sabato 30 luglio 2016






Natura della convivenza (anche ai sensi dell’art. 36 della l. 76/2016)


Trib. Milano 31 maggio 2016  (ord.)

Avendo la convivenza una natura “fattuale”,  la dichiarazione anagrafica è strumento privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo


OMISSIS

Va premesso che l’esistenza di una convivenza di fatto tra la … e il .. deve ritenersi in questa sede provata. Il fatto stesso che i conviventi abbiano avuto due figli è sintomo di un habitat familiare formatosi al di fuori di un vincolo matrimoniale. La prova si ricava, comunque, anche dal certificato anagrafico in atti che attesta lo stato di famiglia, nel periodo in cui si è realizzata la morte del …. Val la pena di precisare che, comunque, avendo la convivenza una natura “fattuale”, e, cioè, traducendosi in una formazione sociale non esternata dai partners a mezzo di un vincolo civile formale, la dichiarazione anagrafica è strumento privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo e ciò si ricava, oggi, dall’art. 1 comma 36 della Legge 76 del 2016, in materia di “regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”. La definizione normativa che il Legislatore ha introdotto per i conviventi è scevra da ogni riferimento ad adempimenti formali: “si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”. In altri termini, il convivere è un “fatto” giuridicamente rilevante da cui discendono effetti giuridici ora oggetto di regolamentazione normativa. Tant’è che la dichiarazione anagrafica è richiesta dalla legge 76 del 2016 «per l’accertamento della stabile convivenza», quanto a dire per la verifica di uno dei requisiti costitutivi ma non anche per appurarne l’effettiva esistenza fattuale. Ai fini dell’odierno procedimento, pertanto, è provato che, al momento del decesso, la …, il … e i loro figli, costituivano una famiglia non fondata sul matrimonio.


OMISSIS



Autenticazione della firma nel voto per corrispondenza


Cons. di Stato, VI, xx luglio 2016, n. xx

Posto che nella votazione mediante lettera l’autenticazione della firma del votante sulla busta chiusa che contiene la scheda di voto è da considerarsi attività equipollente a quella svolta presso il seggio elettorale dai componenti il seggio medesimo, i quali accertano l’identità dell’elettore,  nella ipotesi del voto per corrispondenza occorre l’autenticazione della firma per mezzo di un pubblico ufficiale, con esclusione dell’autocertificazione che, viceversa, non garantisce alcun controllo diretto sull’identità del votante[Osserva il Collegio: a) se “è indubbio che attraverso il voto per corrispondenza è favorita la partecipazione degli iscritti alle elezioni per il rinnovo degli organi degli ordini professionali, in una prospettiva di “incoraggiamento” all’esercizio del diritto di voto anche per gli iscritti che risiedano lontano dall’unico seggio centrale”, nondimeno “il favor voti e le esigenze di semplificazione … incontrano un limite invalicabile nella necessità di garantire trasparenza, genuinità e personalità nell’esercizio del diritto di voto; b)“il combinato disposto di cui agli articoli 21 e 38 del T.U. 445 si riferisce a istanze o a dichiarazioni sostitutive .., alle quali non è riconducibile l’espressione di voto, per sua natura segreta, personale, non delegabile (cfr. art. 48 Cost.) e da esercitarsi sempre previo accertamento rigoroso della identità del votante da parte dei componenti il seggio elettorale; accertamento che avviene o per riconoscimento personale o per ricognizione del documento di identità esibito]

E’ legittima l’interpretazione ministeriale – espressa nella circolare  prot. n. 2/13.9/Q del 12 settembre 2005 sulle modalità di espressione del voto mediante lettera – dell’inciso “firma autenticata nei modi di legge” nel senso di estendere l’ambito operativo del criterio di cui al citato art. 14 anche all’elezione “de qua”, avuto riguardo alle peculiarità e alle specificità delle regole che governano i procedimenti elettorali, a garanzia della libera espressione della volontà del corpo elettorale


FATTO e DIRITTO
1.Data la ricostruzione analitica dei tratti salienti della controversia che si rinviene nella sentenza impugnata, non si considera necessario ripercorrere in dettaglio la vicenda oggetto del presente giudizio.
Al riguardo appare sufficiente rammentare che:
- il dott. A.M. ha partecipato alle elezioni per il rinnovo dell'O.N.B. che in passato, prima della declaratoria di illegittimità delle elezioni precedenti, aveva avuto modo di presiedere. Infatti il Tar Lazio, con alcune sentenze pronunciate nel 2012, aveva accertato la legittimità di alcune delibere del C.N.B. di accoglimento di taluni ricorsi amministrativi, proposti ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 22 e seguenti della l. n. 396 del 1967, dichiarative dell'illegittimità delle elezioni al medesimo Organo consiliare e - appunto - all'O.N.B. , indette nel 2010;
-le nuove elezioni, indette nel giugno del 2012 per entrambi gli Organi, si sono caratterizzate per un clima di tensione, dovuto a contestazioni - di candidati ed elettori - che riguardavano soprattutto il voto per corrispondenza, il che, oltre a implicazioni in sede penale, ha portato anche alla sospensione del procedimento elettorale a causa delle dimissioni del Presidente del Seggio e di due componenti. Il procedimento elettorale è quindi ripreso per concludersi nell’ottobre del 2012;
-il ricorrente e odierno appellante non è risultato eletto, avendo riportato 1350 voti, 1059 in meno dell’ultima degli eletti, la dott.ssa Alessia Zimbone, che ha ottenuto 2409 voti;
-nell’ottobre del 2012 il dott. M. ha impugnato i risultati e gli atti del procedimento elettorale dinanzi al C.N.B. , ex art. 22 e seguenti della l. n. 396 del 1967, con un ricorso pressoché identico, nei contenuti, a un altro ricorso proposto dalla dott.ssa M. G. Micieli avverso gli atti del contestuale procedimento di elezione dei componenti del C.N.B.;
-con il ricorso il dott. M. ha dedotto censure di illegittimità la cui accertata fondatezza non si sarebbe limitata a comportare la "correzione" dei risultati elettorali comportando invece effetti di tipo demolitorio per l'intero procedimento. In un primo tempo il ricorso non è stato deciso da parte del C.N.B. sicché il M. si è rivolta al Tar del Lazio ex art. 117 del c.p.a. avverso il silenzio;
-in seguito, dopo che il C.N.B., nel luglio del 2013, ha deciso il ricorso amministrativo respingendolo, il dott. M. ha proposto un ricorso per motivi aggiunti ex art. 43 del cod. proc. amm. con svariate censure, valevole anche come ricorso autonomo;
-con ordinanza interlocutoria n. 3921 del 2014 il Tar ha disposto una verificazione sul materiale elettorale, segnatamente con riferimento alle schede relative alla votazione per posta (le schede richieste dagli elettori per l’esercizio del voto per posta risultano essere state 10637; gli iscritti all’Ordine che hanno votato per posta, 5682, mentre 184 iscritti hanno votato presso il seggio), dopo di che, con la sentenza in epigrafe, il ricorso per motivi aggiunti è stato respinto.
In sintesi il Tar:
-ha considerato legittima l’autenticazione della firma, da parte di ciascun elettore, mediante autocertificazione eseguita sulla busta contenente la scheda di votazione per posta, disattendendo la tesi della parte ricorrente secondo la quale l’autenticazione della sottoscrizione del votante mediante lettera, sulla busta contenente la scheda di votazione, andava necessariamente effettuata per mezzo di un pubblico ufficiale terzo rispetto all’elettore (v. da pag. 12 a pag. 15 sent.);
-sul secondo motivo aggiunto, con il quale erano state dedotte talune irregolarità della procedura di voto in quanto il seggio elettorale non avrebbe svolto un controllo adeguato del voto esercitato per corrispondenza, sicché alcuni elettori avrebbero votato presso il seggio elettorale pur avendo già votato per posta e, inoltre, 1066 schede elettorali non sarebbero pervenute ai richiedenti, 451 di queste sarebbero ritornate al mittente per un errore di spedizione e per altre 615 non vi sarebbe stata la prova del loro invio; sul secondo motivo aggiunto la sentenza (v. da pag. 15) ha richiamato le risultanze dell’attività di verificazione disposta nel 2014, all’esito della quale non sono emersi elementi atti a confermare la fondatezza delle censure articolate con il ricorso. Nella sentenza si osserva in particolare che l’Ordine ha adottato tutte le cautele possibili per garantire il buon esito della spedizione delle oltre 10.000 raccomandate contenenti le schede di votazione per posta, e per consentire l’esercizio del voto per corrispondenza, non rientrando tra gli obblighi dell’Ordine anche quello di garantire l’effettiva ricezione delle buste con le schede elettorali, come preteso dal ricorrente. Nella sentenza si rimarca che dall’esito della verificazione non si ricavano conferme circa casi di “doppia votazione”, presso il seggio e per posta, in misura tale da colmare la differenza, notevole, di voti esistente tra il ricorrente e l’ultima degli eletti; né risultano confermate condotte tali da far considerare alterato l’esito della consultazione elettorale o compromessa in via definitiva l’affidabilità del risultato finale. In particolare, non risulta comprovato che le 1066 schede, che il ricorrente aveva indicato come non pervenute ai richiedenti, siano state utilizzate in modo illegittimo per favorire candidati che hanno preceduto il M. nella graduatoria dei partecipanti all’elezione; la consistente differenza di voti (1059) esistente tra l’ultima degli eletti, con 2409 voti (la dr. ssa Zimbone), e il ricorrente, che ha riportato 1350 voti, dovrebbe indurre a ipotizzare un’alterazione del voto di evidenti proporzioni che, tuttavia, non è dato riscontrare dai verbali di scrutinio, né dagli accertamenti svolti dal verificatore. Inoltre, 595 raccomandate sono state restituite al mittente con varie motivazioni, sicché i plichi non inviati risultano pari a 471 (1066 – 595), per cui anche a voler ipotizzare che tutte le 471 schede di voto siano state utilizzate in danno del ricorrente, l’esito dell’elezione non risulta modificato alla stregua del principio della prova di resistenza, avuto riguardo allo scarto di voti, pari a 1059, esistente tra l’ultima degli eletti (con 2409 voti), e il ricorrente (1350), posto che sottraendo all’ultima degli eletti i voti assegnati con le 471 schede che non sarebbero state inviate per posta, la dr. ssa Zimbone conserverebbe comunque un vantaggio significativo sul M.;
-ha respinto anche il terzo e il quarto motivo aggiunto. Il terzo motivo, il quale si basava sull’affermata mancanza di pubblicità delle operazioni di scrutinio. E il quarto, rilevando che il C.N.B. aveva deciso l’impugnazione presentata in sede amministrativa dal dott. M. all’esito di un’attività istruttoria adeguata e sufficientemente approfondita per la quale è stata acquisita la documentazione necessaria compatibilmente con le esigenze di riservatezza connesse all’indagine svolta dalla competente Procura della Repubblica.
2. Il dott. M. ha proposto appello con cinque motivi.
In particolare, con il primo motivo l’appellante deduce che la sentenza avrebbe errato nel considerare legittima l’autenticazione della firma, da parte dell’elettore, nel caso di voto per posta, sulla busta contenente la scheda di votazione, con la semplice allegazione di un documento di riconoscimento, vale a dire avvalendosi dell’autocertificazione di cui al combinato disposto degli articoli 21 e 38, comma 2, del d.P.R. n. 445 del 2000, anziché interpretare l’inciso “firma del votante autenticata nei modi di legge” di cui all’art. 3, comma 7, del d.P.R. n. 169 del 2005, sul riordino del sistema elettorale degli organi di ordini professionali, nel senso di esigere necessariamente l’autenticazione della firma del votante per posta per mezzo di un pubblico ufficiale, e ciò per una serie concomitante di ragioni esposte con l’appello. L’interpretazione propugnata dall’appellante, nel senso dell’esclusione dell’autocertificazione, è l’unica in grado di garantire il controllo della genuinità e della personalità del voto, ed è quella proposta dal Ministero della giustizia, al quale spetta la vigilanza sull’Ordine dei biologi, con la circolare del 12 settembre 2005.
Con il secondo motivo l’appellante, premesso e ribadito che oltre un migliaio di elettori non si sono visti recapitare la scheda elettorale, pur avendola richiesta alla Segreteria dell’O.N.B. , insiste nel rilevare che l’Amministrazione è tenuta a curare tutti gli adempimenti relativi, non solo all’invio, ma anche alla ricezione delle schede elettorali da parte di coloro che ne hanno fatto richiesta. Tale interpretazione è l’unica che consente di garantire l’effettività del diritto di voto, sicché nel caso in esame gli appellati avrebbero dovuto comprovare non solo l’invio delle schede ma anche l’avvenuto recapito delle stesse da parte degli interessati. Con l’appello sono sottoposti a critica la verificazione e i risultati in essa riportati, e viene chiesta, ove occorra, una nuova verificazione, ex art. 66 del cod. proc. amm. .
Sub 3. vengono in rilievo, ad avviso dell’appellante, ipotesi di doppie votazioni e di indebite votazioni di schede elettorali da parte di terzi non legittimati, con conseguenti dubbi di inquinamento delle consultazioni elettorali ed erroneità della statuizione di rigetto del Tar sul punto, e ciò sotto plurimi profili.
Con il quarto motivo l’appellante lamenta “omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c.” da parte del Tar con riguardo alla censura, proposta in primo grado e rimasta priva di riscontro da parte del giudice, attinente a un indebito ruolo partecipativo che il Commissario straordinario dell’O.N.B. avrebbe assunto nel corso delle operazioni di voto, privando il Seggio elettorale di prerogative solo a esso riconosciute, segnatamente con riferimento alla verifica se le (oltre seimila) raccomandate contenenti schede di voto fossero conformi, o no, alla prescrizioni di cui all’art. 3, comma 7, del d.P.R. n. 169 del 2005, in tal modo assumendo un ruolo attivo, nelle operazioni elettorali, non riconosciuto al Commissario straordinario da nessuna disposizione.
Infine, sub 5. L’appellante ha dedotto la mancanza di ogni pubblicità nell’avvio della fase di scrutinio delle schede, lamentando inoltre che la possibilità di assistere allo scrutinio e al conteggio dei voti non è stata riconosciuta a ogni interessato ma solamente a un numero ridottissimo di persone.
Si sono costituiti per resistere il C.N.B. e il Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Biologi, concludendo per la dichiarazione di inammissibilità e comunque per il rigetto dell’appello nel merito.
In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno illustrato le rispettive posizioni con memorie conclusive e hanno prodotto documentazione.
I Ministeri della salute e della giustizia si sono costituiti per eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva, asserendo di non essere coinvolti nel giudizio sotto alcun profilo.
3. L’appello è fondato e va accolto con riferimento al primo motivo, con il quale l’appellante, nel dedurre la violazione dell’art. 3, comma 7, del d.P.R. n. 169 del 2005 e dei principi di trasparenza e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., nonché il vizio di eccesso di potere per violazione di circolari, difetto di istruttoria e illogicità, ha confutato argomentazioni e conclusioni della sentenza in ordine alla questione relativa all’autenticazione della firma dell’elettore che vota per posta sulla busta contenente la scheda di votazione.
3.1. In via preliminare va accolta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dai Ministeri della salute e della giustizia, destinatari del ricorso in appello, dato che nella controversia non vengono coinvolti in via diretta atti o provvedimenti delle amministrazioni statali suindicate.
3.2. Sempre preliminarmente va respinta, poiché infondata, l’eccezione dell’O.N.B., riproposta nell’atto di appello, di irricevibilità per tardività del primo motivo del ricorso di primo grado, eccezione formulata sull’assunto della omessa tempestiva impugnazione, da parte del dott. M., della determina del 6 giugno 2012 (i motivi aggiunti dinanzi al Tar del Lazio contro la decisione del C.N.B. sul ricorso amministrativo sono stati proposti soltanto nel settembre del 2013) con la quale il Commissario straordinario dell’O.N.B. aveva indetto nuove elezioni disciplinando, tra l’altro, le modalità di autenticazione della firma del votante per posta sulla busta chiusa contenente la scheda elettorale; modalità di autenticazione che, per l’appellato, andavano obbligatoriamente contestate e impugnate entro sessanta giorni dal provvedimento di indizione delle elezioni, affisso all’albo dell’Ente e trasmesso a tutti biologi.
Diversamente da quanto sostiene l’O.N.B., e come condivisibilmente osserva l’appellante, il provvedimento di indizione delle elezioni, per la parte che riguardava la procedura di autenticazione della firma relativamente al voto per posta, era da ritenersi chiaramente privo, di suo, di carattere lesivo immediato e diretto dell’interesse, l’effetto lesivo concreto e attuale derivando –e non potendo che sorgere- dall’esito del procedimento elettorale, dovendosi avere riguardo quindi al momento in cui l’appellante non è risultata eletto. E in relazione all’atto di proclamazione degli eletti, datato 5 ottobre 2012, il ricorso amministrativo, preventivo e necessario, proposto innanzi al C.N.B. ex articoli 22 e seguenti della l. n. 396 del 1967 contro il risultato finale delle elezioni e avverso gli atti del procedimento, tra i quali vi è anche la determina del 6 giugno 2012, nella parte relativa alle modalità di autenticazione in discussione, risulta certamente tempestivo.
3.3. Venendo adesso al merito della censura, è opportuno rammentare che con riferimento al voto tramite corrispondenza la busta contenente le schede di votazione per elezione conteneva a pag. 2 la dicitura che segue: “dichiaro che questa busta, pervenutami dall’Ordine Nazionale dei Biologi, contiene le schede di votazione per il rinnovo dei Consigli dell’Ordine Nazionale dei Biologi; dichiaro altresì, attesto e certifico, ai sensi della Legge 127/97 e successive modifiche, che è mia la firma sotto apposta”. Seguiva uno spazio e la parola “Firma” (autentica secondo normativa vigente)”.
Va rammentato poi che con la sentenza impugnata (v. da pag 12 a pag. 15) il Tar ha considerato legittima l’autocertificazione, da parte di ciascun elettore, della firma sulla busta contenente la scheda nei casi di votazione per posta, con conseguente reiezione del motivo, rilevando quanto segue:
-la disciplina di cui all’art. 14 della l. n. 53 del 1990 sulla competenza ad eseguire autenticazioni previste dal t. u. sulle elezioni alla Camera dei deputati e dalle altre disposizioni richiamate nel citato art. 14, attribuita a notai, giudici di pace, cancellieri e agli altri soggetti pubblici menzionati nel citato art. 14 è del tutto peculiare e risulta delimitata ai soli procedimenti elettorali tassativamente individuati dall’art. 14 mediante il richiamo alle disposizioni sulla elezione alla Camera dei deputati e alle altre disposizioni specificamente elencate nella disposizione, tra le quali non rientrano quelle che riguardano l’O.N.B. , la cui disciplina si rinviene nel combinato disposto di cui alla l. n. 396 del 1967 e al d.P.R. n. 169 del 2005. Quella del 1990 è come detto una disciplina peculiare, l’ambito operativo della quale è delimitato all’elezione di organi politici, con la conseguente impossibilità di applicazione diretta a un procedimento elettorale, come quello in esame, che riguarda la composizione di organi prettamente amministrativi, con il conseguente assoggettamento alla disciplina ordinaria sulle autenticazioni di cui al combinato disposto degli articoli 21 e 38 del d.P.R. n. 445 del 2000;
-con riferimento all’elezione dei biologi vigeva l’art. 34, ultimo comma, della l. n. 396 1967, sull’Ordinamento della professione di biologo, disposizione che, sul voto per posta, prevedeva l’autenticazione della firma del votante, sulla busta contenente la scheda di votazione, da far pervenire prima della chiusura delle votazioni al presidente del seggio, da parte del sindaco o del notaio. La norma è stata però abrogata dall’art. 10, comma 2/f), del d.P.R. n. 169 del 2005;
-l’art. 3 comma 7 del regolamento per il riordino del sistema elettorale e della composizione degli organi di ordini professionali, di cui al d.P.R. n. 169 del 2005, nell’innovare, con effetto derogativo e abrogatorio, la precedente diversa previsione sull’autenticazione delle firme nel voto per corrispondenza, di cui al citato art. 34, ultimo comma, della l. n. 396 del 1967, disponendo che l’elettore fa pervenire all’Ordine, prima della chiusura della votazione, la scheda di voto in una busta chiusa “sulla quale è apposta la firma del votante autenticata nei modi di legge, nonché la dichiarazione che la busta contiene la scheda di votazione”, non richiede più, come avveniva in passato, l’espressa autenticazione della firma da parte di un pubblico ufficiale. Nell’autenticazione “nei modi di legge”, ex art. 3, comma 7, del d.P.R. n. 169 del 2005 rientra quella prevista dal combinato disposto di cui agli articoli 21 e 38 del d.P.R. n. 445 del 2000, in tema di autenticazione delle sottoscrizioni di “istanze” o “dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà” da produrre a organi della P. A. (art. 21), secondo le modalità di cui all’art. 38 dello stesso decreto, ossia sottoscrizione e presentazione, alla P. A. destinata a ricevere l’espressione di voto, dell’istanza o della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento d’identità del sottoscrittore. L’autenticazione della sottoscrizione apposta sulla busta contenente la scheda elettorale può essere considerata alla stregua di un’istanza rivolta alla P. A. “destinata a ricevere l’espressione di voto”;
-né può ritenersi che l’autenticazione debba necessariamente esprimersi nei modi indicati dall’art. 30 del d.P.R. n. 445 del 2000 il quale disciplina la ben diversa e complessa fattispecie della “legalizzazione delle firme”, per la quale è necessaria l’attestazione di un pubblico ufficiale;
-il ricorso all’autocertificazione nella votazione per posta rende più agevole l’esercizio del diritto di voto, anche avuto riguardo al principio di semplificazione di cui all’art. 1, comma 2, della l. n. 241 del 1990.
Argomentazioni e conclusioni della sentenza di primo grado non persuadono.
E’ vero che, diversamente da ciò che si ritiene con l’appello, l’art. 34, ultimo comma, della l. n. 396 del 1967, sull’autenticazione della firma dell’elettore, da parte del sindaco o del notaio, nel caso di votazione per corrispondenza, risulta abrogato in via di delegificazione dall’art. 10 del d.P.R. n. 169 del 2005.
La questione cruciale da risolvere consiste dunque nello stabilire quale sia il significato da dare all’espressione, di cui all’art. 3, comma 7, del d.P.R. n. 169 del 2005, sul riordino del sistema elettorale e della composizione degli organi di ordini professionali, applicabile anche ai procedimenti elettorali relativi all’Ordine dei biologi, “firma del votante” –sulla busta chiusa contenente la scheda di votazione- “autenticata nei modi di legge”.
Il fatto che il citato art. 3, comma 7, del regolamento menzioni l’autenticazione della firma del votante “nei modi di legge” non significa di per sé che per effetto della disposizione del 2005 sia da considerarsi ammissibile l’autocertificazione quale strumento di autenticazione.
A questo riguardo, sotto un primo profilo l’art. 21 del d.P.R. n. 445 del 2000, pur intitolato “autenticazione delle sottoscrizioni”, si riferisce all’autenticazione delle sottoscrizioni di istanze o di dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà da produrre agli organi delle P. A., rimandando, per le modalità dell’autenticazione, all’art. 38 del medesimo d.P.R. il quale a sua volta fa riferimento alle modalità di invio e di sottoscrizione delle istanze e delle dichiarazioni sostitutive in discussione.
A differenza di quanto si è ritenuto in sentenza, il combinato disposto di cui agli articoli 21 e 38 sopra citati si riferisce a istanze o a dichiarazioni sostitutive (sulle quali ultime si vedano gli articoli 46 e 47 del d.P.R. n. 445 del 2000), alle quali non è riconducibile l’espressione di voto, per sua natura segreta, personale, non delegabile (cfr. art. 48 Cost.) e da esercitarsi sempre previo accertamento rigoroso della identità del votante da parte dei componenti il seggio elettorale; accertamento che avviene o per riconoscimento personale o per ricognizione del documento di identità esibito.
Nel caso dell’espressione del voto per corrispondenza non viene dunque in questione né un’istanza e neppure un atto destinato a certificare stati, qualità o fatti (cfr. articoli 46 e 47 del d.P.R. n. 445 del 2000). La dichiarazione di voto mediante lettera è altra cosa rispetto alle istanze o alle dichiarazioni sostitutive.
Ora è indubbio che attraverso il voto per corrispondenza è favorita la partecipazione degli iscritti alle elezioni per il rinnovo degli organi degli ordini professionali, in una prospettiva di “incoraggiamento” all’esercizio del diritto di voto anche per gli iscritti che risiedano lontano dall’unico seggio centrale.
Tuttavia, il “favor voti” e le esigenze di semplificazione, poste in risalto delle appellate, incontrano un limite invalicabile nella necessità di garantire trasparenza, genuinità e personalità nell’esercizio del diritto di voto.
In particolare, l’osservanza del principio della personalità del voto impone modalità rigorose di controllo affinché esso sia garantito.
E l’autenticazione del pubblico ufficiale terzo rispetto all’elettore è l’unica condizione idonea ad assicurare in via immediata il controllo anzidetto.
Pertanto, nella ipotesi del voto per corrispondenza occorre l’autenticazione della firma per mezzo di un pubblico ufficiale, con esclusione dell’autocertificazione che, viceversa, non garantisce alcun controllo diretto sull’identità del votante.
Soltanto con le modalità suddette viene garantito un controllo rigoroso sulla identità del votante “per posta”, analogamente a quanto avviene nei casi di votazione personale (in disparte il rilievo dell’appellante, non privo tuttavia di una sua forza suggestiva, secondo cui sono stati proprio la mancanza di controlli da parte di soggetti terzi e l’impiego delle autocertificazioni a rendere possibile la formazione di numerose schede elettorali in ipotesi false, come risulta dalla richiesta della Procura della Repubblica di Roma di rinvio a giudizio, in atti).
Nella votazione mediante lettera l’autenticazione della firma del votante sulla busta chiusa che contiene la scheda di voto è da considerarsi attività equipollente a quella svolta presso il seggio elettorale dai componenti il seggio medesimo, i quali accertano l’identità dell’elettore.
In questo contesto viene in rilievo la disposizione di cui all’art. 14 della l. n. 53 del 1990 che, come bene osserva l’appellante, rappresenta un canone legittimo d’interpretazione dell’inciso di cui all’art. 3, comma 7, del d.P.R. n. 169 del 2005.
Indipendentemente dall’ambito operativo della disposizione stessa, il citato art. 14 ben può essere preso a riferimento –e va difatti preso a riferimento esulandosi, per quanto riguarda l’espressione del voto, dal campo di applicazione di cui ai citati articoli 21 e 38- per risolvere un dubbio sulla corretta interpretazione del citato art. 3 comma 7. Viene in considerazione in particolare quel “segmento” dell’art. 14 in cui si menzionano, tra i soggetti competenti all’autenticazione, notai, giudici di pace, cancellieri e collaboratori delle cancellerie delle corti di appello e dei tribunali, segretari delle procure della Repubblica, presidenti delle province, sindaci, assessori comunali e provinciali, presidenti e vice presidenti dei consigli circoscrizionali, segretari comunali e provinciali, funzionari incaricati dal sindaco e dal presidente della provincia e altri soggetti ancora, con una estensione del novero dei soggetti abilitati all’autenticazione rispetto alle previsioni contenute, originariamente, nelle disposizioni dei singoli ordinamenti professionali. E del resto l’autenticazione da parte di uno dei numerosi pubblici ufficiali menzionati nel citato art. 14, come giustamente sottolinea l’appellante, non determina nessun aggravio particolare per gli elettori interessati.
Vanno dunque condivise –ma sono state disattese dall’Amministrazione, e lo stesso Tar non sembra averne tenuto conto, ritenendole in contrasto con norme di diritto positivo- le circolari del Ministero della giustizia, organo di alta vigilanza anche nei confronti dell’Ordine dei biologi, emanate nel settembre del 2005, e in particolare la circolare prot. n. 2/13.9/Q del 12 settembre 2005 sulle modalità di espressione del voto mediante lettera. In particolare, è tutt’altro che illegittima l’interpretazione ministeriale dell’inciso “firma autenticata nei modi di legge” nel senso di estendere l’ambito operativo del criterio di cui al citato art. 14 anche all’elezione “de qua”, avuto riguardo alle peculiarità e alle specificità delle regole che governano i procedimenti elettorali, a garanzia della libera espressione della volontà del corpo elettorale.
Nè vi è alcun contrasto tra i contenuti delle circolari ricordate dall’appellante e il combinato disposto degli articoli 21 e 38 del d.P.R. n. 445 del 2000, da interpretare nel senso che l’autocertificazione non può trovare applicazione per quanto riguarda le dichiarazioni di voto (che, giova ripetere, non sono istanze) nelle competizioni elettorali in generale e nello specifico in quella per cui è causa.
Il combinato disposto degli articoli 21 e 38, non trovando applicazione con riguardo alle dichiarazioni di voto nei procedimenti elettorali, non rappresenta un parametro normativo dal quale far discendere un’ipotetica contrarietà a legge della circolare del 12 settembre 2005.
Viene perciò in questione una circolare interpretativa tutt’altro che illegittima oltre che vincolante per il sistema ordinistico –professionale (Cons. Stato, sez. VI, n. 4859 del 2012), con la conseguente illegittimità dell’esercizio del potere amministrativo che se ne discosti.
Del resto, a quanto consta gli Ordini professionali diversi dall’Ordine dei biologi, assoggettati alle disposizioni di cui al d.P.R. n. 169 del 2005, a cominciare dagli Ordini dei geologi e dei chimici, destinatari della circolare ministeriale del 12 settembre 2005, non risultano avere messo in discussione le indicazioni interpretative specificate sopra, utilizzando modalità di autenticazione della firma dell’elettore, nei casi di voto per corrispondenza, per mezzo di pubblico ufficiale, e non consentendo l’autocertificazione.
In definitiva, poiché le formalità sull’autenticazione del voto per corrispondenza richiesta dal citato art. 3, comma 7, mediante il rinvio all’autenticazione della firma del votante nei modi di legge, non risultano osservate; considerato che le schede elettorali inviate per posta (come si è rilevato, dagli atti risultano espressi 5682 voti per lettera e 184 presso il seggio) risultano prive di autenticazione da parte di un pubblico ufficiale terzo rispetto all’elettore (la circostanza è incontestata), ne discende, giocoforza, l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione e delle operazioni di voto e, in accoglimento del gravame, l’annullamento degli atti delle elezioni, restando assorbito ogni altro motivo d’appello non esplicitamente esaminato.
Tuttavia, nelle peculiarità della controversia e, almeno sotto taluni aspetti, nella complessità delle questioni trattate, si ravvisano ragioni eccezionali per compensare integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata e in accoglimento del ricorso di primo grado annulla gli atti dell’elezione in epigrafe.
Spese di entrambi i gradi del giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

venerdì 29 luglio 2016





Circolare Ministero dell’Interno – Dip. affari interni e territoriali 28 luglio 2016, n. 15,  Unioni civili tra persone dello stesso sesso - Adempimenti degli ufficiali dello stato civile


http://servizidemografici.interno.it/sites/default/files/news-files/circolare%2015%202016.pdf


Decreto Ministero Interno 28 luglio 2016, Formule per le unioni civili tra persone dello stesso sesso


http://servizidemografici.interno.it/sites/default/files/news-files/Decreto%20Ministro%20dell%27interno%2028%20luglio%202016_0.pdf


Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016, n. 144  (G.U. 28 luglio 2016, n. 175), Regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile, ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della legge 20 maggio 2016, n. 76: l’articolato proposto al Consiglio di Stato, il parere del massimo organo consultivo e la normativa approvata




L'articolo 1 (Richiesta di costituzione dell’unione civile) disciplina la fase della presentazione delle richieste delle parti all'ufficiale dello stato civile.

Il comma 1 stabilisce che, al fine di costituire un'unione civile ai sensi della legge, due persone maggiorenni dello stesso sesso fanno congiuntamente richiesta all'ufficiale dello stato civile.

Il comma 2 specifica che nella richiesta, per ciascuna parte, devono essere dichiarati: il nome e il cognome, la data e il luogo di nascita, la cittadinanza, il luogo di residenza e l'insussistenza delle cause impeditive alla costituzione dell'unione di cui all'articolo 1, comma 4, della legge.

Il comma 3 stabilisce che l'ufficiale dello stato civile, verificati i presupposti di cui al comma 1, redige immediatamente processo verbale della richiesta, e lo sottoscrive unitamente alle parti, che invita, dandone conto nel verbale, a comparire di fronte a sé in una data, indicata dalle parti, immediatamente successiva al termine di cui all'articolo 2, per rendere congiuntamente la dichiarazione costitutiva dell'unione.

Il comma 4 prevede che se una delle parti, per infermità o altro comprovato impedimento, sia nell'impossibilità di recarsi alla casa comunale, l'ufficiale si trasferisce nel luogo in cui si trova la parte impedita e riceve la richiesta, ivi presentata congiuntamente da entrambe le parti.

15.) Sull’articolo 1 dello schema di decreto la Sezione non ha nulla da rilevare, fatta eccezione per la previsione al comma 1 della possibilità di presentare la richiesta, da parte delle persone intenzionate a unirsi civilmente, “all’ufficiale dello stato civile del comune di loro scelta”. Nei termini riferiti il tenore della disposizione legittima gli interessati a indirizzare la richiesta all’ufficiale dello stato civile di qualunque comune italiano. La previsione, così interpretata, non presenta alcun profilo di illegittimità e, anzi, si presenta ragionevole e opportuna e costituisce un coerente sviluppo di quanto disposto dall’articolo 1, comma 2, della legge; essa, tuttavia, richiederebbe di essere meglio precisata con riferimento agli adempimenti gravanti sugli ufficiali dello stato civile (nel caso in cui siano scelti comuni diversi da quelli di residenza di uno o di entrambi i dichiaranti) e posta in coordinamento con il decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000. La Sezione si limita, pertanto, a richiamare l’attenzione sul punto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, rimettendo alla stessa Presidenza la scelta regolatoria più opportuna.



Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016, n. 144


Art. 1
Richiesta di costituzione dell’unione civile


1.         Al fine di costituire un’unione civile, ai sensi della legge  20 maggio  2016,  n.  76,  di  seguito  denominata  legge,  due  persone maggiorenni  dello  stesso  sesso  fanno   congiuntamente   richiesta all’ufficiale dello stato civile del comune di loro scelta.

2.         Nella richiesta ciascuna parte deve dichiarare:
a)         il nome e il cognome, la  data  e  il  luogo  di  nascita;  la cittadinanza; il luogo di residenza;
b)         l’insussistenza  delle  cause  impeditive  alla  costituzione dell’unione di cui all’articolo 1, comma 4, della legge.

3.         L’ufficiale dello stato civile, verificati i presupposti di  cui al comma 1, redige immediatamente processo verbale della richiesta  e lo sottoscrive unitamente alle parti, che invita, dandone  conto  nel verbale, a comparire di fronte a se’  in  una  data,  indicata  dalle parti, immediatamente successiva al termine di  cui  all’articolo  2, comma 1, per  rendere  congiuntamente  la  dichiarazione  costitutiva dell’unione.

4.  Se  una  delle  parti,  per  infermità  o   altro   comprovato impedimento, è nell’impossibilità di recarsi  alla  casa  comunale, l’ufficiale si trasferisce  nel  luogo  in  cui  si  trova  la  parte impedita e riceve la richiesta  di  cui  al  presente  articolo,  ivi presentata congiuntamente da entrambe le parti.


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L'articolo 2 (Verifiche) disciplina le verifiche che l'ufficio dello stato civile deve compiere a seguito del ricevimento della richiesta disciplinata nell'articolo 1.

Il comma 1 prescrive che, entro quindici giorni dalla presentazione della richiesta, l'ufficiale verifichi l'esattezza delle dichiarazioni rese nella stessa e possa acquisire d'ufficio eventuali documenti che ritenga necessari per provare l'inesistenza delle cause impeditive.

Il comma 2 stabilisce che, ai fini di cui al comma 1, l'ufficiale adotti ogni misura per il sollecito svolgimento dell'istruttoria e che possa chiedere la rettifica di dichiarazioni erronee o incomplete nonché l'esibizione di documenti.

Il comma 3 dispone che, se sia accertata l'insussistenza dei presupposti o la sussistenza di una causa impeditiva, l'ufficiale ne dia a ciascuna delle parti immediata comunicazione.

16.) Sull’articolo 2 dello schema di decreto la Sezione non ha nulla da rilevare.



Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016, n. 144


Art. 2
Verifiche

1.         Entro  quindici  giorni  dalla  presentazione  della  richiesta, l’ufficiale   dello   stato   civile   verifica   l’esattezza   delle dichiarazioni di cui  all’articolo  1,  comma  2,  e  puo’  acquisire d’ufficio eventuali  documenti  che  ritenga  necessari  per  provare l’inesistenza delle cause impeditive indicate nell’articolo 1,  comma 4, della legge.

2.         Ai fini di cui al comma 1 l’ufficiale adotta ogni misura per  il sollecito svolgimento dell’istruttoria e può chiedere  la  rettifica di  dichiarazioni  erronee  o  incomplete  nonche’  l’esibizione   di documenti.

3.         Se e’ accertata l’insussistenza dei presupposti o la sussistenza di una causa impeditiva, l’ufficiale ne dà a  ciascuna  delle  parti immediata comunicazione.



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L'articolo 3 (Costituzione dell’unione e registrazione degli atti nell’archivio dello stato civile) disciplina la costituzione dell'unione e la registrazione dei relativi atti nell'archivio dello stato civile, adempimento cui l'ufficiale è chiamato a provvedere in virtù dell'articolo 1, comma 3, della legge.

Il comma 1 stabilisce che le parti, nel giorno indicato nell'invito, rendono personalmente e congiuntamente, alla presenza di due testimoni, avanti all'ufficiale dello stato civile del comune ove è stata presentata la richiesta, la dichiarazione di voler costituire un'unione civile, confermando l'assenza di cause impeditive della costituzione dell'unione.

Il comma 2 prescrive che l'ufficiale, ricevuta tale dichiarazione, fatta menzione del contenuto dei commi 11 e 12 dell'articolo 1 della legge, relativi ai diritti e ai doveri che le parti assumono con la costituzione dell'unione civile rediga apposito processo verbale, sottoscritto unitamente alle parti e ai testimoni, allegando il verbale della richiesta.

Il comma 3 prevede che la registrazione degli atti dell'unione civile, costituita ai sensi del comma precedente, sia eseguita mediante iscrizione nel registro provvisorio delle unioni civili di cui all'art. 9, ferme restando le successive annotazioni negli atti di nascita. Nel comma in esame è altresì prescritto che, al fine dell'annotazione, l'ufficiale che ha redatto il verbale lo trasmetta immediatamente al comune di nascita di ciascuna delle parti, conservandone l'originale nei propri archivi, unitamente al verbale della richiesta.

Il comma 4 prevede che nella dichiarazione costitutiva dell'unione le parti possano rendere la dichiarazione di scelta del regime patrimoniale della separazione dei beni ai sensi dell'articolo 1, comma 13, della legge.

Il comma 5 equipara a rinuncia la mancata comparizione, senza giustificato motivo, di una o di entrambe le parti nel giorno indicato nell'invito, e stabilisce che di tale mancanza l'ufficiale rediga processo verbale, sottoscritto anche dalla parte e dai testimoni ove presenti, archiviandolo unitamente al verbale nel registro provvisorio.

Il comma 6 dispone che se una delle parti, per infermità o per altro comprovato impedimento, sia nell'impossibilità di recarsi alla casa comunale, l'ufficiale debba trasferirsi nel luogo in cui si trovi la parte impedita e, alla presenza di quattro testimoni, ivi riceva la dichiarazione costitutiva dell’unione.

Il comma 7, infine, prevede che nel caso di imminente pericolo di vita di una delle parti, l'ufficiale dello stato civile riceva la dichiarazione costitutiva anche in assenza di richiesta, previo giuramento delle parti stesse sulla sussistenza dei presupposti per la costituzione dell'unione e sull'assenza di cause impeditive di cui all'articolo 1, comma 4, della legge.


17.) Sull’articolo 3 dello schema di decreto si osserva che il comma 6 non è conforme al dettato legislativo nella parte in cui prescrive la presenza di quattro testimoni nell’ipotesi in cui l’ufficiale dello stato civile debba ricevere la dichiarazione costitutiva dell’unione civile nel luogo ove si trovi la persona impedita a recarsi presso la casa comunale per infermità o per altro comprovato impedimento. Sebbene, infatti, si sia inteso in questo modo replicare in sede regolamentare quanto previsto dall’articolo 110 del codice civile, va nondimeno osservato che il numero dei testimoni che devono presenziare alla dichiarazione in questione è espressamente stabilito dal comma 2 dell’articolo 1 della legge; tale comma indica la necessità di soli due testimoni né la legge contiene rinvii al suddetto articolo 110 del codice civile e nemmeno contempla deroghe per casi particolari. La previsione della presenza di quattro testimoni, al ricorrere dell’ipotesi descritta nel comma in esame, si risolve dunque in un aggravamento per le parti (e per le amministrazioni comunali) che non poggia su un solido aggancio normativo e che, soprattutto, non trova un giustificato bilanciamento nell’esigenza di rafforzare la solennità delle dichiarazioni costitutive ricevute dall’ufficiale dello stato civile al di fuori della casa comunale.



Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016, n. 144



Art. 3
Costituzione dell’unione e  registrazione  degli  atti  nell’archivio dello stato civile

1.         Le parti, nel giorno indicato nell’invito, rendono personalmente e  congiuntamente,   alla   presenza   di   due   testimoni,   avanti all’ufficiale dello stato civile del comune ove e’  stata  presentata la richiesta, la dichiarazione di voler costituire un’unione  civile.  Nella dichiarazione le parti confermano l’assenza di cause impeditive di cui all’articolo 1, comma 4, della legge.

2.         L’ufficiale, ricevuta la dichiarazione di cui al comma 1,  fatta menzione del contenuto dei commi 11 e 12 dell’articolo 1 della legge, redige apposito processo verbale, sottoscritto unitamente alle  parti e ai testimoni, cui allega il verbale della richiesta.

3.         La registrazione degli atti dell’unione  civile,  costituita  ai sensi del comma 2,  e’  eseguita  mediante  iscrizione  nel  registro provvisorio delle unioni civili  di  cui  all’articolo  9.  Gli  atti iscritti sono inoltre oggetto di annotazione nell’atto di nascita  di ciascuna delle parti. A tal  fine,  l’ufficiale  che  ha  redatto  il processo verbale di cui al comma 2  lo  trasmette  immediatamente  al comune di nascita di ciascuna delle parti, conservandone  l’originale nei propri archivi.

4.         Nella dichiarazione di cui al presente articolo le parti possono rendere la dichiarazione di  scelta  del  regime  patrimoniale  della separazione dei beni ai sensi dell’articolo 1, comma 13, della legge.

5.         La mancata comparizione, senza giustificato motivo, di una o  di entrambe  le  parti  nel  giorno  indicato  nell’invito  equivale   a rinuncia. L’ufficiale redige  processo  verbale,  sottoscritto  anche dalla parte e dai testimoni ove presenti, e lo archivia unitamente al verbale della richiesta nel registro provvisorio.

6.         Se una delle  parti,  per  infermità  o  per  altro  comprovato impedimento, e’ nell’impossibilità di recarsi  alla  casa  comunale, l’ufficiale si trasferisce  nel  luogo  in  cui  si  trova  la  parte impedita  e,  ivi,  alla  presenza  di  due  testimoni,   riceve   la dichiarazione costitutiva di cui al presente articolo.

7.         Nel caso di imminente  pericolo  di  vita  di  una  delle  parti l’ufficiale dello stato civile riceve  la  dichiarazione  costitutiva anche in assenza di richiesta, previo giuramento delle  parti  stesse sulla sussistenza dei presupposti per la costituzione  dell’unione  e sull’assenza di cause impeditive di  cui  all’articolo  1,  comma  4, della legge.




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L'articolo 4 (Scelta del cognome comune) disciplina la scelta del cognome comune, prevista dall'articolo 1, comma 10, della legge.

Il comma 1 prevede che le parti, nella dichiarazione costitutiva dell'unione, possano indicare il cognome comune che abbiano stabilito di assumere per l'intera durata dell'unione ai sensi del summenzionato comma 10, lasciando alla parte il cui cognome non sia stato assunto come cognome comune di anteporre o posporre a quest'ultimo il proprio cognome.

Il comma 2 dispone che a seguito di tale dichiarazione i competenti uffici procedano all'annotazione nell'atto di nascita ed all'aggiornamento della scheda anagrafica.

18.) Sull’articolo 4 dello schema di decreto la Sezione non ha nulla da rilevare.



Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016, n. 144

Art. 4
Scelta del cognome comune

1.         Nella dichiarazione di cui  all’articolo  3,  le  parti  possono indicare il cognome  comune  che  hanno  stabilito  di  assumere  per l’intera durata dell’unione ai sensi dell’articolo 1, comma 10, della legge. La parte può dichiarare  all’ufficiale  di  stato  civile  di voler anteporre o posporre il proprio cognome, se diverso,  a  quello comune.

2.         A seguito della dichiarazione di cui al  comma  1  i  competenti uffici  procedono   alla   annotazione   nell’atto   di   nascita   e all’aggiornamento della scheda anagrafica





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L'articolo 5 (Unione costituita a seguito della rettificazione di sesso di uno dei coniugi) disciplina l'unione civile che, ai sensi dell'articolo 1, comma 27, della legge, si costituisce automaticamente tra i coniugi i quali, a seguito della rettificazione di sesso di uno di loro, abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non farne cessare gli effetti civili.

Il comma 1 prevede che i coniugi che, a seguito della predetta rettificazione di sesso, non intendano sciogliere il matrimonio o farne cessare gli effetti civili, rendano personalmente apposita dichiarazione congiunta all'ufficiale dello stato civile del comune nel quale fu iscritto o trascritto l'atto di matrimonio.

Il comma 2 fa espresso rinvio all'applicazione della procedura per l'eventuale scelta del cognome comune introdotta nell'articolo 4.

Il comma 3 stabilisce che gli atti dell'unione civile siano annotati nell'atto di matrimonio delle parti e nei relativi atti di nascita.


19.) Nelle more dell’adozione dei decreti delegati di cui al comma 28 dell’articolo 1 della legge, l’articolo 5 dello schema di decreto, nel dare attuazione al comma 27 del ridetto articolo 1, precisa gli aspetti operativi di una opportuna scelta legislativa di dare risposta ad esigenze di riconoscimento dei rapporti di coppia giuridicamente regolati allorquando uno dei due coniugi decida di cambiare sesso. Correttamente nella relazione si richiama la sentenza della Corte costituzionale 11 giugno 2014, n. 170, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale delle disposizioni processuali in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, a norma dell’articolo 31, comma 6, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 "… nella parte in cui non prevede che la sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che determina lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili ..., consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore". Sennonché, onde rendere la previsione normativa di rango secondario pienamente allineata al decisum del Giudice delle leggi e anche nella prospettiva di un’interpretazione costituzionalmente orientata del dato positivo di rango primario, la Sezione suggerisce una riformulazione del comma 1 dell’articolo 5 nei seguenti termini: “I coniugi che, a seguito della rettificazione di sesso di uno di loro, intendano avvalersi di quanto disposto dall’articolo 1, comma 27, della legge, rendono personalmente apposita dichiarazione congiunta all’ufficiale dello stato civile del comune nel quale fu iscritto o trascritto l’atto di matrimonio.”.





Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016, n. 144


Art. 5
Unione costituita a seguito della rettificazione di sesso di uno  dei coniugi

1.         I coniugi che, a seguito della rettificazione di sesso di uno di loro, intendano avvalersi di quanto disposto dall’articolo  1,  comma 27,  della  legge,  rendono  personalmente   apposita   dichiarazione congiunta all’ufficiale dello stato civile del comune  nel  quale  fu iscritto o trascritto l’atto di matrimonio.

2.         Per l’eventuale scelta del cognome comune si applica  l’articolo 4.
           
3. Gli atti dell’unione civile di cui  al  presente  articolo  sono annotati nell’atto di matrimonio delle parti e nei relativi  atti  di nascita.






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L'articolo 6 (Scioglimento dell’unione civile per accordo tra le parti) disciplina lo scioglimento dell'unione civile per accordo delle parti ai sensi dell'articolo 1, comma 24, della legge.

Il comma 1 stabilisce che per l'accordo di scioglimento è competente l'ufficiale del comune di residenza di una delle parti o del comune presso cui è iscritta o trascritta la dichiarazione costitutiva dell'unione civile. È previsto inoltre che l'accordo sia iscritto nel registro provvisorio delle unioni civili e annotato negli atti di nascita di ciascuna delle parti, a cura dei competenti uffici.

Secondo il comma 2, l'accordo seguito alla convenzione di negoziazione assistita, conclusa ai sensi dell'art. 6 decreto-legge n. 132/2014, viene annotato nel registro provvisorio delle unioni civili, oltre che negli atti di nascita di ciascuna delle parti, a cura dei competenti uffici.

Il comma 3 prevede che, ove lo scioglimento abbia ad oggetto l'unione costituita con le modalità di cui al precedente articolo 5 (per rettificazione di sesso di uno dei coniugi), lo scioglimento sia annotato anche nell'atto di matrimonio delle parti.

Infine, il comma 4 stabilisce che, per l'istituto dello scioglimento previsto dall'articolo 1, comma 24, della legge, si applicano le disposizioni, contenute nello stesso articolo, che individuano l'ufficiale di stato civile competente a ricevere le dichiarazioni e gli adempimenti a cui esso è conseguentemente tenuto.

20.) L’articolo 6 disciplina, come riferito, i casi di scioglimento dell’unione civile per accordo delle parti. La Sezione, al riguardo, osserva che la disposizione si presenta legittimata da una necessità logica, ancor prima che giuridica, discendente dalla considerazione che, anche nel breve arco temporale occorrente per l’adozione dei decreti delegati, potrebbero costituirsi e sciogliersi unioni civili; sicché sussiste l’esigenza - non foss’altro per l’esistenza della causa impeditiva di cui all’articolo 1, comma 4, della legge – di registrare anche gli scioglimenti delle unioni civili. Al contempo la Sezione non può non osservare che l’articolo in esame reca una previsione che rivela una intrinseca proiezione di durata e che si pone al limite della compatibilità con la natura transitoria della fonte regolamentare; ciò in ragione della previsione, nei commi 1 e 2, del richiamo di istituti, non strettamente riconducibili all’ambito dell’intervento normativo secondario perimetrato dal comma 34, se non per l’appunto in considerazione delle esigenze di una garanzia dell’immediata operatività delle unioni civili. La Sezione, nel valutare positivamente la disposizione, deve nondimeno tornare a ribadire l’importanza, tanto più in relazione ad articoli come quello in esame, di un tempestivo esercizio della delega.




Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016, n. 144

Art. 6
Scioglimento dell’unione civile per accordo delle parti

1.         L’accordo delle parti concluso, ai sensi  dell’articolo  12  del decreto-legge  12   settembre   2014,   n.   132,   convertito,   con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162,  ai  fini  dello scioglimento dell’unione civile e’ ricevuto dall’ufficiale  di  stato civile del comune di residenza di una delle parti o del comune presso cui  e’  iscritta   o   trascritta   la   dichiarazione   costitutiva dell’unione. L’accordo e’ iscritto  nel  registro  provvisorio  delle unioni civili ed e’ annotato negli atti di nascita di ciascuna  delle parti, a cura dei competenti uffici.

2.         L’accordo raggiunto a seguito della convenzione di  negoziazione assistita, conclusa ai sensi dell’articolo  6  del  decreto-legge  12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre  2014,  n.  162,  deve  essere   trascritto   nel   registro provvisorio delle unioni civili ed annotato negli atti di nascita  di ciascuna delle parti, a cura dei competenti uffici.

3.         Qualora  lo  scioglimento  abbia  ad  oggetto  l’unione  civile costituita con le modalità di  cui  al  precedente  articolo  5,  lo scioglimento e’ annotato anche nell’atto di matrimonio delle parti.

4.         Ai fini dello scioglimento di  cui  all’articolo  1,  comma  24, della legge, si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni del presente articolo.





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L'articolo 7 (Documento attestante la costituzione dell’unione) riguarda il documento attestante la costituzione dell'unione, atto "certificativo" dell'unione, disciplinato nell'articolo 1, comma 9, della legge che ne indica anche il contenuto: dati anagrafici delle parti, regime patrimoniale, residenza, dati anagrafici e residenza dei testimoni.

Il comma 2 prevede che, a richiesta dell'interessato, negli atti e nei documenti riportanti l'indicazione dello stato civile, sia indicata la dicitura "unito civilmente" o "unita civilmente". Il rilascio del documento spetta all'ufficiale dello stato civile.


21.) Sull’articolo 7 dello schema di decreto la Sezione non ha nulla da rilevare.



Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016, n. 144

Art. 7
Documento attestante la costituzione dell’unione

1.  Spetta  all’ufficiale  dello  stato  civile  il  rilascio   del documento attestante la  costituzione  dell’unione,  recante  i  dati anagrafici delle parti, l’indicazione del regime patrimoniale e della residenza, oltre ai dati anagrafici ed alla residenza  dei  testimoni ai sensi dell’articolo 1, comma 9, della legge. 

2. Nei documenti e atti in  cui  è  prevista  l’indicazione  dello stato civile, per le  parti  dell’unione  civile  sono  riportate,  a richiesta degli interessati, le seguenti formule: «unito  civilmente» o «unita civilmente».




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L'articolo 8 (Trascrizioni e nulla osta) disciplina le trascrizioni e il nulla osta all'unione civile presentato dallo straniero.

Il comma 1 stabilisce che sono trascritte negli archivi dello stato civile le unioni civili costituite all'estero secondo la legge italiana davanti al capo dell'ufficio consolare, competente in base alla residenza di una delle due parti.

Il comma 2 prevede che lo straniero che vuole costituire in Italia un'unione civile deve presentare all'ufficiale dello stato civile, nella richiesta di cui all'articolo 1, anche una dichiarazione dell'autorità competente del proprio Paese dalla quale risulti che, giusta le leggi cui è sottoposto, nulla osta all'unione civile.

Con riferimento alla trascrivibilità nel registro provvisorio di cui all'articolo 9 degli atti di matrimonio e di unione civile tra persone dello stesso sesso formati all'estero davanti alle competenti autorità straniere, il comma 3 fissa il principio secondo cui, nelle more dell’adozione dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, comma 28, lettera a), della legge, l'autorità consolare trasmetta, ai fini della trascrizione, tali atti secondo quanto già previsto dall'articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127).

22.) In ordine all’articolo 8 dello schema di decreto va osservato che il comma 1, che impone la trascrivibilità negli archivi dello stato civile delle unioni civili costituite all’estero, consente di superare l’indirizzo giurisprudenziale contrario a tale possibilità, formatosi in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 76/2016 (tra le altre pronunce si ricordano Corte di cassazione, sez. I, 15 marzo 2012, n. 4184 e Cons. Stato, sez. III, n. 4899 del 26 ottobre 2015).
La relazione ministeriale afferma poi che il comma 2 dell’articolo 8 è stato redatto sul modello dell'articolo 116, comma primo, del codice civile e che la disposizione – in attesa della riforma in parte qua del sistema italiano di diritto internazionale privato affidata ai decreti delegati di cui al più volte richiamato comma 28 dell’articolo 1 della legge – è ispirata al principio di non discriminazione degli stranieri e dei loro partner. L’affermazione è sicuramente condivisibile a condizione che la dichiarazione, resa dall’autorità competente dello Stato di appartenenza, di nulla osta all’unione civile, che lo straniero deve presentare all’ufficiale dello stato civile qualora intenda costituire in Italia un'unione civile, non venga interpretata nel senso di includere nelle “leggi cui è sottoposto” lo straniero medesimo anche quelle eventuali disposizioni dell’ordinamento dello Stato di appartenenza che vietino le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Difatti il diritto di costituire un’unione civile tra persone dello stesso sesso, in forza dell’entrata in vigore della legge, è divenuta una norma di ordine pubblico e, dunque, prevale, secondo l’articolo 16 della legge 31 maggio 1995, n. 218 sulle eventuali differenti previsioni di ordinamenti stranieri.
In ogni caso il comma 2 non travalica i limiti oggettivi fissati dal comma 34 dell’articolo 1 della legge, dal momento che esso reca una previsione meramente amministrativa che non modifica le regole vigenti in materia di diritto internazionale privato, regole la cui modifica - al fine del necessario adattamento delle stesse al nuovo istituto delle unioni civili – è riservata, come ricordato, ai decreti delegati, a norma della lettera b) del comma 28 dell’articolo 1 della legge.
Sarebbe, infine, opportuno un adeguamento della regola dettata dal comma 2 al caso degli apolidi.
Condivisibile e legittima è anche la previsione, contenuta nel comma 3, della trasmissione all’autorità consolare, ai fini della trascrizione nel registro provvisorio delle unioni civili, degli atti di matrimonio o di unione civile tra persone dello stesso sesso, onde soddisfare l'interesse pubblico ad acquisire nei registri italiani i suddetti atti di stato civile contratti all'estero e ciò anche allo scopo di rendere certo, di fronte alla legge italiana, lo stato civile delle persone interessate. Anche in questo caso non si tratta di un intervento modificativo delle norme di conflitto contenute nella citata legge n. 218/1995, ma dell’introduzione di un mero adempimento amministrativo, con finalità di rilevazione e di certificazione, allo scopo di accrescere la certezza del diritto sugli status personali. Si intende, ovviamente, come sembra doversi dedurre dal senso complessivo della previsione, che la trasmissione debba essere riferita agli atti di matrimoni o di unioni civili, formati all’estero, tra persone dello stesso sesso di cui almeno una sia cittadina italiana o comunque abbia un altro stabile collegamento amministrativo con la Repubblica Italiana.




Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016, n. 144

Art. 8
Trascrizioni e nulla osta

1.         Sono trascritte negli  archivi  dello  stato  civile  le  unioni civili costituite all’estero secondo la  legge  italiana  davanti  al capo dell’ufficio consolare, competente in base alla residenza di una delle due parti.

2.         Lo straniero che vuole costituire  in  Italia  un’unione  civile deve presentare all’ufficiale dello stato civile, nella richiesta  di cui all’articolo 1, anche una dichiarazione dell’autorità competente del proprio Paese dalla quale risulti che, giusta  le  leggi  cui  e’ sottoposto, nulla osta all’unione civile.

3.  Nelle  more  dell’adozione  dei  decreti  legislativi  di   cui all’articolo 1, comma  28,  lettera  a),  della  legge  gli  atti  di matrimonio o di unione civile tra persone dello stesso sesso  formati all’estero,  sono  trasmessi  dall’autorità  consolare,   ai   sensi dell’articolo 17  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  3 novembre 2000, n.  396,  ai  fini  della  trascrizione  nel  registro provvisorio di cui all’articolo 9.




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L'articolo 9 (Registro provvisorio delle unioni civili e formule) riguarda le formule e l'istituzione del registro provvisorio delle unioni civili.

Il comma 1 dispone l’istituzione presso ciascun comune il registro provvisorio delle unioni civili.

Il comma 2 prevede che i fogli che costituiscono il registro siano redatti secondo le apposite formule da approvare con decreto del Ministro dell'interno, ai sensi dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, da adottare entro il termine di cinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, di cui allo schema in esame.


23.) Presenta due specifiche criticità, segnalate anche nella relazione ministeriale, l’articolo 9 della legge. Come sopra riferito, il comma 1 dispone l’istituzione presso ciascun comune del registro provvisorio dello stato civile e che i fogli costituenti il registro siano redatti secondo le formule da approvare con decreto del Ministro dell'interno, ai sensi dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, adottato entro il termine di cinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, di cui allo schema in esame.
La prima criticità concerne la stessa istituzione del registro delle unioni civili, espressamente definito “provvisorio” (atteso che la disciplina definitiva sarà dettata, in futuro, dai decreti delegati). Al riguardo nella relazione si osserva che gli attuali quattro registri dello stato civile (nascita, matrimonio, cittadinanza, morte) sono previsti da norme di rango primario (id est, il regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238) e che, tuttavia, manca, nella legge, una disposizione espressa istitutiva del registro delle unioni civili (ancorché prevista nell'originario disegno di legge). La Presidenza del Consiglio dei Ministri osserva, però, che l’istituzione del registro risulta comunque coerente con la delegificazione dell'ordinamento dello stato civile avviata dalla legge 15 maggio 1997, n. 127.
La Sezione reputa che l’istituzione di un registro, sia pur provvisorio, delle unioni civili costituisca, sul piano amministrativo, un adempimento indispensabile per consentire l’operatività della riforma. Sennonché non è convincente il mero richiamo alla delegificazione realizzata con la legge n. 127/1997 quale argomento idoneo a giustificare l’istituzione di un nuovo registro dello stato civile. La delegificazione attuata con il già ricordato decreto n. 396/2000 fu invero resa possibile dall’esistenza di una previsione normativa recata dall’articolo 2, comma 12, della legge n. 127/1997.
La rilevata debolezza dell’argomento spiegato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri a sostegno della previsione del comma 1 dell’articolo 9 non conduce però alla conclusione dell’illegittimità del comma in parola. La Sezione ritiene infatti che tale istituzione trovi copertura normativa, sebbene implicita, in una fonte di rango primario, rappresentata dal comma 3 dell’articolo 1 della legge, là dove si stabilisce che l’ufficiale dello stato civile “provvede alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell’archivio dello stato civile”. Orbene la Sezione ritiene che non si compia alcuna forzatura dell’esegesi legislativa nell’interpretare il riferimento all’obbligo di registrazione (che si tratti di un obbligo è circostanza resa palese dall’uso del verbo “provvedere” all’indicativo presente), gravante sull’ufficiale dello stato civile, come un’implicita istituzione di un registro dello stato civile da parte della stessa previsione ora richiamata. Premesso infatti che ogni ermeneutica normativa deve primariamente rispondere a un criterio di ragionevolezza, è del tutto evidente che, diversamente opinando, risulterebbe impossibile per gli ufficiali dello stato civile prestare osservanza al dato positivo o, quanto meno, sarebbe impossibile l’adempimento fino all’entrata in vigore dei decreti delegati (che un registro delle unioni civili dovrebbero istituire). Un’interpretazione del genere però sarebbe in frontale contrasto con la illustrata ratio che sorregge il comma 34 dell’articolo 1 della legge, mirante, come già chiarito, a realizzare l’obiettivo di una subitanea operatività del nuovo istituto.
La seconda criticità dell’articolo 9 concerne la previsione dettata dal comma 2. Sul punto, nella relazione, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha osservato che, ai sensi dell’articolo 12 del decreto n. 396/2000, gli atti dello stato civile sono redatti secondo le formule stabilite con decreto del Ministro dell’interno e che, anche nel caso dello schema di decreto in esame, non si è inteso derogare a questa previsione, sebbene, per intuibili ragioni di completezza e contestualità del processo attuativo della legge nella fase transitoria e al fine di consentire il più rapido avvio delle attività degli uffici dello stato civile, si sia fissato per l’adozione del decreto ministeriale in questione un termine breve di cinque giorni decorrente dall'entrata in vigore dell’emanando decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Nella stessa relazione, però, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha dato atto che, allo scopo di consentire con urgenza l'esercizio dei diritti fondamentali derivanti dalla legge n. 76/2016, si potrebbe addivenire, sulla base del disposto del comma 34 della medesima legge, alla diversa soluzione, sostenuta dai Ministeri della giustizia e degli affari esteri, della adozione contestuale delle formule provvisorie per la redazione degli atti di stato civile nello stesso schema di decreto in oggetto.
In via preliminare la Sezione rileva che pure l’individuazione delle formule è un adempimento essenziale per la costituzione effettiva del registro provvisorio delle unioni civili.
Per quanto concerne le due soluzioni prospettate, la Sezione reputa che quella suggerita dai Ministeri della giustizia e degli affari esteri presenti l’indubbio vantaggio di consentire la costituzione del registro contemporaneamente all’entrata in vigore del futuro decreto di cui allo schema in esame.
L’alternativa patrocinata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri dà invece luogo a un pur breve differimento della effettiva istituzione del registro, posto che il termine di cinque giorni per l’adozione del decreto del Ministero dell’interno decorrerà dalla scadenza del termine di quindici giorni della vacatio legis. Invero, l’entrata in vigore del decreto si avrà soltanto dopo il decorso di quindici giorni dalla pubblicazione del regolamento sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (sul punto, v. anche infra, sub §. 24). Nonostante ciò è indubbio che tale soluzione sia quella legittima, dovendosi rispettare le regole dettate dal regolamento governativo di cui all’articolo 12 del succitato decreto n. 396/2000.
Ovviamente l’esigenza di un urgente avvio operativo del nuovo istituto impegna la responsabilità del Ministero dell’interno alla rigorosa osservanza del termine di cinque giorni per l’adozione del decreto in parola, quantunque detto termine abbia obiettivamente natura ordinatoria. Risponderebbe, anzi, a criteri di correntezza amministrativa e di buona amministrazione, la soluzione di elaborare il decreto del Ministro dell’interno durante il periodo della vacatio in modo da renderlo efficace in coincidenza con l’entrata in vigore del decreto di cui allo schema in esame.
Sul versante redazionale va, infine, osservato che la parola “fogli” deve essere sostituita dalla parola “atti”, in conformità d’altronde a quanto previsto dal richiamato articolo 12 del decreto n. 396/2000.



Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016, n. 144


Art. 9
Registro provvisorio delle unioni civili e formule

1.         E’ istituito presso ciascun comune il registro provvisorio delle unioni civili.

2.         Gli atti di stato civile di cui al presente decreto sono redatti secondo le apposite formule da approvare  con  decreto  del  Ministro dell’interno, ai sensi dell’articolo 12 del  decreto  del  Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, adottato entro  il  termine di cinque giorni  dalla  data  di  entrata  in  vigore  del  presente decreto.



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L'articolo 10 (Disposizioni finali) al comma 1 stabilisce che le disposizioni del provvedimento si applichino fino all'entrata in vigore dei decreti legislativi previsti nell'articolo 1, comma 28, della legge n. 76 del 2016.

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria.

24.) La Sezione non ha rilievi da formulare in ordine all’articolo 10 dello schema di decreto e si limita a prendere atto che, nonostante l’urgenza del provvedimento, si è mantenuto, come sopra osservato, l’ordinario termine della vacatio legis. Si ritiene, pertanto, che tale lasso temporale sia stato opportunamente mantenuto al fine di predisporre tutti gli adempimenti necessari al migliore avvio della nuova disciplina.
Con riferimento, infine, all’interpretazione applicativa del comma 1 va necessariamente ribadito quanto sopra osservato sub §. 5, in merito all’impossibilità giuridica di una sopravvivenza delle norme dettate dal decreto, di cui allo schema, nel caso di un mancato esercizio della delega di cui al comma 28 dell’articolo 1 della legge.



Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016, n. 144


Art. 10
Disposizioni finali

1.         Le disposizioni  del  presente  regolamento  si  applicano  fino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti  nell’articolo 1, comma 28, della legge.

2.         All’attuazione delle disposizioni del  presente  regolamento  si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie  disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o  maggiori  oneri  a carico della finanza pubblica.



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24.) La Sezione non ha rilievi da formulare in ordine all’articolo 10 dello schema di decreto e si limita a prendere atto che, nonostante l’urgenza del provvedimento, si è mantenuto, come sopra osservato, l’ordinario termine della vacatio legis. Si ritiene, pertanto, che tale lasso temporale sia stato opportunamente mantenuto al fine di predisporre tutti gli adempimenti necessari al migliore avvio della nuova disciplina.



Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016, n. 144


Art. 11
Entrata in vigore

1.         Il presente decreto entra  in  vigore  il  giorno  successivo  a quello  della  sua  pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale   della Repubblica italiana.