domenica 23 settembre 2018


Nascita in Italia a seguito di PMA praticata all’estero e riconoscimento da parte delle due madri

Tribunale 2018

Posto che, da un lato, il concetto di coppia di cui alla l. 40/2004 deve essere oggi inteso in senso lato, comprensivo anche della coppia omosessuale, e, dall'altro lato, che pur in presenza di fecondazioni eterologhe vietate in Italia ma praticate all'estero (ovvero quelle tra coppie samesex) il principio di tutela del superiore interesse del minore impone di riconoscere allo stesso le due madri che hanno manifestato il consenso pieno e consapevole di cui all'art. 6 - o meglio nelle forme previste dallo Stato in cui è praticata la PMA, sempre che assicurino garanzie analoghe a quelle di cui all'art. 6 con riferimento alla piena e irretrattabile assunzione di responsabilità da parte della coppia, un’interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 8 della l. 40/2004 porta ad affermare che i bimbi nati in Italia a seguito di tecniche di PMA eseguite all'estero sono figli della coppia di donne che hanno prestato il consenso manifestando inequivocabilmente di voler assumere la responsabilità genitoriale sul nascituro quale frutto di un progetto di vita comune con il partner e di realizzazione di una famiglia [sulla base dell’assunto, il Tribunale. a) dichiara illegittimo il diniego al riconoscimento omogenitoriale, in quanto l’atto di nascita “avrebbe dovuto essere formato sin dall'origine con il contestuale riconoscimento del neonato da parte delle sue mamme”; b) ordina la rettificazione, ai sensi dell'art. 95 del d.P.R. 396/2000, mediante la sostituzione dell'atto di nascita esistente e la formazione di un nuovo atto di nascita, “di contenuto analogo …, ma con indicazione delle due ricorrenti come madri”; c) attribuisce al minore “il cognome di entrambe le madri, come da queste richiesto (in applicazione della medesima ratio espressa dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 286/2016, pur se riferita a genitori di sesso diverso nell'ambito di un rapporto matrimoniale, non ravvisandosi ragioni che impongano una diversa interpretazione)”

Corte di Giustizia UE 13 settembre 2018, n. C-618/16, Prefeta

Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione delle persone – Articolo 45 TFUE – Atto di adesione del 2003 – Allegato XII, capo 2 – Possibilità per uno Stato membro di derogare all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 492/2011 e all’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38/CE – Cittadino polacco che non ha maturato un periodo di dodici mesi di lavoro registrato nello Stato membro ospitante







L’allegato XII, capo 2, dell’Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che, durante il periodo transitorio da esso previsto, lo stesso autorizzava il Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord ad escludere dal beneficio dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, un cittadino polacco, come il sig. Rafal Prefeta, che non soddisfaceva la condizione stabilita dalla normativa nazionale di aver esercitato un’attività lavorativa registrata nel suo territorio per un periodo ininterrotto di dodici mesi.






SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)
13 settembre 2018
Nella causa C‑618/16,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Upper Tribunal (Administrative Appeals Chamber) [Tribunale superiore (sezione ricorsi amministrativi), Regno Unito], con decisione del 21 novembre 2016, pervenuta in cancelleria il 29 novembre 2016, nel procedimento
Rafal Prefeta
contro
Secretary of State for Work and Pensions,
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta da J.L. da Cruz Vilaça, presidente di sezione, A. Tizzano (relatore), vicepresidente della Corte, E. Levits, A. Borg Barthet e M. Berger, giudici,
avvocato generale: M. Wathelet
cancelliere: L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 gennaio 2018,
considerate le osservazioni presentate:
–        per R. Prefeta, da J. Power, solicitor, T. Royston, barrister, e R. Drabble, QC;
–        per il governo del Regno Unito, da R. Fadoju e C. Crane, in qualità di agenti, assistite da K. Apps e D. Blundell, barristers;
–        per la Commissione europea, da D. Martin e J. Tomkin, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 28 febbraio 2018,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’allegato XII dell’Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 2003, L 236, pag. 33; in prosieguo: l’«Atto di adesione del 2003»), dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione (GU 2011, L 141, pag. 1), nonché dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Rafal Prefeta e il Secretary of State for Work and Pensions (Segretario di Stato responsabile per il Lavoro e i Trattamenti pensionistici, Regno Unito) (in prosieguo: il «Segretario di Stato») in ordine al rifiuto di quest’ultimo di concedere al primo un’indennità occupazionale e di sostegno per motivi di reddito.
 Contesto normativo
 Il diritto dell’Unione
 L’Atto di adesione del 2003
3        L’Atto di adesione del 2003 definisce le condizioni di adesione all’Unione europea, tra l’altro, della Repubblica di Polonia e prevede adattamenti dei Trattati.
4        L’articolo 1, secondo e quinto trattino, di tale Atto così recita:
«Ai fini del presente atto:
(…)
–        per “Stati membri attuali” si intendono il Regno del Belgio, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, l’Irlanda, la Repubblica italiana, il Granducato di Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica d’Austria, la Repubblica portoghese, la Repubblica di Finlandia, il Regno di Svezia e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord;
(…)
–        per “nuovi Stati membri” si intendono la Repubblica ceca, la Repubblica di Estonia, la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Lettonia, la Repubblica di Lituania, la Repubblica di Ungheria, la Repubblica di Malta, la Repubblica di Polonia, la Repubblica di Slovenia e la Repubblica slovacca;
(…)».
5        La parte quarta dell’Atto di adesione del 2003 contiene le disposizioni temporanee applicabili ai nuovi Stati membri. L’articolo 24 di detto Atto, contenuto nella parte in questione, dispone quanto segue:
«Gli atti elencati negli allegati V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIII e XIV del presente atto si applicano nei confronti dei nuovi Stati membri alle condizioni previste in tali allegati».
6        L’allegato XII dell’Atto di adesione del 2003 è intitolato «Elenco di cui all’articolo 24 dell’atto di adesione: Polonia». Il capo 2, punti 1, 2, 5 e 9 di detto allegato, relativo alla libera circolazione delle persone, è formulato come segue:
«1.      L’articolo [45] e l’articolo [56], paragrafo 1 [TFUE] si applicano pienamente soltanto, per quanto attiene alla libera circolazione dei lavoratori e alla libera prestazione di servizi che implichino la temporanea circolazione di lavoratori, ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 96/71/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (GU 1997, L 18, pag. 1)], fra la Polonia, da un lato, e il Belgio, la Repubblica ceca, la Danimarca, la Germania, l’Estonia, la Grecia, la Spagna, la Francia, l’Irlanda, l’Italia, la Lettonia, la Lituania, il Lussemburgo, l’Ungheria, i Paesi Bassi, l’Austria, il Portogallo, la Slovenia, la Slovacchia, la Finlandia, la Svezia e il Regno Unito, d’altro lato, fatte salve le disposizioni transitorie di cui ai punti da 2 a 14.
2.      In deroga agli articoli da 1 a 6 del regolamento (CEE) n. 1612/68 [del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU 1968, L 257, pag. 2)] e fino alla fine del periodo di due anni dopo la data di adesione, gli Stati membri attuali potranno applicare le misure nazionali, o le misure contemplate da accordi bilaterali, che disciplinano l’accesso dei cittadini polacchi al proprio mercato del lavoro. Gli Stati membri attuali possono continuare ad applicare tali misure fino alla fine del periodo di cinque anni dopo la data di adesione.
I cittadini polacchi occupati legalmente in uno Stato membro attuale alla data di adesione e ammessi al mercato del lavoro di tale Stato membro per un periodo ininterrotto pari o superiore a 12 mesi avranno accesso al mercato del lavoro di tale Stato membro ma non al mercato del lavoro di altri Stati membri che applicano misure nazionali.
Anche i cittadini polacchi ammessi al mercato del lavoro di uno Stato membro attuale dopo l’adesione per un periodo ininterrotto pari o superiore a 12 mesi godono degli stessi diritti. I cittadini polacchi di cui al 2° e 3° comma perdono i diritti sopra menzionati qualora volontariamente abbandonino il mercato del lavoro dello Stato membro attuale di cui trattasi.
I cittadini polacchi legalmente occupati in uno Stato membro attuale alla data di adesione, o durante un periodo in cui sono applicate misure nazionali, e che erano ammessi al mercato del lavoro di tale Stato membro per un periodo inferiore a 12 mesi non godono di tali diritti.
(…)
5.      Gli Stati membri che, alla fine del periodo di cinque anni di cui al punto 2, mantengono le misure nazionali o le misure contemplate da accordi bilaterali possono, dopo averne informato la Commissione, continuare ad applicare dette misure fino alla fine del periodo di sette anni dalla data di adesione qualora si verifichino o rischino di verificarsi gravi perturbazioni del mercato del lavoro. In mancanza di tale comunicazione, si applicano gli articoli da 1 a 6 del regolamento [n. 1612/68].
9.      Qualora talune disposizioni della direttiva 68/360/CEE [del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità (GU 1968, L 257, pag. 13)] non possano essere dissociate dalle disposizioni del regolamento [n. 1612/68], la cui applicazione è stata differita in conformità dei punti 2, 3, 4, 5, 7 e 8, la Polonia e gli Stati membri attuali possono derogare a tali disposizioni nella misura necessaria all’applicazione dei punti 2, 3, 4, 5, 7 e 8».
 Il regolamento n. 492/2011
7        Il capo I del regolamento n. 492/2011 è intitolato «L’impiego, la parità di trattamento e la famiglia dei lavoratori».
8        Alla sezione 1 di tale capo, intitolata «Accesso all’impiego», gli articoli da 1 a 6 del regolamento n. 492/2011 vietano, sostanzialmente, le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, nonché le pratiche amministrative di uno Stato membro che limitano o subordinano a condizioni non previste per i cittadini di tale Stato membro la domanda e l’offerta d’impiego, l’accesso all’impiego e il suo esercizio da parte dei cittadini degli altri Stati membri.
9        L’articolo 7 del regolamento citato, collocato nella sezione 2 di detto capo, intitolata «Esercizio dell’impiego e parità di trattamento», ai suoi paragrafi 1 e 2 è così redatto:
«1.      Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato.
2.      Egli gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali».
10      L’articolo 41 del regolamento n. 492/2011 dispone quanto segue:
«Il regolamento [n. 1612/68] è abrogato.
I riferimenti al regolamento abrogato si intendono fatti al presente regolamento e si leggono secondo la tavola di concordanza contenuta nell’allegato II».
 La direttiva 2004/38
11      L’articolo 7 della direttiva 2004/38, intitolato «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», così prevede:
«1.      Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:
a)      di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; (…)
(…)
3.      Ai sensi del paragrafo 1, lettera a), il cittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conserva la qualità di lavoratore subordinato o autonomo nei seguenti casi:
a)      l’interessato è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio;
b)      l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività per oltre un anno, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro;
c)      l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno o venutosi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro. In tal caso, l’interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi;
d)      l’interessato segue un corso di formazione professionale. Salvo il caso di disoccupazione involontaria, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra l’attività professionale precedentemente svolta e il corso di formazione seguito».
(…).
12      L’articolo 38 della medesima direttiva, intitolato «Abrogazione», ai paragrafi 2 e 3 dispone quanto segue:
«2.       Le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE sono abrogate con effetto dal 30 aprile 2006.
3.      I riferimenti fatti agli articoli e alle direttive abrogati si intendono fatti alla presente direttiva».
 Il diritto del Regno Unito
13      L’Immigration (European Economic Area) Regulations 2006/1003 [regolamento 2006/1003 sull’immigrazione (Spazio economico europeo); in prosieguo: il «regolamento del 2006»)], adottato al fine di trasporre la direttiva 2004/38, ha modificato l’Accession (Immigration and Worker Registration) Regulations 2004/1219 [regolamento n. 2004/1219 sull’adesione (immigrazione e registrazione dei lavoratori). In forza di quest’ultimo regolamento, così modificato (in prosieguo: il «regolamento del 2004»), l’applicazione nel Regno Unito delle norme dell’Unione in materia di libera circolazione dei lavoratori è stata differita per quanto riguarda i cittadini di otto dei dieci Stati membri che hanno aderito all’Unione europea il 1o maggio 2004, tra cui la Repubblica di Polonia. Tali misure derogatorie, adottate sulla base dell’articolo 24 dell’Atto di adesione del 2003, sono rimaste in vigore fino al 30 aprile 2011.
14      Il regolamento del 2004 prevedeva un sistema di registrazione [Accession State Worker Registration Scheme (sistema di registrazione per i lavoratori degli Stati membri aderenti), applicabile ai cittadini dei suddetti otto Stati aderenti, che avessero lavorato nel Regno Unito tra il 1o maggio 2004 e il 30 aprile 2011.
15      L’articolo 2 del regolamento del 2004, intitolato «Lavoratore di uno Stato aderente tenuto alla registrazione», disponeva quanto segue:
«(1)      Fatti salvi i seguenti paragrafi del presente articolo, “per lavoratore di uno Stato aderente tenuto alla registrazione” si intende un cittadino di un determinato Stato aderente che lavora nel Regno Unito durante il periodo di adesione.
(…)
(4)      Un cittadino di un determinato Stato aderente che lavora legalmente nel Regno Unito senza interruzione per un periodo di 12 mesi che ricade in tutto o in parte dopo la data del 30 aprile 2004 cesserà di essere un lavoratore di uno Stato aderente tenuto alla registrazione alla fine di tale periodo di 12 mesi.
(…)
(8)      Ai fini dei paragrafi 3 e 4, una persona deve essere considerata come se avesse lavorato nel Regno Unito senza interruzione per un periodo di 12 mesi qualora abbia lavorato legalmente nel Regno Unito all’inizio e alla fine di tale periodo se i periodi intermedi in cui non ha lavorato legalmente nel Regno Unito non superano, complessivamente, i 30 giorni.
(…)».
16      L’articolo 4, paragrafo 2, di detto regolamento era così formulato:
«Un cittadino di un determinato Stato aderente, che possiederebbe lo status di lavoratore proveniente da uno Stato aderente tenuto a farsi registrare qualora iniziasse a lavorare nel Regno Unito, non ha diritto di soggiornare nel Regno Unito in qualità di persona in cerca di lavoro al fine di trovarvi lavoro».
17      L’articolo 5, paragrafi 3 e 4, del regolamento del 2004 così prevedeva:
«(3)      fatto salvo il paragrafo 4, l’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento del 2006 non si applica a un lavoratore di uno Stato aderente, tenuto alla registrazione, il quale cessi l’attività.
(4)      nel caso in cui un lavoratore di uno Stato aderente tenuto alla registrazione cessi di lavorare per un datore di lavoro autorizzato, nelle circostanze di cui all’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento del 2006, durante il periodo di un mese che decorre dalla data in cui inizia l’attività, tale articolo si applica a tale lavoratore per il tempo residuo del predetto periodo di un mese».
18      L’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento del 2006, relativo alle ipotesi in cui un cittadino di uno Stato membro dello Spazio economico europeo può godere di un diritto esteso di soggiorno nel territorio del Regno Unito, nella versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale, aveva il seguente tenore:
«1)       Nel presente regolamento, “persona qualificata” indica una persona cittadina del SEE che si trova nel Regno Unito in qualità di:
(…)
b) lavoratore subordinato;
(…)».
19      L’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento in discorso, che precisava i requisiti che una persona che avesse sospeso l’attività lavorativa doveva soddisfare per conservare la qualità di lavoratore ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento, disponeva quanto segue:
«Fermo restando l’articolo 7A, paragrafo 4, una persona che abbia cessato di lavorare continuerà a essere considerata un lavoratore subordinato ai fini del paragrafo 1, lettera b), se:
a)      l’interessato è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio;
b)      l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività lavorativa nel Regno Unito, si sia registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro; e
i)      abbia esercitato un’attività lavorativa per almeno un anno prima di diventare disoccupato;
ii)      sia disoccupato da non più di sei mesi; o
iii)      possa dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro nel Regno Unito e di avere buone possibilità di trovarlo;
(…)».
20      L’articolo 7A, paragrafo 4, del regolamento del 2006 stabiliva quanto segue:
«L’articolo 6, paragrafo 2, si applica a un lavoratore proveniente da uno Stato aderente, qualora l’interessato:
a)      sia una persona alla quale era applicabile l’articolo 5, paragrafo 4, del [regolamento del 2004] al 30 aprile 2011; o
b)      sia divenuto inabile al lavoro, disoccupato o abbia cessato l’attività lavorativa, secondo il caso, dopo il 1o maggio 2011».
 Procedimento principale e questioni pregiudiziali
21      Il sig. Prefeta, cittadino polacco, ha fatto ingresso nel Regno Unito nel 2008, dove ha lavorato dal 7 luglio 2009 all’11 marzo 2011, data in cui la sua attività lavorativa è cessata in conseguenza di un infortunio verificatosi al di fuori del lavoro.
22      Fino dal suo arrivo nel Regno Unito, il sig. Prefeta rientrava nella definizione di «lavoratore di uno Stato aderente tenuto alla registrazione», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento del 2004. Tuttavia, avendo ottenuto il certificato di registrazione come lavoratore soltanto il 5 gennaio 2011, il sig. Prefeta ha svolto un’attività lavorativa registrata per un periodo complessivo di soli due mesi e sei giorni.
23      Successivamente all’11 marzo 2011, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata, il sig. Prefeta si è registrato presso l’ufficio nazionale competente al fine di trovare un lavoro. A tale titolo egli ha percepito un’indennità di disoccupazione a partire dal 20 marzo 2011.
24      Il 20 ottobre 2011 il sig. Prefeta ha presentato al Segretario di Stato una domanda per ottenere un’indennità occupazionale e di sostegno per motivi di reddito.
25      Dall’ordinanza di rinvio risulta che tale indennità, destinata a categorie di persone la cui capacità lavorativa sia limitata a causa delle loro condizioni di salute fisica o mentale, può essere concessa soltanto ai lavoratori a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), e dell’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento 2006, e non alle persone in cerca di un lavoro.
26      Il Segretario di Stato ha quindi respinto la domanda del sig. Prefeta, ritenendo che questi non avesse dimostrato di aver lavorato, prima di perdere il lavoro, per un periodo ininterrotto pari o superiore a dodici mesi ed essendo registrato a norma del regolamento 2004, il che gli avrebbe consentito di conservare la qualità di lavoratore ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), e dell’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento del 2006.
27      Il sig. Prefeta ha presentato ricorso contro la decisione del Segretario di Stato dinanzi al First-tier Tribunal (Social Entitlement Chamber) [Tribunale di primo grado (sezione delle prestazioni sociali), Regno Unito]. Avendo tale giudice respinto il suo ricorso, il sig. Prefeta ha interposto appello dinanzi all’Upper Tribunal (Administrative Appeals Chamber) [Tribunale superiore (sezione ricorsi amministrativi), Regno Unito].
28      Nel suo ricorso il sig. Prefeta adduce, in sostanza, che, l’articolo 5, paragrafo 3, del regolamento del 2004 impediva ai cittadini degli Stati aderenti interessati, che non avessero lavorato nel Regno Unito muniti di un certificato di registrazione per un periodo ininterrotto di dodici mesi, di conservare la qualità di lavoratore ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 e pertanto di beneficiare della parità di trattamento prevista all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011. Ebbene, secondo il sig. Prefeta, una normativa nazionale contraria alle due ultime disposizioni citate non poteva trovare giustificazione nell’Atto di adesione del 2003, giacché questo non ammette deroghe a tali disposizioni.
29      Il Segretario di Stato sostiene, per contro, che il regolamento del 2004 era compatibile con l’Atto di adesione del 2003. A tale proposito, lo stesso rileva che l’allegato XII, capo 2, punto 2, di detto Atto di adesione prevede che i cittadini polacchi legalmente occupati durante un periodo in cui sono applicate misure nazionali, e che erano ammessi al mercato del lavoro di tale Stato membro per un periodo inferiore a dodici mesi, non godono dei diritti di cui godono i lavoratori in forza dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 e dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011.
30      In tali circostanze, l’Upper Tribunal (Administrative Appeals Chamber) [Tribunale superiore (sezione ricorsi amministrativi), Regno Unito] ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se l’allegato XII del[l’Atto di adesione del 2003] consentisse agli Stati membri di escludere i cittadini polacchi dai benefici dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento [n. 492/2011] e dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva [2004/38] quando il lavoratore, sebbene, con ritardo, abbia soddisfatto il requisito nazionale di registrazione della sua attività, non aveva ancora lavorato per un periodo ininterrotto registrato di dodici mesi.
2)      In caso di risposta negativa alla prima questione, se un lavoratore polacco nelle circostanze di cui alla prima questione possa invocare l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva [2004/38] per quanto riguarda la conservazione della qualità di lavoratore».
 Sulle questioni pregiudiziali
 Sulla prima questione
31      Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’allegato XII, capo 2, dell’Atto di adesione del 2003 debba essere interpretato nel senso che, durante il periodo transitorio da esso previsto, esso autorizzava il Regno Unito ad escludere dal beneficio dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 e dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 un cittadino polacco che non soddisfacesse la condizione stabilita dalla normativa nazionale di aver esercitato un’attività lavorativa registrata nel suo territorio per un periodo ininterrotto di dodici mesi.
32      A questo proposito, in via preliminare, si deve rilevare che l’allegato XII, capo 2, punto 1, dell’Atto di adesione del 2003 dispone che l’articolo 39 e l’articolo 49, paragrafo 1, CE (divenuti, rispettivamente, l’articolo 45 e l’articolo 56, primo comma, TFUE) si applichino pienamente soltanto fatte salve le disposizioni transitorie di cui ai punti da 2 a 14 del medesimo capo, per quanto attiene alla libera circolazione dei lavoratori e alla libera prestazione di servizi che implichino una temporanea circolazione di lavoratori tra la Polonia e gli Stati membri attuali. Tali disposizioni transitorie in sostanza prevedono deroghe agli articoli da 1 a 6 del regolamento n. 1612/68, nonché, a determinate condizioni, alle disposizioni della direttiva 68/360.
33      È vero che l’allegato XII, capo 2, dell’Atto di adesione del 2003 non si riferisce né alla direttiva 2004/38 né al regolamento n. 492/2011, dato che tali testi sono stati adottati successivamente all’entrata in vigore di detto Atto di adesione. Tuttavia, in base al dettato dell’articolo 38, paragrafo 3, di tale direttiva e dell’articolo 41 del suddetto regolamento i riferimenti fatti al regolamento n. 1612/68 e alla direttiva 68/360, abrogati dai due atti citati, devono essere intesi come fatti alle corrispondenti disposizioni, rispettivamente, della direttiva 2004/38 e del regolamento n. 492/2011.
34      Pertanto, per rispondere alla questione posta dal giudice del rinvio, occorre verificare se l’allegato XII, capo 2, dell’Atto di adesione del 2003 autorizzasse il Regno Unito, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, a disapplicare l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38. Infatti, l’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, secondo cui il lavoratore cittadino di uno Stato membro gode, sul territorio degli altri Stati membri, degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali, è subordinata alla circostanza che una persona nella situazione del sig. Prefeta, che abbia cessato di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma, possa nondimeno conservare la sua qualità di lavoratore sulla base dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38.
35      A tale riguardo si deve ricordare che, conformemente all’allegato XII, capo 2, punto 9, dell’Atto di adesione del 2003, solo qualora talune disposizioni della direttiva 2004/38 non possano essere dissociate dalle disposizioni del regolamento n. 492/2011, la cui applicazione è stata differita in conformità dei punti da 2 a 5, 7 e 8 dell’allegato XII, capo 2, dell’Atto di adesione, la Repubblica di Polonia e gli Stati membri attuali possono derogare a tali disposizioni della direttiva 2004/38, nella misura necessaria all’applicazione dei punti summenzionati.
36      Occorre pertanto verificare, in primo luogo, se l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 possa essere dissociato dagli articoli da 1 a 6 del regolamento n. 492/2011, la cui applicazione è stata in tal modo differita.
37      A tale riguardo, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 62 delle sue conclusioni, si deve osservare che la possibilità per un cittadino dell’Unione – che abbia temporaneamente cessato di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma – di conservare la propria qualità di lavoratore in base all’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, nonché il diritto di soggiorno che gli spetta, in forza dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva citata, si basa sulla premessa che il cittadino sia disponibile e idoneo a rientrare nel mercato del lavoro dello Stato membro ospitante entro un termine ragionevole (v., per analogia, sentenza del 19 giugno 2014, Saint Prix, C‑507/12, EU:C:2014:2007, punti da 38 a 41).
38      Infatti, da un lato, l’articolo 7, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 riguarda la situazione di un cittadino dell’Unione, temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio, situazione che presuppone che detto cittadino possa tornare ad esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma una volta che detta inabilità temporanea al lavoro cessi. Dall’altro, l’articolo 7, paragrafo 3, lettere b) e c), di tale direttiva impone al cittadino dell’Unione economicamente non attivo che si faccia registrare presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro, mentre l’articolo 7, paragrafo 3, lettera d), di tale direttiva gli impone di seguire, a determinate condizioni, un corso di formazione professionale.
39      L’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 riguarda quindi situazioni in cui la reintegrazione del cittadino dell’Unione nel mercato del lavoro dello Stato membro ospitante sia possibile entro un periodo di tempo ragionevole. Di conseguenza, l’applicazione di tale disposizione non può essere dissociata da quella delle disposizioni del regolamento n. 492/2011, che disciplinano l’accesso al lavoro di un cittadino di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, vale a dire gli articoli da 1 a 6 di detto regolamento.
40      In secondo luogo, occorre verificare se, ai fini dell’applicazione delle deroghe previste dalle disposizioni transitorie contenute nell’allegato XII, capo 2, punti da 2 a 5, 7 e 8, dell’Atto di adesione del 2003, sia necessario derogare all’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38.
41      A tal riguardo, va rilevato che la Corte ha già dichiarato che le disposizioni transitorie di cui all’allegato XII, capo 2, dell’Atto di adesione mirano ad evitare che, in seguito all’adesione all’Unione di nuovi Stati membri, si verifichino perturbazioni sul mercato del lavoro dei vecchi Stati membri, dovute al repentino arrivo di un elevato numero di lavoratori cittadini di detti nuovi Stati (v., in tal senso, sentenza del 10 febbraio 2011, Vicoplus e a., da C‑307/09 a C‑309/09, EU:C:2011:64, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).
42      Nel caso di specie, come sottolineano il governo del Regno Unito e la Commissione nelle loro osservazioni scritte, il regolamento del 2004 è stato adottato dal suddetto Stato membro in applicazione delle deroghe previste dalle disposizioni transitorie di cui all’allegato XII, capo 2, punti 2 e 9, dell’Atto di adesione del 2003.
43      Ebbene, l’allegato XII, capo 2, punto 2, primo comma, di detto Atto di adesione prevede in sostanza che, in deroga agli articoli da 1 a 6 del regolamento n. 492/2011 e durante il periodo di transizione successivo alla data di adesione, gli Stati membri attuali possano applicare misure che disciplinano l’accesso dei cittadini polacchi al proprio mercato del lavoro.
44      È pertanto su tale base che l’articolo 2 del regolamento del 2004 ha introdotto, nell’ordinamento giuridico britannico, la qualità di «lavoratore di uno Stato aderente tenuto alla registrazione» per i cittadini degli Stati aderenti che lavorano nel Regno Unito durante il periodo di applicazione del citato regolamento. Tale regolamento ha stabilito che i lavoratori in questione perdessero detta qualità una volta che avessero maturato dodici mesi ininterrotti di attività lavorativa registrata sul territorio di tale Stato membro. Tale attività doveva inoltre essere svolta in tutto o in parte dopo il 30 aprile 2004.
45      Durante il periodo in cui un cittadino di uno Stato aderente interessato ricadeva in tale categoria, egli doveva munirsi di un certificato di registrazione del suo lavoro presso le autorità nazionali competenti e non godeva di tutti i diritti conferiti dal diritto dell’Unione a un cittadino di uno Stato membro che si trasferisca in un altro Stato membro per svolgervi un’attività lavorativa. In particolare, gli articoli 4 e 5 del regolamento del 2004 limitavano il diritto di un cittadino di uno Stato aderente di soggiornare nel Regno Unito come persona in cerca di occupazione al fine di cercarvi lavoro nonché la facoltà di quest’ultimo di conservare la qualità di lavoratore e il corrispondente diritto di soggiorno quando cessasse di essere un lavoratore subordinato o autonomo.
46      Come in sostanza evidenziato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, la deroga prevista dall’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, introdotta dal Regno Unito, era pertanto necessaria per dare piena efficacia alle misure adottate da tale Stato membro in applicazione delle deroghe contemplate dalle disposizioni transitorie di cui all’allegato XII, capo 2, punti 2 e 9, dell’Atto di adesione del 2003.
47      Infatti, qualora un lavoratore di uno Stato aderente che avesse cessato di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma, senza avere prima maturato dodici mesi ininterrotti di attività lavorativa registrata nel Regno Unito, avesse potuto avvalersi dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva in discorso per conservare la qualità di lavoratore nonché il diritto di soggiorno a lui spettante ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della medesima direttiva, il Regno Unito non avrebbe potuto dare piena attuazione a tali misure di deroga, volte segnatamente a limitare il diritto dei cittadini di uno Stato aderente economicamente inattivi di soggiornare nel suo territorio ai fini di ricercarvi un’occupazione.
48      Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve concludere che l’allegato XII, capo 2, punti 2 e 9, dell’Atto di adesione del 2003 autorizzava il Regno Unito a disapplicare l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale.
49      Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dal fatto che, nel caso di specie, prima di cessare l’esercizio della sua attività, il sig. Prefeta aveva lavorato nel Regno Unito dal 7 luglio 2009 all’11 marzo 2011, ossia per un periodo di circa venti mesi.
50      Infatti, come in sostanza ha rilevato l’avvocato generale ai paragrafi da 69 a 71 delle sue conclusioni, sulla scorta dell’allegato XII, capo 2, punto 2, terzo comma, dell’Atto di adesione del 2003 i cittadini polacchi dovevano soddisfare due condizioni cumulative per evitare le misure derogatorie adottate sulla base di tale testo, vale a dire, da un lato, lo svolgimento di un periodo di lavoro ininterrotto di dodici mesi e, dall’altro, l’ammissione al mercato del lavoro dello Stato membro interessato.
51      Per quanto riguarda la seconda condizione, si deve rilevare che il regolamento del 2004 subordinava l’ammissione al mercato del lavoro all’ottenimento di un certificato di registrazione presso le autorità nazionali competenti.
52      Orbene, dal fascicolo a disposizione della Corte si evince che il sig. Prefeta ha ottenuto il certificato di registrazione del proprio lavoro da parte delle competenti autorità nazionali del Regno Unito soltanto il 5 gennaio 2011 e, pertanto, deve essere considerato ammesso al mercato del lavoro di tale Stato membro unicamente per un periodo complessivo di due mesi e sei giorni, inferiore ai dodici mesi necessari a norma dell’allegato XII, capo 2, punto 2, terzo comma, dell’Atto di adesione del 2003.
53      In tali circostanze, dal momento che il sig. Prefeta non poteva avvalersi dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 per conservare la sua qualità di lavoratore dopo aver cessato di svolgere la sua attività lavorativa, egli non poteva neppure avvalersi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, il quale riguarda i cittadini di uno Stato membro che hanno detta qualità (v., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2007, Geven, C‑213/05, EU:C:2007:438, punto 16, nonché del 21 febbraio 2013, N., C‑46/12, EU:C:2013:97, punti 48 e 49).
54      Di conseguenza, non occorre verificare se, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, l’allegato XII, capo 2, dell’Atto di adesione del 2003 autorizzasse il Regno Unito a disapplicare l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011.
55      Alla luce di tutte le considerazioni sopra svolte, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’allegato XII, capo 2, dell’Atto di adesione del 2003 deve essere interpretato nel senso che, durante il periodo transitorio da esso previsto, lo stesso autorizzava il Regno Unito ad escludere dal beneficio dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 un cittadino polacco, come il sig. Prefeta, che non soddisfaceva la condizione stabilita dalla normativa nazionale di aver esercitato un’attività lavorativa registrata nel suo territorio per un periodo ininterrotto di dodici mesi.
 Sulla seconda questione
56      Tenuto conto della risposta fornita alla prima questione, non occorre rispondere alla seconda questione.
 Sulle spese
57      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
L’allegato XII, capo 2, dell’Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che, durante il periodo transitorio da esso previsto, lo stesso autorizzava il Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord ad escludere dal beneficio dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, un cittadino polacco, come il sig. Rafal Prefeta, che non soddisfaceva la condizione stabilita dalla normativa nazionale di aver esercitato un’attività lavorativa registrata nel suo territorio per un periodo ininterrotto di dodici mesi.
Dal sito http://curia.europa.eu



Corte di Giustizia UE 13 settembre 2018, n. C-369/17, Shajin

Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Frontiere, asilo e immigrazione – Status di rifugiato o status di protezione sussidiaria – Direttiva 2011/95/UE – Articolo 17 – Esclusione dallo status di protezione sussidiaria – Cause – Condanna per un reato grave – Determinazione della gravità sulla base della pena prevista ai sensi del diritto nazionale – Ammissibilità – Necessità di una valutazione individuale







L’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione di uno Stato membro in forza della quale si considera che il richiedente protezione sussidiaria abbia «commesso un reato grave» ai sensi di tale disposizione, il quale può escluderlo dal beneficio di tale protezione, sulla sola base della pena prevista per un determinato reato ai sensi del diritto di tale Stato membro. Spetta all’autorità o al giudice nazionale competente che statuisce sulla domanda di protezione sussidiaria valutare la gravità dell’illecito considerato, effettuando un esame completo di tutte le circostanze del caso individuale di cui trattasi.









SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
13 settembre 2018
Nella causa C‑369/17,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria), con decisione del 29 maggio 2017, pervenuta in cancelleria il 16 giugno 2017, nel procedimento
Shajin Ahmed
contro
Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta da M. Ilešič, presidente di sezione, A. Rosas (relatore), C. Toader, A. Prechal e E. Jarašiūnas, giudici,
avvocato generale: P. Mengozzi
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
–        per S. Ahmed, da G. Győző, ügyvéd;
–        per il governo ungherese da M.Z. Fehér, G. Koós e M.M. Tátrai, in qualità di agenti;
–        per il governo ceco, da M. Smolek, J. Vláčil e A. Brabcová, in qualità di agenti;
–        per il governo francese, da E. Armoët, E. de Moustier e D. Colas, in qualità di agenti;
–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.H.S. Gijzen e K. Bulterman, in qualità di agenti;
–        per la Commissione europea, da A. Tokár e M. Condou-Durande, in qualità di agenti,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, il sig. Shajin Ahmed, cittadino afgano, e, dall’altro, il Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Ufficio per l’immigrazione e l’asilo, Ungheria), in precedenza il Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal (Ufficio per l’immigrazione e la cittadinanza, Ungheria) (in prosieguo: l’«Ufficio»), in merito al rigetto da parte di quest’ultimo della domanda di protezione internazionale presentata dal sig. Ahmed.
 Contesto normativo
 Diritto internazionale
3        La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations Unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], è entrata in vigore il 22 aprile 1954. Essa è stata completata e modificata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»).
4        L’articolo 1 di tale Convenzione, dopo aver definito nella sezione A, in particolare, la nozione di «rifugiato», enuncia, nella sezione F:
«Le disposizioni della presente Convenzione non sono applicabili alle persone di cui vi sia serio motivo di sospettare che:
a)      hanno commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, nel senso degli strumenti internazionali contenenti disposizioni relative a siffatti crimini;
b)      hanno commesso un crimine grave di diritto comune fuori del paese ospitante prima di essere ammesse come rifugiati;
c)      si sono rese colpevoli di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite».
 Diritto dell’Unione
5        L’articolo 78, paragrafi 1 e 2, TFUE così dispone:
«1.      L’Unione [europea] sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento. Detta politica deve essere conforme alla [convenzione di Ginevra], e agli altri trattati pertinenti.
2.      Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa:
a)      uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l’Unione;
b)      uno status uniforme in materia di protezione sussidiaria per i cittadini di paesi terzi che, pur senza il beneficio dell’asilo europeo, necessitano di protezione internazionale;
(…)».
6        La direttiva 2011/95, adottata sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 2, lettere a) e b) TFUE, ha abrogato la direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12).
7        I considerando 3, 4, 8, 9, 12, 23, 24, 33 e 39 della direttiva 2011/95 sono così formulati:
«(3)      Il Consiglio europeo, nella riunione straordinaria di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, ha convenuto di lavorare all’istituzione di un regime europeo comune in materia di asilo basato sull’applicazione, in ogni sua componente, della convenzione di Ginevra (…)
(4)      La convenzione di Ginevra (…) [costituisce] la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati.
(…)
(8)      Nel Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, adottato il 15 e 16 ottobre 2008, il Consiglio europeo ha rilevato che sussistono forti divergenze fra gli Stati membri per quanto riguarda la concessione della protezione e ha sollecitato ulteriori iniziative, compresa una proposta di procedura unica in materia di asilo che preveda garanzie comuni, per completare l’istituzione, prevista dal programma dell’Aia [adottato dal Consiglio europeo del 4 novembre 2004, che determina gli obiettivi da conseguire nel periodo 2005-2010 nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia], del sistema europeo comune di asilo, e offrire così un livello di protezione più elevato.
(9)      Nel programma di Stoccolma [adottato nel 2010] il Consiglio europeo ha ribadito il suo impegno per il raggiungimento dell’obiettivo di istituire entro il 2012 uno spazio comune di protezione e solidarietà basato su una procedura comune in materia d’asilo e su uno status uniforme per coloro che hanno ottenuto la protezione internazionale, conformemente all’articolo 78 [TFUE].
(12)      Lo scopo principale della presente direttiva è quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri.
(…)
(23)      Dovrebbero essere stabiliti criteri per la definizione e il contenuto dello status di rifugiato, al fine di orientare le competenti autorità nazionali degli Stati membri nell’applicazione della convenzione di Ginevra.
(24)      È necessario introdurre dei criteri comuni per l’attribuzione ai richiedenti asilo della qualifica di rifugiati ai sensi dell’articolo 1 della convenzione di Ginevra.
(…)
(33)      Inoltre è opportuno stabilire i criteri per la definizione e gli elementi essenziali della protezione sussidiaria. La protezione sussidiaria dovrebbe avere carattere complementare e supplementare rispetto alla protezione dei rifugiati sancito dalla convenzione di Ginevra.
(…)
(39)      In risposta alla richiesta del programma di Stoccolma di instaurare uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, e fatte salve le deroghe necessarie e oggettivamente giustificate, ai beneficiari dello status di protezione sussidiaria dovrebbero essere riconosciuti gli stessi diritti e gli stessi benefici di cui godono i rifugiati ai sensi della presente direttiva, alle stesse condizioni di ammissibilità».
8        Il successivo articolo 2 così dispone:
«Ai fini della presente direttiva, si intende per:
a)      “protezione internazionale”: lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria quale definito alle lettere e) e g);
(…)
f)      “persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria”: cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all’articolo 15, e al quale non si applica l’articolo 17, paragrafi 1 e 2, e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese;
g)      “status di protezione sussidiaria”: il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale persona avente titolo alla protezione sussidiaria;
(…)».
9        Contenuto nel capo III della direttiva in parola, intitolato «Requisiti per essere considerato rifugiato», l’articolo 12 di quest’ultima, rubricato «Esclusione», ai paragrafi 2 e 3, così recita:
«2.      Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato ove sussistano fondati motivi per ritenere che:
a)      abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini;
b)      abbia commesso al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune prima di essere ammesso come rifugiato, ossia prima del momento in cui gli è rilasciato un permesso di soggiorno basato sul riconoscimento dello status di rifugiato, abbia commesso atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possono essere classificati quali reati gravi di diritto comune;
c)      si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite quali stabiliti nel preambolo e negli articoli 1 e 2 della carta delle Nazioni Unite [, firmata a San Francisco il 26 giugno 1954].
3.      Il paragrafo 2 si applica alle persone che istigano o altrimenti concorrono alla commissione dei reati o atti in esso menzionati».
10      L’articolo 14 della medesima direttiva, dal titolo «Revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status di rifugiato», contenuto nel capo IV, al paragrafo 4, così dispone:
«Gli Stati membri hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare di rinnovare lo status riconosciuto a un rifugiato da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario quando:
a)      vi sono fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato membro in cui si trova;
b)      la persona in questione, essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità di tale Stato membro».
11      Il capo V della direttiva 2011/95, intitolato «Requisiti per la protezione sussidiaria», contiene l’articolo 17, rubricato «Esclusione», ai sensi del quale:
«1.      Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dalla qualifica di persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria ove sussistano fondati motivi per ritenere che:
a)      abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini;
b)      abbia commesso un reato grave;
c)      si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite quali stabiliti nel preambolo e negli articoli 1 e 2 della carta delle Nazioni Unite;
d)      rappresenti un pericolo per la comunità o la sicurezza dello Stato in cui si trova.
2.      Il paragrafo 1 si applica alle persone che istigano o altrimenti concorrono alla commissione dei reati o atti in esso menzionati.
3.      Gli Stati membri possono escludere un cittadino di un paese terzo o un apolide dalla qualifica di persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria se questi, prima di essere ammesso nello Stato membro interessato, ha commesso uno o più reati non contemplati al paragrafo 1, che sarebbero punibili con la reclusione se fossero stati perpetrati nello Stato membro interessato e se ha lasciato il paese d’origine soltanto al fine di evitare le sanzioni risultanti da tali reati».
 Diritto ungherese
12      L’articolo 8 della menedékjogról szóló 2007. évi LXXX. törvény (legge n. LXXX del 2007 sul diritto di asilo) (Magyar Közlöny 2007/83, in prosieguo: la «legge sul diritto di asilo») prevede quanto segue:
«1.      Non può essere riconosciuto come rifugiato lo straniero per il quale ricorre uno dei motivi di esclusione di cui all’articolo 1, sezioni D, E o F della Convenzione di Ginevra.
2.      Ai sensi dell’articolo 1, sezione F, lettera b), della Convenzione di Ginevra, si considera “crimine grave di diritto comune” ogni atto in cui, quando è commesso, – tenendo conto di tutte le circostanze, quali la finalità dell’illecito, il suo motivo, la forma in cui è stato posto in essere o i mezzi utilizzati o previsti –l’aspetto criminale predomina su quello politico e che è punito dal diritto ungherese con una pena detentiva di cinque o più anni».
13      Ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 3, di tale legge:
«L’autorità competente in materia di asilo revoca lo status di rifugiato qualora tale rifugiato sia condannato con sentenza definitiva da un organo giurisdizionale per aver commesso un reato punito dal diritto ungherese con una pena detentiva di cinque o più anni».
14      Ai sensi dell’articolo 15 della legge in parola, che disciplina i motivi di esclusione dallo status di protezione sussidiaria:
«Non si riconosce lo status di protezione sussidiaria allo straniero:
a)      se sussistano fondati motivi per ritenere che:
aa)      abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, quali definiti dagli strumenti internazionali;
ab)      abbia commesso un reato punito dal diritto ungherese con una pena detentiva di cinque o più anni;
ac)      abbia commesso un crimine contrario agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite;
b)      [quando la sua] permanenza sul territorio ungherese costituisca un pericolo per la sicurezza nazionale».
 Procedimento principale e questione pregiudiziale
15      Il sig. Ahmed ha ottenuto lo status di rifugiato con decisione dell’Ufficio del 13 ottobre 2000 a motivo del rischio di persecuzioni nel suo paese d’origine, in quanto suo padre è stato un alto ufficiale del regime di Najibullah.
16      Un procedimento penale è stato poi avviato in Ungheria a carico del sig. Ahmed, nell’ambito del quale quest’ultimo ha chiesto che il consolato della Repubblica islamica di Afghanistan fosse pienamente informato della sua situazione.
17      Ritenendo che dalla domanda di protezione che il sig. Amhed aveva deliberatamente rivolto al suo paese d’origine si potesse dedurre che il pericolo di persecuzione fosse venuto meno, l’Ufficio ha avviato d’ufficio, nel corso del 2014, un procedimento di revisione del suo status di rifugiato.
18      Con sentenza definitiva del 21 maggio 2014 la Fővárosi Ítélőtábla (corte d’appello regionale di Budapest, Ungheria) ha condannato il sig. Amhed a una pena detentiva di due anni e a una pena consistente nella privazione dei diritti civili per quattro anni, per tentato omicidio. Con sentenza del 14 luglio 2014 la Budapest Környéki Törvényszék (Corte di Budapest-Agglomerazione, Ungheria) lo ha condannato a una pena detentiva di quattro anni e a una pena consistente nella privazione per tre anni dei diritti civili, per tentata estorsione.
19      Con decisione del 4 novembre 2014 l’Ufficio ha revocato al sig. Ahmed lo status di rifugiato, in applicazione dell’articolo 11, paragrafo 3, della legge sul diritto di asilo.
20      Il 30 giugno 2015 il sig. Ahmed ha presentato una nuova domanda diretta al riconoscimento dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria, che è stata respinta dall’Ufficio con decisione del 9 dicembre 2015.
21      Il sig. Ahmed ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria). Tale organo giurisdizionale ha accolto detto ricorso e ha ordinato all’Ufficio di avviare un nuovo procedimento amministrativo.
22      Nell’ambito di tale nuovo procedimento l’Ufficio ha respinto la domanda del sig. Ahmed, con decisione del 10 ottobre 2016, sia per quanto attiene al riconoscimento dello status di rifugiato, sia per quanto riguarda il riconoscimento dello status di protezione sussidiaria, constatando al contempo l’esistenza di un ostacolo al respingimento. L’Ufficio ha ritenuto che al sig. Ahmed non potesse essere riconosciuta la protezione sussidiaria per la sussistenza di un motivo di esclusione ai sensi della legge sul diritto di asilo poiché quest’ultimo aveva commesso un reato sanzionato nell’ordinamento ungherese con una pena detentiva di cinque o più anni. A tal fine, l’Ufficio ha preso in considerazione le condanne pronunciate a carico del sig. Ahmed quali emergono dalle sentenze menzionate al punto 18 della presente sentenza.
23      Il sig. Ahmed ha proposto un ricorso avverso tale decisione dinanzi al giudice del rinvio, il Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria) per il fatto che, con tale decisione, l’Ufficio aveva respinto la sua domanda di riconoscimento dello status di protezione sussidiaria.
24      Secondo il sig. Ahmed, nel considerare quale motivo di esclusione da tale status il fatto di aver commesso un reato punito dal diritto ungherese con una pena di cinque anni di reclusione, la normativa nazionale priva di qualsivoglia potere discrezionale gli organi amministrativi deputati alla sua applicazione nonché i giudici incaricati di verificare la legittimità delle decisioni di tali organi. Orbene, l’espressione «abbia commesso un reato grave», che emerge dall’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95, relativo alle cause di esclusione da tale status, comporterebbe l’obbligo di valutare l’insieme delle circostanze del caso individuale di cui trattasi.
25      Il giudice del rinvio rileva che, secondo la normativa ungherese, uno stesso criterio, ossia il fatto di essere stato condannato per aver «commesso un reato punito dal diritto ungherese con una pena detentiva di cinque o più anni», costituisce il fondamento sia della revoca del riconoscimento dello status di rifugiato, come prevede l’articolo 11, paragrafo 3, della legge sul diritto di asilo, sia dell’esclusione dallo status di protezione sussidiaria, come emerge dall’articolo 15, lettere a), ab), di tale legge. La direttiva 2011/95, invece, prevedrebbe criteri diversi a seconda che si tratti della revoca dello status di rifugiato o dell’esclusione dallo status di protezione sussidiaria.
26      A tal riguardo, il giudice del rinvio sottolinea che, per quanto attiene alla revoca dello status di rifugiato, l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 adotta come criterio la condanna dell’interessato per un reato «di particolare gravità» e implica che la persona condannata costituisce manifestamente un pericolo per la comunità dello Stato membro interessato, mentre, secondo l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva, l’esclusione dal beneficio della protezione sussidiaria si fonderebbe sulla commissione di un «reato grave», presupponendo che i comportamenti incriminati siano meno gravi di quelli di cui all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di tale direttiva.
27      Secondo il giudice del rinvio, il criterio utilizzato dalla normativa ungherese, consistente nel prendere in considerazione la durata della pena prevista, non è tale da consentire una valutazione della gravità del reato effettivamente commesso.
28      Infatti, definire la nozione di «reato grave» basandosi unicamente sulla pena prevista porterebbe a ritenere automaticamente quale grave qualsiasi illecito punibile, ai sensi del diritto ungherese, con una pena detentiva di cinque o più anni, ivi compresi gli illeciti la cui massima pena possibile è una pena detentiva di cinque anni. Inoltre, un motivo di esclusione allineato sulla pena non potrebbe tener conto del fatto che l’esecuzione della pena può essere sospesa.
29      Orbene, secondo il giudice del rinvio, i termini utilizzati all’articolo 14, paragrafo 4, e all’articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 2011/95 implicherebbero una valutazione minuziosa dell’insieme delle circostanze del caso individuale di cui trattasi nonché, in questo caso, della decisione del giudice penale.
30      Il giudice del rinvio ritiene quindi necessario chiarire l’interpretazione dell’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 concernente l’esclusione dallo status di protezione sussidiaria alla luce segnatamente dell’interpretazione da parte della Corte dell’articolo 12, paragrafo 2, lettere b) e c), della direttiva 2004/83, divenuto articolo 12, paragrafo 2, lettere b) e c), della direttiva 2011/95, relativo all’esclusione dallo status di rifugiato, nella sentenza del 9 novembre 2010, B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 87), secondo cui l’autorità competente dello Stato membro considerato può applicare tale disposizione solo dopo aver effettuato, per ciascun caso individuale, una valutazione dei fatti precisi di cui essa ha conoscenza, al fine di determinare se sussistano fondati motivi per ritenere che gli atti commessi dalla persona interessata, che per il resto soddisfa i criteri per ottenere lo status di rifugiato, rientrino in uno dei due casi di esclusione previsti dalla disposizione in parola.
31      In tali circostanze, il Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’espressione “abbia commesso un reato grave”, di cui all’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della [direttiva 2011/95], implichi che la pena prevista per un reato specifico, secondo l’ordinamento di un determinato Stato membro, possa costituire l’unico criterio per determinare se il ricorrente abbia commesso un reato che può escluderlo dal diritto alla protezione sussidiaria».
 Sulla questione pregiudiziale
32      Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione di uno Stato membro in base alla quale si considera che il richiedente protezione sussidiaria abbia «commesso un reato grave» ai sensi di tale disposizione, che può escluderlo da tale protezione, sulla sola base della pena prevista per un determinato reato ai sensi del diritto di tale Stato membro.
33      A tal riguardo, si deve rilevare che la nozione di «reato grave» di cui all’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 non è definita in tale direttiva, la quale non contiene neppure un rinvio espresso al diritto nazionale al fine di determinarne il senso e la portata.
34      Lo stesso vale per la nozione di «reato di particolare gravità» di cui all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, relativo alla revoca dello status di rifugiato, e per la nozione di «reato grave di diritto comune» di cui all’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva, relativo all’esclusione dallo status di rifugiato.
35      Secondo i governi ceco e ungherese, poiché il legislatore dell’Unione non ha definito la nozione di «reato grave» nel contesto delle domande di protezione internazionale, spetta al legislatore degli Stati membri definire tale nozione. Il sig. Ahmed, i governi francese e olandese nonché la Commissione europea sostengono, invece, che tale nozione deve, nell’ambito delle domande di protezione internazionale, essere interpretata prendendo in considerazione gli obiettivi e i principi generali del diritto dell’Unione applicabili ai rifugiati e che l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 deve, pertanto, essere interpretato alla luce della convenzione di Ginevra, in particolare del suo articolo 1, sezione F, lettera b), e dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva che riproduce, in sostanza, il contenuto di quest’ultima disposizione.
36      A tal riguardo, si deve rammentare innanzitutto che, conformemente alla necessità di garantire tanto l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto il principio di uguaglianza, i termini di una disposizione di tale diritto, la quale non contenga alcun rinvio espresso al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del suo senso e della sua portata, devono di norma essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme da effettuarsi tenendo conto, segnatamente, del contesto di tale disposizione e dello scopo perseguito dalla normativa di cui essa fa parte (v., in tal senso, sentenze del 28 luglio 2016, JZ, C‑294/16 PPU, EU:C:2016:610, punti da 35 a 37; del 26 luglio 2017, Ouhrami, C‑225/16, EU:C:2017:590, punto 38, e del 12 aprile 2018, A e S, C‑550/16, EU:C:2018:248, punto 41).
37      Orbene, dal considerando 12 della direttiva 2011/95 emerge che uno degli scopi principali di quest’ultima è quello di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale. Inoltre, dall’articolo 78, paragrafo 1, TFUE discende che la politica comune che l’Unione sviluppa in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento, deve essere conforme alla Convenzione di Ginevra.
38      In tale contesto, occorre rilevare che, come la direttiva 2004/83, la direttiva 2011/95 disciplina, nell’ambito del concetto di «protezione internazionale», due regimi distinti di protezione, ossia, da un lato, lo status di rifugiato e, dall’altro, quello di protezione sussidiaria (v., per quanto riguarda la direttiva 2004/83, sentenza dell’8 maggio 2014, N., C‑604/12, EU:C:2014:302, punto 26).
39      Come emerge dai considerando 6 e 33 della direttiva 2011/95, la protezione sussidiaria è intesa a completare la protezione dei rifugiati sancita dalla convenzione di Ginevra (sentenza del 1o marzo 2016, Alo e Osso, C‑443/14 e C‑444/14, EU:C:2016:127, punto 31).
40      Dai considerando 4, 23 e 24 della direttiva 2011/95 emerge che la Convenzione di Ginevra costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati e che le disposizioni di tale direttiva relative alle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato nonché al contenuto di quest’ultimo sono state adottate al fine di aiutare le autorità competenti degli Stati membri ad applicare tale convenzione basandosi su nozioni e criteri comuni (sentenza del 1o marzo 2016, Alo e Osso, C‑443/14 e C‑444/14, EU:C:2016:127, punto 28, nonché giurisprudenza ivi citata).
41      La Corte ha ripetutamente statuito che l’interpretazione delle disposizioni di tale direttiva, così come di quelle della direttiva 2004/83, deve, pertanto, essere effettuata alla luce dell’economia generale e della finalità di quest’ultima, nel rispetto della Convenzione di Ginevra e degli altri trattati pertinenti contemplati dall’articolo 78, paragrafo 1, TFUE (sentenze del 9 novembre 2010, B e D, C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 78; del 1o marzo 2016, Alo e Osso, C‑443/14 e C‑444/14, EU:C:2016:127, punto 29, e del 31 gennaio 2017, Lounani, C‑573/14, EU:C:2017:71, punto 42).
42      Sebbene tali considerazioni, in quanto riguardano la Convenzione di Ginevra, siano pertinenti unicamente per quanto concerne le condizioni di riconoscimento dello status di rifugiato nonché il contenuto di tale status, nei limiti in cui il regime previsto da detta convenzione si applica soltanto ai rifugiati e non ai beneficiari dello status di protezione sussidiaria, emerge tuttavia dai considerando 8, 9 e 39 della direttiva 2011/95 che il legislatore dell’Unione ha inteso instaurare uno status uniforme a favore di tutti i beneficiari di una protezione internazionale (sentenza del 1o marzo 2016, Alo e Osso, C‑443/14 e C‑444/14, EU:C:2016:127, punti 31 e 32).
43      Per quanto riguarda le cause di esclusione dallo status di protezione sussidiaria, occorre rilevare che il legislatore dell’Unione si è ispirato alle norme applicabili ai rifugiati per estenderle, ove possibile, ai beneficiari dello status di protezione sussidiaria.
44      Infatti, il contenuto e la struttura dell’articolo 17, paragrafo 1, lettere da a) a c), della direttiva 2011/95, riguardante l’esclusione dal beneficio dalla protezione sussidiaria, presentano analogie con l’articolo 12, paragrafo 2, lettere da a) a c), della medesima direttiva, relativo all’esclusione dallo status di rifugiato, il quale riproduce esso stesso, in sostanza, il contenuto dell’articolo 1, sezione F, lettere da a) a c), della Convenzione di Ginevra.
45      Peraltro, dai lavori preparatori della direttiva 2011/95 così come da quelli della direttiva 2004/83 (v. i punti 4.5 e 7 della relazione della proposta di direttiva presentata dalla Commissione il 30 ottobre 2001 [COM(2001) 510 definitivo] [GU 2002, C 51 E, pag. 325) nonché la proposta di direttiva presentata dalla Commissione il 21 ottobre 2009 [COM(2009) 551 definitivo]), risulta che l’articolo 17, paragrafo 1, lettere da a) a c), della direttiva 2001/95 deriva dalla volontà del legislatore dell’Unione d’introdurre cause di esclusione dalla protezione sussidiaria analoghe a quelle applicabili ai rifugiati.
46      Tuttavia, sebbene tali cause di esclusione si articolino attorno alla nozione di «reato grave», l’ambito di applicazione della causa di esclusione prevista dall’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 è più ampia di quello della causa di esclusione dallo status di rifugiato di cui all’articolo 1, sezione F, lettera b), della Convenzione di Ginevra e di cui all’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2011/95.
47      Infatti, mentre la causa di esclusione dallo status di rifugiato prevista da tale ultima disposizione riguarda un reato grave di diritto comune commesso al di fuori del paese di accoglienza prima che l’interessato sia ammesso come rifugiato, la causa di esclusione dalla protezione sussidiaria di cui all’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 riguarda più in generale un reato grave e non è quindi limitata né geograficamente né nel tempo né quanto alla natura dei reati di cui trattasi.
48      Si deve rammentare che, nella sentenza del 9 novembre 2010, B e D, (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 87), la Corte ha dichiarato che risulta dal testo dell’articolo 12, paragrafo 2, lettere b) e c), della direttiva 2004/83, divenuto articolo 12, paragrafo 2, lettere b) e c), della direttiva 2011/95, che l’autorità competente dello Stato membro considerato può applicare tale disposizione solo dopo aver effettuato, per ciascun caso individuale, una valutazione dei fatti precisi di cui essa ha conoscenza, al fine di determinare se sussistano fondati motivi per ritenere che gli atti commessi dalla persona interessata, che per il resto soddisfa i criteri per ottenere lo status di rifugiato, rientrino in uno dei due casi di esclusione previsti dalla disposizione in parola.
49      Ne deriva che qualsiasi decisione di escludere una persona dallo status di rifugiato deve essere preceduta da un esame completo di tutte le circostanze relative al suo caso individuale e non può essere adottata in modo automatico (v., in tal senso, sentenza del 9 novembre 2010, B e D, C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punti 91 e 93).
50      Una siffatta necessità deve essere trasposta alle decisioni di esclusione dalla protezione sussidiaria.
51      Infatti, al pari delle cause di esclusione dallo status di rifugiato, lo scopo delle cause di esclusione dalla protezione sussidiaria è escludere dallo status conferito da quest’ultima le persone ritenute indegne della protezione collegata a tale status e preservare la credibilità del sistema europeo comune di asilo, il quale comporta tanto il ravvicinamento delle norme sul riconoscimento dei rifugiati e sul contenuto dello status di rifugiato quanto le misure relative a forme sussidiarie di protezione che offrono uno status adeguato a chiunque abbia bisogno di una siffatta protezione (v., in tal senso, per quanto attiene alla direttiva 2004/83 e allo status di rifugiato, sentenza del 9 novembre 2010, B e D, C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punti 104 e 115).
52      Occorre rilevare che l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 consente di escludere una persona dallo status di protezione sussidiaria solo se sussistano «fondati motivi» di ritenere che abbia commesso un reato grave. Tale disposizione stabilisce una causa di esclusione che costituisce un’eccezione alla regola generale di cui all’articolo 18 della direttiva 2011/95 e richiede quindi un’interpretazione restrittiva.
53      Secondo il giudice del rinvio, la legge sul diritto di asilo porta, tuttavia, a qualificare automaticamente come reato grave qualsiasi illecito che possa essere sanzionato, ai sensi del diritto ungherese, con una pena detentiva di cinque o più anni.
54      La Commissione osserva giustamente che tale qualificazione può coprire un ampio spettro di comportamenti aventi un grado di gravità variabile. Orbene, secondo la Commissione è necessario che l’autorità o il giudice nazionale competente che statuisce in merito alla domanda di protezione sussidiaria possa esaminare, sulla base di criteri diversi da quello della pena prevista, se l’illecito commesso dal richiedente, che per il resto soddisfa i criteri per ottenere lo status di protezione sussidiaria, sia di una gravità tale da dover portare al rigetto della sua domanda di protezione internazionale.
55      A tale riguardo, occorre sottolineare che, sebbene il criterio della pena prevista sulla base della legislazione penale dello Stato membro interessato sia di particolare importanza nel valutare la gravità del reato che giustifica l’esclusione dalla protezione sussidiaria ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95, l’autorità competente dello Stato membro interessato può invocare la causa di esclusione prevista da tale disposizione solo dopo aver effettuato, per ciascun caso individuale, una valutazione dei fatti precisi di cui essa ha conoscenza, al fine di determinare se sussistano fondati motivi per ritenere che gli atti commessi dalla persona interessata, che per il resto soddisfa i criteri per ottenere lo status richiesto, rientrino in tale causa di esclusione (v., per analogia, sentenze del 9 novembre 2010, B e D, C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 87, e del 31 gennaio 2017, Lounani, C‑573/14, EU:C:2017:71, punto 72).
56      Tale interpretazione è avvalorata dalla relazione dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo («EASO»), del gennaio 2016, intitolata «Esclusione: articoli 12 e 17 della direttiva qualifiche (2011/95/UE)», la quale raccomanda, al punto 3.2.2 relativo all’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95, che la gravità del reato in grado di escludere una persona dalla protezione sussidiaria sia valutata alla luce di una pluralità di criteri quali, segnatamente, la natura dell’atto di cui trattasi, i danni causati, la forma del procedimento utilizzato per esercitare l’azione penale, la natura della pena prevista e la presa in considerazione della questione se anche la maggior parte degli organi giurisdizionali considera l’atto di cui trattasi un reato grave. L’EASO fa riferimento, a tal riguardo, a talune decisioni adottate dai supremi organi giurisdizionali degli Stati membri.
57      Analoghe raccomandazioni sono, inoltre, contenute nel manuale sulle procedure e i criteri da applicare per la determinazione dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione del 1951 e del protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati [Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), 1992, punti da 155 a 157].
58      Alla luce delle considerazioni sopra esposte, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione di uno Stato membro in forza della quale si considera che il richiedente protezione sussidiaria abbia «commesso un reato grave» ai sensi di tale disposizione, il quale può escluderlo dal beneficio di tale protezione, sulla sola base della pena prevista per un determinato reato ai sensi del diritto di tale Stato membro. Spetta all’autorità o al giudice nazionale competente che statuisce sulla domanda di protezione sussidiaria valutare la gravità dell’illecito considerato, effettuando un esame completo di tutte le circostanze del caso individuale di cui trattasi.
 Sulle spese
59      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
L’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione di uno Stato membro in forza della quale si considera che il richiedente protezione sussidiaria abbia «commesso un reato grave» ai sensi di tale disposizione, il quale può escluderlo dal beneficio di tale protezione, sulla sola base della pena prevista per un determinato reato ai sensi del diritto di tale Stato membro. Spetta all’autorità o al giudice nazionale competente che statuisce sulla domanda di protezione sussidiaria valutare la gravità dell’illecito considerato, effettuando un esame completo di tutte le circostanze del caso individuale di cui trattasi.
Dal sito http://curia.europa.eu