sabato 27 gennaio 2018



Corte di Giustizia UE 25 gennaio 2018, n. C-473/16

«Rinvio pregiudiziale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 7 – Rispetto della vita privata e familiare – Direttiva 2011/95/UE – Norme relative alle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Timore di persecuzione a causa dell’orientamento sessuale – Articolo 4 – Esame dei fatti e delle circostanze – Ricorso a una perizia – Test psicologici»










1)      L’articolo 4 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che non osta a che l’autorità competente per l’esame delle domande di protezione internazionale o i giudici eventualmente aditi con un ricorso contro una decisione di tale autorità, dispongano una perizia nell’ambito dell’esame dei fatti e delle circostanze riguardanti l’asserito orientamento sessuale di un richiedente, purché le modalità di tale perizia siano conformi ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, detta autorità e tali giudici non fondino la loro decisione esclusivamente sulle conclusioni contenute nella relazione peritale e non siano vincolati da tali conclusioni nella valutazione delle dichiarazioni di tale richiedente relative al suo orientamento sessuale.
2)      L’articolo 4 della direttiva 2011/95, letto alla luce dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali, dev’essere interpretato nel senso che osta all’esecuzione e all’utilizzo, al fine di valutare la veridicità dell’orientamento sessuale dichiarato da un richiedente protezione internazionale, di una perizia psicologica, come quella oggetto del procedimento principale, che ha per scopo, sulla base di test proiettivi della personalità, di fornire un’immagine dell’orientamento sessuale di tale richiedente.








Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
25 gennaio 2018
Nella causa C‑473/16,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, Ungheria), con decisione dell’8 agosto 2016, pervenuta in cancelleria il 29 agosto 2016, nel procedimento
F
contro
Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta da L. Bay Larsen (relatore), presidente di sezione, J. Malenovský, M. Safjan, D. Šváby e M. Vilaras, giudici,
avvocato generale: N. Wahl
cancelliere: R. Șereș, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 luglio 2017,
considerate le osservazioni presentate:
–        per F, da T. Fazekas e Z.B. Barcza-Szabó, ügyvédek;
–        per il governo ungherese, da M.Z. Fehér, G. Koós e M.M. Tátrai, in qualità di agenti;
–        per il governo francese, da D. Colas, E. de Moustier ed E. Armoët, in qualità di agenti;
–        per il governo dei Paesi Bassi, da M. Gijzen e M. Bulterman, in qualità di agenti;
–        per la Commissione europea, da M. Condou-Durande e A. Tokár, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 5 ottobre 2017,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e dell’articolo 4 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra F, cittadino nigeriano, e il Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal (ufficio per l’immigrazione e la cittadinanza, Ungheria) (in prosieguo: l’«Ufficio») in merito alla decisione con la quale quest’ultimo respingeva la domanda di asilo presentata da F e constatava che non vi erano ostacoli al suo respingimento.
 Contesto normativo
 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
3        L’articolo 8, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, così dispone:
«Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza».
 Diritto dell’Unione
 Direttiva 2005/85/CE
4        L’articolo 2, lettera e), della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13, e rettifica in GU 2006, L 236, pag. 36), è così redatto:
«Ai fini della presente direttiva, si intende per:
(...)
e)      “autorità accertante”: qualsiasi organo quasi giurisdizionale o amministrativo di uno Stato membro che sia competente ad esaminare le domande di asilo e a prendere una decisione di primo grado al riguardo, fatto salvo l’allegato I».
5        L’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, di detta direttiva dispone quanto segue:
«Per tutti i procedimenti gli Stati membri designano un’autorità che sarà competente per l’esame adeguato delle domande a norma della presente direttiva (...)».
6        L’articolo 8, paragrafo 2, della citata direttiva afferma quanto segue:
«Gli Stati membri provvedono affinché le decisioni dell’autorità accertante relative alle domande di asilo siano adottate previo congruo esame (...)».
7        L’articolo 13, paragrafo 3, della stessa direttiva così prevede:
«Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché il colloquio personale si svolga in condizioni che consentano al richiedente di esporre in modo esauriente i motivi della sua domanda. A tal fine gli Stati membri:
a)      provvedono affinché la persona incaricata di condurre il colloquio abbia la competenza sufficiente per tener conto del contesto personale o generale in cui nasce la domanda, compresa l’origine culturale o la vulnerabilità del richiedente, per quanto ciò sia possibile; (...)».
8        L’articolo 39, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2005/85 è redatto nei seguenti termini:
«1.      Gli Stati membri dispongono che il richiedente asilo abbia diritto a un mezzo di impugnazione efficace dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi:
a)      la decisione sulla sua domanda di asilo, (...)
(...)
2.      Gli Stati membri prevedono i termini e le altre norme necessarie per l’esercizio, da parte del richiedente, del diritto ad un mezzo di impugnazione efficace di cui al paragrafo 1».
 Direttiva 2011/95
9        Il considerando 30 della direttiva 2011/95 è formulato come segue:
«È altresì necessario introdurre una definizione comune del motivo di persecuzione costituito dall’“appartenenza ad un determinato gruppo sociale”. Per la definizione di un determinato gruppo sociale, occorre tenere debito conto degli aspetti connessi al sesso del richiedente, tra cui l’identità di genere e l’orientamento sessuale, che possono essere legati a determinate tradizioni giuridiche e consuetudini, che comportano ad esempio le mutilazioni genitali, la sterilizzazione forzata o l’aborto coatto, nella misura in cui sono correlati al timore fondato del richiedente di subire persecuzioni».
10      L’articolo 4 della medesima direttiva così dispone:
«1.      Gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale. Lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda.
2.      Gli elementi di cui al paragrafo 1 consistono nelle dichiarazioni del richiedente e in tutta la documentazione in possesso del richiedente in merito alla sua età, estrazione, anche, ove occorra, dei congiunti, identità, cittadinanza/e, paese/i e luogo/luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, domande d’asilo pregresse, itinerari di viaggio, documenti di viaggio nonché i motivi della sua domanda di protezione internazionale.
3.      L’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione:
a)      di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda, comprese le disposizioni legislative e regolamentari del paese d’origine e le relative modalità di applicazione;
b)      delle dichiarazioni e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente che deve anche render noto se ha già subito o rischia di subire persecuzioni o danni gravi;
c)      della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l’estrazione, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave;
d)      dell’eventualità che le attività svolte dal richiedente dopo aver lasciato il paese d’origine abbiano mirato esclusivamente o principalmente a creare le condizioni necessarie alla presentazione di una domanda di protezione internazionale, al fine di stabilire se dette attività espongano il richiedente a persecuzione o a danno grave in caso di rientro nel paese;
e)      dell’eventualità che ci si possa ragionevolmente attendere dal richiedente un ricorso alla protezione di un altro paese di cui potrebbe dichiararsi cittadino.
(...)
5.      Quando gli Stati membri applicano il principio in base al quale il richiedente è tenuto a motivare la sua domanda di protezione internazionale e qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, la loro conferma non è comunque necessaria se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
a)      il richiedente ha compiuto sinceri sforzi per circostanziare la domanda;
b)      tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una spiegazione soddisfacente dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi;
c)      le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone;
d)      il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto buoni motivi per ritardarla; e
e)      è accertato che il richiedente è in generale attendibile».
11      L’articolo 10 di detta direttiva così dispone:
«1.      Nel valutare i motivi di persecuzione, gli Stati membri tengono conto dei seguenti elementi:
(...)
d)      si considera che un gruppo costituisce un particolare gruppo sociale in particolare quando:
–        i membri di tale gruppo condividono una caratteristica innata o una storia comune che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, e
–        tale gruppo possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante.
In funzione delle circostanze nel paese d’origine, un particolare gruppo sociale può includere un gruppo fondato sulla caratteristica comune dell’orientamento sessuale. L’interpretazione dell’espressione “orientamento sessuale” non può includere atti penalmente rilevanti ai sensi del diritto interno degli Stati membri. (...)
(...)
2.      Nell’esaminare se un richiedente abbia un timore fondato di essere perseguitato è irrilevante che il richiedente possegga effettivamente le caratteristiche razziali, religiose, nazionali, sociali o politiche che provocano gli atti di persecuzione, purché una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall’autore delle persecuzioni».
12      L’articolo 39, paragrafo 1, primo comma, della stessa direttiva così prevede:
«Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi agli articoli 1, 2, 4, 7, 8, 9, 10, 11, 16, 19, 20, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34 e 35 entro 21 dicembre 2013. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni».
13      L’articolo 40, primo comma, della direttiva 2011/95 così recita:
«La direttiva 2004/83/CE è abrogata per gli Stati membri vincolati dalla presente direttiva con effetto a decorrere da[l] 21 dicembre 2013 (...)».
 Direttiva 2013/32/UE
14      L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), dispone quanto segue:
«Per tutti i procedimenti gli Stati membri designano un’autorità che sarà competente per l’esame adeguato delle domande a norma della presente direttiva. Gli Stati membri provvedono affinché tale autorità disponga di mezzi appropriati, in particolare di personale competente in numero sufficiente, per assolvere ai suoi compiti ai sensi della presente direttiva».
15      L’articolo 10, paragrafo 3, della medesima direttiva enuncia quanto segue:
«Gli Stati membri provvedono affinché le decisioni dell’autorità accertante relative alle domande di protezione internazionale siano adottate previo congruo esame. A tal fine gli Stati membri dispongono:
(...)
d)      che il personale incaricato di esaminare le domande e decidere in merito abbia la possibilità di consultare esperti, laddove necessario, su aspetti particolari come quelli d’ordine medico, culturale, religioso, di genere o inerenti ai minori».
16      L’articolo 15, paragrafo 3, di tale direttiva prevede quanto segue:
«Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché il colloquio personale si svolga in condizioni che consentano al richiedente di esporre in modo esauriente i motivi della sua domanda. A tal fine gli Stati membri:
a)      provvedono affinché la persona incaricata di condurre il colloquio abbia la competenza per tener conto del contesto personale e generale in cui nasce la domanda, compresa l’origine culturale, il genere, l’orientamento sessuale, l’identità sessuale o la vulnerabilità del richiedente;
(...)».
17      L’articolo 46, paragrafi 1 e 4, della medesima direttiva così dispone:
«1.      Gli Stati membri dispongono che il richiedente abbia diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi:
a)      la decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, compresa la decisione:
i)      di ritenere la domanda infondata in relazione allo status di rifugiato e/o allo status di protezione sussidiaria;
(...)
4.      Gli Stati membri prevedono termini ragionevoli e le altre norme necessarie per l’esercizio, da parte del richiedente, del diritto ad un ricorso effettivo di cui al paragrafo 1. (...)
(...)».
18      L’articolo 51, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 prevede quanto segue:
«Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi agli articoli da 1 a 30, all’articolo 31, paragrafi 1, 2 e da 6 a 9, agli articoli da 32 a 46, agli articoli 49 e 50 e all’allegato I entro il 20 luglio 2015. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni».
19      L’articolo 52, primo comma, di tale direttiva è del seguente tenore:
«Gli Stati membri applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di cui all’articolo 51, paragrafo 1, alle domande di protezione internazionale presentate e alle procedure di revoca della protezione internazionale avviate dopo il 20 luglio 2015 o ad una data precedente. Alle domande presentate prima del 20 luglio 2015 e alle procedure di revoca dello status di rifugiato avviate prima di tale data si applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate ai sensi della direttiva 2005/85/CE».
 Procedimento principale e questioni pregiudiziali
20      F ha proposto, nel corso del mese di aprile 2015, una domanda di asilo presso le autorità ungheresi.
21      A sostegno di tale domanda ha fatto valere, fin dal primo colloquio condotto dall’Ufficio, che aveva motivo di temere una persecuzione nel suo paese d’origine a causa della propria omosessualità.
22      Con decisione del 1° ottobre 2015, l’Ufficio ha respinto detta domanda. Al riguardo esso considerava che le dichiarazioni di F. non presentavano contraddizioni fondamentali, ma concludeva che quest’ultimo non era credibile sulla base di una perizia effettuata da uno psicologo. Questa perizia comprendeva un esame esplorativo, un esame della personalità e vari test di personalità, vale a dire un esame effettuato in base al disegno di una persona sotto la pioggia e i test di Rorschach e Szondi, e conteneva la conclusione che non era possibile confermare l’affermazione di F relativa al suo orientamento sessuale.
23      F ha impugnato la decisione dell’Ufficio dinanzi al giudice del rinvio, sostenendo in particolare che i test psicologici da lui subiti avevano gravemente violato i suoi diritti fondamentali, senza consentire di valutare l’attendibilità del suo orientamento sessuale.
24      Il giudice del rinvio rileva che il ricorrente nel procedimento principale non è stato in grado di indicare concretamente in che modo tali test violassero i diritti fondamentali garantiti dalla Carta. Esso precisa inoltre che il ricorrente ha dichiarato di non essere stato sottoposto ad alcun esame fisico, né di essere stato costretto a guardare immagini o filmati di contenuto pornografico.
25      A seguito di una misura istruttoria disposta dal giudice del rinvio, l’Igazságügyi Szakértői és Kutató Intézet (Istituto degli esperti e ricercatori giudiziari, Ungheria) ha redatto una relazione peritale da cui risulta che i metodi utilizzati nel corso del procedimento di esame di domanda di asilo non ledono la dignità umana e possono, a fianco di una «ricerca adeguata», dare un’immagine dell’orientamento sessuale di una persona, nonché, se del caso, rimettere in discussione la fondatezza delle affermazioni di una persona al riguardo. Il giudice del rinvio precisa che si considera vincolato dalle conclusioni contenute in tale relazione.
26      Date tali circostanze, lo Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, Ungheria) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se l’articolo 4 della direttiva 2011/95 debba essere interpretato, alla luce dell’articolo 1 della Carta, nel senso che esso non osta a che, in relazione a richiedenti asilo appartenenti alla comunità lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali (LGBTI), si richieda e si valuti la perizia di uno psicologo forense, basata su test proiettivi della personalità, quando per la sua elaborazione non si pongano domande sui comportamenti sessuali del richiedente asilo, né tantomeno si sottoponga quest’ultimo a un esame fisico.
2)      Qualora la perizia di cui alla prima questione non possa essere utilizzata come elemento di prova, se l’articolo 4 della direttiva 2011/95 debba essere interpretato, alla luce dell’articolo 1 della Carta, nel senso che, quando la domanda di asilo si fonda sulla persecuzione basata sull’orientamento sessuale, né le autorità amministrative nazionali, né quelle giurisdizionali possono esaminare, attraverso metodi peritali, la veridicità delle affermazioni del richiedente asilo, a prescindere dalle peculiarità di detti metodi».
 Sulle questioni pregiudiziali
 Sulla seconda questione
27      Con la sua seconda questione, che occorre esaminare in primo luogo, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4 della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che osta a che l’autorità competente per l’esame delle domande di protezione internazionale o i giudici aditi, se del caso, di un ricorso contro una decisione di tale autorità, dispongano una perizia nell’ambito dell’esame dei fatti e delle circostanze riguardanti l’asserito orientamento sessuale di un richiedente.
28      È importante sottolineare che le dichiarazioni di un richiedente protezione internazionale relative al suo orientamento sessuale costituiscono, tenuto conto del contesto particolare in cui si inseriscono le domande di protezione internazionale, soltanto il punto di partenza nel processo di esame dei fatti e delle circostanze previsto all’articolo 4 della direttiva 2011/95 (v., per analogia, sentenza del 2 dicembre 2014, A e a., da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 49).
29      Ne consegue che, benché spetti al richiedente protezione internazionale identificare tale orientamento, che costituisce un elemento rientrante nella sua sfera personale, le domande di protezione internazionale motivate da un timore di persecuzione a causa di detto orientamento, così come le domande fondate su altri motivi di persecuzione, possono essere oggetto del processo di valutazione previsto all’articolo 4 della medesima direttiva (v., per analogia, sentenza del 2 dicembre 2014, A e a., da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 52).
30      A tale riguardo, occorre ricordare che l’orientamento sessuale è un elemento idoneo a dimostrare l’appartenenza del richiedente ad un particolare gruppo sociale, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 2011/95, quando il gruppo delle persone i cui membri condividono lo stesso orientamento sessuale è percepito dalla società circostante come diverso (v., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2013, X e a., da C‑199/12 a C‑201/12, EU:C:2013:720, punti 46 e 47), come conferma del resto l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva.
31      Tuttavia, risulta dall’articolo 10, paragrafo 2, di tale direttiva che, quando gli Stati membri valutano se un richiedente ha un fondato timore di essere perseguitato, è irrilevante se egli possegga effettivamente la caratteristica relativa all’appartenenza a un determinato gruppo sociale all’origine della persecuzione, sempre che tale caratteristica gli sia attribuita dall’autore della persecuzione.
32      Pertanto, non è sempre necessario, per pronunciarsi su una domanda di protezione internazionale motivata da un timore di persecuzione a causa dell’orientamento sessuale, valutare l’attendibilità dell’orientamento sessuale del richiedente nell’ambito dell’esame dei fatti e delle circostanze previsto all’articolo 4 di detta direttiva.
33      Ciò considerato, si deve rilevare che l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95 elenca gli elementi di cui le autorità competenti devono tener conto al momento dell’esame individuale di una domanda di protezione internazionale e che l’articolo 4, paragrafo 5, di tale direttiva precisa le condizioni nelle quali uno Stato membro, che applica il principio secondo cui spetta al richiedente motivare la domanda, deve considerare che taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non richiedono conferma. Tali condizioni comprendono, in particolare, il fatto che le dichiarazioni del richiedente siano ritenute coerenti e plausibili e non siano in contraddizione con le informazioni generali e specifiche note e pertinenti alla sua domanda, e la circostanza che abbia potuto essere accertata la generale credibilità del richiedente.
34      A tale proposito, occorre constatare che tali disposizioni non limitano i mezzi di cui possono disporre tali autorità e, in particolare, non escludono il ricorso alle perizie nell’ambito del processo di valutazione dei fatti e delle circostanze al fine di stabilire con maggiore precisione le reali esigenze di protezione internazionale del richiedente.
35      Tuttavia, le modalità di un eventuale ricorso, in tale contesto, a una perizia, devono essere conformi alle altre disposizioni di diritto dell’Unione pertinenti, in particolare ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta, quali il diritto al rispetto della dignità umana, sancito all’articolo 1 della Carta, nonché il diritto al rispetto della vita privata e familiare, garantito dall’articolo 7 della medesima (v., in tal senso, sentenza del 2 dicembre 2014, A e a., da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 53).
36      Anche se le disposizioni dell’articolo 4 della direttiva 2011/95 sono applicabili a tutte le domande di protezione internazionale, a prescindere dai motivi di persecuzione addotti a sostegno di tali domande, spetta alle autorità competenti adeguare le loro modalità di valutazione delle dichiarazioni e degli elementi di prova documentali o di altro tipo in funzione delle caratteristiche proprie di ciascuna categoria di domanda di protezione internazionale nel rispetto dei diritti garantiti dalla Carta (v., per analogia, sentenza del 2 dicembre 2014, A e a., da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 54).
37      Non si può escludere che, nel particolare contesto della valutazione delle dichiarazioni di un richiedente protezione internazionale relative al suo orientamento sessuale, alcune forme di consulenza si rivelino utili per l’esame dei fatti e delle circostanze e si possa ricorrere ad esse senza compromettere i diritti fondamentali di tale richiedente.
38      Infatti, come sottolineato dai governi francese e dei Paesi Bassi, il ricorso a un esperto può, in particolare, consentire di raccogliere informazioni più complete sulla situazione delle persone che condividono un determinato orientamento sessuale nel paese terzo di cui è originario il richiedente.
39      L’articolo 10, paragrafo 3, lettera d), della direttiva 2013/32, che doveva, conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, di quest’ultima, essere recepito entro il 20 luglio 2015, prevede peraltro specificamente che gli Stati membri assicurano che il personale incaricato di esaminare le domande e decidere in merito abbia la possibilità di consultare esperti, laddove necessario, su aspetti particolari come le questioni legate al genere, le quali specificamente comprendono, come risulta dal considerando 30 della direttiva 2011/95, le questioni relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale.
40      Tuttavia, occorre rilevare, da un lato, che tanto dagli articoli 4, paragrafo 1, e 8, paragrafo 2, della direttiva 2005/85, quanto dagli articoli 4, paragrafo 1, e 10, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, risulta che l’autorità accertante è competente a procedere ad un esame adeguato delle domande, in esito al quale essa prenderà una decisione sulle stesse. Spetta, pertanto, solo a tali autorità procedere, sotto il controllo del giudice, all’esame dei fatti e delle circostanze previsto all’articolo 4 della direttiva 2011/95 (v., in tale senso, sentenza del 26 febbraio 2015, Shepherd, C‑472/13, EU:C:2015:117, punto 40).
41      Risulta, d’altro canto, dall’articolo 4 di tale direttiva che l’esame della domanda di protezione internazionale deve comprendere una valutazione individuale di tale domanda, tenendo conto, in particolare, di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine dell’interessato al momento di statuire sulla domanda, informazioni e documenti pertinenti presentati da quest’ultimo e lo status individuale e la situazione personale di quest’ultimo. Se necessario, l’autorità competente deve inoltre prendere in considerazione le spiegazioni fornite in merito alla mancanza di elementi probanti e l’attendibilità generale del richiedente (v., per analogia, sentenze del 26 febbraio 2015, Shepherd, C‑472/13, EU:C:2015:117, punto 26, e del 9 febbraio 2017, M, C‑560/14, EU:C:2017:101, punto 36).
42      Ne consegue che l’autorità accertante non può fondare la propria decisione solo sulle conclusioni di una relazione peritale e che tale autorità non può, a fortiori, essere vincolata da tali conclusioni nel valutare le dichiarazioni di un richiedente relative al suo orientamento sessuale.
43      Per quanto riguarda la possibilità, per un giudice investito di un ricorso diretto contro una decisione dell’autorità accertante recante rigetto della domanda di protezione internazionale, di disporre una perizia, occorre aggiungere che sia l’articolo 39, paragrafo 1, della direttiva 2005/85, sia l’articolo 46, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, prevedono che il richiedente ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso tale decisione, senza delimitare specificamente i mezzi istruttori che tale giudice ha il diritto di disporre.
44      L’articolo 39, paragrafo 2, della direttiva 2005/85 e l’articolo 46, paragrafo 4, della direttiva 2013/32 precisano, peraltro, che spetta agli Stati membri stabilire le norme necessarie per l’esercizio, da parte del richiedente, del diritto ad un ricorso effettivo.
45      Se tali disposizioni non escludono pertanto che un giudice disponga una perizia al fine di procedere a un controllo effettivo della decisione dell’autorità accertante, ciò non toglie che, tenuto conto, da un lato, del ruolo specifico assegnato ai giudici dall’articolo 39 della direttiva 2005/85 e dall’articolo 46 della direttiva 2013/32 e, dall’altro, delle considerazioni relative all’articolo 4 della direttiva 2011/95, figuranti al punto 41 della presente sentenza, il giudice adito non può fondare la propria decisione solo sulle conclusioni di una perizia e non può, a fortiori, essere vincolato dalla valutazione delle dichiarazioni di un richiedente relative al proprio orientamento sessuale contenuta in tali conclusioni.
46      Alla luce di tali elementi, occorre rispondere alla seconda questione che l’articolo 4 della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che non osta a che l’autorità competente per l’esame delle domande di protezione internazionale o i giudici aditi, se del caso, con un ricorso contro una decisione di tale autorità, dispongano una perizia nell’ambito dell’esame dei fatti e delle circostanze riguardanti l’asserito orientamento sessuale di un richiedente, purché le modalità di tale perizia siano conformi ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta, detta autorità e tali giudici non fondino la loro decisione esclusivamente sulle conclusioni della relazione peritale e non siano vincolati da tali conclusioni nella valutazione delle dichiarazioni di tale richiedente relative al suo orientamento sessuale.
 Sulla prima questione
47      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4 della direttiva 2011/95, letto alla luce della Carta, debba essere interpretato nel senso che osta all’esecuzione e all’utilizzo, al fine di valutare la veridicità dell’orientamento sessuale dichiarato da un richiedente protezione internazionale, di una perizia psicologica, come quella oggetto del procedimento principale, che ha per scopo, sulla base di test proiettivi della personalità, di fornire un’immagine dell’orientamento sessuale di tale richiedente.
48      Emerge dalla risposta fornita alla seconda questione e dalle considerazioni esposte al punto 35 della presente sentenza che, se è vero che l’articolo 4 della direttiva 2011/95 non osta a che l’autorità accertante o i giudici cui è presentato un ricorso contro una decisione di tale autorità dispongano, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, una perizia, le modalità di ricorso a tale perizia devono essere conformi, in particolare, ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta.
49      Tra i diritti fondamentali che presentano una rilevanza specifica, nell’ambito della valutazione delle dichiarazioni di un richiedente protezione internazionale, relative all’orientamento sessuale di quest’ultimo, figura in particolare il diritto al rispetto della vita privata e familiare, come sancito all’articolo 7 della Carta (v., in tal senso, sentenza del 2 dicembre 2014, A e a., da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 64).
50      L’articolo 4 della direttiva 2011/95 deve, pertanto, essere interpretato alla luce dell’ articolo 7 della Carta (v., per analogia, sentenza del 21 aprile 2016, Khachab, C‑558/14, EU:C:2016:285, punto 28).
51      A tale riguardo, occorre rilevare che una perizia psicologica, come quella di cui al procedimento principale, è disposta dall’autorità accertante nell’ambito del procedimento di esame della domanda di protezione internazionale presentata dalla persona interessata.
52      Ne consegue che tale perizia è realizzata in un contesto in cui la persona chiamata a sottoporsi a test proiettivi della personalità si trova in una situazione in cui il suo futuro è fortemente dipendente dall’esito riservato da tale autorità alla sua domanda di protezione internazionale e in cui un eventuale rifiuto di sottoporsi a tali test può costituire un elemento importante su cui detta autorità si baserà allo scopo di stabilire se detta domanda sia stata sufficientemente motivata.
53      Pertanto, anche nel caso in cui l’esecuzione dei test psicologici su cui basare una perizia, come quella di cui al procedimento principale, sia formalmente subordinata al consenso della persona interessata, si deve considerare che tale consenso non è necessariamente libero, ma di fatto imposto dalla pressione delle circostanze in cui si trovano i richiedenti protezione internazionale (v., per analogia, sentenza del 2 dicembre 2014, A e a., da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 66).
54      In tali circostanze, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 43 delle sue conclusioni, la realizzazione e l’utilizzo di una perizia psicologica come quella di cui trattasi nel procedimento principale costituisce un’ingerenza nel diritto della persona in questione al rispetto della sua vita privata.
55      Conformemente all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla medesima devono essere previste dalla legge e rispettare il loro contenuto essenziale. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni all’esercizio di tali diritti e libertà solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione europea o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
56      Relativamente, in particolare, alla proporzionalità dell’ingerenza constatata, va rammentato che il principio di proporzionalità, richiede, secondo una costante giurisprudenza della Corte, che gli atti adottati non superino i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che gli inconvenienti causati dalla stessa non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v., in tal senso, sentenze del 10 marzo 2005, Tempelman e van Schaijk, C‑96/03 e C‑97/03, EU:C:2005:145, punto 47; del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punto 123, nonché del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 54).
57      In questo contesto, se un’ingerenza nella vita privata di un richiedente può essere giustificata dalla ricerca di elementi che consentano di valutarne le reali esigenze di protezione internazionale, spetta all’autorità accertante di valutare, sotto il controllo del giudice, il carattere appropriato e necessario alla realizzazione di tale obiettivo di una perizia psicologica che essa intende ordinare o di cui desidera tenere conto.
58      A tale riguardo, si deve sottolineare che il carattere appropriato di una perizia come quella di cui trattasi nel procedimento principale può essere ammesso solo se quest’ultima è fondata su metodi e principi sufficientemente affidabili alla luce degli standard riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale. Si deve rilevare al riguardo che, se è vero che non spetta alla Corte pronunciarsi su tale questione, che risulta, comportando una valutazione dei fatti, di competenza del giudice nazionale, l’affidabilità di tale perizia è stata fortemente contestata dai governi francese e dei Paesi Bassi, nonché dalla Commissione.
59      In ogni caso, l’impatto di una perizia come quella di cui al procedimento principale sulla vita privata del richiedente appare sproporzionato rispetto all’obiettivo perseguito, dal momento che la gravità dell’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata che essa integra non può essere considerata proporzionata all’utilità che tale perizia potrebbe eventualmente presentare per l’esame dei fatti e delle circostanze previsto all’articolo 4 della direttiva 2011/95.
60      Infatti, in primo luogo, l’ingerenza nella vita privata del richiedente protezione internazionale costituita dall’esecuzione e dall’utilizzo di una perizia, come quella di cui al procedimento principale, presenta, alla luce della natura e della finalità di quest’ultima, una particolare gravità.
61      Infatti, tale perizia si basa in particolare sul fatto che la persona interessata si sottopone a una serie di test psicologici volti ad accertare un elemento essenziale dell’identità di tale persona, che riguarda la sua sfera personale, poiché si riferisce ad aspetti intimi della vita della stessa (v., in tal senso, sentenze del 7 novembre 2013, X e a., da C‑199/12 a C‑201/12, EU:C:2013:720, punto 46, nonché del 2 dicembre 2014, A e a., da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punti 52 e 69).
62      Occorre inoltre tenere conto, al fine di valutare la gravità dell’ingerenza costituita dall’esecuzione e dall’utilizzo di una perizia psicologica come quella di cui al procedimento principale, del principio 18 dei principi di Yogyakarta sull’applicazione del diritto internazionale in materia di diritti umani in tema di orientamento sessuale e di identità di genere, a cui hanno fatto riferimento i governi francese e dei Paesi Bassi, che precisa, in particolare, che nessuno può essere costretto a subire una qualsiasi forma di test psicologico a causa del suo orientamento sessuale o della sua identità di genere.
63      Risulta dal combinato disposto di tali elementi che la gravità dell’ingerenza nella vita privata costituita dall’esecuzione e dall’utilizzo di una perizia, come quella di cui al procedimento principale, va oltre quanto implicano la valutazione delle dichiarazioni del richiedente protezione internazionale relative a un timore di persecuzione a causa del suo orientamento sessuale o il ricorso ad una perizia psicologica avente uno scopo diverso da quello di stabilire l’orientamento sessuale di tale richiedente.
64      In secondo luogo, si deve ricordare che una perizia quale quella di cui trattasi nel procedimento principale rientra nell’ambito dell’esame dei fatti e delle circostanze previsto all’articolo 4 della direttiva 2011/95.
65      In questo contesto, tale perizia non può essere considerata indispensabile per confermare le dichiarazioni di un richiedente protezione internazionale relative al proprio orientamento sessuale, al fine di pronunciarsi su una domanda di protezione internazionale motivata da un timore di persecuzione a causa di tale orientamento.
66      Infatti, da una parte, lo svolgimento di un colloquio individuale condotto dal personale dell’autorità accertante è tale da contribuire alla valutazione di tali dichiarazioni, dal momento che sia l’articolo 13, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2005/85 sia l’articolo 15, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2013/32 stabiliscono che gli Stati membri provvedono affinché la persona incaricata di condurre il colloquio abbia la competenza per tener conto del contesto personale in cui è presentata la domanda, in particolare dell’orientamento sessuale del richiedente.
67      Più in generale, risulta dall’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva che gli Stati membri sono tenuti a provvedere a che l’autorità accertante disponga di mezzi appropriati, in particolare di personale competente in numero sufficiente, per assolvere ai suoi compiti. Ne consegue che il personale di tale autorità deve in particolare disporre delle competenze adeguate per valutare le richieste di protezione internazionale che sono motivate da un timore di persecuzione a causa dell’orientamento sessuale.
68      Dall’altro lato, risulta dall’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2011/95 che, quando gli Stati membri applicano il principio in base al quale incombe al richiedente motivare la propria domanda, le dichiarazioni del richiedente relative al suo orientamento sessuale che non sono suffragate da prove documentali o di altro tipo non necessitano di conferma se le condizioni di cui a tale disposizione sono soddisfatte, dato che tali condizioni si riferiscono, in particolare, alla coerenza e plausibilità di tali dichiarazioni e non si riferiscono in alcun modo all’esecuzione o all’impiego di una perizia.
69      Inoltre, anche supponendo che una perizia basata su testi proiettivi della personalità, come quella di cui al procedimento principale, possa contribuire a determinare con una certa affidabilità l’orientamento sessuale dell’interessato, dalle enunciazioni del giudice del rinvio risulta che le conclusioni di una siffatta perizia possono soltanto fornire un’immagine di tale orientamento sessuale. Pertanto, tali conclusioni sono, in ogni caso, approssimative e quindi di interesse limitato al fine di valutare le dichiarazioni di un richiedente protezione internazionale, in particolare quando, come nel procedimento principale, tali dichiarazioni sono prive di contraddizioni.
70      In tali circostanze, non è necessario, per rispondere alla prima questione, interpretare l’articolo 4 della direttiva 2011/95 anche alla luce dell’articolo 1 della Carta.
71      Risulta da quanto precede che occorre rispondere alla prima questione che l’articolo 4 della direttiva 2011/95, letto alla luce dell’articolo 7 della Carta, dev’essere interpretato nel senso che osta all’esecuzione e all’utilizzo, al fine di valutare la veridicità dell’orientamento sessuale dichiarato da un richiedente protezione internazionale, di una perizia psicologica, come quella oggetto del procedimento principale, che ha per scopo, sulla base di test proiettivi della personalità, di fornire un’immagine dell’orientamento sessuale di tale richiedente.
 Sulle spese
72      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
1)      L’articolo 4 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che non osta a che l’autorità competente per l’esame delle domande di protezione internazionale o i giudici eventualmente aditi con un ricorso contro una decisione di tale autorità, dispongano una perizia nell’ambito dell’esame dei fatti e delle circostanze riguardanti l’asserito orientamento sessuale di un richiedente, purché le modalità di tale perizia siano conformi ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, detta autorità e tali giudici non fondino la loro decisione esclusivamente sulle conclusioni contenute nella relazione peritale e non siano vincolati da tali conclusioni nella valutazione delle dichiarazioni di tale richiedente relative al suo orientamento sessuale.
2)      L’articolo 4 della direttiva 2011/95, letto alla luce dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali, dev’essere interpretato nel senso che osta all’esecuzione e all’utilizzo, al fine di valutare la veridicità dell’orientamento sessuale dichiarato da un richiedente protezione internazionale, di una perizia psicologica, come quella oggetto del procedimento principale, che ha per scopo, sulla base di test proiettivi della personalità, di fornire un’immagine dell’orientamento sessuale di tale richiedente.
Dal sito http://curia.europa.eu



Corte di Giustizia UE 25 gennaio 2018, n. C-360/16

«Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Modalità e termini per la formulazione di una richiesta di ripresa in carico – Rientro illegale di un cittadino di un paese terzo in uno Stato membro che ha operato un trasferimento – Articolo 24 – Procedura di ripresa in carico – Articolo 27 – Mezzo di ricorso – Portata del sindacato giurisdizionale – Circostanze successive al trasferimento»









1)      L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, letto alla luce del considerando 19 di tale regolamento e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede che il controllo giurisdizionale della decisione di trasferimento deve basarsi sulla situazione di fatto esistente allorché si è tenuta l’ultima udienza dinanzi al giudice adito o, in mancanza di udienza, al momento in cui detto giudice si pronuncia sul ricorso.
2)      L’articolo 24 del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, nella quale un cittadino di un paese terzo, dopo aver presentato una domanda di protezione internazionale in un primo Stato membro, è stato trasferito verso tale Stato membro a seguito del rigetto di una nuova domanda presentata presso un secondo Stato membro ed è poi tornato, senza titolo di soggiorno, nel territorio di quest’ultimo, detto cittadino può essere sottoposto a una procedura di ripresa in carico e che non è possibile procedere a un ulteriore trasferimento di tale persona verso il primo di tali Stati membri senza che venga seguita detta procedura.
3)      L’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, nella quale un cittadino di un paese terzo è ritornato, senza titolo di soggiorno, nel territorio di uno Stato membro che ha effettuato in passato il suo trasferimento verso un altro Stato membro, la richiesta di ripresa in carico deve essere inviata entro i termini previsti da tale disposizione e che gli stessi non possono iniziare a decorrere prima che lo Stato membro richiedente abbia avuto conoscenza del rientro della persona interessata nel proprio territorio.
4)      L’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, quando la richiesta di ripresa in carico non è presentata entro i termini di cui all’articolo 24, paragrafo 2, del medesimo regolamento, lo Stato membro nel cui territorio si trova la persona interessata senza titolo di soggiorno è competente per l’esame della nuova domanda di protezione internazionale che tale persona deve essere autorizzata a presentare.
5)      L’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che il fatto che la procedura di ricorso contro una decisione che ha respinto una prima domanda di protezione internazionale presentata in uno Stato membro sia ancora pendente non deve essere considerato come equivalente alla presentazione di una nuova domanda di protezione internazionale in tale Stato membro, ai sensi di tale disposizione.
6)      L’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, qualora la richiesta di ripresa in carico non sia presentata entro i termini di cui all’articolo 24, paragrafo 2, del medesimo regolamento e la persona interessata non si sia avvalsa della facoltà di cui deve disporre di presentare una nuova domanda di protezione internazionale:
–        lo Stato membro nel cui territorio la persona interessata si trova senza titolo di soggiorno può ancora formulare una richiesta di ripresa in carico, e che
–        detta disposizione non autorizza il trasferimento di tale persona in un altro Stato membro senza che sia formulata una richiesta siffatta.







Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
25 gennaio 2018 
Nella causa C‑360/16,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania), con decisione del 27 aprile 2016, pervenuta in cancelleria il 29 giugno 2016, nel procedimento
Bundesrepublik Deutschland
contro
Aziz Hasan,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta da L. Bay Larsen (relatore), presidente di sezione, J. Malenovský, M. Safjan, D. Šváby e M. Vilaras, giudici,
avvocato generale: Y. Bot
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
–        per A. Hasan, da W. Karczewski, Rechtsanwalt;
–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;
–        per il governo svizzero, da U. Bucher, in qualità di agente;
–        per la Commissione europea, da G. Wils e M. Condou-Durande, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 7 settembre 2017,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 18, 23 e 24 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31; in prosieguo il «regolamento Dublino III»).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la Bundesrepublik Deutschland (Repubblica federale di Germania) al sig. Aziz Hasan, cittadino siriano, in merito alla decisione del Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati, Germania) (in prosieguo: l’«Ufficio») recante rigetto della domanda di asilo presentata dal sig. Hasan e che dispone il suo trasferimento verso l’Italia.
 Contesto normativo
 Diritto dell’Unione
 Direttiva 2013/32/UE
3        L’articolo 6, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), dispone quanto segue:
«1.      Quando chiunque presenti una domanda di protezione internazionale a un’autorità competente a norma del diritto nazionale a registrare tali domande, la registrazione è effettuata entro tre giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda.
Se la domanda di protezione internazionale è presentata ad altre autorità preposte a ricevere tali domande ma non competenti per la registrazione a norma del diritto nazionale, gli Stati membri provvedono affinché la registrazione sia effettuata entro sei giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda.
(...)
2.      Gli Stati membri provvedono affinché chiunque abbia presentato una domanda di protezione internazionale abbia un’effettiva possibilità di inoltrarla quanto prima. (...)».
 Regolamento Dublino III
4        I considerando 4, 5 e 19 del regolamento Dublino III sono così formulati:
«(4)      Secondo le conclusioni [del Consiglio europeo nell’ambito della sua riunione speciale] di Tampere [del 15 e 16 ottobre 1999], il [regime europeo comune in materia di asilo] dovrebbe prevedere a breve termine un meccanismo per determinare con chiarezza e praticità lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo.
(5)      Tale meccanismo dovrebbe essere fondato su criteri oggettivi ed equi sia per gli Stati membri sia per le persone interessate. Dovrebbe, soprattutto, consentire di determinare con rapidità lo Stato membro competente al fine di garantire l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale e non dovrebbe pregiudicare l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale.
(...)
(19)      Al fine di assicurare una protezione efficace dei diritti degli interessati, si dovrebbero stabilire garanzie giuridiche e il diritto a un ricorso effettivo avverso le decisioni relative ai trasferimenti verso lo Stato membro competente, ai sensi, in particolare, dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale è opportuno che un ricorso effettivo avverso tali decisioni verta tanto sull’esame dell’applicazione del presente regolamento quanto sull’esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro in cui il richiedente è trasferito».
5        L’articolo 3, paragrafi 1 e 2, di tale regolamento, così dispone:
«1.      Gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III.
2.      Quando lo Stato membro competente non può essere designato sulla base dei criteri enumerati nel presente regolamento, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.
Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente.
(...)».
6        L’articolo 18, paragrafo 1, del suddetto regolamento così recita:
«Lo Stato membro competente in forza del presente regolamento è tenuto a:
(...)
b)      riprendere in carico, alle condizioni di cui agli articoli 23, 24, 25 e 29, il richiedente la cui domanda è in corso d’esame e che ha presentato domanda in un altro Stato membro oppure si trova nel territorio di un altro Stato membro senza un titolo di soggiorno;
c)      riprendere in carico, alle condizioni di cui agli articoli 23, 24, 25 e 29, un cittadino di un paese terzo o un apolide che ha ritirato la sua domanda in corso d’esame e che ha presentato una domanda in un altro Stato membro o che si trova nel territorio di un altro Stato membro senza un titolo di soggiorno;
d)      riprendere in carico, alle condizioni di cui agli articoli 23, 24, 25 e 29, un cittadino di un paese terzo o un apolide del quale è stata respinta la domanda e che ha presentato domanda in un altro Stato membro oppure si trova nel territorio di un altro Stato membro senza un titolo di soggiorno».
7        L’articolo 19, paragrafo 2, del medesimo regolamento è così formulato:
«Gli obblighi di cui all’articolo 18, paragrafo 1, vengono meno se lo Stato membro competente può stabilire, quando gli viene chiesto di prendere o riprendere in carico un richiedente (...), che l’interessato si è allontanato dal territorio degli Stati membri per almeno tre mesi, sempre che l’interessato non sia titolare di un titolo di soggiorno in corso di validità rilasciato dallo Stato membro competente.
La domanda presentata dopo il periodo di assenza di cui al primo comma è considerata una nuova domanda e dà inizio a un nuovo procedimento di determinazione dello Stato membro competente».
8        L’articolo 23, paragrafi da 1 a 3, del regolamento Dublino III stabilisce quanto segue:
«1.      Uno Stato membro presso il quale una persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), abbia presentato una nuova domanda di protezione internazionale che ritenga che un altro Stato membro sia competente ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 5, e dell’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), può chiedere all’altro Stato membro di riprendere in carico tale persona.
2.      Una richiesta di ripresa in carico è presentata quanto prima e in ogni caso entro due mesi dal ricevimento della risposta pertinente Eurodac (...)
Se la richiesta di ripresa in carico è basata su prove diverse dai dati ottenuti dal sistema Eurodac, essa è inviata allo Stato membro richiesto entro tre mesi dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2.
3.      Se la richiesta di ripresa in carico non è presentata entro i termini prescritti al paragrafo 2, la competenza per l’esame della domanda di protezione internazionale spetta allo Stato membro in cui la nuova domanda è stata presentata».
9        L’articolo 24, paragrafi da 1 a 3, di tale regolamento, prevede quanto segue:
«1.      Uno Stato membro sul cui territorio una persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), soggiorna senza un titolo di soggiorno e presso cui non è stata presentata una nuova domanda di protezione internazionale che ritenga che un altro Stato membro sia competente ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 5, e dell’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), può chiedere all’altro Stato membro di riprendere in carico tale persona.
2.      In deroga all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare [(GU 2008, L 348, pag. 98)], ove uno Stato membro sul cui territorio una persona soggiorna senza un titolo di soggiorno decida di consultare il sistema Eurodac (...), la richiesta di ripresa in carico di una persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettere b) o c), del presente regolamento o di una persona di cui al suo articolo 18, paragrafo 1, lettera d), la cui domanda di protezione internazionale non è stata respinta con una decisione definitiva è presentata quanto prima e in ogni caso entro due mesi dal ricevimento della risposta pertinente Eurodac (...)
Se la richiesta di ripresa in carico è basata su prove diverse dai dati ottenuti dal sistema Eurodac, essa è inviata allo Stato membro richiesto entro tre mesi dalla data in cui lo Stato membro richiedente apprende che un altro Stato membro può essere competente per detta persona.
3.      Se la richiesta di ripresa in carico non è presentata entro i termini prescritti al paragrafo 2, lo Stato membro sul cui territorio l’interessato soggiorna senza titolo di soggiorno gli offre la possibilità di presentare una nuova domanda».
10      L’articolo 25 di tale regolamento dispone le norme per la risposta a una richiesta di ripresa in carico.
11      L’articolo 26, paragrafo 1, del medesimo regolamento prevede quanto segue:
«Quando lo Stato membro richiesto accetta di prendere o riprendere in carico un richiedente o un’altra persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettera c) o d), lo Stato membro richiedente notifica all’interessato la decisione di trasferirlo verso lo Stato membro competente e, se del caso, di non esaminare la sua domanda di protezione internazionale. (...)».
12      L’articolo 27, paragrafi da 1 a 3, del regolamento Dublino III enuncia quanto segue:
«1.      Il richiedente o altra persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettera c) o d), ha diritto a un ricorso effettivo avverso una decisione di trasferimento, o a una revisione della medesima, in fatto e in diritto, dinanzi a un organo giurisdizionale.
(...)
3.      Ai fini di ricorsi avverso decisioni di trasferimento o di revisioni delle medesime, gli Stati membri prevedono nel proprio diritto nazionale:
a)      che il ricorso o la revisione conferisca all’interessato il diritto di rimanere nello Stato membro interessato in attesa dell’esito del ricorso o della revisione; o
b)      che il trasferimento sia automaticamente sospeso e che tale sospensione scada dopo un determinato periodo di tempo ragionevole durante il quale un organo giurisdizionale ha adottato, dopo un esame attento e rigoroso, la decisione di concedere un effetto sospensivo al ricorso o alla revisione; o
c)      che all’interessato sia offerta la possibilità di chiedere, entro un termine ragionevole, all’organo giurisdizionale di sospendere l’attuazione della decisione di trasferimento in attesa dell’esito del ricorso o della revisione della medesima. Gli Stati membri assicurano un ricorso effettivo sospendendo il trasferimento fino all’adozione della decisione sulla prima richiesta di sospensione. La decisione sulla sospensione dell’attuazione della decisione di trasferimento è adottata entro un termine ragionevole, permettendo nel contempo un esame attento e rigoroso della richiesta di sospensione. La decisione di non sospendere l’attuazione della decisione di trasferimento deve essere motivata».
13      L’articolo 29, paragrafi da 1 a 3, di tale regolamento è così formulato:
«1.      Il trasferimento del richiedente o di altra persona ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera c) o d), dallo Stato membro richiedente verso lo Stato membro competente avviene conformemente al diritto nazionale dello Stato membro richiedente, previa concertazione tra gli Stati membri interessati, non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei mesi a decorrere dall’accettazione della richiesta di un altro Stato membro di prendere o riprendere in carico l’interessato, o della decisione definitiva su un ricorso o una revisione in caso di effetto sospensivo ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3.
(...)
2.      Se il trasferimento non avviene entro il termine di sei mesi, lo Stato membro competente è liberato dall’obbligo di prendere o riprendere in carico l’interessato e la competenza è trasferita allo Stato membro richiedente. Questo termine può essere prorogato fino a un massimo di un anno se non è stato possibile effettuare il trasferimento a causa della detenzione dell’interessato, o fino a un massimo di diciotto mesi qualora questi sia fuggito.
3.      Se una persona è stata trasferita erroneamente o se la decisione di trasferimento è riformata in appello o in seguito a revisione dopo l’esecuzione del trasferimento, lo Stato membro che ha provveduto al trasferimento lo riprende in carico immediatamente».
 Diritto tedesco
14      L’articolo 77 dell’Asylgesetz (legge relativa all’asilo), nella sua versione pubblicata il 2 settembre 2008 (BGBl. 2008 I, pag. 1798), così dispone:
«Nelle controversie ai sensi della presente legge, il giudice si basa sulla situazione di fatto e di diritto esistente al momento dell’ultima udienza; se la decisione non è preceduta da un’udienza, il momento rilevante è quello della pronuncia della decisione (...)».
 Procedimento principale e questioni pregiudiziali
15      Il sig. Hasan ha presentato, il 29 ottobre 2014, una domanda di asilo in Germania.
16      Poiché da una ricerca nel sistema Eurodac è risultato, in particolare, che in data 4 settembre 2014 l’interessato aveva già chiesto la protezione internazionale in Italia, l’11 novembre 2014 l’Ufficio ha chiesto alle autorità italiane di riprendere in carico il sig. Hasan, sulla base del regolamento Dublino III.
17      Le autorità italiane non hanno risposto a tale richiesta di ripresa in carico.
18      Con decisione del 30 gennaio 2015, l’Ufficio ha respinto in quanto irricevibile la domanda d’asilo presentata dal sig. Hasan, basandosi sul fatto che la Repubblica italiana era lo Stato membro competente per l’esame di tale domanda, e ha disposto il suo trasferimento verso l’Italia.
19      Il sig. Hasan ha contestato tale decisione dell’Ufficio dinanzi al Verwaltungsgericht Trier (Tribunale amministrativo di Treviri, Germania), accompagnando il suo ricorso a una domanda di effetto sospensivo. Tale giudice ha respinto detta domanda di sospensione il 12 marzo 2015, poi il ricorso stesso il 30 giugno 2015.
20      Il 3 agosto 2015 il sig. Hasan è stato trasferito verso l’Italia. Egli è tuttavia rientrato illegalmente in Germania nel corso dello stesso mese.
21      Il sig. Hasan ha impugnato la decisione del Verwaltungsgericht Trier (Tribunale amministrativo di Treviri). Tale impugnazione è stata accolta, il 3 novembre 2015, con una decisione dell’Oberverwaltungsgericht Rheinland-Pfalz (tribunale amministrativo superiore della Renania-Palatinato, Germania). Detto giudice ha ritenuto, in particolare, che il trasferimento del sig. Hasan verso l’Italia fosse avvenuto dopo la scadenza del termine di sei mesi previsto all’articolo 29, paragrafo 1, del regolamento Dublino III e che, di conseguenza, la Repubblica federale di Germania fosse ormai competente per l’esame della domanda di asilo presentata dall’interessato.
22      La Repubblica federale di Germania ha proposto, dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania), un ricorso per cassazione (Revision) avverso tale decisione dell’Oberverwaltungsgericht Rheinland-Pfalz (tribunale amministrativo superiore della Renania-Palatinato).
23      Il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ritiene che l’analisi effettuata dal giudice dell’impugnazione sia errata, in quanto da un calcolo corretto del termine previsto all’articolo 29, paragrafo 1, del regolamento Dublino III risulterebbe che il trasferimento del sig. Hasan verso l’Italia abbia avuto luogo prima della scadenza del termine ivi previsto.
24      Cionondimeno, secondo il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale), la competenza iniziale della Repubblica italiana ad esaminare la domanda di asilo del sig. Hasan non può essere accertata in maniera definitiva, poiché non è escluso che tale competenza debba essere negata, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, di tale regolamento, a causa di eventuali carenze sistemiche, ai sensi di tale disposizione, nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale in tale Stato membro.
25      Ciò detto, tale giudice sottolinea che non è necessario risolvere detta questione se, a seguito del rientro illegale del sig. Hasan in Germania, la competenza per esaminare la domanda di asilo di quest’ultimo era già stata trasferita alla Repubblica federale di Germania alla data della decisione del giudice dell’impugnazione o se una procedura di ripresa in carico poteva ancora essere condotta a tale data.
26      Alla luce di quanto precede, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      In un caso in cui il cittadino di un paese terzo, dopo la presentazione di una seconda domanda di asilo in un altro Stato membro (nella specie: la Germania), sia stato trasferito, a seguito del rigetto in sede giudiziale della sua richiesta di sospensione della decisione di trasferimento adottata ai sensi del regolamento [Dublino III], verso lo Stato membro inizialmente competente in cui era stata presentata la prima domanda di asilo (nella specie: l’Italia) ed egli sia in seguito ritornato illegalmente nel secondo Stato membro (nella specie: la Germania):
a)      se, in base ai principi del regolamento [Dublino III], sia determinante ai fini del controllo giurisdizionale di una decisione di trasferimento la situazione di fatto al momento del trasferimento, in quanto con il trasferimento effettuato entro i termini la competenza è definitivamente stabilita e pertanto le norme rilevanti in materia di competenza del regolamento [Dublino III] non sono più applicabili agli eventi successivi, o se si debba tener conto di ulteriori sviluppi per quanto riguarda circostanze rilevanti in generale per la competenza – per esempio la scadenza dei termini per la ripresa in carico o un (nuovo) trasferimento.
b)      Se, una volta definita la competenza, sulla base della decisione di trasferimento siano possibili ulteriori trasferimenti nello Stato membro inizialmente competente e se tale Stato membro resti obbligato ad accogliere il cittadino di un paese terzo.
2)      Qualora la competenza non venga determinata in modo definitivo con il trasferimento: quale delle disposizioni sotto riportate si applichi in un simile caso a una persona ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), del regolamento [Dublino III] in funzione della procedura di ricorso ancora pendente contro la decisione di trasferimento già eseguita:
a)      l’articolo 23 del regolamento [Dublino III] (per analogia), con la conseguenza che in caso di nuova richiesta di ripresa in carico non presentata entro i termini potrebbe verificarsi un passaggio di competenza ai sensi dell’articolo 23, paragrafi 2 e 3, del regolamento Dublino III, oppure
b)      l’articolo 24 del regolamento [Dublino III] (per analogia), oppure
c)      nessuna delle disposizioni citate sub a) e b).
3)      Qualora a un tale soggetto non si applichino (per analogia) né l’articolo 23 né l’articolo 24 del regolamento [Dublino III] [seconda questione, lettera c)]: se, a motivo della decisione di trasferimento impugnata, sia possibile effettuare fino al termine della procedura di ricorso contro tale decisione ulteriori trasferimenti nello Stato membro originariamente competente (nella specie: l’Italia) e se tale Stato membro resti obbligato a prendere in carico il cittadino di un paese terzo – indipendentemente dalla presentazione di altre richieste di ripresa in carico, senza tener conto dei termini di cui all’articolo 23, paragrafo 3, o all’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento [Dublino III], e a prescindere dai termini per il trasferimento previsti all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, del regolamento [Dublino III].
4)      Nel caso in cui a tale persona si debba applicare (per analogia) l’articolo 23 del regolamento [Dublino III] [seconda questione, lettera a)]: se la nuova richiesta di ripresa in carico comporti (per analogia) un nuovo termine ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento [Dublino III]. In caso affermativo: se tale nuovo termine inizi a decorrere dal momento in cui l’autorità competente viene a conoscenza del rientro nel paese o se sia determinante un altro evento per far decorrere il termine.
5)      Nel caso in cui a tale persona si debba applicare (per analogia) l’articolo 24 del regolamento Dublino III [seconda questione, lettera b)]:
a)      Se la nuova richiesta di ripresa in carico comporti (per analogia) un nuovo termine ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento [Dublino III]. In caso affermativo: se tale nuovo termine inizi a decorrere dal momento in cui l’autorità competente viene a conoscenza del rientro nel paese o se sia determinante un altro evento per far decorrere il termine.
b)      Qualora l’altro Stato membro (nella specie: la Germania) lasci scadere un termine da osservare (per analogia) ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento Dublino III: se la presentazione di una nuova domanda di asilo ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 3, [di tale] regolamento fondi direttamente la competenza dell’altro Stato membro (nella specie: la Germania), o se quest’ultimo possa chiedere allo Stato membro originariamente competente (nella specie: l’Italia), nonostante la nuova domanda di asilo, di riprendere in carico lo straniero senza essere vincolato a un termine, o se possa trasferirlo in tale Stato membro senza una richiesta di ripresa in carico.
c)      Qualora l’altro Stato membro (nella specie: la Germania) lasci scadere un termine da osservare (per analogia) ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento Dublino III: se in tale caso il fatto che sia pendente una domanda di asilo presentata nell’altro Stato membro (nella specie: la Germania) prima del trasferimento sia equiparabile alla presentazione di una nuova domanda di asilo ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento [Dublino III].
d)      Qualora l’altro Stato membro (nella specie: la Germania) lasci scadere un termine da osservare (per analogia) ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento [Dublino III] e lo straniero non presenti una nuova domanda di asilo, e neppure il fatto che sia pendente una domanda di asilo presentata nell’altro Stato membro (nella specie: la Germania) prima del trasferimento sia equiparabile alla presentazione di una nuova domanda di asilo ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento [Dublino III]: se l’altro Stato membro (nella specie: la Germania) possa nuovamente chiedere allo Stato membro inizialmente competente (nella specie: l’Italia) di riprendere in carico lo straniero senza essere vincolato a un termine o se possa trasferirlo in tale Stato membro senza una richiesta di ripresa in carico».
 Sulle questioni pregiudiziali
 Sulla prima questione, lettera a)
27      In via preliminare, occorre rilevare che dalla decisione di rinvio risulta che, in forza delle norme processuali nazionali applicabili in materia di asilo, il giudice investito di un ricorso avverso una decisione di trasferimento deve, in linea di principio, pronunciarsi sulla base della situazione di fatto esistente al momento dello svolgimento dell’ultima udienza dinanzi a tale giudice o, in assenza di udienza, al momento in cui detto giudice statuisce sul ricorso.
28      In tali circostanze si deve considerare che, con la sua prima questione, lettera a), il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede che il controllo giurisdizionale della decisione di trasferimento deve basarsi sulla situazione di fatto esistente allorché si è tenuta l’ultima udienza dinanzi al giudice adito o, in mancanza di udienza, al momento in cui il giudice si pronuncia sul ricorso.
29      L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III prevede che il richiedente la protezione internazionale abbia diritto a un ricorso effettivo avverso una decisione di trasferimento, o a una revisione della medesima, in fatto e in diritto, dinanzi a un organo giurisdizionale.
30      La portata del ricorso che il richiedente la protezione internazionale può presentare avverso una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti è precisata al considerando 19 di tale regolamento, il quale indica che, al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale, il ricorso effettivo istituito dal regolamento in parola avverso le decisioni di trasferimento deve avere a oggetto, da una parte, l’esame dell’applicazione di detto regolamento e, dall’altra, l’esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro verso il quale il richiedente è trasferito (sentenze del 26 luglio 2017, Mengesteab, C‑670/16, EU:C:2017:587, punto 43, e del 25 ottobre 2017, Shiri, C‑201/16, EU:C:2017:805, punto 37).
31      Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 29 del regolamento Dublino III deriva che, alla luce, da un lato, dell’obiettivo citato al considerando 19 di tale regolamento, di garantire, conformemente all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, una protezione efficace degli interessati, e dall’altro, della finalità di assicurare con celerità la determinazione dello Stato membro competente a esaminare una domanda di protezione internazionale enunciato al considerando 5 del regolamento suddetto, il richiedente deve poter disporre di un mezzo di ricorso effettivo e rapido che gli consenta di far valere circostanze successive alla adozione della decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, qualora la loro presa in considerazione sia determinante per la corretta applicazione dello stesso regolamento (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2017, Shiri, C‑201/16, EU:C:2017:805, punto 44).
32      Una normativa come quella di cui al procedimento principale che consente al richiedente la protezione internazionale di invocare circostanze successive all’adozione della decisione di trasferimento, nell’ambito di un ricorso diretto contro tale decisione, soddisfa detto obbligo di prevedere un mezzo di ricorso effettivo e rapido (v., per analogia, sentenza del 25 ottobre 2017, Shiri, C‑201/16, EU:C:2017:805, punto 45).
33      In tale contesto, l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III non può essere interpretato nel senso che osta a una tale normativa per il solo fatto che quest’ultima può condurre il giudice investito di un ricorso avverso una decisione di trasferimento a prendere in considerazione, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, circostanze successive non solo all’adozione di tale decisione, ma anche al trasferimento della persona interessata effettuato in applicazione di detta decisione.
34      È pur vero che tali circostanze non possono essere pertinenti ai fini dell’applicazione di norme contenute in detto regolamento, che, come quelle di cui all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, dello stesso, disciplinano lo svolgersi della procedura di ripresa in carico prima del trasferimento.
35      Tuttavia, l’esecuzione del trasferimento, che costituisce una mera applicazione concreta della decisione di trasferimento, non è idonea, in quanto tale, a fissare in modo definitivo la competenza dello Stato membro nel quale la persona interessata è stata trasferita.
36      Infatti, si deve rilevare, in primo luogo, che nessuna disposizione del regolamento Dublino III conferisce all’esecuzione del trasferimento un effetto del genere né prevede che tale esecuzione sia pertinente al fine di determinare lo Stato membro competente.
37      In secondo luogo, al contrario, deriva chiaramente dall’articolo 29, paragrafo 3, di tale regolamento che la persona interessata deve essere ripresa in carico dallo Stato membro che ha provveduto al trasferimento in caso quest’ultimo sia eseguito erroneamente o sia annullata la decisione di trasferimento dopo l’esecuzione dello stesso, il che implica necessariamente che la competenza dello Stato membro in cui è stato effettuato il trasferimento può, in alcuni casi, essere rimessa in discussione dopo il medesimo.
38      In terzo luogo una soluzione contraria potrebbe, peraltro, privare ampiamente di effetto utile il ricorso o la revisione di cui all’articolo 27, paragrafo 1, di detto regolamento e pregiudicare la tutela giurisdizionale garantita alle persone interessate, poiché dall’articolo 27, paragrafo 3, del medesimo regolamento deriva che la proposizione di un ricorso o di una domanda di revisione non implica necessariamente la sospensione della decisione di trasferimento e che essa non osta quindi sistematicamente all’esecuzione del trasferimento prima che la legittimità di tale decisione abbia potuto essere valutata da un giudice.
39      In quarto luogo, occorre sottolineare che talune disposizioni del regolamento Dublino III possono avere l’effetto di rimettere in discussione la competenza di uno Stato membro in ragione di circostanze verificatesi successivamente all’esecuzione di un trasferimento verso tale Stato membro. Così avviene, in particolare, nel caso dell’articolo 19, paragrafo 2, di tale regolamento, quando la persona interessata si sia allontanata, dopo tale trasferimento, dal territorio degli Stati membri per un periodo di almeno tre mesi, prima di presentare una nuova domanda di asilo in un altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 7 giugno 2016, Karim, C‑155/15, EU:C:2016:410, punto 17).
40      Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla prima questione, lettera a), dichiarando che l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, letto alla luce del considerando 19 di tale regolamento e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede che il controllo giurisdizionale della decisione di trasferimento deve basarsi sulla situazione di fatto esistente allorché si è tenuta l’ultima udienza dinanzi al giudice adito o, in mancanza di udienza, al momento in cui detto giudice si pronuncia sul ricorso.
 Sulla prima questione, lettera b), nonché sulle questioni seconda e terza
41      Con la sua prima questione, lettera b), nonché con le questioni seconda e terza, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 23 e 24 del regolamento Dublino III debbano essere interpretati nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, nella quale un cittadino di un paese terzo, dopo aver presentato una domanda di protezione internazionale in un primo Stato membro, è stato trasferito verso tale Stato membro a seguito del rigetto di una nuova domanda presso un secondo Stato membro ed è poi tornato, senza titolo di soggiorno, nel territorio di tale secondo Stato membro, detto cittadino può essere sottoposto a una procedura di ripresa in carico o se sia possibile procedere a un ulteriore trasferimento di tale persona verso il primo di tali Stati membri, senza che venga seguita tale procedura.
42      Il campo di applicazione della procedura di ripresa in carico è definito agli articoli 23 e 24 del regolamento Dublino III (ordinanza del 5 aprile 2017, Ahmed, C‑36/17, EU:C:2017:273, punto 26).
43      Deriva dall’articolo 23, paragrafo 1, e dall’articolo 24, paragrafo 1, di tale regolamento che detta procedura è applicabile alle persone di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettere da b) a d), del medesimo regolamento.
44      Tali ultime disposizioni si riferiscono a una persona la quale, da un lato, ha presentato una domanda di protezione internazionale, che è in corso di esame, ha ritirato una domanda siffatta o ha visto la stessa respinta e che, dall’altro lato, o ha presentato una domanda in un altro Stato membro oppure si trova, senza titolo di soggiorno, nel territorio di un altro Stato membro.
45      Pertanto, si deve considerare che un cittadino di un paese terzo, come quello di cui al procedimento principale, che si trova senza titolo di soggiorno nel territorio di uno Stato membro, dopo aver presentato una domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro, la quale, nel frattempo, non è stata accolta da quest’ultimo, rientra nell’ambito di applicazione della procedura di ripresa in carico di cui al regolamento Dublino III.
46      Per quanto riguarda le norme che devono essere seguite ai fini di una proficua esecuzione di tale procedura, si deve ricordare che, mentre l’articolo 23 di tale regolamento disciplina le situazioni nelle quali una nuova domanda di protezione internazionale è stata presentata nello Stato membro richiedente, l’articolo 24 di detto regolamento riguarda i casi in cui nessuna nuova domanda è stata presentata in tale Stato membro (v., in tal senso, ordinanza del 5 aprile 2017, Ahmed, C‑36/17, EU:C:2017:273, punto 26).
47      Ne consegue che la procedura di cui all’articolo 24 del regolamento Dublino III può essere applicata a una persona, come quella di cui al procedimento principale, la quale, dopo aver depositato una domanda di protezione internazionale in uno Stato membro, rientri illegalmente nel territorio di un altro Stato membro senza presentarvi una nuova domanda di protezione internazionale.
48      La circostanza che la persona di cui trattasi, nel corso di un primo soggiorno nel territorio del secondo di tali Stati membri, abbia già presentato una domanda di protezione internazionale che è stata respinta nell’ambito previsto dall’articolo 26, paragrafo 1, di tale regolamento, non può modificare detta analisi.
49      Infatti, poiché la domanda di cui trattasi non è più in corso di esame in tale Stato membro, detta circostanza non può comportare che detta persona sia assimilata a una persona che ha presentato una nuova domanda di protezione internazionale, che dovrebbe essere respinta, in applicazione di detto articolo 26, paragrafo 1, prima che possa essere effettuato un trasferimento, o essere esaminata da detto Stato membro, conformemente all’articolo 23, paragrafo 3, del medesimo regolamento, in caso di ritardo nell’attuazione della procedura di ripresa in carico.
50      Parimenti, il fatto che la decisione con la quale è stata respinta una domanda di protezione internazionale presentata nel corso di un primo soggiorno nel territorio dello Stato membro in questione sia stata oggetto di un ricorso ancora pendente dinanzi al giudice competente non può escludere l’applicazione dell’articolo 24 del regolamento Dublino III in una situazione come quella di cui al procedimento principale, dal momento che, in assenza di effetto sospensivo conferito alla proposizione di tale ricorso, si deve ritenere che detta decisione produca i suoi effetti, quali derivano da tale regolamento, e che quindi essa comporti la chiusura della procedura amministrativa avviata in seguito alla presentazione della domanda di protezione internazionale.
51      Peraltro, poiché il legislatore dell’Unione ha previsto, all’articolo 24 di tale regolamento, una procedura specifica applicabile ad un cittadino di un paese terzo come quello di cui al procedimento principale, la quale comporta, in particolare, di sollecitare lo Stato membro richiesto entro termini imperativi la cui scadenza può influire sulla situazione di tale cittadino, costui non può essere trasferito in un altro Stato membro, senza che sia stata completata con successo questa procedura sulla base di una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, che è già stata eseguita in passato.
52      Una soluzione contraria sarebbe incompatibile con la lettera degli articoli 18 e 24 del regolamento Dublino III, che non opera alcuna distinzione tra un primo e un secondo soggiorno in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata presentata la prima domanda di protezione internazionale.
53      Per di più, poiché dalle considerazioni di cui ai punti da 35 a 39 della presente sentenza risulta che l’esecuzione del trasferimento non è idonea, in quanto tale, a stabilire in modo definitivo la competenza dello Stato membro nel quale la persona interessata è stata trasferita, un nuovo trasferimento non è ipotizzabile senza che la situazione di tale persona sia stata riesaminata al fine di verificare che, dopo il trasferimento di tale persona, la competenza non sia stata trasferita a un altro Stato membro.
54      A tale proposito, è importante sottolineare che un tale riesame della situazione dell’interessato può essere effettuato senza pregiudicare la realizzazione dell’obiettivo di celerità nel trattamento delle domande di protezione internazionale, poiché un riesame siffatto implica solo che siano presi in considerazione i cambiamenti intervenuti dall’adozione della prima decisione di trasferimento.
55      Di conseguenza, si deve rispondere alla prima questione, lettera b), nonché alle questioni seconda e terza, dichiarando che l’articolo 24 del regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale nella quale un cittadino di un paese terzo, dopo aver presentato una domanda di protezione internazionale in un primo Stato membro, è stato trasferito verso tale Stato membro a seguito del rigetto di una nuova domanda introdotta presso un secondo Stato membro ed è poi tornato, senza titolo di soggiorno, nel territorio di quest’ultimo, detto cittadino può essere sottoposto a una procedura di ripresa in carico e non è possibile procedere a un ulteriore trasferimento di tale persona verso il primo di tali Stati membri senza che venga seguita detta procedura.
 Sulla quarta questione
56      Alla luce della soluzione fornita alla prima questione, lettera b), nonché alle questioni seconda e terza, non occorre rispondere alla quarta questione.
 Sulla quinta questione, lettera a)
57      Con la quinta questione, lettera a), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, nella quale un cittadino di un paese terzo è ritornato, senza titolo di soggiorno, nel territorio di uno Stato membro che ha effettuato in passato il suo trasferimento verso un altro Stato membro, la richiesta di ripresa in carico deve essere inviata entro i termini previsti da tale disposizione e, in caso affermativo, se gli stessi non possono iniziare a decorrere prima che lo Stato membro richiedente sia venuto a conoscenza del rientro della persona interessata nel suo territorio.
58      L’articolo 24, paragrafo 2, primo comma, del regolamento Dublino III dispone che, ove uno Stato membro sul cui territorio una persona soggiorna senza un titolo di soggiorno decida di consultare il sistema Eurodac, la richiesta di ripresa in carico è presentata quanto prima e in ogni caso entro due mesi dal ricevimento della risposta pertinente Eurodac.
59      L’articolo 24, paragrafo 2, secondo comma, di tale regolamento prevede che, se la richiesta di ripresa in carico è basata su prove diverse dai dati ottenuti dal sistema Eurodac, essa è inviata allo Stato membro richiesto entro tre mesi dalla data in cui lo Stato membro richiedente apprende che un altro Stato membro può essere competente per detta persona.
60      A tale proposito, va ricordato che le procedure di ripresa in carico devono obbligatoriamente essere condotte in conformità con le regole enunciate, segnatamente, nel capo VI del regolamento Dublino III e che esse devono, in particolare, essere eseguite nel rispetto di una serie di termini imperativi (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Mengesteab, C‑670/16, EU:C:2017:587, punti 49 e 50).
61      Poiché il legislatore dell’Unione non ha operato una distinzione, all’articolo 24 di tale regolamento, tra le situazioni nelle quali la procedura di ripresa in carico sarebbe attivata per la prima volta e quelle in cui tale procedura dovrebbe essere condotta nuovamente in seguito al rientro, senza titolo di soggiorno, della persona interessata nello Stato membro richiedente dopo un trasferimento, i termini fissati da detto articolo devono essere rispettati anche in tale caso.
62      Per quanto concerne il computo di tali termini, si deve rilevare che essi intendono inquadrare la procedura di ripresa in carico e contribuiscono, in modo determinante, alla realizzazione dell’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale garantendo che la procedura di ripresa in carico sarà effettuata senza ritardi ingiustificati (v., per analogia, sentenze del 26 luglio 2017, Mengesteab, C‑670/16, EU:C:2017:587, punti 53 e 54, nonché del 25 ottobre 2017, Shiri, C‑201/16, EU:C:2017:805, punto 31).
63      A tal fine, detti termini garantiscono che lo Stato membro richiedente avvii la procedura di ripresa in carico entro un termine ragionevole a decorrere dal momento in cui dispone di informazioni che gli consentono di rivolgere una richiesta di ripresa in carico a un altro Stato membro, e il termine applicabile in detto contesto varia in funzione della natura di tali informazioni.
64      Ne deriva che gli stessi termini non possono logicamente iniziare a decorrere a una data in cui lo Stato membro richiedente non disponeva delle informazioni che gli avrebbero consentito di avviare la procedura di ripresa in carico.
65      Ciò avviene, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, non solo se tale Stato membro non è a conoscenza degli elementi che stabiliscono la competenza di un altro Stato membro, ma altresì, in un contesto in cui le frontiere interne possono, in linea di principio, essere attraversate senza che siano effettuate verifiche sulle persone alle frontiere, se tale Stato membro non è a conoscenza della presenza della persona di cui trattasi sul suo territorio.
66      Inoltre, ritenere che tali termini inizino a decorrere dal momento in cui lo Stato membro ha avuto a disposizione, durante una prima procedura di presa in carico o di ripresa in carico, informazioni indicanti la competenza di un altro Stato membro, da un lato, potrebbe limitare notevolmente l’efficacia delle procedure previste dal regolamento Dublino III e, dall’altro, rischierebbe di incitare le persone interessate a rientrare illegalmente nel territorio dello Stato membro richiedente dopo un primo trasferimento, ostacolando in tal modo l’applicazione dei principi e delle procedure dettate da tale regolamento (v., per analogia, sentenze del 7 marzo 2016, Mirza, C‑695/15 PPU, EU:C:2016:188, punto 52, e del 13 settembre 2017, Khir Amayry, C‑60/16, EU:C:2017:675, punto 37).
67      Infatti, in una situazione nella quale la persona interessata è ritornata, senza titolo di soggiorno, nel territorio dello Stato membro richiedente dopo un primo trasferimento, detta interpretazione ridurrebbe drasticamente il termine di cui dispone tale Stato membro per inviare una richiesta ai fini della ripresa in carico, o addirittura escluderebbe qualsiasi possibilità di inviare una richiesta siffatta prima di aver dato all’interessato la possibilità di presentare una nuova domanda di protezione internazionale, ove il suo rientro in detto territorio è intervenuto più di due o tre mesi dopo la data in cui tale Stato membro ha avuto a disposizione, durante il primo procedimento di presa in carico o di ripresa in carico, informazioni che indicavano la competenza di un altro Stato membro.
68      In tali circostanze, il termine di cui all’articolo 24, paragrafo 2, primo comma, del regolamento Dublino III, che è unicamente applicabile quando uno Stato membro nel cui territorio si trova una persona senza titolo di soggiorno decide di consultare il sistema Eurodac, è rilevante se lo Stato membro richiedente ha deciso di procedere in tal modo nell’ambito della procedura di ripresa in carico avviata a seguito del rientro dell’interessato nel suo territorio dopo un primo trasferimento, il che implica necessariamente che esso sia informato della sua presenza sul proprio territorio.
69      Qualora lo Stato membro interessato non abbia deciso di consultare il sistema Eurodac, è applicabile l’articolo 24, paragrafo 2, secondo comma. In tal caso, il termine menzionato in detta disposizione inizia a decorrere solo a partire dalla data in cui lo Stato membro richiedente ha avuto conoscenza, da un lato, della presenza della persona interessata nel suo territorio e, dall’altro, degli elementi che stabiliscono la competenza di un altro Stato membro.
70      Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla quinta questione, lettera a), dichiarando che l’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, nella quale un cittadino di un paese terzo è ritornato, senza titolo di soggiorno, nel territorio di uno Stato membro che ha effettuato in passato il suo trasferimento verso un altro Stato membro, la richiesta di ripresa in carico deve essere inviata entro i termini previsti da tale disposizione e che gli stessi non possono iniziare a decorrere prima che lo Stato membro richiedente abbia avuto conoscenza del rientro della persona interessata nel proprio territorio.
 Sulla quinta questione, lettera b)
71      Con la quinta questione, lettera b), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che, quando la richiesta di ripresa in carico non è presentata entro i termini di cui all’articolo 24, paragrafo 2, del medesimo regolamento, lo Stato membro nel cui territorio si trova la persona interessata senza titolo di soggiorno è competente per l’esame della nuova domanda di protezione internazionale che tale persona deve essere autorizzata a presentare.
72      L’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento Dublino III precisa che se la richiesta di ripresa in carico non è presentata entro i termini prescritti all’articolo 24, paragrafo 2, di tale regolamento, lo Stato membro nel cui territorio si trova la persona interessata senza titolo di soggiorno le offre la possibilità di presentare una nuova domanda di protezione internazionale.
73      Si deve rilevare che il tenore letterale di tale disposizione non consente, di per sé, di determinare quale Stato membro debba essere di norma competente per l’esame di una tale domanda.
74      Ciò premesso, risulta da una costante giurisprudenza della Corte che, quando una disposizione del diritto dell’Unione è suscettibile di più interpretazioni, occorre privilegiare quella idonea a salvaguardare il suo effetto utile (v., in tal senso, sentenza del 27 ottobre 2011, Commissione/Polonia, C‑311/10, non pubblicata, EU:C:2011:702, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).
75      A tale proposito, va sottolineato che, ove l’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento Dublino III dovesse essere interpretato nel senso che esso implica meramente che la persona interessata debba avere il diritto di presentare una domanda di protezione internazionale e che non ha, quindi, alcun effetto sulla determinazione dello Stato membro competente dell’esame di tale domanda, tale disposizione sarebbe privata di ogni effetto utile.
76      Pertanto, dall’articolo 6, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2013/32 deriva che gli Stati membri sono, in linea generale, tenuti a registrare ogni domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo alle autorità nazionali rientranti nell’ambito di applicazione di tale direttiva e che essi devono poi garantire che gli interessati abbiano la possibilità concreta di presentare la loro domanda quanto prima.
77      Di conseguenza, al fine di preservare l’effetto utile dell’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento Dublino III, si deve interpretare tale disposizione nel senso che, in caso di scadenza dei termini previsti dall’articolo 24, paragrafo 2, di tale regolamento, ove la persona di cui trattasi decida di avvalersi della possibilità di presentare una nuova domanda di protezione internazionale che le deve offrire lo Stato membro nel cui territorio si trova, detto Stato membro è competente dell’esame di tale nuova domanda.
78      Tale interpretazione è peraltro avvalorata dall’obiettivo perseguito dall’articolo 24, paragrafi 2 e 3, del regolamento Dublino III, ricordato al punto 62 della presente sentenza.
79      Infatti, se l’introduzione di una nuova domanda di protezione internazionale alle condizioni previste da tali disposizioni comportasse unicamente che lo Stato membro nel cui territorio si trova la persona interessata può ormai avviare la procedura di ripresa in carico, alle condizioni di cui all’articolo 23 di tale regolamento, le regole di cui all’articolo 24, paragrafi 2 e 3, di detto regolamento non potrebbero contribuire alla realizzazione dell’obiettivo di celerità nel trattamento delle domande di protezione internazionale, poiché lo scadere di tali termini non osterebbe all’applicazione di una procedura di ripresa in carico che ritarderebbe nuovamente l’esame della domanda di protezione internazionale presentata dalla persona interessata.
80      Ne consegue che si deve rispondere alla quinta questione, lettera b), dichiarando che l’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che, quando la richiesta di ripresa in carico non è presentata entro i termini di cui all’articolo 24, paragrafo 2, del medesimo regolamento, lo Stato membro nel cui territorio si trova la persona interessata senza titolo di soggiorno è competente dell’esame della nuova domanda di protezione internazionale che tale persona deve essere autorizzata a presentare.
 Sulla quinta questione, lettera c)
81      Con la quinta questione, lettera c), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che il fatto che la procedura di ricorso contro una decisione che ha respinto una prima domanda di protezione internazionale presentata in uno Stato membro sia ancora pendente deve essere considerato come equiparato alla presentazione di una nuova domanda di protezione internazionale in tale Stato membro, ai sensi di detta disposizione.
82      A tale proposito si deve sottolineare, in primo luogo, che l’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento Dublino III si riferisce esplicitamente all’obbligo, per lo Stato membro di cui trattasi, di offrire alla persona interessata la possibilità di presentare una nuova domanda di protezione internazionale.
83      Ne deriva che il legislatore dell’Unione ha inteso incidere, alla scadenza dei termini previsti dall’articolo 24, paragrafo 2, di tale regolamento, non sull’esito delle procedure di trattamento delle domande di protezione internazionale già avviate, ma sull’avvio di una nuova procedura di protezione internazionale.
84      In secondo luogo si deve ricordare che, come risulta dalle considerazioni di cui ai punti da 48 a 50 della presente sentenza, in mancanza di effetto sospensivo conferito alla presentazione di un ricorso contro una decisione che ha respinto una prima domanda di protezione internazionale, si deve considerare che tale decisione produce pienamente i suoi effetti e comporta, pertanto, la chiusura della procedura amministrativa avviata a seguito della presentazione della domanda di protezione internazionale.
85      Di conseguenza, si deve rispondere alla quinta questione, lettera c), dichiarando che l’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che il fatto che la procedura di ricorso contro una decisione che ha respinto una prima domanda di protezione internazionale presentata in uno Stato membro sia ancora pendente non deve essere considerato come equivalente alla presentazione di una nuova domanda di protezione internazionale in tale Stato membro, ai sensi di tale disposizione.
 Sulla quinta questione, lettera d)
86      Con la quinta questione, lettera d), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che, ove la richiesta di ripresa in carico non sia presentata entro i termini di cui all’articolo 24, paragrafo 2, di tale regolamento e la persona interessata non si sia avvalsa della facoltà di cui deve disporre di presentare una nuova domanda di protezione internazionale, lo Stato membro nel cui territorio la persona interessata si trova senza titolo di soggiorno può ancora formulare una richiesta di ripresa in carico o procedere al trasferimento di detta persona verso un altro Stato membro, senza formulare una tale richiesta.
87      L’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento Dublino III si distingue da altre disposizioni relative alla scadenza di termini figuranti in tale regolamento, in quanto non prevede che la scadenza dei termini su cui lo stesso verte comporti, di per sé, un trasferimento di competenza.
88      Come risulta dalla risposta data alla quinta questione, lettera. b), qualora sia applicabile l’articolo 24 di detto regolamento, un tale trasferimento di competenza è subordinato al fatto che la persona interessata faccia uso della facoltà di cui deve disporre di presentare una nuova domanda di protezione internazionale nello Stato membro sul cui territorio si trova.
89      Poiché il legislatore dell’Unione non ha attribuito alla scadenza dei termini fissati all’articolo 24, paragrafo 2, del medesimo regolamento nessun altro effetto, si deve ritenere che, nei casi in cui la persona interessata non si avvalga di tale facoltà, resta consentito allo Stato membro nel cui territorio si trova la persona trarne le conseguenze e di avviare, se del caso, una procedura di ripresa in carico destinata a garantire che tale persona raggiunga il territorio dello Stato membro al quale ha presentato una domanda di protezione internazionale.
90      Per contro, dato che, da un lato, lo Stato membro competente è tenuto, a norma dell’articolo 18, paragrafo 1, lettere da b) a d), del regolamento Dublino III, a riprendere in carico la persona interessata alle condizioni previste agli articoli da 23 a 25 e 29 di tale regolamento e, dall’altra, che nessuno di tali articoli prevede il trasferimento di tale persona in assenza di accordo, esplicito o implicito, dello Stato membro richiesto a tal fine, l’articolo 24, paragrafo 3, di detto regolamento, non può essere inteso nel senso che autorizza uno Stato membro a procedere al trasferimento di tale persona in un altro Stato membro senza formulare una richiesta di ripresa in carico.
91      Pertanto, occorre rispondere alla quinta questione, lettera d), dichiarando che l’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che, qualora la richiesta di ripresa in carico non sia presentata entro i termini di cui all’articolo 24, paragrafo 2, del medesimo regolamento e la persona interessata non si sia avvalsa della facoltà di cui deve disporre di presentare una nuova domanda di protezione internazionale:
–        lo Stato membro nel cui territorio tale persona si trova senza titolo di soggiorno può ancora formulare una richiesta di ripresa in carico, e che
–        detta disposizione non autorizza il trasferimento di tale persona in un altro Stato membro senza che sia formulata una richiesta siffatta.
 Sulle spese
92      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
1)      L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, letto alla luce del considerando 19 di tale regolamento e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede che il controllo giurisdizionale della decisione di trasferimento deve basarsi sulla situazione di fatto esistente allorché si è tenuta l’ultima udienza dinanzi al giudice adito o, in mancanza di udienza, al momento in cui detto giudice si pronuncia sul ricorso.
2)      L’articolo 24 del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, nella quale un cittadino di un paese terzo, dopo aver presentato una domanda di protezione internazionale in un primo Stato membro, è stato trasferito verso tale Stato membro a seguito del rigetto di una nuova domanda presentata presso un secondo Stato membro ed è poi tornato, senza titolo di soggiorno, nel territorio di quest’ultimo, detto cittadino può essere sottoposto a una procedura di ripresa in carico e che non è possibile procedere a un ulteriore trasferimento di tale persona verso il primo di tali Stati membri senza che venga seguita detta procedura.
3)      L’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, nella quale un cittadino di un paese terzo è ritornato, senza titolo di soggiorno, nel territorio di uno Stato membro che ha effettuato in passato il suo trasferimento verso un altro Stato membro, la richiesta di ripresa in carico deve essere inviata entro i termini previsti da tale disposizione e che gli stessi non possono iniziare a decorrere prima che lo Stato membro richiedente abbia avuto conoscenza del rientro della persona interessata nel proprio territorio.
4)      L’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, quando la richiesta di ripresa in carico non è presentata entro i termini di cui all’articolo 24, paragrafo 2, del medesimo regolamento, lo Stato membro nel cui territorio si trova la persona interessata senza titolo di soggiorno è competente per l’esame della nuova domanda di protezione internazionale che tale persona deve essere autorizzata a presentare.
5)      L’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che il fatto che la procedura di ricorso contro una decisione che ha respinto una prima domanda di protezione internazionale presentata in uno Stato membro sia ancora pendente non deve essere considerato come equivalente alla presentazione di una nuova domanda di protezione internazionale in tale Stato membro, ai sensi di tale disposizione.
6)      L’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, qualora la richiesta di ripresa in carico non sia presentata entro i termini di cui all’articolo 24, paragrafo 2, del medesimo regolamento e la persona interessata non si sia avvalsa della facoltà di cui deve disporre di presentare una nuova domanda di protezione internazionale:
–        lo Stato membro nel cui territorio la persona interessata si trova senza titolo di soggiorno può ancora formulare una richiesta di ripresa in carico, e che
–        detta disposizione non autorizza il trasferimento di tale persona in un altro Stato membro senza che sia formulata una richiesta siffatta.
Dal sito http://curia.europa.eu