sabato 30 novembre 2019


Decreto Ministeriale (Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale) 21 ottobre 2019, Reddito di cittadinanza – Cittadini stranieri - Certificazione di cui all’art. 2 c.. 1 bis del d.l. 4/2019, convertito, con modificazioni, dalla l. 26/2019, recante “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni”, ai fini dell’accoglimento dell’istanza


VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, recante
“Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione
dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)”;
VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, recante “Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa”;
VISTO il decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo
2019, n. 26, recante “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni”;
VISTO in particolare l’articolo 2, comma 1-bis, del citato decreto-legge n. 4 del 2019, che ai fini
dell'accoglimento della richiesta del Reddito di cittadinanza e con specifico riferimento ai
requisiti reddituali e patrimoniali, nonché per comprovare la composizione del nucleo
familiare, in deroga all'articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, prevede che i cittadini di Stati non
appartenenti all'Unione europea devono produrre apposita certificazione rilasciata dalla
competente autorità dello Stato estero, tradotta in lingua italiana e legalizzata dall'autorità
consolare italiana, in conformità a quanto disposto dall'articolo 3 del Testo unico di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e dall'articolo 2 del
regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394;
VISTO in particolare l’articolo 2, comma 1-ter, del citato decreto-legge n. 4 del 2019, che:
- al primo periodo, prevede che le disposizioni di cui al comma 1-bis non si applicano: a)
nei confronti dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea aventi lo status
di rifugiato politico; b) qualora convenzioni internazionali dispongano diversamente; c)
nei confronti di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea nei quali è
oggettivamente impossibile acquisire le certificazioni di cui al comma 1-bis;
al secondo periodo, stabilisce che a tal fine, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore
della legge di conversione del citato decreto-legge n. 4 del 2019, con decreto del
Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro degli affari esteri
e della cooperazione internazionale, è definito l'elenco dei Paesi nei quali non è possibile
acquisire la documentazione necessaria per la compilazione della DSU ai fini ISEE, di
cui al citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013;
CONSIDERATO che in riferimento alla documentazione necessaria a comprovare la
composizione del nucleo familiare dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione
europea, sulla base della definizione di nucleo adottata a fini ISEE, non appaiono esservi
situazioni che non siano accertabili da parte delle competenti autorità italiane mediante la
verifica della residenza anagrafica;
CONSIDERATO che in riferimento alla documentazione relativa al possesso dei requisiti
reddituali e patrimoniali, con riferimento ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione
europea, la componente non accertabile da parte della Agenzia delle Entrate riguarda il
patrimonio posseduto all’estero e i redditi da esso derivanti;
VISTO il Rapporto “Doing Business” della Banca mondiale per il quale sono raccolti indicatori
quantitativi sulla regolamentazione delle attività commerciali e sulla protezione dei diritti
di proprietà che possono essere confrontati in 190 Paesi e nel tempo;
VISTI in particolare gli indicatori relativi alla registrazione dei diritti di proprietà presenti nella
sezione “registring property” della raccolta “Doing Business”, che includono la misurazione
della qualità del sistema di amministrazione degli immobili attraverso, tra l’altro, la raccolta
di informazioni sul grado di registrazione formale degli immobili privati in registri
immobiliari e di loro mappatura;
RITENUTO di poter identificare, in sede di prima applicazione, gli Stati o territori nei quali non
è possibile acquisire la documentazione necessaria alla compilazione della DSU ai fini
ISEE, con particolare riferimento al patrimonio immobiliare, sulla base della assenza o
incompletezza dei sistemi di registrazione formale degli immobili privati in registri
immobiliari e di loro mappatura secondo le informazioni regolarmente raccolte dalla
Banca mondiale nell’ambito della raccolta “Doing Business”;
CONSIDERATO che non esistono al momento analoghe raccolte di informazioni con
riferimento alla disponibilità di dati sul patrimonio mobiliare;
D E C R E T A
Articolo 1
(Certificazione ulteriore ai fini dell’accoglimento della richiesta del Reddito e della Pensione di cittadinanza)
1. Ai fini dell’accoglimento della richiesta del Reddito di cittadinanza e della Pensione di
cittadinanza, i cittadini degli Stati o territori di cui all’allegato elenco, parte integrante del
presente decreto, sono tenuti a produrre l’apposita certificazione di cui all’articolo 2, comma 1-
bis, del decreto-legge n. 4 del 2019, rilasciata dalla competente autorità dello Stato o territorio
estero, tradotta in lingua italiana e legalizzata dalla autorità consolare italiana, limitatamente
all’attestazione del valore del patrimonio immobiliare posseduto all’estero dichiarato a fini
ISEE.
2. I cittadini degli Stati o territori non inclusi nell’allegato elenco non sono tenuti a produrre alcuna
ulteriore certificazione, oltre a quella ordinariamente prevista per l’accesso al Reddito di
cittadinanza e alla Pensione di cittadinanza, ai sensi dell’articolo 5 del decreto-legge n. 4 del
2019.
3. L’elenco è aggiornato sulla base delle informazioni che dovessero eventualmente rendersi
disponibili, anche mediante la rete diplomatica, sulla possibilità di acquisire presso gli Stati o
territori esteri la documentazione necessaria per la compilazione della dichiarazione sostitutiva
unica a fini ISEE.
Il presente decreto viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, previo visto
e registrazione della Corte dei conti.
Roma, lì 21 ottobre 2019
Il Ministro del lavoro e delle
politiche sociali
Nunzia Catalfo
Il Ministro degli affari esteri e della
cooperazione internazionale
Luigi Di Maio

Allegato
Elenco degli Stati o territori i cui cittadini, ai fini dell’accoglimento della richiesta del Reddito di
cittadinanza e della Pensione di cittadinanza, sono tenuti a produrre l’apposita certificazione di cui
all’articolo 2, comma 1-bis, del decreto-legge n. 4 del 2019, limitatamente all’attestazione del valore
del patrimonio immobiliare posseduto all’estero dichiarato a fini ISEE.
Regno del Bhutan
Repubblica di Corea
Repubblica di Figi
Giappone
Regione amministrativa speciale di Hong Kong della Repubblica popolare cinese
Islanda
Repubblica del Kosovo
Repubblica del Kirghizistan
Stato del Kuwait
Malaysia
Nuova Zelanda
Qatar
Repubblica del Ruanda
Repubblica di San Marino
Santa Lucia
Repubblica di Singapore
Confederazione svizzera
Taiwan
Regno di Tonga

mercoledì 20 novembre 2019


Corte Dei Conti – Sezione Di Controllo per il Veneto 7 novembre 2019, n. 321,  Segretario Comm. e Sott. Elett. Circ. – Gettone di presenza


Costituisce principio generale e non controverso, il divieto di erogare compensi ai dipendenti pubblici in tutti i casi in cui l’attività svolta dal dipendente pubblico sia riconducibile alla qualifica o a funzioni ed obblighi connessi alla sua posizione organizzativa e/o all’ufficio ricoperto o corrispondenti a mansioni rientranti negli ordinari compiti di servizio

L’ente locale, al fine di non violare il principio di onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti pubblici non deve corrispondere al dipendente chiamato a svolgere le attività di segretario della sottocommissione elettorale un “compenso aggiuntivo” laddove tali compiti siano riconducibili a “funzioni e poteri connessi alla sua qualifica e all’ufficio ricoperto” o corrispondano “a mansioni cui egli non possa sottrarsi perché rientranti negli ordinari compiti di servizio”, a maggior ragione qualora le medesime attività siano riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici [la Sezione conferma, in tal modo,  “l’orientamento giurisprudenziale contabile formatosi sul tema, secondo il quale, per tutti i pubblici dipendenti (dirigenti e non dirigenti) che espletano un’attività rientrante nel contesto dei compiti istituzionali, in quanto connessa al rapporto organico tra il soggetto medesimo e l'amministrazione, un eventuale compenso aggiuntivo rispetto alla retribuzione spettante, se non previsto o consentito da specifiche norme di legge o di contratto, realizzerebbe una non prevista illegittima maggiorazione retributiva”]


OMISSIS

FATTO


Il Comune di V. ha trasmesso una richiesta di parere ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003 n. 131, concernente l’erogazione dei gettoni di presenza a favore di segretario e vicesegretario delle commissioni elettorali di cui all’art. 24 del D.P.R. n. 223/1967 e l’erogazione delle indennità ex art. 4 L.R. n. 23/2003 ai componenti interni ed esterni delle commissioni di collaudo impianti di distribuzione carburanti.
Con la citata richiesta di parere, in dettaglio, il Sindaco del Comune di V. proponeva un’istanza suddivisa in 3 diversi quesiti e che qui integralmente si riporta:
“Si intende conoscere se rispetto ai dipendenti comunali di categoria non dirigenziale (ossia di comparto) sia legittima l’erogazione dei gettoni di presenza, da parte del Comune loro diretto datore di lavoro, per lo svolgimento del ruolo di segretario o vicesegretario delle commissioni elettorali di cui all'art. 24 DPR 223/1967.
Con riferimento al punto che precede, si chiede altresì se la valutazione di legittimità del compenso in argomento possa essere condizionata dal fatto che i dipendenti che svolgono il ruolo di segretario o vicesegretario prestino servizio presso l'ufficio elettorale dell'ente di appartenenza o presso altro ufficio ovvero se tale valutazione possa essere condizionata dal fatto che dipendenti interessati siano titolari di Posizione Organizzativa ai sensi dell'art. 13 del CCNL relativo al personale del comparto funzioni Locali del 21.05.2018.
Con riferimento alle commissioni di collaudo di impianti di distribuzione carburanti, si chiede OMISSIS.”.
Preliminare all’esame nel merito della questione sottoposta al vaglio di questa Sezione, la Corte è tenuta a verificarne l'ammissibilità, ovvero, la sussistenza, nel caso di specie, del presupposto soggettivo (ossia della legittimazione del richiedente) e di quello oggettivo (attinenza della materia oggetto del quesito alla contabilità pubblica, carattere generale ed astratto della questione sottoposta, non interferenza dell’attività consultiva con altre funzioni della Corte dei conti o di altre giurisdizioni).

OMISSIS

Dal punto di vista oggettivo, questa Sezione ritiene di poter dichiarare ammissibile la richiesta del Comune di V., limitatamente ai quesiti nn. 1 e 2, poiché OMISSIS.
Il quesito n. 3, invece, si ritiene inammissibile in quanto OMISSIS.

OMISSIS

DIRITTO


Nel merito, per rispondere ai quesiti posti dal Comune di V., appare in via preliminare necessario illustrare sinteticamente le norme che disciplinano il principio cardine di onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti pubblici, principio generale in base al quale, salvo particolari motivate e disciplinate eccezioni, nulla è dovuto oltre il trattamento economico fondamentale ed accessorio, stabilito dai contratti collettivi di lavoro ai dipendenti che abbiano svolto una prestazione rientrante nei loro doveri d’ufficio.
A tal proposito si evidenzia che detto principio trova fondamento in diverse norme sia di rango legislativo sia di rango contrattuale. In particolare, la giurisprudenza ha costantemente considerato quale normativa di riferimento il D.Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001 concernente le “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”; in particolare, per i dipendenti non dirigenti, la norma di riferimento è l’art. 2 - comma 3, l’art. 45 - comma 1 e, per il personale con qualifica dirigenziale, è l’art. 24 - comma 3.
Da un lato, l’art. 2 - comma 3 prevede, infatti, che “I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente. I contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalità previste nel titolo III del presente decreto; i contratti individuali devono conformarsi ai principi di cui all'articolo 45, comma 2. L'attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi e salvo i casi previsti dai commi 3-ter e 3-quater dell'articolo 40 e le ipotesi di tutela delle retribuzioni di cui all'articolo 47-bis, o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall'entrata in vigore dal relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva”.
Il contenuto di tale norma può essere considerato quale corollario del canone della rigidità della struttura retributiva, in quanto la determinazione del corrispettivo per le prestazioni dei dipendenti è rimessa esclusivamente alla contrattazione collettiva, con la conseguenza che tale corrispettivo retribuisce ogni attività che ricade nei doveri d’ufficio (principio di onnicomprensività).
Dall’altro, il citato art. 24 - comma 3, concernente, come detto, il personale con qualifica dirigenziale, prevede che “Il trattamento economico determinato ai sensi dei commi 1 e 2 remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto, nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall'amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa; i compensi dovuti dai terzi sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza”.
Quanto, infine, ai soggetti titolari di posizione organizzativa, con disposizione analoga a quelle legislative soprariportate, il CCNL 2016-2018 “Funzioni Locali” sottoscritto in data 21/05/2018, all’art. 15, comma 1, prevede che il trattamento sia onnicomprensivo, stabilendo espressamente “Il trattamento economico accessorio del personale della categoria D titolare delle posizioni di cui all’art. 13 è composto dalla retribuzione di posizione e dalla retribuzione di risultato. Tale trattamento assorbe tutte le competenze accessorie e le indennità previste dal contratto collettivo nazionale, compreso il compenso per il lavoro straordinario”.
A corollario del principio sopraesposto e ad ulteriore sua conferma, l’art. 53, comma 2 del D.lgs. 165/2001 prevede che “Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati”.
In altri termini, costituisce principio generale e non controverso, il divieto di erogare compensi ai dipendenti pubblici in tutti i casi in cui l’attività svolta dal dipendente pubblico sia riconducibile alla qualifica o a funzioni ed obblighi connessi alla sua posizione organizzativa e/o all’ufficio ricoperto o corrispondenti a mansioni rientranti negli ordinari compiti di servizio (in questo senso anche la Sezione controllo Friuli Venezia Giulia delibera n. 27/2012/PAR).
Si evidenzia, del resto, che anche l’ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) si è espressa ritenendo necessaria la valutazione delle prestazioni correlate allo svolgimento delle funzioni richieste al dipendente, al fine di determinare se queste rientrino o meno nelle sue competenze istituzionali per la successiva separata retribuzione. Qualora le stesse rientrino negli ordinari obblighi di lavoro (eseguite perciò "ratione officii") e vengano svolte durante l'orario di lavoro, sono retribuite unicamente con il trattamento economico fondamentale e accessorio previsto dal CCNL di riferimento. Se, invece, dette prestazioni si collocano al di fuori delle competenze ordinarie, e quindi non sono svolte "ratione officii", esse possono essere eseguite solo su incarico (o preventiva autorizzazione) dell'ente, ai sensi dell'art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001. In quest’ultimo caso devono essere svolte al di fuori dell'orario di lavoro e possono essere percepiti eventuali compensi/“gettoni”, rispetto al trattamento economico fondamentale e accessorio previsto dai contratti collettivi.
Anche la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che il principio di onnicomprensività del trattamento economico dei dipendenti della P.A. costituisce un principio valido per la generalità dei pubblici dipendenti, salve le eccezioni specificamente previste dalla legge e dai contratti collettivi. “Il divieto di percepire compensi, stabilito per i pubblici dipendenti assoggettati al regime dell'onnicomprensività del trattamento retributivo, opera inderogabilmente in tutti i casi in cui l'attività svolta dall'impiegato sia riconducibile a funzioni e poteri connessi alla di lui qualifica e all'ufficio ricoperto, corrispondenti a mansioni cui egli non possa sottrarsi perché rientranti nei normali compiti di servizio, fermo restando che siffatto principio non esclude che gli stessi dipendenti possano espletare incarichi retribuiti a titolo professionale dall'Amministrazione, ove, però, ne ricorrano i presupposti legali e sempre che non costituiscano comunque espletamento di compiti d'istituto” (Consiglio di Stato - V Sez. -02.10.2002 n. 5163). Ancora, è stato stabilito che il citato principio di onnicomprensività “impedisce di attribuire compensi aggiuntivi qualora gli stessi rientrino nelle funzioni attribuite e nelle connesse responsabilità, per lo svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici” (Consiglio di Stato - Sez. V - 2.08.2010 n. 5099; Sez. V - 12.2.2008 n. 493)”, e, in ogni caso, allorché ci si trovi al cospetto di un’attività che rientri nei compiti istituzionali della Pubblica Amministrazione cui appartiene il soggetto chiamato a svolgerla.
Quanto ai punti 1 e 2 della specifica richiesta del Sindaco del Comune di V., che possono essere trattati contestualmente, questo Collegio ritiene non vi siano motivi per discostarsi da quanto statuito da questa stessa Sezione con deliberazione n. 147/2009/PAR nella quale, ferma restando la distinzione tra le figure di “componente” e “segretario” delle commissioni elettorali, si evidenziava che l’art. 25 del D.P.R. 223/1967 prevedeva (e prevede tutt’ora) che “Per la costituzione ed il funzionamento delle sottocommissioni e per il trattamento economico spettante ai singoli componenti si applicano le disposizioni degli articoli 21, 22, 23 e 24.”. A tal proposito questa Sezione già sottolineava che “Questo richiamo al trattamento economico dei (soli) componenti è stato sempre ritenuto atecnico, in quanto sia il rinvio ad un articolo che contempla i compensi del componente propriamente detto e del segretario, sia l’identità di funzioni svolte dal segretario nei due diversi consessi, inducono a ritenere che il gettone di presenza spetti anche ai segretari delle sottocommissioni (siffatta interpretazione è stata accolta dalle note “Istruzioni per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali” del Ministero dell’interno diramate con la circ. 1° febbraio 1986, n. 2600/L, nel cui par. 19 si ravvisa l’identità tra il trattamento economico spettante ai singoli componenti ed al segretario delle sottocommissioni e quello delle commissioni). In entrambi gli organi collegiali circondariali il segretario è individuato dall’art. 27, comma 3, che recita testualmente: “le funzioni di segretario della commissione elettorale circondariale e delle relative sottocommissioni istituite nel comune capoluogo del circondario sono svolte dal segretario o da funzionari di ruolo del comune designati dal sindaco; in seno alle sottocommissioni istituite presso altri comuni, le stesse funzioni sono svolte dal segretario del comune che ne è sede o da impiegati dello stesso, designati dal sindaco”.
Il segretario, dunque, non è da considerarsi un componente delle commissioni e delle sottocommissioni e l’equiparazione ai veri e propri componenti è stata effettuata esclusivamente nell’ambito della norma che consentiva la corresponsione di un gettone di presenza “anche” al segretario ex art. 24 del D.P.R. 223/19671, sulla quale norma ha, per l’appunto, inciso l’art. 2, comma 30, della legge n. 244/2007 statuendo la gratuità per l’incarico di “componente”, ma nulla prevedendo in merito al compenso spettante ai segretari.
Alla luce di tutto quanto sopra osservato, questa Sezione ritiene che l’ente locale, al fine di non violare il principio di onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti pubblici non dovrebbe corrispondere al dipendente chiamato a svolgere le attività di segretario della sottocommissione elettorale un “compenso aggiuntivo” laddove tali compiti siano riconducibili a “funzioni e poteri connessi alla sua qualifica e all’ufficio ricoperto” o corrispondano “a mansioni cui egli non possa sottrarsi perché rientranti negli ordinari compiti di servizio”, a maggior ragione qualora le medesime attività siano riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici (cfr. Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 33/2011/PAR, Sezione regionale di controllo per la Sardegna, deliberazione n. 13/2010/PAR, Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo 53/2017/PAR, Sezione regionale di controllo per la Toscana, deliberazione n. 144/2009/PAR). L’Ente dovrebbe, piuttosto, nell’ambito della propria discrezionalità, evitare soluzioni organizzativo-gestionali che comportino maggiori oneri a carico della finanza pubblica, prediligendo soluzioni idonee nel loro complesso a limitare/ridurre le spese di funzionamento delle richiamate commissioni e sottocommissioni, ben potendo le attività segretariali essere riconducibili a funzioni e poteri connessi alla qualifica e all’ufficio ricoperto da determinati dipendenti.
Quanto al punto 3 del quesito posto dal Comune di V., relativo alle indennità spettanti ai componenti interni ed esterni delle commissioni di collaudo di cui all’art. 9 della L.R. 23/2003, questa Sezione, confermando l’inammissibilità oggettiva del quesito OMISSIS.
Concludendo, questa Sezione conferma l’orientamento giurisprudenziale contabile formatosi sul tema, secondo il quale, per tutti i pubblici dipendenti (dirigenti e non dirigenti) che espletano un’attività rientrante nel contesto dei compiti istituzionali, in quanto connessa al rapporto organico tra il soggetto medesimo e l'amministrazione, un eventuale compenso aggiuntivo rispetto alla retribuzione spettante, se non previsto o consentito da specifiche norme di legge o di contratto, realizzerebbe una non prevista illegittima maggiorazione retributiva

P.Q.M.

La Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per il Veneto dichiara parzialmente ammissibile la richiesta di parere del Comune di V. e si pronuncia nel merito nei termini dianzi precisati.
Copia della presente delibera sarà trasmessa, a cura del Direttore della Segreteria, al Sindaco e al Segretario Generale del Comune di V..

Corte di Giustizia UE 12 novembre 2019, n. C-233/18, Haqbin


Rinvio pregiudiziale – Richiedenti protezione internazionale – Direttiva 2013/33/UE – Articolo 20, paragrafi 4 e 5 – Gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza o comportamenti gravemente violenti – Portata del diritto degli Stati membri di stabilire le sanzioni applicabili – Minore non accompagnato – Riduzione o revoca delle condizioni materiali di accoglienza





L’articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, letto alla luce dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può prevedere, tra le sanzioni che possono essere inflitte ad un richiedente in caso di gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché di comportamenti gravemente violenti, una sanzione consistente nel revocare, seppur temporaneamente, le condizioni materiali di accoglienza, ai sensi dell’articolo 2, lettere f) e g), della menzionata direttiva, relative all’alloggio, al vitto o al vestiario, dato che avrebbe l’effetto di privare il richiedente della possibilità di soddisfare le sue esigenze più elementari. L’imposizione di altre sanzioni ai sensi del citato articolo 20, paragrafo 4, deve, in qualsiasi circostanza, rispettare le condizioni di cui al paragrafo 5 di tale articolo, in particolare quelle relative al rispetto del principio di proporzionalità e della dignità umana. Nel caso di un minore non accompagnato, dette sanzioni devono, in considerazione, segnatamente, dell’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali, essere adottate tenendo conto con particolare riguardo dell’interesse superiore del minore.






Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
12 novembre 2019
Nella causa C‑233/18,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’arbeidshof te Brussel (Corte del lavoro di Bruxelles, Belgio), con decisione del 22 marzo 2018, pervenuta in cancelleria il 29 marzo 2018, nel procedimento
Zubair Haqbin
contro
Federal agentschap voor de opvang van asielzoekers
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, J.‑C. Bonichot, M. Vilaras (relatore), M. Safjan e S. Rodin, presidenti di sezione, L. Bay Larsen, T. von Danwitz, C. Toader, D. Šváby, F. Biltgen, K. Jürimäe e C. Lycourgos, giudici,
avvocato generale: M. Campos Sánchez-Bordona
cancelliere: M.-A. Gaudissart, cancelliere aggiunto,
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 marzo 2019,
considerate le osservazioni presentate:
–        per Z. Haqbin, da B. Dhont e K. Verstrepen, advocaten;
–        per il governo belga, da C. Van Lul, C. Pochet e P. Cottin, in qualità di agenti, assistiti da. S. Ishaque e A. Detheux, advocaten;
–        per il governo ungherese, da. M.Z. Fehér, G. Koós e M.M. Tátrai, in qualità di agenti;
–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman e P. Huurnink, in qualità di agenti;
–        per il governo del Regno Unito, da R. Fadoju, in qualità di agente, assistita da D. Blundell, barrister;
–        per la Commissione europea, da M. Condou-Durande e G. Wils, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 6 giugno 2019,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 20 della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia fra il sig. Zubair Haqbin e la Federaal Agentschap voor de opvang van asielzoekers (Agenzia federale per l’accoglienza dei richiedenti asilo, Belgio; in prosieguo: la «Fedasil») relativamente ad una domanda di risarcimento danni presentata dal sig. Haqbin contro la Fedasil, a seguito di due decisioni di quest’ultima che lo escludono temporaneamente dalle condizioni materiali di accoglienza.
 Contesto normativo
 Diritto dell’Unione
 Direttiva 2013/33
3        Ai sensi dell’articolo 32, la direttiva 2013/33, per gli Stati membri da essa vincolati, ha abrogato e sostituito la direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, 2003/9/CE, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (GU 2003, L 31, pag. 18).
4        I considerando 7, 25 e 35 della direttiva 2013/33 così recitano:
«(7)      Alla luce dei risultati delle valutazioni effettuate dell’attuazione degli strumenti della prima fase, è opportuno in questa fase ribadire i principi che ispirano la direttiva [2003/9] al fine di migliorare le condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (“richiedenti”).
(...)
(25)      La possibilità di abuso del sistema di accoglienza dovrebbe essere contrastata specificando le circostanze in cui le condizioni materiali di accoglienza dei richiedenti possono essere ridotte o revocate, pur garantendo nel contempo un livello di vita dignitoso a tutti i richiedenti.
(...)
(35)      La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In particolare, la presente direttiva intende assicurare il pieno rispetto della dignità umana nonché promuovere l’applicazione degli articoli 1, 4, 6, 7, 18, 21, 24 e 47 della Carta [dei diritti fondamentali] e deve essere attuata di conseguenza».
5        Ai sensi dell’articolo 1, la direttiva 2013/33 ha lo scopo di stabilire norme relative all’accoglienza dei richiedenti negli Stati membri.
6        L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», dispone quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva si intende per:
(...)
d)      “minore”: il cittadino di un paese terzo o l’apolide d’età inferiore agli anni diciotto;
e)      “minore non accompagnato”: il minore che entri nel territorio degli Stati membri senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile per legge o per prassi dello Stato membro interessato, fino a quando non sia effettivamente affidato a un tale adulto; il termine include il minore che viene abbandonato dopo essere entrato nel territorio degli Stati membri;
f)      “condizioni di accoglienza”: il complesso delle misure garantite dagli Stati membri a favore dei richiedenti ai sensi della presente direttiva;
g)      “condizioni materiali di accoglienza”: le condizioni di accoglienza che includono alloggio, vitto e vestiario, forniti in natura o in forma di sussidi economici o buoni, o una combinazione delle tre possibilità, nonché un sussidio per le spese giornaliere;
(...)
i)      “centro di accoglienza”: qualsiasi struttura destinata all’alloggiamento collettivo di richiedenti;
(...)».
7        L’articolo 8 della direttiva 2013/33, intitolato «Trattenimento», al paragrafo 3, prevede quanto segue:
«Un richiedente può essere trattenuto soltanto:
(...)
e)      quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico;
(...)».
8        L’articolo 14 della menzionata direttiva, che figura al titolo «Scolarizzazione e istruzione dei minori», prevede:
«1.      Gli Stati membri consentono ai figli minori di richiedenti e ai richiedenti minori di accedere al sistema educativo a condizioni simili a quelle dei propri cittadini, finché non sia concretamente eseguito un provvedimento di espulsione nei confronti loro o dei loro genitori. Tale istruzione può essere impartita nei centri di accoglienza.
Gli Stati membri interessati possono stabilire che tale accesso sia limitato al sistema educativo pubblico.
Gli Stati membri non revocano la possibilità di accedere all’istruzione secondaria per il solo fatto che il minore abbia raggiunto la maggiore età.
2.      L’accesso al sistema educativo non è differito di oltre tre mesi dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale da parte o per conto del minore.
Sono impartiti corsi di preparazione, anche di lingua, ai minori, se necessari per agevolarne l’accesso e la partecipazione al sistema educativo come stabilito al paragrafo 1.
3.      Qualora l’accesso al sistema educativo previsto al paragrafo 1 non sia possibile a causa della situazione specifica del minore, lo Stato membro interessato offre altre modalità d’insegnamento conformemente al proprio diritto e alla propria prassi nazionali».
9        L’articolo 17 di detta direttiva, intitolato «Disposizioni generali relative alle condizioni materiali di accoglienza e all’assistenza sanitaria», così dispone ai paragrafi da 1 a 4:
«1.      Gli Stati membri provvedono a che i richiedenti abbiano accesso alle condizioni materiali d’accoglienza nel momento in cui manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale.
2.      Gli Stati membri provvedono a che le condizioni materiali di accoglienza assicurino un’adeguata qualità di vita che garantisca il sostentamento dei richiedenti e ne tuteli la salute fisica e mentale.
Gli Stati membri provvedono a che la qualità di vita sia adeguata alla specifica situazione delle persone vulnerabili, ai sensi dell’articolo 21, nonché alla situazione delle persone che si trovano in stato di trattenimento.
3.      Gli Stati membri possono subordinare la concessione di tutte le condizioni materiali d’accoglienza e dell’assistenza sanitaria, o di parte delle stesse, alla condizione che i richiedenti non dispongano di mezzi sufficienti a garantire loro una qualità della vita adeguata per la loro salute, nonché ad assicurare il loro sostentamento.
4.      Gli Stati membri possono obbligare i richiedenti a sostenere o a contribuire a sostenere i costi delle condizioni materiali di accoglienza e dell’assistenza sanitaria previsti nella presente direttiva, ai sensi del paragrafo 3, qualora i richiedenti dispongano di sufficienti risorse, ad esempio qualora siano stati occupati per un ragionevole lasso di tempo.
Qualora emerga che un richiedente disponeva di mezzi sufficienti ad assicurarsi le condizioni materiali di accoglienza e l’assistenza sanitaria all’epoca in cui tali esigenze essenziali sono state soddisfatte, gli Stati membri possono chiedere al richiedente un rimborso».
10      L’articolo 18 della medesima direttiva è intitolato «Modalità relative alle condizioni materiali di accoglienza» e prevede, al paragrafo 1:
«Nel caso in cui l’alloggio è fornito in natura, esso dovrebbe essere concesso in una delle seguenti forme oppure mediante una combinazione delle stesse:
a)      in locali utilizzati per alloggiare i richiedenti durante l’esame della domanda di protezione internazionale presentata alla frontiera o in zone di transito;
b)      in centri di accoglienza che garantiscano una qualità di vita adeguata;
c)      in case private, appartamenti, alberghi o altre strutture atte a garantire un alloggio per i richiedenti».
11      L’articolo 20 della direttiva 2013/33, unica disposizione del capo III della stessa, è intitolato «Riduzione o revoca delle condizioni materiali di accoglienza». Detto articolo è così formulato:
«1.      Gli Stati membri possono ridurre o, in casi eccezionali debitamente motivati, revocare le condizioni materiali di accoglienza qualora il richiedente:
a)      lasci il luogo di residenza determinato dall’autorità competente senza informare tali autorità, oppure, ove richiesto, senza permesso; o
b)      contravvenga all’obbligo di presentarsi alle autorità o alla richiesta di fornire informazioni o di comparire per un colloquio personale concernente la procedura d’asilo durante un periodo di tempo ragionevole stabilito dal diritto nazionale; o
c)      abbia presentato una domanda reiterata quale definita all’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60)].
In relazione ai casi di cui alle lettere a) e b), se il richiedente viene rintracciato o si presenta volontariamente all’autorità competente, viene adottata una decisione debitamente motivata, basata sulle ragioni della scomparsa, nel ripristino della concessione di tutte le condizioni materiali di accoglienza revocate o ridotte o di una parte di esse.
2.      Gli Stati membri possono inoltre ridurre le condizioni materiali di accoglienza quando possono accertare che il richiedente, senza un giustificato motivo, non ha presentato la domanda di protezione internazionale non appena ciò era ragionevolmente fattibile dopo il suo arrivo in tale Stato membro.
3.      Gli Stati membri possono ridurre o revocare le condizioni materiali di accoglienza qualora un richiedente abbia occultato risorse finanziarie, beneficiando in tal modo indebitamente delle condizioni materiali di accoglienza.
4.      Gli Stati membri possono prevedere sanzioni applicabili alle gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché ai comportamenti gravemente violenti.
5.      Le decisioni di ridurre o revocare le condizioni materiali di accoglienza o le sanzioni di cui ai paragrafi 1, 2, 3 e 4 del presente articolo, sono adottate in modo individuale, obiettivo e imparziale e sono motivate. Le decisioni sono basate sulla particolare situazione della persona interessata, specialmente per quanto concerne le persone contemplate all’articolo 21, tenendo conto del principio di proporzionalità. Gli Stati membri assicurano in qualsiasi circostanza l’accesso all’assistenza sanitaria ai sensi dell’articolo 19 e garantiscono un tenore di vita dignitoso per tutti i richiedenti.
6.      Gli Stati membri provvedono a che le condizioni materiali di accoglienza non siano revocate o ridotte prima che sia adottata una decisione ai sensi del paragrafo 5».
12      L’articolo 21 della direttiva 2013/33, intitolato «Principio generale», prevede che, nelle misure nazionali di attuazione della medesima direttiva, gli Stati membri tengono conto della specifica situazione delle persone vulnerabili, in particolare dei minori e dei minori non accompagnati.
13      L’articolo 22 della direttiva summenzionata, intitolato «Valutazione delle particolari esigenze di accoglienza delle persone vulnerabili», dispone, al paragrafo 1, terzo comma, e al paragrafo 3, quanto segue:
«1.      (...)
Gli Stati membri assicurano che il sostegno fornito ai richiedenti con esigenze di accoglienza particolari ai sensi della presente direttiva tenga conto delle loro esigenze di accoglienza particolari durante l’intera procedura di asilo e provvedono a un appropriato controllo della loro situazione.
(...)
3.      Solo le persone vulnerabili ai sensi dell’articolo 21 possono essere considerate come persone con esigenze di accoglienza particolari e possono pertanto beneficiare del sostegno particolare previsto conformemente alla presente direttiva».
14      L’articolo 23 della direttiva 2013/33, relativo ai minori, recita quanto segue:
«1.      L’interesse superiore del minore costituisce un criterio fondamentale nell’attuazione, da parte degli Stati membri, delle disposizioni della presente direttiva concernenti i minori. (...)
2.      Nel valutare l’interesse superiore del minore, gli Stati membri tengono debito conto, in particolare, dei seguenti fattori:
(...)
b)      il benessere e lo sviluppo sociale del minore, con particolare riguardo ai trascorsi del minore;
c)      le considerazioni in ordine all’incolumità e alla sicurezza, in particolare se sussiste il rischio che il minore sia vittima della tratta di esseri umani;
(...)».
15      L’articolo 24 di detta direttiva, dedicato, a sua volta, ai minori non accompagnati, prevede, al paragrafo 2, quanto segue:
«I minori non accompagnati che presentano domanda di protezione internazionale, dal momento in cui entrano nel territorio dello Stato membro in cui la domanda di protezione internazionale è stata presentata o è esaminata sino al momento in cui ne debbono uscire, sono alloggiati:
(...)
c)      in centri di accoglienza che dispongano di specifiche strutture per i minori;
d)      in altri alloggi idonei per i minori.
(...)».
 Direttiva 2013/32
16      Una «domanda reiterata» è definita, all’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32, come un’ulteriore domanda di protezione internazionale presentata dopo che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente, anche nel caso in cui il richiedente abbia esplicitamente ritirato la domanda e nel caso in cui l’autorità accertante abbia respinto la domanda in seguito al suo ritiro implicito ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 1 della direttiva in parola.
 Diritto belga
17      L’articolo 45 della legge 12 gennaio 2007, relativa all’accoglienza dei richiedenti asilo e di talune altre categorie di stranieri (Moniteur belge del 7 maggio 2007, pag. 24027), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: la «legge sull’accoglienza»), così disponeva:
«Il beneficiario dell’accoglienza può essere oggetto di una sanzione in caso di grave violazione del regime e delle regole di funzionamento applicabili alle strutture di accoglienza di cui all’articolo 19. All’atto della scelta della sanzione, si tiene conto della natura e della gravità della violazione nonché delle circostanze concrete in cui è stata commessa.
Possono essere pronunciate soltanto le seguenti sanzioni:
(...)
7°      l’esclusione temporanea dal beneficio del sostegno materiale in una struttura di accoglienza, per una durata massima di un mese.
Le sanzioni sono inflitte dal direttore o dal responsabile della struttura di accoglienza. La sanzione di cui al comma 2, punto 7°, deve essere confermata dal direttore generale [della Fedasil] entro un termine di tre giorni lavorativi a decorrere dall’adozione della sanzione da parte del direttore o del responsabile della struttura di accoglienza. In mancanza di conferma entro tale termine, la sanzione dell’esclusione temporanea è automaticamente revocata.
Le sanzioni possono essere ridotte o revocate durante l’esecuzione da parte dell’autorità che le ha inflitte.
La decisione di infliggere una sanzione è adottata in modo obiettivo e imparziale e dev’essere motivata.
Fatta salva la sanzione di cui al comma 2, punto 7°, in nessun caso l’attuazione di una sanzione può avere come effetto la completa soppressione del sostegno materiale concesso in forza della presente legge, o la limitazione dell’accesso all’assistenza medica. La sanzione di cui al comma 2, punto 7°, comporta per la persona che ne è oggetto l’impossibilità di beneficiare di qualsiasi altra forma di accoglienza, ad eccezione dell’accesso all’assistenza medica, quale previsto agli articoli 24 e 25 della [legge sull’accoglienza].
La sanzione di cui al comma 2, punto 7°, può essere pronunciata solo in caso di violazione molto grave del regolamento interno della struttura di accoglienza che metta in pericolo il personale o gli altri residenti della struttura di accoglienza o che faccia sorgere rischi specifici per la sicurezza o per il rispetto dell’ordine pubblico nella struttura di accoglienza.
La persona cui si riferisce la sanzione di esclusione temporanea deve essere sentita prima dell’adozione di quest’ultima.
(...)».
 Procedimento principale e questioni pregiudiziali
18      Il sig. Haqbin, cittadino afghano, è arrivato in Belgio come minore non accompagnato e ha presentato domanda di protezione internazionale il 23 dicembre 2015. Gli è stato assegnato un tutore e successivamente è stato accolto nei centri di accoglienza di Sugny e Broechem. In quest’ultimo centro, il 18 aprile 2016 è stato coinvolto in una rissa tra residenti di varie origini etniche. La polizia ha dovuto intervenire per farla cessare e ha arrestato il sig. Haqbin, con la motivazione che egli sarebbe stato uno degli istigatori di tale colluttazione. Il sig. Haqbin è stato rilasciato il giorno successivo.
19      Con decisione del direttore del centro di accoglienza Broechem del 19 aprile 2016, confermata dalla decisione del direttore generale della Fedasil del 21 aprile 2016, il sig. Haqbin è stato escluso, per un periodo di 15 giorni, dall’assistenza materiale in un centro di accoglienza, ai sensi dell’articolo 45, secondo comma, 7°, della legge sull’accoglienza.
20      Secondo le sue stesse dichiarazioni e quelle del suo tutore, il sig. Haqbin ha trascorso le notti dal 19 al 21 aprile e dal 24 aprile al 1° maggio 2016 in un parco a Bruxelles e le altre notti presso amici o conoscenti.
21      Il 25 aprile 2016, il tutore del sig. Haqbin ha presentato all’arbeidsrechtbank te Antwerpen (tribunale del lavoro di Anversa, Belgio) una richiesta di sospensione della misura di esclusione imposta dalle decisioni di cui al punto 19 della presente sentenza. La richiesta è stata respinta per mancanza di estrema urgenza, in quanto il sig. Haqbin non aveva dimostrato di essere costretto a vivere in strada.
22      Dal 4 maggio 2016, il sig. Haqbin è stato assegnato ad un altro centro di accoglienza.
23      Il tutore del sig. Haqbin ha proposto un ricorso dinanzi al Nederlandstalige arbeidsrechtbank te Brussel (tribunale del lavoro di lingua neerlandese di Bruxelles, Belgio) per ottenere l’annullamento delle decisioni del 19 e 21 aprile 2016 e il risarcimento del danno subito. Con sentenza del 21 febbraio 2017 di tale giudice, il ricorso è stato respinto in quanto infondato.
24      Il 27 marzo 2017, il tutore del sig. Haqbin ha impugnato la sentenza dinanzi al giudice del rinvio, l’arbeidshof te Brussel (corte del lavoro di Bruxelles, Belgio). L’11 dicembre 2017, il sig. Haqbin, che nel frattempo era diventato maggiorenne, si è costituito nel procedimento in proprio nome.
25      Il giudice del rinvio ritiene che l’articolo 20 della direttiva 2013/33 ponga un problema di interpretazione. Esso rileva che il comitato di contatto, istituito presso la Commissione europea per assistere gli Stati membri nella trasposizione della direttiva 2013/33, ha indicato, nel corso di una riunione del 12 settembre 2013, che, a suo avviso, l’articolo 20, paragrafo 4, di tale direttiva si riferisce a tipi di sanzioni diverse dalle misure che comportano la riduzione o la revoca del beneficio delle condizioni materiali di accoglienza. Secondo il parere di suddetto comitato, una simile interpretazione deriverebbe dal carattere tassativo delle ragioni, elencate all’articolo 20, paragrafi da 1 a 3 della direttiva in parola, che giustificano la riduzione o la revoca delle condizioni materiali di accoglienza. Tuttavia, nel parere formulato nell’ambito dei lavori preparatori della legge del 6 luglio 2016 che modifica la legge sull’accoglienza (Moniteur belge del 5 agosto 2016, pag. 47647), adottata per la trasposizione parziale della direttiva 2013/33, il Raad van State (Consiglio di Stato, Belgio) ha considerato che siffatta lettura dell’articolo 20 della direttiva 2013/33 non sarebbe l’unica possibile, tenuto conto della formulazione e dell’articolazione dei paragrafi da 4 a 6 di tale articolo.
26      Secondo il giudice del rinvio, la risposta da dare alla questione di interpretazione di cui al punto precedente è rilevante ai fini della risoluzione della controversia ad esso sottoposta, dal momento che, se occorresse interpretare l’articolo 20 della direttiva 2013/33 nel senso che l’esclusione dal beneficio delle condizioni materiali di accoglienza è possibile soltanto nei casi previsti dai paragrafi da 1 a 3 di tale articolo e che non può avvenire nell’ambito di una misura sanzionatoria adottata ai sensi del paragrafo 4 dello stesso articolo, siffatta circostanza sarebbe sufficiente per dichiarare che le decisioni del 19 e 21 aprile 2016 sono viziate da illegittimità e che la Fedasil è incorsa in un errore infliggendo una sanzione contraria alla legge.
27      Inoltre, il giudice del rinvio ritiene che anche la concreta applicazione dell’obbligo di garantire un tenore di vita dignitoso per tutti i richiedenti, imposto agli Stati membri ai sensi dell’articolo 20, paragrafi 5 e 6, della direttiva 2013/33, sollevi degli interrogativi. A detto riguardo, esso fa presente in particolare che dai lavori preparatori della legge del 6 luglio 2016 che modifica la legge sull’accoglienza, di cui al punto 25 della presente sentenza, e più specificamente dalla motivazione del progetto di legge, risulta che, secondo i ministri competenti, l’obiettivo della direttiva 2013/33 può essere raggiunto attraverso la possibilità di cui dispongono i richiedenti, temporaneamente o permanentemente esclusi dalle condizioni materiali di accoglienza, di rivolgersi a uno dei centri privati per i senzatetto, di cui viene fornito loro un elenco.
28      Secondo il giudice del rinvio, si pone la questione se, per garantire un livello di vita dignitoso ai richiedenti, l’autorità pubblica responsabile della loro accoglienza debba aver adottato le misure necessarie affinché un richiedente asilo escluso dalle condizioni materiali di accoglienza a titolo di sanzione goda nondimeno di un livello di vita dignitoso o se detta autorità si possa limitare a fare affidamento sull’assistenza privata e ad intervenire solo se quest’ultima non è in grado di garantire tale livello di vita alla persona interessata.
29      Infine, se si dovesse ritenere che le sanzioni di cui all’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33 possano assumere la forma di esclusione dalle condizioni materiali di accoglienza, il giudice del rinvio si chiede se tali sanzioni possano essere imposte a un minore, in particolare a un minore non accompagnato.
30      È in tale contesto che l’arbeidshof te Brussel (corte del lavoro di Bruxelles) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se l’articolo 20, paragrafi da 1 a 3, della direttiva [2013/33] debba essere interpretato nel senso che esso stabilisce in modo tassativo i casi nei quali le condizioni materiali di accoglienza possono essere ridotte o revocate, o se dall’articolo 20, paragrafi 4 e 5, [di tale direttiva] discenda che la revoca del diritto alle condizioni materiali di accoglienza può avere luogo anche a titolo di sanzione applicabile alle gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché ai comportamenti gravemente violenti.
2)      Se l’articolo 20, paragrafi 5 e 6, [di tale direttiva], debba essere interpretato nel senso che, prima di adottare una decisione relativa alla riduzione o alla revoca delle condizioni materiali di accoglienza o a sanzioni, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie che garantiscono il diritto a un tenore di vita dignitoso durante il periodo di esclusione, o se tali disposizioni possano essere rispettate mediante un sistema in cui, dopo la decisione di riduzione o di revoca della condizione materiale di accoglienza, si verifica se la persona che forma l’oggetto della decisione goda di un tenore di vita dignitoso ed eventualmente si adottano in quel momento misure correttive.
3)      Se l’articolo 20, paragrafi 4, 5 e 6, [della direttiva 2013/33], in combinato disposto con [i suoi] articoli 14 e da 21 a 24 (...) e con gli articoli da 1, 3, 4 e 24 della [Carta], debba essere interpretato nel senso che una misura o sanzione di esclusione provvisoria (o definitiva) dal diritto a condizioni materiali di accoglienza è possibile, o non è possibile, nei confronti di un minore, segnatamente nei confronti di un minore non accompagnato».
 Sulle questioni pregiudiziali
31      Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33 debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro può prevedere, fra le sanzioni che possono essere inflitte ad un richiedente in caso di violazione grave del regolamento dei centri di accoglienza nonché di comportamento particolarmente violento, la revoca o la riduzione delle condizioni materiali di accoglienza ai sensi dell’articolo 2, lettere f) e g), di detta direttiva e, in caso affermativo, a quali condizioni una tale sanzione può essere inflitta, in particolare laddove riguarda un minore e, più specificamente, un minore non accompagnato ai sensi del menzionato articolo, lettere d) ed e).
32      A tale riguardo, va osservato che, come risulta dalle definizioni riportate all’articolo 2, lettere f) e g), della direttiva 2013/33, l’espressione «condizioni materiali d’accoglienza» si riferisce a tutte le misure adottate dagli Stati membri, conformemente a tale direttiva, a favore dei richiedenti e che includono alloggio, vitto e vestiario, forniti in natura o in forma di sussidi economici o buoni, o una combinazione delle tre possibilità, nonché un sussidio per le spese giornaliere.
33      In forza dell’articolo 17, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2013/33, gli Stati membri provvedono a che i richiedenti abbiano accesso alle condizioni materiali d’accoglienza nel momento in cui manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale e che le misure adottate a tal fine assicurino un’adeguata qualità di vita che garantisca il sostentamento dei richiedenti e ne tuteli la salute fisica e mentale.
34      Per quanto riguarda le «persone vulnerabili», ai sensi dell’articolo 21 di tale direttiva, in cui rientrano i minori non accompagnati come il sig. Haqbin al momento in cui è stato oggetto della sanzione in discussione nel procedimento principale, l’articolo 17, paragrafo 2, secondo comma, della suddetta direttiva prevede che gli Stati membri siano tenuti a garantire che tale qualità di vita sia adeguata.
35      Tuttavia, l’obbligo per gli Stati membri di provvedere a che i richiedenti abbiano accesso alle condizioni materiali di accoglienza non è assoluto. Il legislatore dell’Unione ha infatti previsto, all’articolo 20 della direttiva 2013/33, al capo III della stessa, entrambi intitolati «Riduzione o revoca delle condizioni materiali di accoglienza», le circostanze in cui dette condizioni possono essere ridotte o revocate.
36      Come posto in rilievo dal giudice del rinvio, i primi tre paragrafi dell’articolo menzionato fanno esplicito riferimento alle «condizioni materiali di accoglienza».
37      A tale riguardo, l’articolo 20, paragrafo 1, di detta direttiva prevede che gli Stati membri possono ridurre o, in casi eccezionali debitamente motivati, revocare le condizioni materiali di accoglienza qualora il richiedente lasci senza permesso o senza darne informazione il luogo di residenza determinato dall’autorità competente dello Stato membro interessato, contravvenga all’obbligo di presentarsi alle autorità o alla richiesta di fornire informazioni o di comparire per un colloquio personale concernente la procedura d’asilo, o presenti una «domanda reiterata», ai sensi dell’articolo 2, lettera q), della direttiva 2013/32.
38      L’articolo 20, paragrafo 2, della direttiva 2013/33 prevede che le condizioni materiali di accoglienza possono essere ridotte quando sia accertato che il richiedente, senza un giustificato motivo, non ha presentato la domanda di protezione internazionale non appena ciò era ragionevolmente fattibile dopo il suo arrivo nello Stato membro di cui si tratti.
39      Inoltre, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 3, della direttiva 2013/33, gli Stati membri possono ridurre o revocare le condizioni materiali di accoglienza qualora un richiedente abbia occultato risorse finanziarie, beneficiando in tal modo indebitamente di siffatte condizioni.
40      L’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, dal canto suo, prevede che gli Stati membri possono prevedere «sanzioni» applicabili alle gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché ai comportamenti gravemente violenti.
41      In mancanza di una definizione nella direttiva 2013/33 della nozione di «sanzione» di cui, in particolare, all’articolo 20, paragrafo 4, e in assenza di precisazione quanto alla natura delle sanzioni che possono essere imposte ad un richiedente ai sensi di tale disposizione, gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità nella determinazione delle sanzioni in parola.
42      Poiché la formulazione dell’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33 non consente, di per sé, di rispondere alle questioni sollevate dal giudice del rinvio, quali riformulate al punto 31 della presente sentenza, è necessario, ai fini dell’interpretazione della menzionata disposizione, tener conto del suo contesto nonché dell’economia generale e della finalità di tale direttiva (v., per analogia, sentenza del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).
43      In particolare, per quanto riguarda la questione se una «sanzione», ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, possa comprendere le «condizioni materiali di accoglienza», va osservato, da un lato, che una misura che riduca o revochi le condizioni materiali di accoglienza ad un richiedente a causa di una violazione delle regole che disciplinano i centri di accoglienza o di un comportamento particolarmente violento costituisce, in considerazione della sua finalità e delle sue conseguenze negative per tale richiedente, una «sanzione» nel senso comune del termine e, d’altro lato, che la menzionata disposizione figura nel capo III della direttiva in parola, vertente sulla riduzione e la revoca del beneficio di tali condizioni. Ne consegue che le sanzioni previste da suddetta disposizione possono, in linea di principio, riguardare le condizioni materiali di accoglienza.
44      È senz’altro vero che la possibilità per gli Stati membri di ridurre o revocare, a seconda dei casi, le condizioni materiali di accoglienza è espressamente prevista unicamente all’articolo 20, paragrafi da 1 a 3, della direttiva 2013/33, i quali riguardano essenzialmente, come si evince dal considerando 25 della menzionata direttiva, ipotesi in cui sussiste un rischio di abuso, da parte dei richiedenti, del sistema di accoglienza istituito da tale direttiva. Tuttavia, il paragrafo 4 dell’articolo citato non esclude espressamente che una sanzione possa riguardare le condizioni materiali di accoglienza. Inoltre, come segnatamente fatto presente dalla Commissione, se gli Stati membri hanno la possibilità di adottare misure relative a dette condizioni per tutelarsi da un rischio di abuso del sistema di accoglienza, essi devono, parimenti, avere tale possibilità anche in caso di grave violazione delle regole che disciplinano i centri di accoglienza o di comportamenti particolarmente violenti, atti che, in effetti, possono perturbare l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone e dei beni.
45      Ciò posto, occorre rilevare che, conformemente all’articolo 20, paragrafo 5, della direttiva 2013/33, qualsiasi sanzione, ai sensi del paragrafo 4 di tale articolo, deve essere obiettiva, imparziale, motivata e proporzionata alla particolare situazione del richiedente e deve, in ogni caso, salvaguardare il suo accesso all’assistenza sanitaria e un tenore di vita dignitoso.
46      Per quanto concerne più specificamente il requisito relativo alla salvaguardia della dignità del tenore di vita, dal considerando 35 della direttiva 2013/33 risulta che quest’ultima mira a garantire il pieno rispetto della dignità umana nonché a promuovere l’applicazione, in particolare, dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali e deve essere attuata di conseguenza. A detto riguardo, il rispetto della dignità umana, ai sensi dell’articolo in parola, richiede che l’interessato non si trovi in una situazione di estrema deprivazione materiale che non gli consenta di far fronte ai suoi bisogni più elementari, quali nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio, e che pregiudichi quindi la sua salute fisica o psichica o che lo ponga in uno stato di degrado incompatibile con tale dignità (v., in tal senso, sentenza del 19 marzo 2019, Jawo, C‑163/17, EU:C:2019:218, punto 92 e giurisprudenza ivi citata).
47      Orbene, l’imposizione di una sanzione consistente, sulla sola base di un motivo di cui all’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, nel revocare, seppur temporaneamente, il beneficio di tutte le condizioni materiali di accoglienza o le condizioni materiali di accoglienza relative all’alloggio, al vitto o al vestiario sarebbe incompatibile con l’obbligo, derivante dall’articolo 20, paragrafo 5, terza frase, della menzionata direttiva, di garantire al richiedente un tenore di vita dignitoso, giacché lo priverebbe della possibilità di far fronte ai suoi bisogni più elementari, quali precisati al punto precedente.
48      Una sanzione del genere equivarrebbe inoltre a violare il requisito di proporzionalità stabilito all’articolo 20, paragrafo 5, seconda frase, della direttiva 2013/33, in quanto anche le sanzioni più severe intese a sanzionare, in materia penale, le violazioni o i comportamenti di cui all’articolo 20, paragrafo 4, di tale direttiva non possono privare il richiedente della possibilità di provvedere ai suoi bisogni più elementari.
49      Una simile considerazione non è rimessa in discussione dalla circostanza, menzionata dal giudice del rinvio, che al richiedente escluso a titolo di sanzione da un centro di accoglienza in Belgio sarebbe stata fornita, al momento dell’imposizione di tale sanzione, un elenco di centri privati per i senzatetto che avrebbero potuto accoglierlo. Difatti, le autorità competenti di uno Stato membro non possono limitarsi a fornire a un richiedente, escluso da un centro di accoglienza a seguito di una sanzione inflittagli, un elenco di strutture di accoglienza a cui potrebbe rivolgersi per ivi beneficiare di condizioni materiali di accoglienza equivalenti a quelle che gli sono state revocate.
50      Decisamente al contrario, da un lato, l’obbligo di garantire un tenore di vita dignitoso, previsto dall’articolo 20, paragrafo 5, della direttiva 2013/33, impone agli Stati membri, proprio in virtù dell’uso stesso del verbo «garantire», di assicurare un siffatto tenore di vita in modo permanente e senza interruzioni. D’altro lato, la concessione di un accesso alle condizioni materiali di accoglienza necessarie per garantire tale tenore di vita deve essere assicurato dalle autorità degli Stati membri in modo regolato e sotto la propria responsabilità, anche quando ricorrono, eventualmente, a persone fisiche o giuridiche private per adempiere, sotto la loro autorità, a detto obbligo.
51      Nel caso di una sanzione consistente, sulla base di un motivo di cui all’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, nel ridurre le condizioni materiali di accoglienza, compresa la revoca o la riduzione del sussidio per le spese giornaliere, spetta alle autorità competenti assicurare in ogni circostanza che, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 5, della menzionata direttiva, la sanzione in parola sia, tenuto conto della situazione particolare del richiedente e di tutte le circostanze del caso di specie, conforme al principio di proporzionalità e non violi la dignità del richiedente di cui trattasi.
52      Occorre inoltre precisare che gli Stati membri possono, nei casi di cui all’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, imporre, a seconda delle circostanze del caso e fatto salvo il rispetto dei requisiti di cui all’articolo 20, paragrafo 5, della menzionata direttiva, sanzioni che non hanno l’effetto di privare il richiedente delle condizioni materiali di accoglienza, come la sua collocazione in una parte separata del centro di accoglienza, unitamente ad un divieto di contatto con taluni residenti del centro o il suo trasferimento in un altro centro di accoglienza o in un altro alloggio, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera c), di tale direttiva. Analogamente, l’articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33 non osta ad una misura di trattenimento del richiedente ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, lettera e), della direttiva in parola, purché siano soddisfatte le condizioni di cui agli articoli da 8 a 11 della stessa direttiva.
53      Infine, è da precisare che, laddove il richiedente è, come nel procedimento principale, un minore non accompagnato, ossia una «persona vulnerabile» ai sensi dell’articolo 21 della direttiva 2013/33, le autorità degli Stati membri devono, nell’adottare sanzioni a titolo dell’articolo 20, paragrafo 4, di tale direttiva, tenere maggiormente conto, come si evince dall’articolo 20, paragrafo 5, seconda frase, della medesima direttiva, della situazione particolare del minore e del principio di proporzionalità.
54      Peraltro, dall’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2013/33 risulta che l’interesse superiore del minore costituisce un criterio fondamentale nell’attuazione, da parte degli Stati membri, delle disposizioni della menzionata direttiva concernenti i minori. Ai sensi del paragrafo 2 di tale articolo 23, gli Stati membri, nel valutare tale interesse superiore, devono tenere debito conto, in particolare, di fattori quali il benessere e lo sviluppo sociale del minore, con particolare riguardo ai trascorsi del minore stesso, nonché di considerazioni in ordine alla sua incolumità e sicurezza. Il considerando 35 di detta direttiva sottolinea del pari che essa è intesa a promuovere l’applicazione, in particolare, dell’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali e deve essere attuata di conseguenza.
55      In tale contesto, oltre alle considerazioni generali esposte ai punti da 47 a 52 della presente sentenza, occorre, in qualsiasi circostanza, prestare particolare attenzione alla situazione del minore al momento di adottare una sanzione ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33, in combinato disposto con il paragrafo 5 del medesimo articolo. Dette due disposizioni non ostano peraltro a che le autorità di uno Stato membro decidano di affidare il minore interessato ai servizi o alle autorità giudiziarie preposte alla tutela dei minori.
56      Alla luce del complesso delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alle questioni poste dichiarando che l’articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33, letto alla luce dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può prevedere, tra le sanzioni che possono essere inflitte ad un richiedente in caso di gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché di comportamenti gravemente violenti, una sanzione consistente nel revocare, seppur temporaneamente, le condizioni materiali di accoglienza, ai sensi dell’articolo 2, lettere f) e g), della menzionata direttiva, relative all’alloggio, al vitto o al vestiario, dato che avrebbe l’effetto di privare il richiedente della possibilità di soddisfare le sue esigenze più elementari. L’imposizione di altre sanzioni ai sensi del citato articolo 20, paragrafo 4, deve, in qualsiasi circostanza, rispettare le condizioni di cui al paragrafo 5 di tale articolo, in particolare quelle relative al rispetto del principio di proporzionalità e della dignità umana. Nel caso di un minore non accompagnato, dette sanzioni devono, in considerazione, segnatamente, dell’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali, essere adottate tenendo conto con particolare riguardo dell’interesse superiore del minore.
 Sulle spese
57      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
L’articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, letto alla luce dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può prevedere, tra le sanzioni che possono essere inflitte ad un richiedente in caso di gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché di comportamenti gravemente violenti, una sanzione consistente nel revocare, seppur temporaneamente, le condizioni materiali di accoglienza, ai sensi dell’articolo 2, lettere f) e g), della menzionata direttiva, relative all’alloggio, al vitto o al vestiario, dato che avrebbe l’effetto di privare il richiedente della possibilità di soddisfare le sue esigenze più elementari. L’imposizione di altre sanzioni ai sensi del citato articolo 20, paragrafo 4, deve, in qualsiasi circostanza, rispettare le condizioni di cui al paragrafo 5 di tale articolo, in particolare quelle relative al rispetto del principio di proporzionalità e della dignità umana. Nel caso di un minore non accompagnato, dette sanzioni devono, in considerazione, segnatamente, dell’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali, essere adottate tenendo conto con particolare riguardo dell’interesse superiore del minore.
Dal sito http://curia.europa.eu