Corte di Giustizia UE 25 gennaio
2018, n. C-473/16
«Rinvio pregiudiziale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea – Articolo 7 – Rispetto della vita privata e familiare –
Direttiva 2011/95/UE – Norme relative alle condizioni per il riconoscimento
dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria –
Timore di persecuzione a causa dell’orientamento sessuale – Articolo
4 – Esame dei fatti e delle circostanze – Ricorso a una
perizia – Test psicologici»
1) L’articolo 4 della direttiva
2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011,
recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della
qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme
per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione
sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere
interpretato nel senso che non osta a che l’autorità competente per l’esame
delle domande di protezione internazionale o i giudici eventualmente aditi con
un ricorso contro una decisione di tale autorità, dispongano una perizia
nell’ambito dell’esame dei fatti e delle circostanze riguardanti l’asserito
orientamento sessuale di un richiedente, purché le modalità di tale perizia
siano conformi ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, detta autorità e tali giudici non fondino la
loro decisione esclusivamente sulle conclusioni contenute nella relazione
peritale e non siano vincolati da tali conclusioni nella valutazione delle
dichiarazioni di tale richiedente relative al suo orientamento sessuale.
2) L’articolo 4 della direttiva
2011/95, letto alla luce dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali,
dev’essere interpretato nel senso che osta all’esecuzione e all’utilizzo, al
fine di valutare la veridicità dell’orientamento sessuale dichiarato da un
richiedente protezione internazionale, di una perizia psicologica, come quella
oggetto del procedimento principale, che ha per scopo, sulla base di test
proiettivi della personalità, di fornire un’immagine dell’orientamento sessuale
di tale richiedente.
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
25 gennaio 2018
Nella causa C‑473/16,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Szegedi
Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di
Szeged, Ungheria), con decisione dell’8 agosto 2016, pervenuta in cancelleria
il 29 agosto 2016, nel procedimento
F
contro
Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal,
LA CORTE
(Terza Sezione),
composta da L. Bay Larsen (relatore), presidente di
sezione, J. Malenovský, M. Safjan, D. Šváby e M. Vilaras,
giudici,
avvocato generale: N. Wahl
cancelliere: R. Șereș, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito
all’udienza del 13 luglio 2017,
considerate le osservazioni presentate:
– per F,
da T. Fazekas e Z.B. Barcza-Szabó, ügyvédek;
– per il
governo ungherese, da M.Z. Fehér, G. Koós e M.M. Tátrai, in
qualità di agenti;
– per il
governo francese, da D. Colas, E. de Moustier ed E. Armoët, in
qualità di agenti;
– per il
governo dei Paesi Bassi, da M. Gijzen e M. Bulterman, in qualità di
agenti;
– per la Commissione europea,
da M. Condou-Durande e A. Tokár, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale,
presentate all’udienza del 5 ottobre 2017,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La
domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 1
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la
«Carta») e dell’articolo 4 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a
cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di
protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le
persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul
contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).
2 Tale
domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra F, cittadino
nigeriano, e il Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal (ufficio per
l’immigrazione e la cittadinanza, Ungheria) (in prosieguo: l’«Ufficio») in
merito alla decisione con la quale quest’ultimo respingeva la domanda di asilo
presentata da F e constatava che non vi erano ostacoli al suo respingimento.
Contesto normativo
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali
3 L’articolo
8, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, così
dispone:
«Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita
privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza».
Diritto dell’Unione
Direttiva 2005/85/CE
4 L’articolo
2, lettera e), della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre
2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai
fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005,
L 326, pag. 13, e rettifica in GU 2006, L 236, pag. 36), è
così redatto:
«Ai fini della presente direttiva, si intende per:
(...)
e) “autorità
accertante”: qualsiasi organo quasi giurisdizionale o amministrativo di uno
Stato membro che sia competente ad esaminare le domande di asilo e a prendere
una decisione di primo grado al riguardo, fatto salvo l’allegato I».
5 L’articolo
4, paragrafo 1, primo comma, di detta direttiva dispone quanto segue:
«Per tutti i procedimenti gli Stati membri designano
un’autorità che sarà competente per l’esame adeguato delle domande a norma
della presente direttiva (...)».
6 L’articolo
8, paragrafo 2, della citata direttiva afferma quanto segue:
«Gli Stati membri provvedono affinché le decisioni
dell’autorità accertante relative alle domande di asilo siano adottate previo
congruo esame (...)».
7 L’articolo
13, paragrafo 3, della stessa direttiva così prevede:
«Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché
il colloquio personale si svolga in condizioni che consentano al richiedente di
esporre in modo esauriente i motivi della sua domanda. A tal fine gli Stati membri:
a) provvedono
affinché la persona incaricata di condurre il colloquio abbia la competenza
sufficiente per tener conto del contesto personale o generale in cui nasce la
domanda, compresa l’origine culturale o la vulnerabilità del richiedente, per quanto
ciò sia possibile; (...)».
8 L’articolo
39, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2005/85 è redatto nei seguenti termini:
«1. Gli Stati membri
dispongono che il richiedente asilo abbia diritto a un mezzo di impugnazione
efficace dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi:
a) la
decisione sulla sua domanda di asilo, (...)
(...)
2. Gli Stati membri
prevedono i termini e le altre norme necessarie per l’esercizio, da parte del
richiedente, del diritto ad un mezzo di impugnazione efficace di cui al
paragrafo 1».
Direttiva 2011/95
9 Il
considerando 30 della direttiva 2011/95 è formulato come segue:
«È altresì necessario introdurre una definizione comune
del motivo di persecuzione costituito dall’“appartenenza ad un determinato gruppo
sociale”. Per la definizione di un determinato gruppo sociale, occorre tenere
debito conto degli aspetti connessi al sesso del richiedente, tra cui
l’identità di genere e l’orientamento sessuale, che possono essere legati a
determinate tradizioni giuridiche e consuetudini, che comportano ad esempio le
mutilazioni genitali, la sterilizzazione forzata o l’aborto coatto, nella
misura in cui sono correlati al timore fondato del richiedente di subire
persecuzioni».
10 L’articolo
4 della medesima direttiva così dispone:
«1. Gli Stati membri
possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti
gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale. Lo
Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti
gli elementi significativi della domanda.
2. Gli elementi di
cui al paragrafo 1 consistono nelle dichiarazioni del richiedente e in tutta la
documentazione in possesso del richiedente in merito alla sua età, estrazione,
anche, ove occorra, dei congiunti, identità, cittadinanza/e, paese/i e
luogo/luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, domande d’asilo pregresse,
itinerari di viaggio, documenti di viaggio nonché i motivi della sua domanda di
protezione internazionale.
3. L’esame della
domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale
e prevede la valutazione:
a) di tutti i
fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione
della decisione in merito alla domanda, comprese le disposizioni legislative e
regolamentari del paese d’origine e le relative modalità di applicazione;
b) delle
dichiarazioni e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente che
deve anche render noto se ha già subito o rischia di subire persecuzioni o
danni gravi;
c) della
situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in
particolare l’estrazione, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base
alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe
essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave;
d) dell’eventualità
che le attività svolte dal richiedente dopo aver lasciato il paese d’origine
abbiano mirato esclusivamente o principalmente a creare le condizioni necessarie
alla presentazione di una domanda di protezione internazionale, al fine di
stabilire se dette attività espongano il richiedente a persecuzione o a danno
grave in caso di rientro nel paese;
e) dell’eventualità
che ci si possa ragionevolmente attendere dal richiedente un ricorso alla
protezione di un altro paese di cui potrebbe dichiararsi cittadino.
(...)
5. Quando gli Stati
membri applicano il principio in base al quale il richiedente è tenuto a
motivare la sua domanda di protezione internazionale e qualora taluni aspetti
delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o
di altro tipo, la loro conferma non è comunque necessaria se sono soddisfatte
le seguenti condizioni:
a) il
richiedente ha compiuto sinceri sforzi per circostanziare la domanda;
b) tutti gli
elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una
spiegazione soddisfacente dell’eventuale mancanza di altri elementi
significativi;
c) le
dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in
contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso
di cui si dispone;
d) il
richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima
possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto buoni motivi per
ritardarla; e
e) è accertato
che il richiedente è in generale attendibile».
11 L’articolo
10 di detta direttiva così dispone:
«1. Nel valutare i
motivi di persecuzione, gli Stati membri tengono conto dei seguenti elementi:
(...)
d) si
considera che un gruppo costituisce un particolare gruppo sociale in
particolare quando:
– i
membri di tale gruppo condividono una caratteristica innata o una storia comune
che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che
è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe
essere costretta a rinunciarvi, e
– tale
gruppo possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è
percepito come diverso dalla società circostante.
In funzione delle circostanze nel paese d’origine, un
particolare gruppo sociale può includere un gruppo fondato sulla caratteristica
comune dell’orientamento sessuale. L’interpretazione dell’espressione
“orientamento sessuale” non può includere atti penalmente rilevanti ai sensi
del diritto interno degli Stati membri. (...)
(...)
2. Nell’esaminare se
un richiedente abbia un timore fondato di essere perseguitato è irrilevante che
il richiedente possegga effettivamente le caratteristiche razziali, religiose,
nazionali, sociali o politiche che provocano gli atti di persecuzione, purché
una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall’autore delle
persecuzioni».
12 L’articolo
39, paragrafo 1, primo comma, della stessa direttiva così prevede:
«Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi agli
articoli 1, 2, 4, 7, 8, 9, 10, 11, 16, 19, 20, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29,
30, 31, 32, 33, 34 e 35 entro 21 dicembre 2013. Essi comunicano immediatamente
alla Commissione il testo di tali disposizioni».
13 L’articolo
40, primo comma, della direttiva 2011/95 così recita:
«La direttiva 2004/83/CE è abrogata per gli Stati membri
vincolati dalla presente direttiva con effetto a decorrere da[l] 21 dicembre
2013 (...)».
Direttiva 2013/32/UE
14 L’articolo
4, paragrafo 1, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del
riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU
2013, L 180, pag. 60), dispone quanto segue:
«Per tutti i procedimenti gli Stati membri designano
un’autorità che sarà competente per l’esame adeguato delle domande a norma
della presente direttiva. Gli Stati membri provvedono affinché tale autorità
disponga di mezzi appropriati, in particolare di personale competente in numero
sufficiente, per assolvere ai suoi compiti ai sensi della presente direttiva».
15 L’articolo
10, paragrafo 3, della medesima direttiva enuncia quanto segue:
«Gli Stati membri provvedono affinché le decisioni
dell’autorità accertante relative alle domande di protezione internazionale
siano adottate previo congruo esame. A tal fine gli Stati membri dispongono:
(...)
d) che il
personale incaricato di esaminare le domande e decidere in merito abbia la
possibilità di consultare esperti, laddove necessario, su aspetti particolari
come quelli d’ordine medico, culturale, religioso, di genere o inerenti ai
minori».
16 L’articolo
15, paragrafo 3, di tale direttiva prevede quanto segue:
«Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché
il colloquio personale si svolga in condizioni che consentano al richiedente di
esporre in modo esauriente i motivi della sua domanda. A tal fine gli Stati
membri:
a) provvedono
affinché la persona incaricata di condurre il colloquio abbia la competenza per
tener conto del contesto personale e generale in cui nasce la domanda, compresa
l’origine culturale, il genere, l’orientamento sessuale, l’identità sessuale o
la vulnerabilità del richiedente;
(...)».
17 L’articolo
46, paragrafi 1 e 4, della medesima direttiva così dispone:
«1. Gli Stati membri
dispongono che il richiedente abbia diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un
giudice avverso i seguenti casi:
a) la
decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, compresa la
decisione:
i) di ritenere
la domanda infondata in relazione allo status di rifugiato e/o allo status di
protezione sussidiaria;
(...)
4. Gli Stati membri
prevedono termini ragionevoli e le altre norme necessarie per l’esercizio, da
parte del richiedente, del diritto ad un ricorso effettivo di cui al paragrafo
1. (...)
(...)».
18 L’articolo
51, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 prevede quanto segue:
«Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi agli
articoli da 1 a 30, all’articolo 31, paragrafi 1, 2 e da 6 a 9, agli articoli
da 32 a 46, agli articoli 49 e 50 e all’allegato I entro il 20 luglio 2015.
Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni».
19 L’articolo
52, primo comma, di tale direttiva è del seguente tenore:
«Gli Stati membri applicano le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative di cui all’articolo 51, paragrafo 1, alle
domande di protezione internazionale presentate e alle procedure di revoca
della protezione internazionale avviate dopo il 20 luglio 2015 o ad una data
precedente. Alle domande presentate prima del 20 luglio 2015 e alle procedure
di revoca dello status di rifugiato avviate prima di tale data si applicano le
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate ai sensi
della direttiva 2005/85/CE».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
20 F
ha proposto, nel corso del mese di aprile 2015, una domanda di asilo presso le
autorità ungheresi.
21 A
sostegno di tale domanda ha fatto valere, fin dal primo colloquio condotto
dall’Ufficio, che aveva motivo di temere una persecuzione nel suo paese
d’origine a causa della propria omosessualità.
22 Con
decisione del 1° ottobre 2015, l’Ufficio ha respinto detta domanda. Al
riguardo esso considerava che le dichiarazioni di F. non presentavano
contraddizioni fondamentali, ma concludeva che quest’ultimo non era credibile
sulla base di una perizia effettuata da uno psicologo. Questa perizia
comprendeva un esame esplorativo, un esame della personalità e vari test di
personalità, vale a dire un esame effettuato in base al disegno di una persona
sotto la pioggia e i test di Rorschach e Szondi, e conteneva la conclusione che
non era possibile confermare l’affermazione di F relativa al suo orientamento
sessuale.
23 F
ha impugnato la decisione dell’Ufficio dinanzi al giudice del rinvio,
sostenendo in particolare che i test psicologici da lui subiti avevano
gravemente violato i suoi diritti fondamentali, senza consentire di valutare
l’attendibilità del suo orientamento sessuale.
24 Il
giudice del rinvio rileva che il ricorrente nel procedimento principale non è
stato in grado di indicare concretamente in che modo tali test violassero i
diritti fondamentali garantiti dalla Carta. Esso precisa inoltre che il
ricorrente ha dichiarato di non essere stato sottoposto ad alcun esame fisico,
né di essere stato costretto a guardare immagini o filmati di contenuto
pornografico.
25 A
seguito di una misura istruttoria disposta dal giudice del rinvio,
l’Igazságügyi Szakértői és Kutató Intézet (Istituto degli esperti e ricercatori
giudiziari, Ungheria) ha redatto una relazione peritale da cui risulta che i
metodi utilizzati nel corso del procedimento di esame di domanda di asilo non
ledono la dignità umana e possono, a fianco di una «ricerca adeguata», dare
un’immagine dell’orientamento sessuale di una persona, nonché, se del caso,
rimettere in discussione la fondatezza delle affermazioni di una persona al
riguardo. Il giudice del rinvio precisa che si considera vincolato dalle
conclusioni contenute in tale relazione.
26 Date
tali circostanze, lo Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale
amministrativo e del lavoro di Szeged, Ungheria) ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se
l’articolo 4 della direttiva 2011/95 debba essere interpretato, alla luce
dell’articolo 1 della Carta, nel senso che esso non osta a che, in relazione a
richiedenti asilo appartenenti alla comunità lesbiche, gay, bisessuali,
transgender e intersessuali (LGBTI), si richieda e si valuti la perizia di uno
psicologo forense, basata su test proiettivi della personalità, quando per la
sua elaborazione non si pongano domande sui comportamenti sessuali del
richiedente asilo, né tantomeno si sottoponga quest’ultimo a un esame fisico.
2) Qualora la
perizia di cui alla prima questione non possa essere utilizzata come elemento di
prova, se l’articolo 4 della direttiva 2011/95 debba essere interpretato, alla
luce dell’articolo 1 della Carta, nel senso che, quando la domanda di asilo si
fonda sulla persecuzione basata sull’orientamento sessuale, né le autorità
amministrative nazionali, né quelle giurisdizionali possono esaminare,
attraverso metodi peritali, la veridicità delle affermazioni del richiedente
asilo, a prescindere dalle peculiarità di detti metodi».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla seconda questione
27 Con
la sua seconda questione, che occorre esaminare in primo luogo, il giudice del
rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4 della direttiva 2011/95 debba
essere interpretato nel senso che osta a che l’autorità competente per l’esame
delle domande di protezione internazionale o i giudici aditi, se del caso, di
un ricorso contro una decisione di tale autorità, dispongano una perizia
nell’ambito dell’esame dei fatti e delle circostanze riguardanti l’asserito
orientamento sessuale di un richiedente.
28 È
importante sottolineare che le dichiarazioni di un richiedente protezione
internazionale relative al suo orientamento sessuale costituiscono, tenuto
conto del contesto particolare in cui si inseriscono le domande di protezione
internazionale, soltanto il punto di partenza nel processo di esame dei fatti e
delle circostanze previsto all’articolo 4 della direttiva 2011/95 (v., per
analogia, sentenza del 2 dicembre 2014, A e a., da C‑148/13 a C‑150/13,
EU:C:2014:2406, punto 49).
29 Ne
consegue che, benché spetti al richiedente protezione internazionale
identificare tale orientamento, che costituisce un elemento rientrante nella
sua sfera personale, le domande di protezione internazionale motivate da un
timore di persecuzione a causa di detto orientamento, così come le domande
fondate su altri motivi di persecuzione, possono essere oggetto del processo di
valutazione previsto all’articolo 4 della medesima direttiva (v., per analogia,
sentenza del 2 dicembre 2014, A e a., da C‑148/13 a C‑150/13,
EU:C:2014:2406, punto 52).
30 A
tale riguardo, occorre ricordare che l’orientamento sessuale è un elemento
idoneo a dimostrare l’appartenenza del richiedente ad un particolare gruppo
sociale, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 2011/95, quando
il gruppo delle persone i cui membri condividono lo stesso orientamento
sessuale è percepito dalla società circostante come diverso (v., in tal senso,
sentenza del 7 novembre 2013, X e a., da C‑199/12 a C‑201/12,
EU:C:2013:720, punti 46 e 47), come conferma del resto l’articolo 10, paragrafo
1, lettera d), di tale direttiva.
31 Tuttavia,
risulta dall’articolo 10, paragrafo 2, di tale direttiva che, quando gli Stati
membri valutano se un richiedente ha un fondato timore di essere perseguitato,
è irrilevante se egli possegga effettivamente la caratteristica relativa
all’appartenenza a un determinato gruppo sociale all’origine della
persecuzione, sempre che tale caratteristica gli sia attribuita dall’autore
della persecuzione.
32 Pertanto,
non è sempre necessario, per pronunciarsi su una domanda di protezione
internazionale motivata da un timore di persecuzione a causa dell’orientamento
sessuale, valutare l’attendibilità dell’orientamento sessuale del richiedente
nell’ambito dell’esame dei fatti e delle circostanze previsto all’articolo 4 di
detta direttiva.
33 Ciò
considerato, si deve rilevare che l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva
2011/95 elenca gli elementi di cui le autorità competenti devono tener conto al
momento dell’esame individuale di una domanda di protezione internazionale e
che l’articolo 4, paragrafo 5, di tale direttiva precisa le condizioni nelle
quali uno Stato membro, che applica il principio secondo cui spetta al
richiedente motivare la domanda, deve considerare che taluni aspetti delle
dichiarazioni del richiedente non richiedono conferma. Tali condizioni
comprendono, in particolare, il fatto che le dichiarazioni del richiedente
siano ritenute coerenti e plausibili e non siano in contraddizione con le
informazioni generali e specifiche note e pertinenti alla sua domanda, e la
circostanza che abbia potuto essere accertata la generale credibilità del
richiedente.
34 A
tale proposito, occorre constatare che tali disposizioni non limitano i mezzi
di cui possono disporre tali autorità e, in particolare, non escludono il
ricorso alle perizie nell’ambito del processo di valutazione dei fatti e delle
circostanze al fine di stabilire con maggiore precisione le reali esigenze di
protezione internazionale del richiedente.
35 Tuttavia,
le modalità di un eventuale ricorso, in tale contesto, a una perizia, devono
essere conformi alle altre disposizioni di diritto dell’Unione pertinenti, in
particolare ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta, quali il diritto al
rispetto della dignità umana, sancito all’articolo 1 della Carta, nonché il
diritto al rispetto della vita privata e familiare, garantito dall’articolo 7
della medesima (v., in tal senso, sentenza del 2 dicembre 2014, A e a., da
C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 53).
36 Anche
se le disposizioni dell’articolo 4 della direttiva 2011/95 sono applicabili a
tutte le domande di protezione internazionale, a prescindere dai motivi di
persecuzione addotti a sostegno di tali domande, spetta alle autorità
competenti adeguare le loro modalità di valutazione delle dichiarazioni e degli
elementi di prova documentali o di altro tipo in funzione delle caratteristiche
proprie di ciascuna categoria di domanda di protezione internazionale nel
rispetto dei diritti garantiti dalla Carta (v., per analogia, sentenza del 2
dicembre 2014, A e a., da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 54).
37 Non
si può escludere che, nel particolare contesto della valutazione delle
dichiarazioni di un richiedente protezione internazionale relative al suo
orientamento sessuale, alcune forme di consulenza si rivelino utili per l’esame
dei fatti e delle circostanze e si possa ricorrere ad esse senza compromettere
i diritti fondamentali di tale richiedente.
38 Infatti,
come sottolineato dai governi francese e dei Paesi Bassi, il ricorso a un
esperto può, in particolare, consentire di raccogliere informazioni più
complete sulla situazione delle persone che condividono un determinato
orientamento sessuale nel paese terzo di cui è originario il richiedente.
39 L’articolo
10, paragrafo 3, lettera d), della direttiva 2013/32, che doveva, conformemente
all’articolo 51, paragrafo 1, di quest’ultima, essere recepito entro il 20
luglio 2015, prevede peraltro specificamente che gli Stati membri assicurano
che il personale incaricato di esaminare le domande e decidere in merito abbia
la possibilità di consultare esperti, laddove necessario, su aspetti
particolari come le questioni legate al genere, le quali specificamente
comprendono, come risulta dal considerando 30 della direttiva 2011/95, le
questioni relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale.
40 Tuttavia,
occorre rilevare, da un lato, che tanto dagli articoli 4, paragrafo 1, e 8,
paragrafo 2, della direttiva 2005/85, quanto dagli articoli 4, paragrafo 1, e
10, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, risulta che l’autorità accertante è
competente a procedere ad un esame adeguato delle domande, in esito al quale
essa prenderà una decisione sulle stesse. Spetta, pertanto, solo a tali
autorità procedere, sotto il controllo del giudice, all’esame dei fatti e delle
circostanze previsto all’articolo 4 della direttiva 2011/95 (v., in tale senso,
sentenza del 26 febbraio 2015, Shepherd, C‑472/13, EU:C:2015:117, punto 40).
41 Risulta,
d’altro canto, dall’articolo 4 di tale direttiva che l’esame della domanda di
protezione internazionale deve comprendere una valutazione individuale di tale
domanda, tenendo conto, in particolare, di tutti i fatti pertinenti che
riguardano il paese d’origine dell’interessato al momento di statuire sulla
domanda, informazioni e documenti pertinenti presentati da quest’ultimo e lo
status individuale e la situazione personale di quest’ultimo. Se necessario,
l’autorità competente deve inoltre prendere in considerazione le spiegazioni
fornite in merito alla mancanza di elementi probanti e l’attendibilità generale
del richiedente (v., per analogia, sentenze del 26 febbraio 2015, Shepherd, C‑472/13,
EU:C:2015:117, punto 26, e del 9 febbraio 2017, M, C‑560/14, EU:C:2017:101,
punto 36).
42 Ne
consegue che l’autorità accertante non può fondare la propria decisione solo
sulle conclusioni di una relazione peritale e che tale autorità non può, a
fortiori, essere vincolata da tali conclusioni nel valutare le dichiarazioni di
un richiedente relative al suo orientamento sessuale.
43 Per
quanto riguarda la possibilità, per un giudice investito di un ricorso diretto
contro una decisione dell’autorità accertante recante rigetto della domanda di
protezione internazionale, di disporre una perizia, occorre aggiungere che sia
l’articolo 39, paragrafo 1, della direttiva 2005/85, sia l’articolo 46,
paragrafo 1, della direttiva 2013/32, prevedono che il richiedente ha diritto a
un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso tale decisione, senza
delimitare specificamente i mezzi istruttori che tale giudice ha il diritto di
disporre.
44 L’articolo
39, paragrafo 2, della direttiva 2005/85 e l’articolo 46, paragrafo 4, della
direttiva 2013/32 precisano, peraltro, che spetta agli Stati membri stabilire
le norme necessarie per l’esercizio, da parte del richiedente, del diritto ad
un ricorso effettivo.
45 Se
tali disposizioni non escludono pertanto che un giudice disponga una perizia al
fine di procedere a un controllo effettivo della decisione dell’autorità
accertante, ciò non toglie che, tenuto conto, da un lato, del ruolo specifico
assegnato ai giudici dall’articolo 39 della direttiva 2005/85 e dall’articolo
46 della direttiva 2013/32 e, dall’altro, delle considerazioni relative
all’articolo 4 della direttiva 2011/95, figuranti al punto 41 della presente
sentenza, il giudice adito non può fondare la propria decisione solo sulle
conclusioni di una perizia e non può, a fortiori, essere vincolato dalla
valutazione delle dichiarazioni di un richiedente relative al proprio
orientamento sessuale contenuta in tali conclusioni.
46 Alla
luce di tali elementi, occorre rispondere alla seconda questione che l’articolo
4 della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che non osta a che
l’autorità competente per l’esame delle domande di protezione internazionale o
i giudici aditi, se del caso, con un ricorso contro una decisione di tale
autorità, dispongano una perizia nell’ambito dell’esame dei fatti e delle
circostanze riguardanti l’asserito orientamento sessuale di un richiedente,
purché le modalità di tale perizia siano conformi ai diritti fondamentali
garantiti dalla Carta, detta autorità e tali giudici non fondino la loro
decisione esclusivamente sulle conclusioni della relazione peritale e non siano
vincolati da tali conclusioni nella valutazione delle dichiarazioni di tale
richiedente relative al suo orientamento sessuale.
Sulla prima questione
47 Con
la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se
l’articolo 4 della direttiva 2011/95, letto alla luce della Carta, debba essere
interpretato nel senso che osta all’esecuzione e all’utilizzo, al fine di
valutare la veridicità dell’orientamento sessuale dichiarato da un richiedente
protezione internazionale, di una perizia psicologica, come quella oggetto del
procedimento principale, che ha per scopo, sulla base di test proiettivi della
personalità, di fornire un’immagine dell’orientamento sessuale di tale
richiedente.
48 Emerge
dalla risposta fornita alla seconda questione e dalle considerazioni esposte al
punto 35 della presente sentenza che, se è vero che l’articolo 4 della
direttiva 2011/95 non osta a che l’autorità accertante o i giudici cui è
presentato un ricorso contro una decisione di tale autorità dispongano, in una
situazione come quella di cui al procedimento principale, una perizia, le
modalità di ricorso a tale perizia devono essere conformi, in particolare, ai
diritti fondamentali garantiti dalla Carta.
49 Tra
i diritti fondamentali che presentano una rilevanza specifica, nell’ambito
della valutazione delle dichiarazioni di un richiedente protezione
internazionale, relative all’orientamento sessuale di quest’ultimo, figura in
particolare il diritto al rispetto della vita privata e familiare, come sancito
all’articolo 7 della Carta (v., in tal senso, sentenza del 2 dicembre 2014, A
e a., da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 64).
50 L’articolo
4 della direttiva 2011/95 deve, pertanto, essere interpretato alla luce dell’
articolo 7 della Carta (v., per analogia, sentenza del 21 aprile 2016, Khachab,
C‑558/14, EU:C:2016:285, punto 28).
51 A
tale riguardo, occorre rilevare che una perizia psicologica, come quella di cui
al procedimento principale, è disposta dall’autorità accertante nell’ambito del
procedimento di esame della domanda di protezione internazionale presentata
dalla persona interessata.
52 Ne
consegue che tale perizia è realizzata in un contesto in cui la persona
chiamata a sottoporsi a test proiettivi della personalità si trova in una
situazione in cui il suo futuro è fortemente dipendente dall’esito riservato da
tale autorità alla sua domanda di protezione internazionale e in cui un
eventuale rifiuto di sottoporsi a tali test può costituire un elemento
importante su cui detta autorità si baserà allo scopo di stabilire se detta
domanda sia stata sufficientemente motivata.
53 Pertanto,
anche nel caso in cui l’esecuzione dei test psicologici su cui basare una
perizia, come quella di cui al procedimento principale, sia formalmente
subordinata al consenso della persona interessata, si deve considerare che tale
consenso non è necessariamente libero, ma di fatto imposto dalla pressione
delle circostanze in cui si trovano i richiedenti protezione internazionale
(v., per analogia, sentenza del 2 dicembre 2014, A e a., da C‑148/13 a C‑150/13,
EU:C:2014:2406, punto 66).
54 In
tali circostanze, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 43 delle
sue conclusioni, la realizzazione e l’utilizzo di una perizia psicologica come
quella di cui trattasi nel procedimento principale costituisce un’ingerenza nel
diritto della persona in questione al rispetto della sua vita privata.
55 Conformemente
all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, eventuali limitazioni all’esercizio
dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla medesima devono essere previste
dalla legge e rispettare il loro contenuto essenziale. Nel rispetto del
principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni all’esercizio
di tali diritti e libertà solo laddove siano necessarie e rispondano
effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione
europea o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
56 Relativamente,
in particolare, alla proporzionalità dell’ingerenza constatata, va rammentato
che il principio di proporzionalità, richiede, secondo una costante
giurisprudenza della Corte, che gli atti adottati non superino i limiti di
quanto idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti
dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che gli inconvenienti causati
dalla stessa non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti
(v., in tal senso, sentenze del 10 marzo 2005, Tempelman e van Schaijk, C‑96/03
e C‑97/03, EU:C:2005:145, punto 47; del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie
Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punto 123, nonché del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU,
EU:C:2016:84, punto 54).
57 In
questo contesto, se un’ingerenza nella vita privata di un richiedente può
essere giustificata dalla ricerca di elementi che consentano di valutarne le
reali esigenze di protezione internazionale, spetta all’autorità accertante di
valutare, sotto il controllo del giudice, il carattere appropriato e necessario
alla realizzazione di tale obiettivo di una perizia psicologica che essa
intende ordinare o di cui desidera tenere conto.
58 A
tale riguardo, si deve sottolineare che il carattere appropriato di una perizia
come quella di cui trattasi nel procedimento principale può essere ammesso solo
se quest’ultima è fondata su metodi e principi sufficientemente affidabili alla
luce degli standard riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale. Si
deve rilevare al riguardo che, se è vero che non spetta alla Corte pronunciarsi
su tale questione, che risulta, comportando una valutazione dei fatti, di
competenza del giudice nazionale, l’affidabilità di tale perizia è stata
fortemente contestata dai governi francese e dei Paesi Bassi, nonché dalla
Commissione.
59 In
ogni caso, l’impatto di una perizia come quella di cui al procedimento
principale sulla vita privata del richiedente appare sproporzionato rispetto
all’obiettivo perseguito, dal momento che la gravità dell’ingerenza nel diritto
al rispetto della vita privata che essa integra non può essere considerata
proporzionata all’utilità che tale perizia potrebbe eventualmente presentare
per l’esame dei fatti e delle circostanze previsto all’articolo 4 della
direttiva 2011/95.
60 Infatti,
in primo luogo, l’ingerenza nella vita privata del richiedente protezione
internazionale costituita dall’esecuzione e dall’utilizzo di una perizia, come
quella di cui al procedimento principale, presenta, alla luce della natura e
della finalità di quest’ultima, una particolare gravità.
61 Infatti,
tale perizia si basa in particolare sul fatto che la persona interessata si
sottopone a una serie di test psicologici volti ad accertare un elemento
essenziale dell’identità di tale persona, che riguarda la sua sfera personale,
poiché si riferisce ad aspetti intimi della vita della stessa (v., in tal
senso, sentenze del 7 novembre 2013, X e a., da C‑199/12 a C‑201/12,
EU:C:2013:720, punto 46, nonché del 2 dicembre 2014, A e a., da C‑148/13 a
C‑150/13, EU:C:2014:2406, punti 52 e 69).
62 Occorre
inoltre tenere conto, al fine di valutare la gravità dell’ingerenza costituita
dall’esecuzione e dall’utilizzo di una perizia psicologica come quella di cui
al procedimento principale, del principio 18 dei principi di Yogyakarta
sull’applicazione del diritto internazionale in materia di diritti umani in
tema di orientamento sessuale e di identità di genere, a cui hanno fatto
riferimento i governi francese e dei Paesi Bassi, che precisa, in particolare,
che nessuno può essere costretto a subire una qualsiasi forma di test
psicologico a causa del suo orientamento sessuale o della sua identità di
genere.
63 Risulta
dal combinato disposto di tali elementi che la gravità dell’ingerenza nella
vita privata costituita dall’esecuzione e dall’utilizzo di una perizia, come
quella di cui al procedimento principale, va oltre quanto implicano la
valutazione delle dichiarazioni del richiedente protezione internazionale
relative a un timore di persecuzione a causa del suo orientamento sessuale o il
ricorso ad una perizia psicologica avente uno scopo diverso da quello di
stabilire l’orientamento sessuale di tale richiedente.
64 In
secondo luogo, si deve ricordare che una perizia quale quella di cui trattasi
nel procedimento principale rientra nell’ambito dell’esame dei fatti e delle
circostanze previsto all’articolo 4 della direttiva 2011/95.
65 In
questo contesto, tale perizia non può essere considerata indispensabile per
confermare le dichiarazioni di un richiedente protezione internazionale
relative al proprio orientamento sessuale, al fine di pronunciarsi su una
domanda di protezione internazionale motivata da un timore di persecuzione a
causa di tale orientamento.
66 Infatti,
da una parte, lo svolgimento di un colloquio individuale condotto dal personale
dell’autorità accertante è tale da contribuire alla valutazione di tali
dichiarazioni, dal momento che sia l’articolo 13, paragrafo 3, lettera a),
della direttiva 2005/85 sia l’articolo 15, paragrafo 3, lettera a), della direttiva
2013/32 stabiliscono che gli Stati membri provvedono affinché la persona
incaricata di condurre il colloquio abbia la competenza per tener conto del
contesto personale in cui è presentata la domanda, in particolare
dell’orientamento sessuale del richiedente.
67 Più
in generale, risulta dall’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva che gli
Stati membri sono tenuti a provvedere a che l’autorità accertante disponga di
mezzi appropriati, in particolare di personale competente in numero sufficiente,
per assolvere ai suoi compiti. Ne consegue che il personale di tale autorità
deve in particolare disporre delle competenze adeguate per valutare le
richieste di protezione internazionale che sono motivate da un timore di
persecuzione a causa dell’orientamento sessuale.
68 Dall’altro
lato, risulta dall’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2011/95 che, quando
gli Stati membri applicano il principio in base al quale incombe al richiedente
motivare la propria domanda, le dichiarazioni del richiedente relative al suo
orientamento sessuale che non sono suffragate da prove documentali o di altro
tipo non necessitano di conferma se le condizioni di cui a tale disposizione
sono soddisfatte, dato che tali condizioni si riferiscono, in particolare, alla
coerenza e plausibilità di tali dichiarazioni e non si riferiscono in alcun
modo all’esecuzione o all’impiego di una perizia.
69 Inoltre,
anche supponendo che una perizia basata su testi proiettivi della personalità,
come quella di cui al procedimento principale, possa contribuire a determinare
con una certa affidabilità l’orientamento sessuale dell’interessato, dalle
enunciazioni del giudice del rinvio risulta che le conclusioni di una siffatta
perizia possono soltanto fornire un’immagine di tale orientamento sessuale.
Pertanto, tali conclusioni sono, in ogni caso, approssimative e quindi di
interesse limitato al fine di valutare le dichiarazioni di un richiedente
protezione internazionale, in particolare quando, come nel procedimento
principale, tali dichiarazioni sono prive di contraddizioni.
70 In
tali circostanze, non è necessario, per rispondere alla prima questione,
interpretare l’articolo 4 della direttiva 2011/95 anche alla luce dell’articolo
1 della Carta.
71 Risulta
da quanto precede che occorre rispondere alla prima questione che l’articolo 4
della direttiva 2011/95, letto alla luce dell’articolo 7 della Carta,
dev’essere interpretato nel senso che osta all’esecuzione e all’utilizzo, al
fine di valutare la veridicità dell’orientamento sessuale dichiarato da un
richiedente protezione internazionale, di una perizia psicologica, come quella
oggetto del procedimento principale, che ha per scopo, sulla base di test
proiettivi della personalità, di fornire un’immagine dell’orientamento sessuale
di tale richiedente.
Sulle spese
72 Nei
confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce
un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire
sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni
alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione)
dichiara:
1) L’articolo 4
della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13
dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o
apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno
status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare
della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione
riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che non osta a che l’autorità
competente per l’esame delle domande di protezione internazionale o i giudici
eventualmente aditi con un ricorso contro una decisione di tale autorità,
dispongano una perizia nell’ambito dell’esame dei fatti e delle circostanze
riguardanti l’asserito orientamento sessuale di un richiedente, purché le
modalità di tale perizia siano conformi ai diritti fondamentali garantiti dalla
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, detta autorità e tali
giudici non fondino la loro decisione esclusivamente sulle conclusioni
contenute nella relazione peritale e non siano vincolati da tali conclusioni
nella valutazione delle dichiarazioni di tale richiedente relative al suo
orientamento sessuale.
2) L’articolo 4
della direttiva 2011/95, letto alla luce dell’articolo 7 della Carta dei
diritti fondamentali, dev’essere interpretato nel senso che osta all’esecuzione
e all’utilizzo, al fine di valutare la veridicità dell’orientamento sessuale
dichiarato da un richiedente protezione internazionale, di una perizia
psicologica, come quella oggetto del procedimento principale, che ha per scopo,
sulla base di test proiettivi della personalità, di fornire un’immagine
dell’orientamento sessuale di tale richiedente.
Dal sito http://curia.europa.eu