Sulla (im)possibilità di identificare la
popolazione locale (nello specifico: veneta) quale minoranza nazionale,
interviene la Consulta
Corte cost. 20 aprile 2018, n. 81
E’ costituzionalmente illegittima legge
della Regione Veneto 13 dicembre 2016, n. 28, Applicazione della convenzione
quadro per la protezione delle minoranze nazionali
Secondo la Consulta:
1)“Deve essere condivisa
l’osservazione della Regione resistente circa il fatto che la tutela delle
minoranze richiede «l’apprestamento sia di norme ulteriori di svolgimento, sia
di strutture o istituzioni finalizzate alla loro concreta operatività»
(sentenze n. 159 del 2009, n. 15 del 1996, n. 62 del 1992 e n. 28 del 1982), in
presenza delle quali soltanto i principi proclamati dall’art. 6 Cost. e dai
rilevanti accordi internazionali possono acquisire concreta effettività”;
2)Rispetto “alla titolarità dei
poteri esercitabili a tale scopo”, la Consulta ricorda come, in un primo momento, abbia
“affermato che solo il legislatore statale fosse abilitato a dettare norme
sulla tutela delle minoranze, in ragione di inderogabili esigenze di unità e di
eguaglianza”, per , poi, ritenere “che anche i legislatori regionali e
provinciali potessero adottare atti normativi in materia, specialmente al fine
di garantire e valorizzare l’identità culturale e il patrimonio storico delle
proprie comunità, ma sempre nel pieno rispetto di quanto determinato in materia
dal legislatore statale”. Sotto questo profilo, “la giurisprudenza
costituzionale più recente è chiara nell’affermare che la tutela delle
minoranze è refrattaria a una rigida configurazione in termini di “materia” da
collocare in una delle ripartizioni individuate nel Titolo V della seconda
parte della Costituzione e che la sua attuazione in via di legislazione
ordinaria richiede tanto l’intervento del legislatore statale, quanto l’apporto
di quello regionale (sentenza n. 159 del 2009). Infatti, i principi contenuti
negli artt. 2, 3, e 6 Cost. si rivolgono sempre alla “Repubblica” nel suo
insieme e pertanto impegnano tutte le sue componenti – istituzionali e sociali,
centrali e periferiche – nell’opera di promozione del pluralismo,
dell’eguaglianza e, specificamente, della tutela delle minoranze; sicché, sul
piano legislativo, l’attuazione di tali principi esige il necessario concorso
della legislazione regionale con quella statale”;
3)Tuttavia, il compito di
determinare gli elementi identificativi di una minoranza da tutelare non può
che essere affidato alle cure del legislatore statale, in ragione della loro necessaria
uniformità per l’intero territorio nazionale. Inoltre, il legislatore statale
si trova nella posizione più favorevole a garantire le differenze proprio in
quanto capace di garantire le comunanze e risulta, perciò, in grado di rendere
compatibili pluralismo e uniformità …, anche in attuazione del principio di
unità e indivisibilità della Repubblica di cui all’art. 5 Cost.”
4)“In questa cornice debbono
intendersi le affermazioni contenute nella sentenza n. 170 del 2010 – relative
alla tutela delle minoranze linguistiche, ma da estendersi, per le ragioni
sopra esposte, alla più generale tutela dei gruppi minoritari – secondo le
quali non è consentito al legislatore regionale configurare o rappresentare la
“propria” comunità in quanto tale come “minoranza”, «essendo del tutto evidente
che, in linea generale, all’articolazione politico-amministrativa dei diversi
enti territoriali all’interno di una medesima più vasta, e composita, compagine
istituzionale non possa reputarsi automaticamente corrispondente – né, in senso
specifico, analogamente rilevante – una ripartizione del “popolo”, inteso nel
senso di comunità “generale”, in improbabili sue “frazioni”» ... Riconoscere un
tale potere al legislatore regionale significherebbe, infatti, introdurre un
elemento di frammentazione nella comunità nazionale contrario agli artt. 2, 3,
5 e 6 Cost.
5)Ne deriva che, “in disparte
ogni considerazione circa la compatibilità della legge regionale impugnata con
lo specifico contenuto della Convenzione-quadro per la protezione delle
minoranze nazionali, a cui essa si richiama – la quale peraltro contiene
principalmente un elenco di diritti di natura individuale, ma non configura
diritti collettivi dei gruppi minoritari – la legge regionale impugnata, nel
qualificare il «popolo veneto» come “minoranza nazionale” ai sensi della citata
convenzione-quadro, contrasta con i principi sviluppati nella giurisprudenza di
questa Corte in materia”
Legge regionale (Veneto) 13 dicembre 2016, n. 28 (B.U.R 13
dicembre 2016, n. 120)
Art. 1
Minoranza Nazionale.
1. Al popolo veneto, di cui agli articoli 1 e 2 dello
Statuto regionale, legge regionale statutaria 17 aprile 2012, n. 1 (già
articolo 2 della legge statale 22 maggio 1971, n. 340), spettano i diritti di
cui alla “Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali” del
Consiglio d’Europa ratificata con legge 28 agosto 1997, n. 302 “Ratifica ed
esecuzione della convenzione-quadro per la protezione delle minoranze
nazionali, fatta a Strasburgo il 1° febbraio 1995.”.
2. Nel rispetto delle competenze di ciascuna regione e
degli obblighi internazionali, fanno parte della minoranza nazionale veneta
anche quelle comunità legate storicamente e culturalmente o linguisticamente
al popolo veneto anche al di fuori del territorio regionale.
3. Il popolo veneto comprende altresì le comunità
etnico-linguistiche cimbre e ladine, riconosciute ai sensi della legge
regionale 23 dicembre 1994, n. 73 “Promozione delle minoranze etniche e
linguistiche del Veneto”.
Art. 2
Ambito di applicazione.
1. La presente legge si attua a tutti gli ambiti
previsti dalla “Convenzione quadro per la protezione delle minoranze
nazionali”.
2. La
Giunta regionale, sentita la competente Commissione
consiliare, stabilisce i criteri e le modalità di applicazione della
Convenzione di cui al comma 1 senza oneri a carico della Regione.
Art. 3
Esercizio dei diritti di minoranza nazionale.
1. Al fine di garantire il diritto di dichiararsi
appartenente alla minoranza nazionale veneta, viene incaricata della raccolta
e valutazione delle dichiarazioni spontanee l’Aggregazione delle associazioni
maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela della
identità, cultura e lingua venete, da costituirsi presso la Giunta regionale.
2. La Giunta
regionale provvede al monitoraggio delle attività svolte dal soggetto di cui
al comma 1.
Art. 4
Finanziamento.
1. Le spese relative all’attuazione della presente legge
nel territorio regionale sono a carico e deliberate da ciascuna
amministrazione centrale o periferica chiamata ad attuarla anche in
conformità a quanto stabilito dall’articolo 9 dalla “Convenzione Europea
relativa alla Carta europea dell’autonomia locale” ratificata dalla legge 30
dicembre 1989, n. 439 “Ratifica ed esecuzione della convenzione europea
relativa alla Carta europea dell’autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15
ottobre 1985.” eventualmente con perequazione dell’amministrazione centrale.
Art. 5
Entrata in vigore.
1. La presente legge regionale entra in vigore il giorno
successivo alla sua pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del
Veneto.
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SENTENZA N. 81
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI,
Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,
Silvana SCIARRA, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
Francesco VIGANÒ,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto
13 dicembre 2016, n. 28 (Applicazione della convenzione quadro per la
protezione delle minoranze nazionali), intero testo, e dell’art. 4 della
medesima legge, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,
spedito per la notificazione il 13 febbraio 2017, depositato in cancelleria il
20 febbraio 2017, iscritto al n. 16 del registro ricorsi 2017 e pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno
2017.
Visti l’atto di costituzione della Regione Veneto nonché l’atto di
intervento dell’associazione “Aggregazione Veneta – Aggregazione delle
associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela
della identità, cultura e lingua venete” e di L. P.;
udito nell’udienza pubblica del 20 marzo 2018 il Giudice relatore Marta
Cartabia;
uditi l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del
Consiglio dei ministri, gli avvocati Mario Bertolissi e Andrea Manzi per la Regione Veneto, e
Marco Della Luna per l’associazione “Aggregazione Veneta – Aggregazione delle
associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela
della identità, cultura e lingua venete” e L. P.
Ritenuto in fatto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato la legge della Regione
Veneto 13 dicembre 2016, n. 28 (Applicazione della convenzione quadro per la
protezione delle minoranze nazionali), per intero e con riguardo all’art. 4.
Pur riconoscendo che le censure relative al vizio di competenza del
legislatore regionale rivestono carattere preliminare e assorbente, il
ricorrente illustra innanzitutto le violazioni di ordine sostanziale riferibili
all’intero testo della legge regionale impugnata.
1.1.– Il primo motivo di impugnazione concerne la violazione degli artt. 5,
6 e 114 della Costituzione.
La legge regionale impugnata qualifica il «popolo veneto» – e cioè l’intera
popolazione vivente nel territorio delle province e della città metropolitana
elencate nell’art. 1, commi 2 e 3, della legge regionale statutaria 12 aprile
2012, n. 1 (Statuto del Veneto) – come “minoranza nazionale” ai sensi della
Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta a
Strasburgo il 1° febbraio 1995, ratificata e resa esecutiva con la legge 28
agosto 1997, n. 302. Ciò contrasterebbe con l’art. 114, primo comma, della
Costituzione perché tale norma costituzionale, nel prevedere che Comuni,
Province, Regioni, Città metropolitane e Stato concorrono nelle loro componenti
personale e territoriale a formare la Repubblica, andrebbe intesa nel senso che la
popolazione riferibile a uno di tali enti esponenziali non possa essere anche
identificata per ciò solo come “minoranza nazionale”, staccata e contrapposta
rispetto alla maggioranza della popolazione della Repubblica e per questo
meritevole di protezione ai sensi della convenzione-quadro. Una tale
qualificazione della popolazione del Veneto lederebbe altresì il principio di
unità e indivisibilità della Repubblica, di cui all’art. 5 Cost., principio
fondamentale dell’ordinamento costituzionale, sottratto persino al potere di
revisione costituzionale, come questa Corte avrebbe affermato nella sentenza n.
118 del 2015, resa sempre nei confronti della Regione Veneto. Il ricorrente
osserva che l’art. 5 Cost. rappresenta la Repubblica come una comunità nazionale dotata di
una propria identità e generatrice di un ordinamento unitario e non come «una
somma materiale di minoranze autopostesi come tali, l’una estranea all’altra e
coesistenti tra loro su una base giuridicamente non definita ma comunque
precaria». Che le minoranze siano realtà che la Repubblica considera
come ulteriori rispetto alle proprie componenti costitutive di tipo personale,
e proprio per questo meritevoli di una tutela specifica, sarebbe comprovato
dall’art. 6 Cost., là dove afferma che «la Repubblica» in tutte le
sue articolazioni, comprese quindi le Regioni, tutela le minoranze
linguistiche, le quali dunque non possono coincidere con le articolazioni della
Repubblica stessa, quali sono le Regioni o, più precisamente, le loro
componenti personali. Ciò che la
Corte costituzionale ha stabilito a proposito delle minoranze
linguistiche, negando che all’articolazione politico-amministrativa degli enti
territoriali di cui si compone la
Repubblica possa corrispondere automaticamente una
ripartizione del popolo in improbabili sue frazioni (si richiama la sentenza n.
170 del 2010), dovrebbe affermarsi a maggior ragione per le minoranze
nazionali. D’altra parte, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri
sarebbe lo stesso contenuto della Convenzione-quadro per la protezione delle
minoranze nazionali a confermare che la popolazione di una Regione non possa
formare di per sé una “minoranza nazionale”: se è vero che la
convenzione-quadro presuppone una situazione di pericolo di lesione di diritti
fondamentali degli appartenenti alla “minoranza nazionale”, allora sarebbe
contraddittorio dire che la popolazione di una Regione in quanto tale è esposta
al rischio di violazione di diritti costituzionali fondamentali da parte della
Repubblica, proprio perché anche la
Regione è elemento costitutivo della Repubblica e dunque
tenuta anch’essa a garantire quei diritti. Secondo il Presidente del Consiglio
dei ministri, le censure rivolte all’art. 1 della legge regionale impugnata,
che identifica l’aspetto soggettivo della “minoranza nazionale” con la
popolazione del Veneto, andrebbero estese all’art. 2, che determina i contenuti
oggettivi della tutela che si vorrebbe apprestare tramite un rinvio alla
convenzione-quadro, quali ad esempio, la salvaguardia degli «elementi
essenziali» dell’identità, come «la religione, la lingua, le tradizioni ed il
patrimonio culturale» di cui all’art. 5 della convenzione-quadro. La “minoranza
nazionale” a cui si riferisce la convenzione-quadro, tuttavia, è qualcosa di
contrapposto alla maggioranza del popolo organizzato nell’ordinamento generale,
di cui la minoranza stessa deve rispettare la leggi e i diritti ivi garantiti
(art. 20). Anche l’art. 3 della legge regionale impugnata, che prefigura un
ente incaricato del compito di raccogliere le dichiarazioni spontanee di
appartenenza alla presunta minoranza veneta, incorrerebbe, conseguenzialmente, nella
violazione delle medesime norme costituzionali, in quanto consente ai singoli
appartenenti alla popolazione di una Regione di decidere individualmente se la
loro appartenenza al popolo italiano sia piena oppure mediata dalla
collocazione in una entità che si distingue e si contrappone al popolo
italiano. Sarebbe poi affetto dai medesimi vizi di costituzionalità anche
l’art. 4 della legge che, trattando gli aspetti finanziari, ha funzione
secondaria e servente rispetto agli articoli precedenti.
1.2.– Il secondo motivo di censura, sempre relativo alla legge regionale
nella sua interezza, riguarda la violazione degli artt. 2 e 3 Cost. Il
ricorrente ricorda che secondo la giurisprudenza costituzionale si può
riconoscere una minoranza, titolare di uno status particolare, solo quando lo
impongano i principi fondamentali di cui agli artt. 2 e 3 Cost. (si richiama la
sentenza n. 159 del 2009): quando, cioè il mancato riconoscimento della
minoranza comporti la negazione della identità collettiva di un gruppo connotato
da marcate particolarità culturali, in violazione dell’art. 2 Cost., nonché
l’indebita parificazione giuridica dei suoi componenti alla condizione della
generalità del popolo, in violazione dell’art. 3 Cost. Nel caso in esame non
ricorrerebbe nessuna di queste condizioni, data l’assenza di ogni evidenza di
tipo storico o sociologico che riveli nella popolazione del territorio veneto
connotati identitari tali da giustificarne un trattamento giuridico quale
minoranza nazionale. Del tutto inconferente, poi, sarebbe il riferimento,
contenuto nei lavori preparatori della legge, al principio dell’autogoverno
regionale di cui all’art. 2 dello Statuto del Veneto.
1.3.– Il terzo motivo di censura dell’intera legge regionale riguarda la
violazione degli artt. 80 e 117, secondo comma, lettera a), Cost. Il Presidente
del Consiglio dei ministri ritiene che la Regione non abbia la competenza ad adottare una
normativa come quella in esame, perché l’attuazione della Convenzione-quadro
per la protezione delle minoranze nazionali rientrerebbe nella competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di «politica estera e rapporti
internazionali dello Stato» (si richiamano la sentenza n. 159 del 2009 e le
sentenze n. 238 del 2004, n. 737 del 1988 e n. 179 del 1987). In primo luogo,
il distacco di una porzione della popolazione nazionale dalla generalità e la
sua qualificazione come “minoranza nazionale” avrebbe immediato riflesso sulla
personalità di diritto internazionale dello Stato. In secondo luogo, il
riconoscimento di una “minoranza nazionale” renderebbe operanti gli obblighi
internazionali dello Stato discendenti dalla convenzione-quadro, sicché
spetterebbe solo allo Stato la capacità di bilanciare gli interessi
confliggenti e assicurare che il riconoscimento di una “minoranza nazionale”
non si traduca in una ragione di privilegio o al contrario di discriminazione
per la restante popolazione o per le altre minoranze.
Quanto alla violazione dell’art. 80 Cost., il ricorrente sostiene che con la
legge impugnata la Regione
Veneto solo formalmente si sarebbe basata sulla legge
nazionale di ratifica della convenzione-quadro, ma in realtà avrebbe a tutti
gli effetti emanato una propria particolare legge di ratifica, che si
sovrappone a quella statale.
1.4.– Pur ritenendo che i tre motivi di censura sopra esposti siano tali da
travolgere anche le previsioni serventi, relative al «Finanziamento» della
legge stessa, il Presidente del Consiglio dei ministri presenta «per
completezza» un quarto motivo di impugnazione, rivolto specificamente contro
l’art. 4, per violazione degli artt. 81, terzo e quarto comma, 117, secondo
comma, lettere g) ed e), e 118, primo comma, Cost.
La disposizione impugnata prevede che le spese relative all’attuazione della
legge in esame «sono a carico e sono deliberate da ciascuna amministrazione
centrale o periferica chiamata ad attuarla». Una tale previsione determinerebbe
anzitutto una violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera g), che
attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la materia «organizzazione
amministrativa dello Stato» e in proposito il ricorrente ricorda che per
costante giurisprudenza costituzionale (si cita da ultima la sentenza n. 9 del
2016) è vietato alle Regioni porre a carico di organi e amministrazioni dello
Stato compiti ulteriori rispetto a quelli individuati con legge statale. In
secondo luogo, sussisterebbe una violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera e), che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la materia
«perequazione delle risorse finanziarie». A tale riguardo, il ricorrente nota
che l’impugnato art. 4 pone a carico del bilancio statale le spese necessarie
all’attuazione della legge regionale e prevede che tali spese siano finalizzate
alla perequazione finanziaria. Per le medesime ragioni sarebbe violato anche
l’art. 81, terzo e quarto comma, Cost., dato che solo la legge statale di
approvazione del bilancio può autorizzare spese a carico del bilancio statale,
mentre la legge regionale impugnata non solo non indica i mezzi di copertura delle
spese, ma neanche le quantifica, impedendo così in radice ogni ipotetica
previsione di copertura.
2.– Si è costituita in giudizio la Regione Veneto chiedendo che la Corte costituzionale si
pronunci nel senso dell’inammissibilità e comunque del rigetto di tutte le
questioni sollevate.
La difesa regionale afferma innanzitutto che la Regione non contesta la
circostanza che sia lo Stato l’ente chiamato ad attuare la Convenzione-quadro
per la protezione delle minoranze nazionali, sui cui contenuti poi si sofferma.
Secondo la difesa della Regione Veneto, la legge regionale impugnata in
concreto esprimerebbe soltanto l’«aspirazione banalissima di non perdersi nel
mare magnum dell’indistinto globalizzato». La Regione Veneto non
avrebbe fatto altro «che ricordare allo Stato di aver ratificato, con la legge
n. 302/1997, la
Convenzione-quadro sulle minoranze nazionali, che essa
ritiene dotata di contenuti rilevanti per la comunità insediata nel proprio
territorio». E ciò, secondo la
Regione, non determinerebbe «affatto né collisioni né
rotture, ma semplicemente una attesa»: l’attesa che venga realizzata anche per
le minoranze nazionali quella tutela di cui la stessa giurisprudenza
costituzionale si è fatta carico quando ha affermato che la previsione della
tutela delle minoranze linguistiche appare destinata, più che alla salvaguardia
delle lingue minoritarie in quanto oggetto di memoria, alla consapevole
custodia e valorizzazione di patrimoni di sensibilità vivi e vitali
nell’esperienza dei parlanti (si richiama la sentenza n. 170 del 2010, oltre
che la sentenza n. 42 del 2017, là dove si dà atto del valore pregnante sia
della lingua italiana sia delle lingue minoritarie e si evoca l’erosione dei
confini nazionali determinata dalla globalizzazione). Di conseguenza, la
lettura offerta dal ricorso statale al contenuto complessivo della legge
regionale impugnata, «pur letteralmente consentita», non sarebbe condivisibile.
La stessa circostanza che il dettato della legge regionale impugnata sia, «per
ora, concretamente inoffensivo», dato che la legge regionale non prevede oneri
per la sua attuazione, testimonierebbe che la Regione Veneto
ritiene che sia lo Stato l’ente competente ad attuare la convenzione-quadro e
ad accollarsene gli oneri nella sua veste di soggetto di diritto
internazionale. In ogni caso, poi, non ci sarebbe alcuna violazione degli artt.
5, 6 e 114 Cost., dato che la futura acquisizione da parte del «popolo veneto»
dello status di “minoranza nazionale” non determinerebbe alcun contrasto con la Costituzione e con la
legislazione che la attua, «poiché rimane saldo il principio che entrambe vanno
rigorosamente rispettate». Non sarebbero violati neppure gli artt. 2 e 3 Cost.,
perché essere “minoranza nazionale” non equivarrebbe affatto a essere titolari
di prerogative ingiustificate; né sarebbero violati gli artt. 81 e 117, secondo
comma, lettera a), Cost., perché la Regione Veneto non avrebbe deliberato,
legislativamente, di operare sostituendosi allo Stato, ma al contrario si
sarebbe inibita questa facoltà proprio nel momento in cui ha stabilito che la
legge regionale fosse «a costo zero». Inoltre, data la «non rilevanza giuridica
dell’art. 4 della legge regionale», non sarebbero stati violati neppure gli
artt. 81, terzo e quarto comma; 117, secondo comma, lettere a) ed e), e 118,
primo comma, Cost., in quanto «disporre delle proprie risorse è prerogativa
dello Stato, cui la Regione
chiede l’attuazione, in proprio favore» della legge statale di ratifica ed
esecuzione della convenzione-quadro sulle minoranze nazionali.
In definitiva, la difesa regionale conclude in primo luogo per
l’inammissibilità delle censure prospettate dall’Avvocatura generale dello
Stato, «atteso il carattere non lesivo dell’atto impugnato»; e, in secondo
luogo, per la non fondatezza delle questioni sia «in sé e per sé, nel merito»,
sia «soprattutto e in ogni caso, se si accoglie l’opinione formulata dalla
difesa della Regione Veneto, secondo cui la normatività della legge impugnata è
condizionata da iniziative, che lo Stato deciderà di assumere ai sensi della
legge n. 302/1997». In particolare, questa Corte costituzionale, secondo la
difesa regionale «potrà, se del caso, pronunciare una sentenza interpretativa
di rigetto di quanto sostenuto dalla Avvocatura generale dello Stato» e «lo
Stato potrà, in ogni momento, sollevare conflitto di attribuzioni nei confronti
di eventuali atti e provvedimenti che la Regione Veneto
intendesse adottare in attuazione della legge regionale n. 28/2016; atti e
provvedimenti da valutare nella loro lesività non ora in astratto, ma un domani
in concreto, al momento della loro adozione».
3.– Hanno depositato un atto di intervento nel giudizio davanti a questa
Corte l’associazione non riconosciuta “Aggregazione Veneta – Aggregazione delle
associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela
della identità, cultura e lingua venete”, che si definisce «organizzazione
esponenziale della nazione veneta», in persona del suo legale rappresentante L.
P., unitamente allo stesso L. P. in proprio, eccependo la tardività del ricorso
e chiedendo che, nel merito, ne venga dichiarata l’infondatezza.
4.– In vista dell’udienza pubblica, ha depositato memoria soltanto la difesa
della Regione Veneto, insistendo sulle proprie conclusioni e svolgendo alcune
considerazioni di sintesi. La difesa regionale ricorda, in particolare, che è
attualmente in atto un “negoziato” tra la Regione Veneto e lo
Stato per l’attribuzione di maggiori competenze ai sensi dell’art. 116, terzo
comma, Cost., giunto ora, a fine legislatura, a «una positiva pre-intesa,
destinata a completarsi, una volta insediate le nuove Camere». Questa
circostanza assegnerebbe alla legge regionale impugnata «altri significati, di
certo non eversivi». La legge regionale, ribadisce la Regione, non avrebbe inteso
invadere le competenze spettanti allo Stato in tema di minoranze nazionali, né
ledere i parametri costituzionali invocati, ma avrebbe piuttosto attuato «una
sorta di ricognizione, che ha lo scopo evidente di ridare vigore alla memoria
e, con essa, a un sistema di valori, la cui nobiltà è innegabile».
5.– All’udienza del 20 marzo 2018, previa discussione sul punto, è stato
dichiarato inammissibile l’intervento per i motivi indicati nell’ordinanza
dibattimentale allegata alla presente sentenza.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di
legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 13 dicembre 2016,
n. 28 (Applicazione della convenzione quadro per la protezione delle minoranze
nazionali), impugnandola nella sua interezza per contrasto con gli artt. 2, 3,
5, 6, 80, 114 e 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione Ha inoltre
censurato specificamente l’art. 4 della medesima legge regionale per violazione
degli artt. 81, terzo e quarto comma, 117, secondo comma, lettere g) ed e), e
118, primo comma, Cost.
1.1.– In via preliminare va confermata l’ordinanza dibattimentale allegata
alla presente sentenza che ha dichiarato inammissibile l’intervento.
1.2.– La legge regionale impugnata è composta da cinque articoli.
L’art. 1, rubricato «Minoranza Nazionale», prevede che al «popolo veneto» –
individuato tramite il rinvio agli artt. 1 e 2 della legge regionale statutaria
12 aprile 2012, n. 1 (Statuto del Veneto) e comprensivo delle comunità
etnico-linguistiche cimbre e ladine e delle «comunità legate storicamente e
culturalmente o linguisticamente al popolo veneto anche al di fuori del
territorio regionale» – «spettano i diritti» di cui alla Convenzione-quadro per
la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 1° febbraio
1995, ratificata e resa esecutiva con la legge 28 agosto 1997, n. 302.
L’art. 2 stabilisce che la «legge si attua a tutti gli ambiti» previsti
dalla medesima convenzione-quadro secondo i criteri e le modalità determinati
dalla Giunta regionale e «senza oneri a carico della Regione».
L’art. 3 individua «l’Aggregazione delle associazioni maggiormente
rappresentative degli enti ed associazioni di tutela della identità, cultura e
lingua venete, da costituirsi presso la Giunta regionale» quale soggetto incaricato
«della raccolta e valutazione delle dichiarazioni spontanee» di appartenenza
alla minoranza nazionale veneta. Alla Giunta regionale spetta il compito di
monitorare le attività svolte dal nuovo ente.
L’art. 4 si occupa degli aspetti finanziari, prevedendo che tutte le spese
relative alla attuazione della legge impugnata nel territorio regionale «sono a
carico e deliberate da ciascuna amministrazione centrale o periferica chiamata
ad attuarla […] eventualmente con perequazione dell’amministrazione centrale».
L’art. 5, infine, ne stabilisce l’entrata in vigore, a partire dal giorno
successivo alla sua pubblicazione.
1.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri formula tre ordini di censure
in relazione all’intero testo della legge regionale n. 28 del 2016.
In primo luogo, il ricorrente ritiene violati gli artt. 5, 6 e 114 Cost., in
quanto la popolazione riferibile a uno degli enti esponenziali della Repubblica
non potrebbe per ciò solo essere qualificata come “minoranza nazionale”,
distinta e contrapposta rispetto alla maggioranza del popolo italiano. Il
principio di unità e indivisibilità sancito dagli artt. 5 e 114 Cost.
impedirebbe di rappresentare la
Repubblica come «una somma materiale di minoranze» e, in ogni
caso, le minoranze nazionali non potrebbero coincidere con le componenti
personali delle articolazioni della Repubblica stessa, quali sono le Regioni.
In secondo luogo, il ricorrente denuncia il contrasto con gli artt. 2 e 3
Cost. perché riconoscere una minoranza sarebbe possibile e necessario solo
quando in mancanza di tale riconoscimento si negherebbe l’identità collettiva
del gruppo, parificando giuridicamente una situazione collettiva connotata da
marcate particolarità culturali alla condizione della generalità del popolo.
Nel caso di specie, tuttavia, non ricorrerebbero le circostanze che sole
giustificano e richiedono il riconoscimento di una minoranza veneta.
In terzo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che il
legislatore regionale non sia competente ad adottare la legge impugnata, in
quanto l’attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze
nazionali rientrerebbe nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in
materia di «politica estera e rapporti internazionali dello Stato» di cui
all’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost. Inoltre, la Regione Veneto solo
formalmente si sarebbe basata sulla legge nazionale di ratifica della
convenzione-quadro, ma in realtà avrebbe a tutti gli effetti emanato una
propria particolare legge di ratifica, con conseguente violazione dell’art. 80
Cost.
1.4.– In caso di mancato accoglimento delle censure relative alla legge
regionale n. 28 del 2016 nella sua interezza, il Presidente del Consiglio dei
ministri denuncia distintamente anche il solo art. 4, per violazione dell’art.
117, secondo comma, lettera g), Cost., relativo alla materia «organizzazione
amministrativa dello Stato», in quanto le Regioni non potrebbero porre a carico
di organi e amministrazioni dello Stato compiti ulteriori rispetto a quelli
individuati con legge statale. La medesima disposizione violerebbe inoltre
l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., relativo alla materia
«perequazione delle risorse finanziarie», perché sarebbe vietato alla legge
regionale prevedere «il riequilibrio tra le disponibilità finanziarie dei
diversi livelli di governo dotati di differente capacità fiscale». Infine, la
disposizione censurata non rispetterebbe i principi contenuti nell’art. 81,
terzo e quarto comma, e nell’art. 118, primo comma, Cost., dato che la legge
regionale impugnata non quantifica le spese né individua i mezzi con cui farvi
fronte, e comunque addossa illegittimamente alle amministrazioni statali nuovi
oneri amministrativi e finanziari.
2.– La difesa regionale eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del
ricorso per carenza di lesività della legge regionale impugnata.
L’eccezione non è fondata.
La legge della Regione Veneto n. 28 del 2016 qualifica il «popolo veneto»
come “minoranza nazionale” degna di tutela ai sensi della convenzione-quadro e
impegna le amministrazioni centrali e periferiche a rendere effettiva tale
tutela; essa prevede, inoltre, l’istituzione di un nuovo ente regionale
incaricato di raccogliere e valutare le dichiarazioni individuali di
appartenenza a tale minoranza. Diversamente da quanto ritenuto dalla difesa
regionale, non si tratta di semplici aspirazioni o di enunciati meramente
ottativi, ma di precetti a contenuto normativo, sicché l’eccezione di
inammissibilità basata sulla carenza di lesività dell’atto impugnato deve
essere respinta (si veda analogamente, da ultima, la sentenza n. 245 del 2017).
Né, d’altra parte, i contenuti della legge regionale impugnata potrebbero
mai essere interpretati, secondo quanto prospettato dalla resistente, come
semplice espressione di una richiesta, rivolta allo Stato, di dare effettiva
attuazione alla Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali
nel territorio della Regione Veneto. In proposito, va ricordato anzitutto che
lo Stato ha già ratificato e recepito la convenzione-quadro con la legge n. 302
del 1997. In ogni caso, lo strumento di cui ogni Regione dispone per stimolare
l’intervento dello Stato negli ambiti di sua competenza non è certo
l’approvazione di una legge regionale, ma è piuttosto l’iniziativa legislativa
delle leggi statali attribuita a ciascun Consiglio regionale dall’art. 121
Cost. È a tale facoltà che la
Regione avrebbe dovuto fare ricorso se l’intendimento
effettivamente perseguito fosse stato quello di sollecitare il legislatore
statale ad adottare ulteriori atti di sua competenza in materia di tutela delle
minoranze, volti alla «custodia e alla valorizzazione di patrimoni di
sensibilità collettiva vivi e vitali» nel territorio regionale, come affermato
nelle memorie del Veneto, richiamandosi alle parole di questa Corte (sentenza
n. 170 del 2010).
3.– Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto
l’intera legge regionale n. 28 del 2016 sono fondate.
3.1.– Per inquadrare correttamente le questioni sottoposte all’esame della
Corte, occorre premettere che la tutela delle minoranze – garantita dall’art. 6
Cost. con specifico riferimento alle minoranze linguistiche – è espressione dei
fondamentali principi del pluralismo sociale (art. 2 Cost.) e dell’eguaglianza
formale e sostanziale (art. 3 Cost.), che conformano l’intero ordinamento
costituzionale e che per questo sono annoverati tra i suoi principi supremi
(sentenze n. 88 del 2011, n. 159 del 2009, n. 15 del 1996 e n. 62 del 1992).
L’aspetto linguistico al quale si riferisce l’art. 6 Cost., e su cui questa
Corte è stata più frequentemente chiamata a pronunciarsi, è «un elemento […] di
importanza basilare» che, insieme a quello nazionale, etnico, religioso e
culturale, contribuisce a definire la «identità individuale e collettiva» dei
singoli e dei gruppi (sentenze n. 159 del 2009, n. 15 del 1996 e n. 261 del
1995). Tale identità è l’oggetto della tutela approntata, oltre che dai citati
principi costituzionali, anche da sempre più numerosi documenti internazionali
(si vedano ad esempio gli ampi riferimenti contenuti nelle sentenze n. 159 del
2009, n. 15 del 1996 e n. 62 del 1992). Pertanto, nella giurisprudenza di
questa Corte, la tutela delle minoranze linguistiche di cui all’art. 6 Cost. è
considerata espressione paradigmatica di una più ampia e articolata garanzia
delle identità e del pluralismo culturale, i cui principi debbono ritenersi
applicabili a tutte le minoranze, siano esse religiose, etniche o nazionali,
oltre che linguistiche.
3.2.– Deve essere condivisa l’osservazione della Regione resistente circa il
fatto che la tutela delle minoranze richiede «l’apprestamento sia di norme
ulteriori di svolgimento, sia di strutture o istituzioni finalizzate alla loro
concreta operatività» (sentenze n. 159 del 2009, n. 15 del 1996, n. 62 del 1992
e n. 28 del 1982), in presenza delle quali soltanto i principi proclamati
dall’art. 6 Cost. e dai rilevanti accordi internazionali possono acquisire
concreta effettività.
In ordine alla titolarità dei poteri esercitabili a tale scopo, questa Corte
in un primo momento ha affermato che solo il legislatore statale fosse
abilitato a dettare norme sulla tutela delle minoranze, in ragione di
inderogabili esigenze di unità e di eguaglianza (sentenze n. 14 del 1965, n.
128 del 1963, n. 46 e n. 1 del 1961 e n. 32 del 1960). Successivamente, questa
Corte ha ritenuto che anche i legislatori regionali e provinciali potessero
adottare atti normativi in materia, specialmente al fine di garantire e valorizzare
l’identità culturale e il patrimonio storico delle proprie comunità, ma sempre
nel pieno rispetto di quanto determinato in materia dal legislatore statale
(sentenze n. 261 del 1995, n. 289 del 1987 e n. 312 del 1983).
La giurisprudenza costituzionale più recente è chiara nell’affermare che la
tutela delle minoranze è refrattaria a una rigida configurazione in termini di
“materia” da collocare in una delle ripartizioni individuate nel Titolo V della
seconda parte della Costituzione e che la sua attuazione in via di legislazione
ordinaria richiede tanto l’intervento del legislatore statale, quanto l’apporto
di quello regionale (sentenza n. 159 del 2009). Infatti, i principi contenuti
negli artt. 2, 3, e 6 Cost. si rivolgono sempre alla “Repubblica” nel suo
insieme e pertanto impegnano tutte le sue componenti – istituzionali e sociali,
centrali e periferiche – nell’opera di promozione del pluralismo,
dell’eguaglianza e, specificamente, della tutela delle minoranze; sicché, sul
piano legislativo, l’attuazione di tali principi esige il necessario concorso
della legislazione regionale con quella statale.
Nondimeno, il compito di determinare gli elementi identificativi di una
minoranza da tutelare non può che essere affidato alle cure del legislatore
statale, in ragione della loro necessaria uniformità per l’intero territorio
nazionale. Inoltre, il legislatore statale si trova nella posizione più
favorevole a garantire le differenze proprio in quanto capace di garantire le
comunanze e risulta, perciò, in grado di rendere compatibili pluralismo e
uniformità (sentenza n. 170 del 2010), anche in attuazione del principio di
unità e indivisibilità della Repubblica di cui all’art. 5 Cost.
In questa cornice debbono intendersi le affermazioni contenute nella sentenza
n. 170 del 2010 – relative alla tutela delle minoranze linguistiche, ma da
estendersi, per le ragioni sopra esposte, alla più generale tutela dei gruppi
minoritari – secondo le quali non è consentito al legislatore regionale
configurare o rappresentare la “propria” comunità in quanto tale come
“minoranza”, «essendo del tutto evidente che, in linea generale,
all’articolazione politico-amministrativa dei diversi enti territoriali
all’interno di una medesima più vasta, e composita, compagine istituzionale non
possa reputarsi automaticamente corrispondente – né, in senso specifico,
analogamente rilevante – una ripartizione del “popolo”, inteso nel senso di
comunità “generale”, in improbabili sue “frazioni”» (sentenza n. 170 del 2010).
Riconoscere un tale potere al legislatore regionale significherebbe, infatti,
introdurre un elemento di frammentazione nella comunità nazionale contrario
agli artt. 2, 3, 5 e 6 Cost.
Lasciata, dunque, in disparte ogni considerazione circa la compatibilità
della legge regionale impugnata con lo specifico contenuto della
Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, a cui essa si
richiama – la quale peraltro contiene principalmente un elenco di diritti di
natura individuale, ma non configura diritti collettivi dei gruppi minoritari –
la legge regionale impugnata, nel qualificare il «popolo veneto» come
“minoranza nazionale” ai sensi della citata convenzione-quadro, contrasta con i
principi sviluppati nella giurisprudenza di questa Corte in materia.
Ne consegue la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’intero
testo della legge regionale n. 28 del 2016, in riferimento agli artt. 2, 3, 5 e
6 Cost.
3.3.– Restano assorbiti gli altri profili di censura.
per questi motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile l’intervento di «Aggregazione Veneta –
Aggregazione delle associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed
associazioni di tutela della identità, cultura e lingue venete» e di L. P.;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Veneto
13 dicembre 2016, n. 28 (Applicazione della convenzione quadro per la
protezione delle minoranze nazionali).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 20 marzo 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
Allegato:
ordinanza letta all'udienza del 20 marzo 2018
ORDINANZA
Ritenuto che il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso un
giudizio di legittimità costituzionale (r.r. n. 16 del 2017) avverso la legge
della Regione Veneto 13 dicembre 2016, n. 28 (Applicazione della convenzione
quadro per la protezione delle minoranze nazionali), in relazione all'intero
testo e all'art. 4;
che in questo giudizio hanno depositato, in data 6 aprile 2017, un atto di
intervento l'associazione «Aggregazione Veneta - Aggregazione delle
associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela
della identità, cultura e lingua venete», in persona del suo legale
rappresentante L.P., unitamente allo stesso L.P. in proprio;
che le parti private intervenienti hanno eccepito la tardività e
l'infondatezza del ricorso;
Considerato che il giudizio di legittimità costituzionale in via
principale si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà
legislativa e non ammette l'intervento di soggetti che ne siano privi, fermi
restando per costoro, ove ne ricorrano i presupposti, gli altri mezzi di tutela
giurisdizionale eventualmente esperibili (si veda, da ultima e per tutte, la
sentenza n. 5 del 2018).
per questi motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l'intervento di «Aggregazione Veneta -
Aggregazione delle associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed
associazioni di tutela della identità, cultura e lingua venete» e L. P. nel
giudizio promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con l'indicato
ricorso r.r. n. 16 del 2017.