venerdì 30 maggio 2014



Tar Sardegna xx gennaio 2014, n. xx

Elezioni – Elezioni regionali – Presentazione delle liste – Candidati – Dichiarazioni




Costituisce mera dimenticanza, insuscettibile di determinare l’esclusione dei candidati dalle elezioni regionali (nello specifico: della Sardegna), la mancata indicazione, nella dichiarazione di accettazione della candidatura, della circoscrizione elettorale, qualora nella dichiarazione di presentazione della lista sia chiaramente indicato che i candidati predetti concorrono alla competizione elettorale nella circoscrizione elettorale di riferimento

martedì 27 maggio 2014






Residenza e occupazione abusiva di immobili. La legge di conversione

Legge 23 maggio 2014, n. 80 (G.U. 27 maggio 2014, n. 121), Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, recante misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015.

OMISSIS
 
 
Art. 5
 
 
             Lotta all'occupazione abusiva di immobili. 
            (( Salvaguardia degli effetti di disposizioni 
               in materia di contratti di locazione )) 
 
  1. Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo  non  puo'
chiedere la residenza  ne'  l'allacciamento  a  pubblici  servizi  in
relazione all'immobile medesimo e gli atti emessi  in  violazione  di
tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge. (( A  decorrere
dalla data di entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del
presente decreto, gli atti  aventi  ad  oggetto  l'allacciamento  dei
servizi di energia elettrica, di  gas,  di  servizi  idrici  e  della
telefonia fissa, nelle forme della stipulazione, della  volturazione,
del rinnovo, sono nulli, e pertanto non possono  essere  stipulati  o
comunque adottati, qualora non riportino i  dati  identificativi  del
richiedente e il  titolo  che  attesti  la  proprietà,  il  regolare
possesso o la regolare detenzione dell'unità immobiliare  in  favore
della quale si richiede l'allacciamento. Al  fine  di  consentire  ai
soggetti somministranti la verifica dei dati dell'utente  e  il  loro
inserimento negli atti indicati nel periodo precedente, i richiedenti
sono  tenuti  a  consegnare   ai   soggetti   somministranti   idonea
documentazione relativa al  titolo  che  attesti  la  proprietà,  il
regolare possesso o la regolare detenzione  dell'unità  immobiliare,
in  originale  o  copia  autentica,  o  a  rilasciare   dichiarazione
sostitutiva di atto di notorietà ai sensi  dell'art.  47  del  testo
unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica  28  dicembre
2000, n. 445. 
  1-bis. I soggetti che occupano  abusivamente  alloggi  di  edilizia
residenziale pubblica  non  possono  partecipare  alle  procedure  di
assegnazione di alloggi della medesima natura per i cinque anni 
  successivi alla data di accertamento dell'occupazione abusiva. 
  1-ter. Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre  2015,  gli
effetti prodottisi e  i  rapporti  giuridici  sorti  sulla  base  dei
contratti di locazione registrati ai sensi dell'art. 3, commi 8 e  9,
del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23. )) 
 
OMISSIS



lunedì 26 maggio 2014




Elezioni – Elezioni comunali – Operazioni elettorali – Verbale del seggio


Cons. di Stato, V, xx aprile 2014, n. xx





I verbali sezionali sono atti pubblici facenti fede di tutto quanto è stato acclarato direttamente dal pubblico ufficiale che li ha formati; la circostanza di mero fatto per cui le preferenze attribuite ad un candidato sarebbero state declamate in sede di spoglio ma non riportate nelle tabelle di sezione, per mero errore materiale di trascrizione, deve essere suffragata dalle risultanze dei verbali sezionali che, in parte qua, possono essere smentiti solo dal positivo esperimento della querela di falso o da una sentenza penale che dichiari la falsità di un documento [ricorda il Collegio che “sussiste l’onere di proporre querela di falso contro l’atto pubblico anche se l’immutazione del vero non sia ascrivibile a dolo ma soltanto ad imperizia, leggerezza o a negligenza del pubblico ufficiale, a meno che dallo stesso contesto dell’atto non risulti in modo evidente l’esistenza di un mero errore materiale compiuto da questi nella redazione del documento”]

mercoledì 21 maggio 2014





Elezioni europee. Le regole per un corretto uso dei dati - Il vademecum del Garante privacy


http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/3128444

martedì 20 maggio 2014




Residenza e occupazione abusiva di immobili. Il testo approvato dal Parlamento (e le osservazioni del Servizio studi della Camera dei Deputati)

Conversione in legge del decreto legge 28 marzo 2014, n. 47 (G.U. 28 marzo 2014, n. 73),  Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015.

OMISSIS

ARTICOLO 5.

(Lotta all’occupazione abusiva di immobili. Salvaguardia degli effetti di disposizioni in materia di contratti di locazione).
1.  Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge. A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, gli atti aventi ad oggetto l’allacciamento dei servizi di energia elettrica, di gas, di servizi idrici e della telefonia fissa, nelle forme della stipulazione, della volturazione, del rinnovo, sono nulli, e pertanto non possono essere stipulati o comunque adottati, qualora non riportino i dati identificativi del richiedente e il titolo che attesti la proprietà, il regolare possesso o la regolare detenzione dell’unità immobiliare in favore della quale si richiede l’allacciamento. Al fine di consentire ai soggetti somministranti la verifica dei dati dell’utente e il loro inserimento negli atti indicati nel periodo precedente, i richiedenti sono tenuti a consegnare ai soggetti somministranti idonea documentazione relativa al titolo che attesti la proprietà, il regolare possesso o la regolare detenzione dell’unità immobiliare, in originale o copia autentica, o a rilasciare dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi dell’articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. 

1-bis. I soggetti che occupano abusivamente alloggi di edilizia residenziale pubblica non possono partecipare alle procedure di assegnazione di alloggi della medesima natura per i cinque anni successivi alla data di accertamento dell’occupazione abusiva. 

1-ter. Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.

OMISSIS


Servizio studi della Camera, Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015. D.L. 47/2014 – A.C. 2373, Scheda di lettura 15 maggio 2014, n. 163

OMISSIS



L’articolo 5 introduce una specifica disciplina di contrasto alle occupazioni abusive di immobili.
La nuova disciplina è volta ad impedire che chiunque occupi senza alcun titolo un immobile possa chiedere la residenza e l’allacciamento ai pubblici servizi (gas, luce, acqua ecc.); la disposizione stabilisce la nullità ex lege degli effetti degli atti emessi in violazione della nuova normativa.
Si tratta, quindi, di un’occupazione abusiva per la quale possono essere distinte tre ipotesi:
 del terzo che occupi e goda del tutto arbitrariamente di un immobile senza che sia precedentemente esistito alcun titolo a suo favore (contratto di vendita, di locazione o comodato); è il caso tipico di chi, ad esempio, occupi con violenza o clandestinamente una casa sfitta;
 dell’inquilino che continui ad abitare l’immobile anche dopo che un contratto, originariamente valido ed efficace, abbia successivamente cessato di produrre i propri effetti (esempio: la scadenza di un contratto di locazione);
 del terzo che abbia concluso un contratto di cui il proprietario dell’immobile metta in discussione o l’originaria validità (esempio: il contratto è nullo per mancanza di un requisito essenziale, come la capacità di una parte od il difetto di causa o di forma) o l’inefficacia (esempio: il contratto è sottoposto ad una condizione sospensiva non ancora realizzatasi).

In tutte e tre le suddette ipotesi si ha una c.d. occupazione sine titulo in cui solo nella prima non è mai intercorso, fin dall’origine, alcun titolo in favore dell’occupante. Da ciò discendono importanti conseguenze in ordine, principalmente, al rito processuale applicabile. Quanto a quest’ultimo, infatti, nella prima delle ipotesi indicate non sarà possibile ricorrere al rito relativo alla locazione di cui all’art. 447-bis c.p.c..
L'ordinamento giuridico prevede forme di tutela, sia in sede civile che penale, di chi subisca l'occupazione abusiva del proprio immobile.
In sede civile, il proprietario potrà esperire la cd. azione di rivendicazione (articolo 948 c.c.), imprescrittibile, nei confronti di chiunque possiede o detiene l’immobile. Il titolare dell’immobile potrà agire in qualunque tempo, potendo richiedere anche il risarcimento dei danni subiti anche quando, dopo la domanda giudiziale, il terzo abbia cessato per fatto proprio di possedere o detenere la cosa. L’occupazione senza titolo dell’immobile è certificata dalla sentenza di rilascio da parte del tribunale.
E' anche possibile tutelarsi in via immediata ed urgente dall’occupazione abusiva, ricorrendo al giudice per l’azione di reintegrazione nel possesso (articolo 1168 c.c.). Quest'azione spetta non solo al proprietario, ma anche a chi disponga ad altro titolo dell'immobile (ad esempio l'usufruttuario o il conduttore in locazione dell'immobile); potrà essere esercitata entro un anno dalla data dello spoglio violento o occulto del possesso del bene; se lo spoglio è occulto il termine per chiedere la reintegra decorre dalla data della scoperta dello spoglio.
In sede penale, è possibile tutelarsi attraverso la proposizione di una denuncia alla Procura della Repubblica competente. In tali casi, infatti, è principalmente ipotizzabile il reato di invasione di terreni od edifici (articolo 633 c.p.), punito con la reclusione fino a 2 anni o con la multa da 103 a 1.032 euro; a tale illecito sono ricollegabili altri reati funzionalmente collegati all’occupazione abusiva, quali il danneggiamento (articolo 635 c.p.) e la violazione di domicilio (articolo 614 c.p.).
Si ricorda come, in relazione all’occupazione abusiva di edifici, è stato a volte invocato lo stato di necessità (art. 54 c.p.), la cui dimostrazione costituisce scriminante del reato. Sul punto, la Cassazione (Sez. II, sentenza n. 35580 del 27 giugno 2007) ha - a tali fini - esteso il concetto di "danno grave alla persona" in armonia con quanto stabilito dall'art. 2 della Costituzione, anche a quelle situazioni che minacciano solo indirettamente l'integrità fisica del soggetto, riferendosi alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, tra i quali dev'essere ricompreso il diritto all'abitazione. Secondo la Suprema Corte, l'esigenza di un alloggio rientra fra i bisogni primari della persona, fermo restando, peraltro, che tale interpretazione estensiva del concetto di "danno grave alla persona" importa la necessità di una più attenta e penetrante indagine giudiziaria diretta a circoscrivere la sfera di azione dell'esimente ai soli casi in cui siano indiscutibili gli elementi costitutivi della stessa - necessità e inevitabilità - non potendo i diritti dei terzi essere compressi se non in condizioni eccezionali, chiaramente comprovate. L’operatività dell'esimente presuppone, peraltro (Cass.,sentt. nn. 7183/2008 e 8724/2011), gli ulteriori elementi costitutivi dell'assoluta necessità della condotta, e dell'inevitabilità del pericolo.
La norma in esame - si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione - mira al ripristino delle situazioni di legalità compromesse dalla sussistenza di fatti penalmente rilevanti.
Si intende, quindi, impedire che chi occupa un immobile abusivamente, e sia per questo denunciato al giudice penale, possa, in relazione a tale immobile, ottenervi la residenza o gli allacci delle utenze (ovvero la voltura del relativo contratto, se già allacciate).
Si osserva che la formulazione dell’articolo 5 pare riguardare anche le occupazioni abusive in relazione alle quali sia stata chiesta al giudice solo tutela in sede civile.
Scopo della disposizione è quello di “misurare” la legittimità della richiesta di residenza non dall’abitualità della dimora nell'abitazione ma dalla regolarità del titolo di occupazione; la dichiarazione di residenza dovrebbe essere, quindi, irricevibile dagli uffici comunali qualora non fosse dimostrato che l'alloggio è occupato legittimamente.
Si osserva, tuttavia, che la disciplina in materia anagrafica (DPR 223 del 1989) non prevede attualmente che la dichiarazione di residenza rivolta agli uffici comunali sia condizionata all’esibizione di un atto che attesti la legittimità dell’occupazione dell’alloggio (contratto di acquisto, di locazione o comodato).
L’art. 5 in esame non prevede, in capo al richiedente la residenza, obblighi di esibizione di documenti che comprovino il legittimo possesso o detenzione dell’immobile, così come stabilito in relazione alla somministrazione di utenze (v. ultra). Pare utile valutare in quale modo gli uffici anagrafici possano verificare la regolarità o meno del titolo di occupazione dell’alloggio.
Il secondo periodo del comma 1 dell’art. 5 – introdotto dal Senato - ha, invece, specifico riguardo alla nuova disciplina relativa agli allacci delle utenze (acqua, luce, gas, telefono). Si stabilisce, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, che i cd. contratti di somministrazione ovvero “gli atti aventi ad oggetto l'allacciamento dei servizi di energia elettrica, di gas, di servizi idrici e della telefonia fissa, nelle forme della stipulazione, della volturazione, del rinnovo, sono nulli, e pertanto non possono essere stipulati o comunque adottati, qualora non riportino i dati identificativi del richiedente e il titolo che attesti la proprietà, il regolare possesso o la regolare detenzione dell'unità immobiliare in favore della quale si richiede l'allacciamento”. A fini di verifica da parte dei fornitori dei servizi, i richiedenti sono tenuti a consegnare idonea documentazione in originale o copia autentica o (in mancanza) a rilasciare dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.
Dalla formulazione della disposizione sembra che la nuova disciplina sia applicabile ai soli contratti stipulati, volturati o rinnovati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge. Tuttavia, pare debba essere chiarito il significato del riferimento testuale agli “atti nulli” e (che) pertanto non possono essere stipulati o comunque adottati”.
Riferirsi ad atti nulli (quindi “ontologicamente” ad atti già stipulati) potrebbe dar luogo a problemi di interpretazione. Pare opportuno chiarire:
 se – come sembra - il riferimento agli atti nulli vada inteso in relazione a quelli stipulati in violazione degli obblighi di esibizione documentale dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione (che, quindi, colpisce i contratti ab origine);
 se l’art. 5 introduca un obbligo di sanatoria - mediante l’esibizione dei titoli che attestino la proprietà, la locazione, ecc. – di contratti già in corso alla citata data di entrata in vigore.

Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, vieta a coloro che occupano abusivamente alloggi di edilizia residenziale pubblica la partecipazione alle procedure di assegnazione di alloggi sociali per i successivi cinque anni a decorrere dalla data di accertamento dell'occupazione abusiva.
Da ultimo, il comma 1-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede una clausola di salvaguardia, fino al 31 dicembre 2015, degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione già registrati presso l'Agenzia delle entrate (art. 3, commi 8 e 9 del d.lgs. 23/2011), nei casi di mancata registrazione del contratto entro i termini di legge, di indicazione di un affitto inferiore a quello effettivo e di registrazione di un contratto di comodato fittizio. Tali contratti beneficiano di un canone annuo pari al triplo della rendita catastale, ad essi si applica la disciplina del cd. 4+4 (vale a dire che hanno durata di quattro anni decorrenti dalla data di registrazione, volontaria o d’ufficio, e sono rinnovabili di ulteriori quattro anni).
Tale disciplina (articolo 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23 del 2011) è stata dichiarata incostituzionale, per eccesso di delega, dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 50 del 2014, depositata il 14 marzo. La Consulta ha affermato che la disciplina oggetto di censura è sotto numerosi profili ‘rivoluzionaria’ sul piano del sistema civilistico vigente. Allo stesso tempo, però, emerge con chiarezza come si presenti del tutto priva di “copertura” da parte della legge di delegazione.
Con il comma 1-bis sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione stipulati ai sensi della predetta disciplina, dichiarata incostituzionale.
A seguito della modifica introdotta dal Senato, la rubrica dell’art. 5 è integrata con riferimento alla “Salvaguardia degli effetti di disposizioni in materia di contratti di locazione”.

OMISSIS

sabato 17 maggio 2014




Elezioni – Elezioni comunali – Espressione del voto



Trga Trentino Alto Adige, Trento, xx febbraio 2014, n.xx




L’espressione del voto di preferenza attraverso l'indicazione del nominativo del candidato in uno spazio riservato ad una lista diversa da quella cui egli appartiene, senza che l'elettore abbia espresso il voto di lista, non permette di individuare con chiarezza la volontà dell’elettore, risultando la stessa equivoca e contraddittoria e, pertanto, poiché in tal caso non è possibile risalire ad una univoca ed effettiva volontà dell'elettore, il voto non può ritenersi validamente espresso

giovedì 15 maggio 2014





Residenza e occupazione abusiva di immobili. Il testo approvato dal Senato (ora all’esame della Camera)

Conversione in legge del decreto legge 28 marzo 2014, n. 47 (G.U. 28 marzo 2014, n. 73),  Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015.

OMISSIS

ARTICOLO 5.

(Lotta all’occupazione abusiva di immobili. Salvaguardia degli effetti di disposizioni in materia di contratti di locazione).
1.  Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge. A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, gli atti aventi ad oggetto l’allacciamento dei servizi di energia elettrica, di gas, di servizi idrici e della telefonia fissa, nelle forme della stipulazione, della volturazione, del rinnovo, sono nulli, e pertanto non possono essere stipulati o comunque adottati, qualora non riportino i dati identificativi del richiedente e il titolo che attesti la proprietà, il regolare possesso o la regolare detenzione dell’unità immobiliare in favore della quale si richiede l’allacciamento. Al fine di consentire ai soggetti somministranti la verifica dei dati dell’utente e il loro inserimento negli atti indicati nel periodo precedente, i richiedenti sono tenuti a consegnare ai soggetti somministranti idonea documentazione relativa al titolo che attesti la proprietà, il regolare possesso o la regolare detenzione dell’unità immobiliare, in originale o copia autentica, o a rilasciare dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi dell’articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. 

1-bis. I soggetti che occupano abusivamente alloggi di edilizia residenziale pubblica non possono partecipare alle procedure di assegnazione di alloggi della medesima natura per i cinque anni successivi alla data di accertamento dell’occupazione abusiva. 

1-ter. Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.

OMISSIS

mercoledì 14 maggio 2014




In tema di riconoscimento dello status di rifugiato (secondo il diritto dell’Unione)


Corte di Giustizia UE xx maggio 2014, n. xx

Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Direttiva 2005/85/CE – Norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato – Norma procedurale nazionale che subordina l’esame di una domanda di protezione sussidiaria al previo rigetto di una domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato – Ammissibilità – Autonomia procedurale degli Stati membri – Principio di effettività – Diritto a una buona amministrazione – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 41 – Imparzialità e celerità della procedura








La direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, così come il principio di effettività e il diritto a una buona amministrazione non ostano ad una norma procedurale nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che subordina l’esame di una domanda di protezione sussidiaria al previo rigetto di una domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, a condizione che, da un lato, la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato e la domanda di protezione sussidiaria possano essere presentate contemporaneamente e che, dall’altro, tale norma procedurale nazionale non comporti che l’esame della domanda di protezione sussidiaria avvenga in un termine irragionevole, circostanza questa che spetta al giudice del rinvio accertare.












Dal sito http://curia.europa.eu

martedì 13 maggio 2014





Cittadinanza italiana – Acquisto per concessione – Cause ostative

Cons. di Stato, III, xx febbraio 2014, n. xx

E’ illegittimo per carenza di motivazione e per incompleta valutazione dei presupposti, il diniego della cittadinanza fondato sul riscontro nel casellario giudiziario di condanne penali per reati in danno del patrimonio (ricettazione) e contro la fede pubblica, risalenti agli anni 1994 e 1998 [osserva il Collegio: a) che l’art. 9, c. 1, lett. f), della l. 91/1992 “consente di far valere l’interesse pretensivo alla concessione della cittadinanza italiana decorso di un decennio; e… nell’ultimo decennio non si rinvengono mende a carico dell’interessato”; b) che “il giudizio di affidabilità e di integrazione civile dell’interessato – su cui l’ Amministrazione attesta il proprio giudizio di segno negativo, nell’esercizio della sfera di discrezionalità peculiare al rilascio del provvedimento concessivo – debba basarsi, ai fini della congruità e dell’esaustività della motivazione, su una più compiuta valutazione dei fatti sanzionati in sede penale nella loro oggettività storica (al di là del titolo del reato, tenuto conto che sotto lo stesso nomen iuris possono essere accomunati episodi di ben diversa entità e rilevanza), onde verificare se gli stessi rivestano ancora, nell’attualità, un’ efficacia escludente del beneficio cui l’interessato aspira dopo un lungo periodo (dodici anni) durante il quale non si riscontrano a suo carico mende e pregiudizi”]

sabato 10 maggio 2014





Insussistenza di limiti funzionali all’autenticazione delle firme in materia elettorale, da parte del consigliere provinciale


Cons. di Stato, V, xx aprile 2014, n. xx

Quello territoriale l’unico limite che in base alle disposizioni vigenti in materia di autenticazione di firme nel nostro ordinamento è da ritenere implicitamente apponibile al potere attribuito ai pubblici ufficiali indicati nel citato art. 14 della l. n. 53/1990. Ne consegue  che il consigliere provinciale è abilitato a svolgere le autenticazioni senza alcun limite che non sia quello legato al territorio dell'Ente presso il quale è stato eletto, che rappresenta l'elemento costitutivo di ogni Ente locale


giovedì 8 maggio 2014





In tema di perdita della cittadinanza italiana  (ai sensi della previgente normativa)

Cass. XX marzo 2014, n. xx


OMISSIS
X e Y hanno convenuto il Ministero dell'Interno al fine di richiedere il riconoscimento del diritto ad acquisire la cittadinanza italiana.
A sostegno della domanda hanno dedotto:
- di …  essere figli di Z. la quale, in conseguenza di matrimonio con cittadino libanese aveva perso la cittadinanza italiana come previsto dall'allora vigente L. n. 555 del 1912;
- di avere conseguito il diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana in virtù della sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 1975, con la quale era stata dichiarata l'illegittimità costituzionale della L. n. 555 del 1912, art. 10, comma 3, nella parte in cui prescriveva la perdita della cittadinanza italiana, da parte della cittadina che sposava uno straniero indipendentemente dalla sua volontà.
Nel giudizio di primo grado, il Ministero dell'Interno rimaneva contumace ed il Tribunale accoglieva la domanda.
Il medesimo Ministero, tuttavia, proponeva appello deducendo che nella fattispecie in esame non era applicabile il principio espresso nella sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 1975 dal momento che la madre degli attori non aveva perso la cittadinanza per l'acquisto automatico di quella libanese in virtù del matrimonio ma per aver acquisito spontaneamente tale cittadinanza. Alla fattispecie doveva, conseguentemente, applicarsi la L. n. 555 del 1912, art. 8, comma 1. In tale ipotesi il riacquisto tempestivo della cittadinanza italiana poteva avvenire soltanto in conseguenza della dichiarazione prevista dalla L. n. 151 del 1975, art. 219. La L. invece aveva riacquistato la cittadinanza italiana in virtù della L. n. 91 del 1992, solo il 21 giugno 1994, quando i figli erano già maggiorenni. Ad essi, di conseguenza non poteva applicarsi la citata L. n. 91 del 1992, art. 14.
Gli appellati chiedevano il rigetto dell'appello evidenziando tra l'altro la novità dell'eccezione prospettata. La Corte d'Appello di Roma con la sentenza impugnata ha accolto l'appello sulla base delle seguenti argomentazioni:

OMISSIS

Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione N. D.S. e N.M.S., affidandosi ai seguenti quattro motivi:

OMISSIS

Il punto di partenza è costituito dalle norme della L. n. 55 del 1912, dichiarate incostituzionali.
Si tratta dell'art. 1, n. 1), nella parte in cui prevede: "è cittadino per nascita il figlio di padre cittadino"; (Corte Cost. n. 30 del 1983); dell'art. 1 n. 2) nella parte in cui collega l'acquisto della cittadinanza materna da parte del figlio soltanto ad ipotesi di carattere residuale; (Corte Cost. n. 30 del 1983); dell'art. 2, comma 2, in quanto prevede che il riconoscimento da parte del padre straniero automaticamente comporta, per il figlio minorenne, l'acquisto della cittadinanza straniera e la perdita di quella italiana acquisita per il previo riconoscimento materno (Corte Cost. n. 30 del 1983); ed in particolare dell'art. 10, in quanto stabilisce che il matrimonio con un cittadino straniero determina l'automatica perdita della cittadinanza italiana e l'acquisto automatico di quella straniera se ciò sia previsto dalle norme sulla cittadinanza applicabili al coniuge.
Gli interventi della Corte Costituzionale hanno rimosso sia nei confronti della donna coniugata, originariamente cittadina italiana, sia nei confronti dei figli di una cittadina italiana coniugata con un cittadino straniero, tutte le norme che facevano discendere la perdita della cittadinanza italiana, o la mancata trasmissione della stessa ai propri figli esclusivamente da un regime discriminatorio fondato sul genere, senza alcun margine di scelta individuale in ordine alla conservazione della cittadinanza originaria sia da parte della madre che dei figli.
E', conseguentemente, alla luce dell'automaticità (incostituzionale) della perdita della cittadinanza italiana sancita nelle norme sopra illustrate che deve essere compresa la portata del precedente art. 8, sulla base del quale la sentenza impugnata ha rigettato la domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana dei ricorrenti.
La norma prescrive espressamente:...
 Come risulta palese dal mero esame testuale della norma, la perdita della cittadinanza italiana non viene ancorata esclusivamente all'acquisto di una cittadinanza straniera, richiedendosi, oltre a tale elemento oggettivo anche la partecipazione volontaristica nella forma alternativa dell'acquisto spontaneo e preventivo di una diversa cittadinanza, o di un espresso atto abdicativo alla cittadinanza italiana successivo all'acquisto, ancorchè automatico, della cittadinanza straniera.
Il quadro normativo deve essere completato mediante l'esame delle disposizioni che, partendo dalla peculiarità del regime giuridico contenuto nella legge n. 55 del 1912, in quanto largamente permeato dal principio della supremazia del genere maschile, hanno predeterminato, una volta mutato il quadro costituzionale, le modalità di riacquisto della cittadinanza italiana da parte dei soggetti che avevano perso tale status in virtù della legge predetta.
La norma più significativa è la L. n. 151 del 1975, art. 219, secondo la quale: …
Anche nella L. n. 91 del 1992, che contiene l'attuale disciplina normativa della cittadinanza, vi sono disposizioni di raccordo tra il vecchio regime ed il nuovo, incentrato sul principio di uguaglianza tra i generi.
L'art. 17, in particolare, consente a chi abbia perduto la cittadinanza italiana, non direttamente in virtù della norma incostituzionale contenuta nella L. n. 555 del 1912, art. 10, ma ex artt. 8 (ovvero per effetto di una scelta volontaria) o 12 (riacquisto della cittadinanza italiana da parte dei figli una volta divenuti maggiorenni) di riacquistarla mediante una dichiarazione da rendere entro due anni dall'entrata in vigore della legge stessa.
Al riguardo nella pronuncia delle S.U. n. 4466 del 2009, è stato espressamente riconosciuto, difformemente dall'orientamento anteriormente affermatosi nella giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U. 3331 del 2004) che la dichiarazione resa ai sensi dell'art. 219 legge 151 del 1975 opera ex tunc e non ha carattere costitutivo, in quanto l'autorità amministrativa svolge una funzione meramente ricognitiva, tesa a riconoscere un diritto soggettivo preesistente e, una volta rimossa l'incostituzionale discriminazione di genere, sempre esercitabile e giustiziabile senza soluzione di continuità.
Coerentemente con tale premessa, la L. n. 91 del 1992, art. 17, viene ritenuto dalle sezioni Unite, una norma di conferma del principio già espresso nell'art. 219, ovvero un ulteriore strumento legislativo volto ad eliminare gli effetti distorsivi della L. n. 555 del 1912 (p.3.1. della sentenza delle S.U. n. 4466 del 2009), pervenendo alla conclusione che, alla luce del nuovo sistema delineato dagli interventi della Corte Costituzionale, soltanto una rinuncia volontaria, così come prevista dall'art. 11 della l. n. 91 del 1992 (e non dall'art. 17, come invece ritenuto dalla Corte d'Appello), può far venire meno il diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana nelle condizioni sopra delineate.
Ne consegue che la fattispecie dedotta nel presente giudizio deve essere affrontata all'interno di questo più ampio panorama di fonti costituzionali e normative, ed alla luce della natura permanente ed imprescrittibile del diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana, così come delineato dalle S.U. di questa Corte.
Al riguardo si deve rilevare che l'acquisto della cittadinanza libanese da parte della madre dei ricorrenti non può, alla luce delle risultanze di fatto indicate nella sentenza impugnata, essere inequivocamente ricondotta al paradigma della L. n. 55 del 1912, art. 8, n. 1, o comunque ad una libera scelta, così come erroneamente ritenuto dalla Corte d'Appello di Roma, dal momento che la perdita della cittadinanza italiana, in quanto derivante dell'applicazione di una norma imperativa (L. n. 55 del 1912, art. 10, comma 1) può non essere la conseguenza dell'acquisto "spontaneo" della cittadinanza libanese come richiede la norma ma la causa della necessità di acquistare la cittadinanza del coniuge, ai sensi del terzo comma dell'art. 10. ….

OMISSIS

Non può, pertanto, ritenersi che la valutazione di spontaneità dell'acquisto della cittadinanza libanese da parte della madre delle parti ricorrenti, da cui si fa derivare l'esclusione del riconoscimento della cittadinanza italiana in capo ai figli maggiorenni, sia stata effettuata con adeguata conoscenza dei fatti e alla luce del complessivo panorama normativo e giurisprudenziale così come illustrato.
Al riguardo, deve evidenziarsi che la giurisprudenza di legittimità in una pronuncia recente di questa sezione ha evidenziato che nei procedimenti relativi al riconoscimento dello status di cittadino, "il rango di diritto di primaria rilevanza costituzionale" oggetto dell'accertamento giudiziale impone al giudice di attivare i suoi poteri istruttori officiosi al fine di ottenere tutte le informazioni necessarie per verificare l'esistenza o la mancanza dei presupposti richiesti dalla legge. (Cass. 20870 del 2011). Nella specie, la spontaneità della perdita della cittadinanza italiana posta a base del rigetto della domanda proposta dai ricorrenti, non è stata giustificata da un accertamento rigoroso delle condizioni e delle modalità di acquisto della cittadinanza libanese da parte della Z, coniugata nel 1964 con un cittadino libanese nella piena vigenza della L. n. 55 del 1912. La documentazione prodotta dagli attori, posta a base della decisione, si limita, secondo quanto desumibile dalla sentenza impugnata e dagli atti difensivi esaminati, a ricondurre la fattispecie alle ipotesi normative di cui alla L. n. 55 del 1912, art. 8, e alla L. n. 91 del 1992, art. 17, senza fornire alcuna indicazione sulla natura, libera, od obbligata dell'acquisto della cittadinanza libanese da parte della madre dei ricorrenti.
La pronuncia della Corte d'Appello risulta, pertanto, censurabile sia sotto il profilo dell'interpretazione della L. n. 55 del 1912, art. 8, da compiersi alla luce dell'esegesi sistematica del testo normativo in cui la norma è inserita così come indicato dalle S.U., sia sotto il profilo del mancato approfondimento in fatto, mediante richiesta puntuale d'informazioni alle Ambasciate competenti e al Ministero degli Esteri, al fine di verificare se all'epoca del matrimonio della madre dei ricorrenti la cittadinanza del marito si comunicava ex lege o in presenza di peculiari presupposti al coniuge o poteva ritenersi il frutto di una libera scelta della medesima.
In conclusione il ricorso deve essere accolto e la pronuncia cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Roma perchè si attenga al principio di diritto sopra enunciato e regoli anche le spese di legittimità.

OMISSIS

mercoledì 7 maggio 2014





In tema di autenticazione delle firma in materia elettorale

Cons. di Stato, V, xx marzo 2014, n. xx



In materia elettorale, è irrilevante la circostanza che l’autenticazione della firma (nello specifico: di accettazione della candidatura) sia avvenuta a distanza di tempo dal compimento delle operazioni preordinate all’autenticazione, in quanto la discrasia temporale non ne inficia la valenza giuridica [aggiunge il Collegio che: a) “quanto alla prescrizione dell’art. 21, comma 2, del d.p.r. n. 445 del 2000, secondo cui l’autenticazione va redatta di seguito alla sottoscrizione, essa si riferisce alla continuità spaziale, onde evitare aggiunte nello spazio tra la dichiarazione e l’autenticazione e non implica invece anche l’immediatezza temporale della dichiarazione di autentica” b)“essendo l’autenticazione atto materialmente distinto dalla sottoscrizione, la discrasia temporale tra la sottoscrizione e l’autenticazione è ammissibile dal punto di vista strettamente giuridico e non inficia la validità dell’autenticazione e l’effetto legale che la legge (art. 2703 cod. civ.) le riconosce, atteso che non rientra tra le formalità prescritte tassativamente dal citato art. 21 del d.p.r. n. 445 del 2000”; sotto questo profilo, inoltre, “il valore dell’autenticazione nella legge n. 445 del 2000 è quella di certificare la verità e autenticità della firma apposta alla presenza del pubblico ufficiale nella data indicata nell’autentica medesima, mentre non viene affatto certificata l’esattezza della data apposta accanto alla firma che risulterebbe pertanto irrilevante]

martedì 6 maggio 2014





In tema di autenticazione delle firma per le elezioni comunali

Cons. di Stato, V, xx gennaio 2014, n. xx




La formula “della cui identità sono certo” rappresenta una delle due valide modalità identificative del sottoscrittore della dichiarazione, nella specie quella c.d. “per conoscenza personale”.

Nessuna norma impedisce al pubblico ufficiale di verbalizzare l’operazione di autenticazione della dichiarazione sul retro del foglio contenente la dichiarazione stessa, trattandosi, materialmente, di un documento unico ed indissolubile. La norma prevede, semplicemente e necessariamente, che l’autenticazione sia redatta di seguito alla dichiarazione; essendo la facciata posteriore del foglio situata, materialmente, di seguito a quella anteriore, deve ritenersi perfettamente valida l’operazione di autenticazione redatta sul retro del foglio [aggiunge il Collegio che, del resto,  tale modalità “soddisfa in pieno le esigenze di certezza che la norma intende tutelare attesa l’unicità fisica e la saldatura fra sottoscrizione e autenticazione insita nell’uso del medesimo foglio”]

lunedì 5 maggio 2014





Elezioni ed (auto) autenticazione della firma

Tar Friuli Venezia Giulia xx aprile 2014, n. xx

OMISSIS
FATTO e DIRITTO
OMISSIS
A sostegno del ricorso l’interessato spiega come l'articolo 6 della legge regionale 19 del 2013 richiama per l'autenticazione delle firme l'articolo 5 della legge regionale 28 del 2007 che a sua volta che richiama l'articolo 23 della legge regionale 17 del 2007 e l'articolo 21 del d.P.R. 445 del 2000. Ad avviso di parte ricorrente nessuno di tali articoli conterrebbe un divieto esplicito per un pubblico ufficiale di poter autenticare la propria firma. Nemmeno nella circolare regionale del 15 gennaio 2014 sono contenuti espliciti divieti di autocertificazione della propria firma da parte di un pubblico ufficiale e lo stesso vale per le istruzioni regionali per la presentazione delle candidature alle elezioni comunali del 2014.
Nel modello proposto dagli uffici regionali per l'accettazione della carica di consigliere si richiamano gli articoli 1 e 21 del d.P.R. 445, ma nulla si afferma circa il divieto di autenticare la propria firma da parte di un pubblico ufficiale.
Ne conseguirebbe la validità dell'autentica effettuata dal consigliere comunale citato.
Va da subito evidenziato come il ricorso non risulta fondato.
In linea generale, va innanzi tutto ricordato come in materia di operazioni elettorali non si applicano i principi di semplificazione amministrativa di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445: in particolare non è ammessa l'autocertificazione in sostituzione della dichiarazione con firma autenticata relativa all'accettazione della candidatura a presidente della provincia (TAR Lazio Roma n 4420 del 2003).
Circa la normativa applicabile, la legge regionale 19 del 2013 all’art 6 sulle autentificazioni rinvia all’art 5 della legge regionale 28 del 2007, il quale a sua volta afferma che “sono competenti a effettuare le autenticazioni previste dalla presente legge i soggetti di cui all'articolo 23, comma 7, della legge regionale n. 17/2007” aggiungendo al comma successivo che l'autenticazione è compiuta con le modalità previste dall'articolo 21, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa).
A sua volta l’art. 23 della legge regionale 17/07 al comma 7 afferma che “la firma del sottoscrittore deve essere autenticata da un consigliere regionale ovvero da uno dei seguenti pubblici ufficiali: notaio, giudice di pace, cancelliere e collaboratore delle cancellerie delle corti d'appello e dei tribunali, segretario delle procure della Repubblica, presidente della provincia, sindaco, assessore comunale e provinciale, presidente del consiglio comunale, del consiglio provinciale e del consiglio circoscrizionale, vicepresidente del consiglio circoscrizionale, segretario comunale, segretario provinciale, funzionario incaricato dal sindaco o dal presidente della provincia, consigliere provinciale che abbia comunicato la propria disponibilità al presidente della provincia, consigliere comunale che abbia comunicato la propria disponibilità al sindaco del comune”.
Infine l’art 21 del dPR 445 del 2000 afferma che “l’autentificazione è redatta di seguito alla sottoscrizione e il pubblico ufficiale, che autentica, attesta che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza, previo accertamento dell'identità del dichiarante, indicando le modalità di identificazione, la data ed il luogo di autenticazione, il proprio nome, cognome e la qualifica rivestita, nonché apponendo la propria firma e il timbro dell'ufficio”.
Questo Collegio rileva poi come non si verte in un'ipotesi di autocertificazione, la quale come noto riguarda uno stato o qualità personali ma non già l'identità del dichiarante medesimo.
Inoltre la certificazione relativa all'identità personale di un soggetto, ovvero, il che è uguale, l'autentica di una firma, cioè la certificazione che il soggetto che ha firmato corrisponde all'identità della firma, per sua stessa natura non può che provenire da un pubblico ufficiale che sia diverso rispetto al soggetto autenticato.
L'intera normativa citata da parte ricorrente e sopra citata, se da un lato non vieta in modo espresso un'autocertificazione, tuttavia deve essere interpretata alla luce dei principi che disciplinano le autentiche, tra cui l'ovvia circostanza che l'autentica di una firma e la certificazione dell'identità non può altro che provenire da un soggetto diverso dal soggetto della cui autentificazione si tratta.
Del resto, la stessa normativa relativa alle autentiche di cui all’articolo 2703 del Codice civile, nel definire il concetto di autentificazione, parla di attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata posta in sua presenza previo accertamento dell'identità della persona che sottoscrive. Tale disposizione implica chiaramente per sua stessa natura che il pubblico ufficiale sia persona diversa dal sottoscrittore.
La normativa in materia di elezioni ha esteso, ben oltre alla categoria dei notai, il novero dei soggetti pubblici ufficiali che possono procedere all'autentificazione dei candidati, includendovi anche i consiglieri comunali, ma non ha affatto modificato la natura e il contenuto dell’autentificazione stessa.
La Regione speciale Friuli Venezia Giulia è dotata di competenza legislativa in materia elettorale, ma non può certo regolamentare una materia, quelle delle certificazioni e delle autentiche, che rientra nella disciplina del Codice civile. Ne consegue che la menzionata normativa regionale in materia di elezioni va interpretata conformemente ai principi civilistici in materia di autentificazioni, che come sopra illustrato presuppongono la diversità tra il soggetto abilitato ad autenticare una firma e il soggetto la cui firma viene autenticata.
Del resto, nelle stesse istruzioni redatte on-line dalla Regione Friuli Venezia Giulia, settore autonomie locali, (sito internet Regione http://autonomielocali.regione.fvg.it/aall/opencms/AALL/ Elezioni/faq/argomento04/f) dove vengono riportati e risolti i dubbi più frequenti riguardanti appunto le autentiche, alla domanda “Può l’autenticatore autenticare la propria firma?” si risponde “No, non si può autenticare la propria firma perché la stessa deve essere autenticata da altro soggetto”, ribadendo in sostanza che non è possibile che il pubblico ufficiale autentichi la propria firma.
Non risulta poi possibile alcuna sanatoria o integrazione successiva della documentazione mancante in quanto non prevista dalla normativa vigente.
Per le citate ragioni il presente ricorso va rigettato, laddove non necessita pronunciarsi sulle spese di giudizio non essendosi costituita controparte.
OMISSIS

sabato 3 maggio 2014





Incostituzionalità del Porcellum: il seguito nel giudizio principale

Cass. 16 aprile 2014, n. 8878

Svolgimento del processo

1.- Nel novembre 2009 il sig. A.B. , in qualità di cittadino elettore, convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'interno, deducendo che nelle elezioni per la Camera dei Deputati e per il Senato della Repubblica svoltesi successivamente all'entrata in vigore della legge n. 270/2005 e, in particolare, nelle elezioni del 2006 e 2008, egli non aveva potuto esercitare (e non avrebbe potuto esercitare nel futuro) il diritto di voto secondo modalità conformi a principi costituzionali del voto "personale ed eguale, libero e segreto" (art. 48, comma 2, Cost.) e "a suffragio universale e diretto" (artt. 56, comma 1, e 58, comma 1, Cost.).
Nell'espressione del voto personale e diretto era implicito, a suo avviso, il diritto di esprimere la preferenza ai singoli candidati, possibilità esclusa dalla legge elettorale citata, la quale, attribuendo rilevanza all'ordine di inserimento dei candidati nella lista, affidava agli organi di partito la designazione di coloro che dovevano essere nominati, con conseguente creazione di un effettivo e concreto vincolo di mandato dell'eletto nei confronti degli organi di partito che lo avevano prescelto, in violazione dell'art. 67 Cost. secondo il quale ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Inoltre il principio di uguaglianza del voto era violato dall'attribuzione di un "premio di maggioranza" alla lista che aveva ottenuto anche un solo voto in più delle altre, senza nemmeno la previsione di una soglia minima in voti o seggi, con l'effetto di riconoscere un valore diverso ai singoli voti e di attribuire a non significative "minoranze" uscite dalle urne (anche ampiamente inferiori al 50%) ben 340 seggi alla Camera e la maggioranza qualificata del 55% dei seggi al Senato.
Il principio di uguaglianza del voto era violato anche per il peculiare "premio di maggioranza" attribuito per l'elezione del Senato su base regionale (essendo il numero dei seggi assegnati ad ogni regione proporzionale alla popolazione residente, il voto espresso dall'elettore residente nelle regioni più popolose concorreva all'attribuzione di un premio di maggioranza ben più elevato di quello cui poteva concorrere l'elettore delle regioni meno popolose). Inoltre arbitraria era la previsione dell'inserimento nella scheda elettorale del nome del capo di ciascuna lista o coalizione, che aveva l'effetto di coartare la libertà del voto e di condizionare l'autonomia del Capo dello Stato nella nomina del Presidente del Consiglio di Ministri.
1.1.- L'attore chiese quindi di dichiarare che il suo diritto di voto non poteva essere esercitato in modo libero e diretto, secondo le modalità previste e garantite dalla Costituzione e dal Protocollo 1 della CEDU, nonché nel rispetto delle forme e dei limiti concernenti il potere del Presidente della Repubblica di nominare il Presidente del Consiglio di Ministri, e di conseguenza chiese di ripristinarlo secondo modalità conformi alla legalità costituzionale. A tal fine, in relazione agli artt. 1, comma 2; 3; 48, comma 2 e 4; 56, comma 1; 67; 117, comma 1; 138 Cost. e 3 Prot. 1 CEDU, egli eccepì, in via incidentale, l'illegittimità costituzionale, quanto all'elezione della Camera dei Deputati, degli artt. 1, comma 1; 4, comma 2; 59; 83, commi 2, 3, 4 e 5, del d.P.R. n. 361/1957, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005; quanto all'elezione del Senato, degli artt. 14, 16, 17, 19, 27 del d. lgs. n. 533/1993, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005; inoltre, eccepì l'illegittimità costituzionale degli artt. 14 bis, comma 3, del d.P.R. n. 361/1957 e 8 del d. lgs. n. 533/1993, nel testo vigente, a causa della dedotta limitazione del potere del Presidente della Repubblica.
2.- Nel giudizio di primo grado intervennero ad adiuvandum altri cittadini elettori (menzionati in epigrafe) e si costituirono la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'interno che chiesero il rigetto delle domande.
3.- Il Tribunale di Milano, con sentenza 18 aprile 2011, rigettò le eccezioni preliminari di inammissibilità delle domande per difetto di giurisdizione e insussistenza dell'interesse ad agire, nel merito rigettò le domande giudicando manifestamente infondate le proposte eccezioni di illegittimità costituzionale.
4.- Il giudizio svoltosi dinanzi alla Corte di appello di Milano, nel quale le amministrazioni convenute reiterarono le eccezioni preliminari già proposte, fu definito con sentenza 24 aprile 2012 che rigettò l'appello, giudicando manifestamente infondate le proposte questioni di legittimità costituzionale.
5.- Avverso la predetta sentenza A.B. e gli altri cittadini elettori hanno proposto ricorso per cassazione; la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'interno non hanno svolto attività difensiva.
6.- Questa Corte, con ordinanza 17 maggio 2013, sul presupposto che il giudizio principale doveva essere definito con una sentenza che accertasse la portata del diritto di voto e lo ripristinasse nella pienezza della
sua espansione, per il necessario tramite dell'intervento della Corte costituzionale, ha giudicato rilevanti e non manifestamente infondate le proposte questioni di legittimità costituzionale precisate dalla corte con riferimento agli artt. 83, commi 1, n. 5, e 2, del d.P.R. n. 361/1957, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005, quanto al premio di maggioranza per l'elezione della Camera dei Deputati, in relazione agli artt. 3 e 48, comma 2, Cost.; all'art. 17, commi 2 e 4, del d. lgs. n. 533/1993, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005, quanto al premio di maggioranza per l'elezione del Senato della Repubblica, in relazione agli artt. 3 e 48, comma 2, Cost.; agli artt. 4, comma 2, e 59, comma 1, del d.P.R. n. 361/1957, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005, quanto al voto di preferenza per la Camera, in relazione agli artt. 3, 48, comma 2, 49, 56, comma 1, e 117, comma 1, Cost.; all'art. 14, comma 1, del d. lgs. n. 533/1993, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005, quanto al voto di preferenza per il Senato, in relazione agli artt.
3, 48, comma 2, 49, 58, comma 1, e 117, comma 1, Cost.; ha invece ritenuto manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità delle norme riguardanti l'inserimento nella scheda elettorale del nome del capo di ciascuna lista o coalizione.
7.- La Corte costituzionale, con sentenza n. 1 del 13 gennaio 2014, ha accolto le questioni proposte e dichiarato l'illegittimità costituzionale delle censurate norme della legge n. 270/2005 che prevedevano l'assegnazione di un premio di maggioranza - sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica - alla lista o alla coalizione di liste che avessero ottenuto il maggior numero di voti e che non avessero conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione; la Corte ha altresì dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che stabilivano la presentazione di liste elettorali "bloccate", nella parte in cui non consentivano all'elettore di esprimere una preferenza.
8.- Il giudizio è stato fissato per il prosieguo all'udienza odierna. I ricorrenti hanno presentato una memoria nella quale hanno chiesto un rinvio della discussione nell'attesa dell'approvazione del disegno di legge elettorale n. 1385/2014 che, essendo affetto, a loro avviso, da analoghi e da altri gravi vizi di legittimità costituzionale, verrebbe a frustrare lo scopo ultimo del giudizio la cui utilità finale era quella di assicurare per il presente e il futuro la possibilità di esercitare il diritto di voto secondo Costituzione, cioè in modo personale ed eguale, libero e diretto.
9.- La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha presentato un atto di costituzione al solo fine della partecipazione all'udienza di discussione.

Motivi della decisione

1.- La preliminare richiesta dei ricorrenti, contrastata dal P.G., di rinviare la discussione del ricorso non è accoglibile, non già (come ritenuto dall'Avvocatura generale dello Stato per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministeri) perché la domanda di accertamento della consistenza del diritto elettorale non possa dirigersi verso una legge diversa, sostitutiva o modificativa di quella originariamente censurata (la n. 270 del 2005), ma perché un rinvio non sarebbe giustificabile allo scopo di attendere la pubblicazione di una nuova legge elettorale che non è possibile sapere se, quando e con quali contenuti sarà approvata dal Parlamento e che, come ricordato dalla Corte Costituzionale (n.1/2014), potrà sempre essere approvata dal Parlamento "nel rispetto dei principi costituzionali" ed essere soggetta all'ordinario controllo di costituzionalità che, nel nostro sistema, non è preventivo.
In definitiva, il richiesto rinvio si risolverebbe in una sostanziale e inammissibile sospensione di un processo che dev'essere definito in tempi compatibili con il principio della ragionevole durata, a norma dell'art. 111, comma 2, Cost..

2.- L'Avvocatura dello Stato ha eccepito che, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, che ha ripristinato la legalità costituzionale del sistema elettorale di voto per le elezioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, sarebbe cessata la materia del contendere, essendo stato soddisfatto l'interesse azionato dai ricorrenti nel giudizio.
2.1.- L'eccezione, contrastata dai ricorrenti e dal P.G., è infondata.
È necessario ribadire quanto già precisato nell'ordinanza 17 maggio 2013 (di rimessione alla Corte costituzionale) a proposito della natura dell'azione proposta dai ricorrenti, che è di accertamento della portata del diritto di voto come configurato dalla legge elettorale n. 270 del 2005, sotto il profilo della sua compatibilità con i parametri costituzionali del voto personale, eguale, libero e diretto (artt. 48, 56 e 58 Cost.).
In tale azione era compresa la richiesta rivolta (necessariamente) al giudice dei diritti di effettuare, in prima battuta, il consueto e preliminare scrutinio di non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale di alcune disposizioni di quella legge elettorale indubbiamente rilevanti per la definizione del giudizio, in via strumentale all'accertamento dell'esistenza di una effettiva e concreta lesione del diritto di voto e al ripristino della legalità costituzionale violata, per il tramite della pronuncia costituzionale.
Al contrario dei giudici di merito, i quali in sostanza accertarono l'insussistenza della dedotta lesione del diritto di voto (come conseguenza della ritenuta manifesta infondatezza delle, pur rilevanti, questioni di legittimità costituzionale proposte), questa Corte le ha ritenute non manifestamente infondate, esprimendo un giudizio di potenziale lesione del diritto di voto esercitabile dai cittadini elettori secondo le modalità previste dalla legge n. 270 del 2005.
La Corte costituzionale ha ripristinato per il futuro (a partire dalla data di pubblicazione della sentenza n. 1 del 2014) la legalità costituzionale e la possibilità dei cittadini elettori di esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto, ma non ha potuto accertare quali effetti abbiano avuto le disposizioni incostituzionali della legge n. 270 del 2005 sul diritto di voto dei cittadini elettori nel periodo della loro vigenza, compito questo che spetta al giudice ordinario.
3.- Deve quindi ribadirsi quanto già rilevato nell'ordinanza del 17 maggio 2013 e cioè che l'accoglimento delle proposte questioni di legittimità costituzionale non ha esaurito la tutela invocata dai ricorrenti nel giudizio principale, che si può realizzare solo a seguito e in virtù della pronuncia con la quale il giudice ordinario accerta le conseguenze della pronuncia costituzionale e, in particolare, se vi sia stata una lesione giuridicamente rilevante del diritto di voto. A tale accertamento, a cui i ricorrenti hanno diritto, deve provvedere questa Corte che, cassata la impugnata sentenza della Corte di appello di Milano, può decidere la causa nel merito, a norma dell'art. 384, comma 2, c.p.c., non essendovi ulteriori accertamenti di fatto da svolgere.
E in effetti, la dedotta lesione v'è stata per il periodo di vigenza delle disposizioni incostituzionali, poiché i cittadini elettori non hanno potuto esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto, secondo il paradigma costituzionale, per la oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica, a causa del meccanismo di traduzione dei voti in seggi, intrinsecamente alterato dal premio di maggioranza disegnato dal legislatore del 2005, e a causa della impossibilità per i cittadini elettori di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento (come ricordato dalla Corte costituzionale, al p. 5.1, "in definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione").
4.- A un siffatto accertamento non è di ostacolo quanto precisato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza (al p. 7) secondo cui la decisione di annullamento delle norme censurate "non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto", con la conseguenza che "le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso [...] Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali". Infatti tale precisazione, che si giustifica per il fondamentale principio di continuità dello Stato (poiché "le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare"), riguarda gli effetti della sentenza costituzionale sull'operatività degli organi costituzionali e sui relativi provvedimenti, ma non attenua la incostituzionalità che è stata accertata e dichiarata dalla Corte senza altre limitazioni (del resto non risultanti dal dispositivo della sentenza).
5.- La sopra ricordata precisazione della Corte costituzionale, la quale ha osservato che le elezioni svolte costituiscono "un fatto concluso" idoneo a giustificare che i rapporti sorti nel vigore della legge annullata "rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida" in quanto "esauriti", dimostra che la tutela riconosciuta dall'ordinamento ai ricorrenti elettori, oltre all'accertamento per il passato della lesione subita e del diritto al rimborso delle spese sostenute per conseguire tale risultato processuale (v. il successivo p. 7), è quella, pienamente satisfattiva, della riparazione in forma specifica per effetto della sentenza costituzionale che ha ripristinato la legalità costituzionale, potendo essi, a decorrere dal 13 gennaio 2014 ed attualmente, esercitare il diritto di voto secondo i precetti costituzionali.
6.- In conclusione, cassata la sentenza impugnata, la causa è decisa nel merito nel senso indicato nel precedente p. 3 e in dispositivo.
7.- Con riguardo alle spese processuali relative ai giudizi di merito e di legittimità, non vi è ragione di derogare al principio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, dichiara che i ricorrenti non hanno potuto esercitare il diritto di voto nelle elezioni per la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica, svoltesi successivamente all'entrata in vigore della legge n. 270/2005 e sino alla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, secondo le modalità, previste dalla Costituzione, del voto personale, eguale, libero e dirette;
condanna le Amministrazioni intimate alle spese del presente giudizio in favore dei ricorrenti, liquidate in Euro 10200,00, di cui Euro 10000,00 per compensi, oltre spese generali e accessori di legge, nonché alle spese dei giudizi di merito di primo grado, liquidate in Euro 4800,00 per onorari e Euro 2000,00 per competenze, e di secondo grado, liquidate in Euro 5500,00 per onorari e Euro 2400,00 per competenze, oltre spese generali e accessori di legge.