e la revoca del beneficio di tali condizioni. Ne consegue che le
sanzioni previste da suddetta disposizione possono, in linea di principio,
riguardare le condizioni materiali di accoglienza.
44 È
senz’altro vero che la possibilità per gli Stati membri di ridurre o revocare,
a seconda dei casi, le condizioni materiali di accoglienza è espressamente
prevista unicamente all’articolo 20, paragrafi da 1 a 3, della direttiva
2013/33, i quali riguardano essenzialmente, come si evince dal considerando 25
della menzionata direttiva, ipotesi in cui sussiste un rischio di abuso, da
parte dei richiedenti, del sistema di accoglienza istituito da tale direttiva.
Tuttavia, il paragrafo 4 dell’articolo citato non esclude espressamente che una
sanzione possa riguardare le condizioni materiali di accoglienza. Inoltre, come
segnatamente fatto presente dalla Commissione, se gli Stati membri hanno la
possibilità di adottare misure relative a dette condizioni per tutelarsi da un
rischio di abuso del sistema di accoglienza, essi devono, parimenti, avere tale
possibilità anche in caso di grave violazione delle regole che disciplinano i
centri di accoglienza o di comportamenti particolarmente violenti, atti che, in
effetti, possono perturbare l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone e
dei beni.
45 Ciò
posto, occorre rilevare che, conformemente all’articolo 20, paragrafo 5, della
direttiva 2013/33, qualsiasi sanzione, ai sensi del paragrafo 4 di tale
articolo, deve essere obiettiva, imparziale, motivata e proporzionata alla
particolare situazione del richiedente e deve, in ogni caso, salvaguardare il
suo accesso all’assistenza sanitaria e un tenore di vita dignitoso.
46 Per
quanto concerne più specificamente il requisito relativo alla salvaguardia
della dignità del tenore di vita, dal considerando 35 della direttiva 2013/33
risulta che quest’ultima mira a garantire il pieno rispetto della dignità umana
nonché a promuovere l’applicazione, in particolare, dell’articolo 1 della Carta
dei diritti fondamentali e deve essere attuata di conseguenza. A detto
riguardo, il rispetto della dignità umana, ai sensi dell’articolo in parola,
richiede che l’interessato non si trovi in una situazione di estrema
deprivazione materiale che non gli consenta di far fronte ai suoi bisogni più
elementari, quali nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio, e che
pregiudichi quindi la sua salute fisica o psichica o che lo ponga in uno stato
di degrado incompatibile con tale dignità (v., in tal senso, sentenza del 19
marzo 2019, Jawo, C‑163/17, EU:C:2019:218, punto 92 e giurisprudenza ivi
citata).
47 Orbene,
l’imposizione di una sanzione consistente, sulla sola base di un motivo di cui
all’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, nel revocare, seppur
temporaneamente, il beneficio di tutte le condizioni materiali di accoglienza o
le condizioni materiali di accoglienza relative all’alloggio, al vitto o al
vestiario sarebbe incompatibile con l’obbligo, derivante dall’articolo 20,
paragrafo 5, terza frase, della menzionata direttiva, di garantire al
richiedente un tenore di vita dignitoso, giacché lo priverebbe della
possibilità di far fronte ai suoi bisogni più elementari, quali precisati al
punto precedente.
48 Una
sanzione del genere equivarrebbe inoltre a violare il requisito di
proporzionalità stabilito all’articolo 20, paragrafo 5, seconda frase, della
direttiva 2013/33, in quanto anche le sanzioni più severe intese a sanzionare,
in materia penale, le violazioni o i comportamenti di cui all’articolo 20,
paragrafo 4, di tale direttiva non possono privare il richiedente della
possibilità di provvedere ai suoi bisogni più elementari.
49 Una
simile considerazione non è rimessa in discussione dalla circostanza,
menzionata dal giudice del rinvio, che al richiedente escluso a titolo di
sanzione da un centro di accoglienza in Belgio sarebbe stata fornita, al
momento dell’imposizione di tale sanzione, un elenco di centri privati per i
senzatetto che avrebbero potuto accoglierlo. Difatti, le autorità competenti di
uno Stato membro non possono limitarsi a fornire a un richiedente, escluso da
un centro di accoglienza a seguito di una sanzione inflittagli, un elenco di
strutture di accoglienza a cui potrebbe rivolgersi per ivi beneficiare di
condizioni materiali di accoglienza equivalenti a quelle che gli sono state
revocate.
50 Decisamente
al contrario, da un lato, l’obbligo di garantire un tenore di vita dignitoso,
previsto dall’articolo 20, paragrafo 5, della direttiva 2013/33, impone agli
Stati membri, proprio in virtù dell’uso stesso del verbo «garantire», di
assicurare un siffatto tenore di vita in modo permanente e senza interruzioni.
D’altro lato, la concessione di un accesso alle condizioni materiali di
accoglienza necessarie per garantire tale tenore di vita deve essere assicurato
dalle autorità degli Stati membri in modo regolato e sotto la propria
responsabilità, anche quando ricorrono, eventualmente, a persone fisiche o
giuridiche private per adempiere, sotto la loro autorità, a detto obbligo.
51 Nel
caso di una sanzione consistente, sulla base di un motivo di cui all’articolo
20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, nel ridurre le condizioni materiali
di accoglienza, compresa la revoca o la riduzione del sussidio per le spese
giornaliere, spetta alle autorità competenti assicurare in ogni circostanza
che, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 5, della menzionata direttiva, la
sanzione in parola sia, tenuto conto della situazione particolare del
richiedente e di tutte le circostanze del caso di specie, conforme al principio
di proporzionalità e non violi la dignità del richiedente di cui trattasi.
52 Occorre
inoltre precisare che gli Stati membri possono, nei casi di cui all’articolo
20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, imporre, a seconda delle circostanze
del caso e fatto salvo il rispetto dei requisiti di cui all’articolo 20,
paragrafo 5, della menzionata direttiva, sanzioni che non hanno l’effetto di
privare il richiedente delle condizioni materiali di accoglienza, come la sua
collocazione in una parte separata del centro di accoglienza, unitamente ad un
divieto di contatto con taluni residenti del centro o il suo trasferimento in
un altro centro di accoglienza o in un altro alloggio, ai sensi dell’articolo
18, paragrafo 1, lettera c), di tale direttiva. Analogamente, l’articolo 20,
paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33 non osta ad una misura di trattenimento
del richiedente ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, lettera e), della
direttiva in parola, purché siano soddisfatte le condizioni di cui agli
articoli da 8 a 11 della stessa direttiva.
53 Infine,
è da precisare che, laddove il richiedente è, come nel procedimento principale,
un minore non accompagnato, ossia una «persona vulnerabile» ai sensi
dell’articolo 21 della direttiva 2013/33, le autorità degli Stati membri
devono, nell’adottare sanzioni a titolo dell’articolo 20, paragrafo 4, di tale
direttiva, tenere maggiormente conto, come si evince dall’articolo 20,
paragrafo 5, seconda frase, della medesima direttiva, della situazione
particolare del minore e del principio di proporzionalità.
54 Peraltro,
dall’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2013/33 risulta che l’interesse
superiore del minore costituisce un criterio fondamentale nell’attuazione, da
parte degli Stati membri, delle disposizioni della menzionata direttiva
concernenti i minori. Ai sensi del paragrafo 2 di tale articolo 23, gli Stati
membri, nel valutare tale interesse superiore, devono tenere debito conto, in
particolare, di fattori quali il benessere e lo sviluppo sociale del minore,
con particolare riguardo ai trascorsi del minore stesso, nonché di
considerazioni in ordine alla sua incolumità e sicurezza. Il considerando 35 di
detta direttiva sottolinea del pari che essa è intesa a promuovere
l’applicazione, in particolare, dell’articolo 24 della Carta dei diritti
fondamentali e deve essere attuata di conseguenza.
55 In
tale contesto, oltre alle considerazioni generali esposte ai punti da 47 a 52
della presente sentenza, occorre, in qualsiasi circostanza, prestare
particolare attenzione alla situazione del minore al momento di adottare una
sanzione ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, in
combinato disposto con il paragrafo 5 del medesimo articolo. Dette due
disposizioni non ostano peraltro a che le autorità di uno Stato membro decidano
di affidare il minore interessato ai servizi o alle autorità giudiziarie
preposte alla tutela dei minori.
56 Alla
luce del complesso delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alle
questioni poste dichiarando che l’articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva
2013/33, letto alla luce dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali,
deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può prevedere, tra
le sanzioni che possono essere inflitte ad un richiedente in caso di gravi
violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché di comportamenti
gravemente violenti, una sanzione consistente nel revocare, seppur
temporaneamente, le condizioni materiali di accoglienza, ai sensi dell’articolo
2, lettere f) e g), della menzionata direttiva, relative all’alloggio, al vitto
o al vestiario, dato che avrebbe l’effetto di privare il richiedente della
possibilità di soddisfare le sue esigenze più elementari. L’imposizione di
altre sanzioni ai sensi del citato articolo 20, paragrafo 4, deve, in qualsiasi
circostanza, rispettare le condizioni di cui al paragrafo 5 di tale articolo,
in particolare quelle relative al rispetto del principio di proporzionalità e
della dignità umana. Nel caso di un minore non accompagnato, dette sanzioni
devono, in considerazione, segnatamente, dell’articolo 24 della Carta dei
diritti fondamentali, essere adottate tenendo conto con particolare riguardo
dell’interesse superiore del minore.
Sulle spese
57 Nei
confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce
un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi
statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare
osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione)
dichiara:
L’articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva
2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante
norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, letto
alla luce dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può
prevedere, tra le sanzioni che possono essere inflitte ad un richiedente in
caso di gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché di
comportamenti gravemente violenti, una sanzione consistente nel revocare,
seppur temporaneamente, le condizioni materiali di accoglienza, ai sensi
dell’articolo 2, lettere f) e g), della menzionata direttiva, relative
all’alloggio, al vitto o al vestiario, dato che avrebbe l’effetto di privare il
richiedente della possibilità di soddisfare le sue esigenze più elementari.
L’imposizione di altre sanzioni ai sensi del citato articolo 20, paragrafo 4,
deve, in qualsiasi circostanza, rispettare le condizioni di cui al paragrafo 5
di tale articolo, in particolare quelle relative al rispetto del principio di
proporzionalità e della dignità umana. Nel caso di un minore non accompagnato,
dette sanzioni devono, in considerazione, segnatamente, dell’articolo 24 della
Carta dei diritti fondamentali, essere adottate tenendo conto con particolare
riguardo dell’interesse superiore del minore.
Dal sito http://curia.europa.eu