venerdì 23 febbraio 2018




L’omogenitorialità al vaglio delle Sezioni Unite

Cass. 23 febbraio 2018, n. 4382

La Sez. 1 ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sez. U in ordine ad una pluralità di questioni di massima di particolare importanza sottese alla decisione relativa all’efficacia, nell’ordinamento interno, del provvedimento giurisdizionale canadese di riconoscimento della doppia genitorialità ad una coppia omoaffettiva maschile, unita in matrimonio nello Stato estero. Sono state sottoposte al vaglio delle Sez. U: la legittimazione ad agire in giudizio del PG presso la Corte di appello, del Sindaco e del Ministero dell’Interno, la nozione di ordine pubblico e la configurabilità della carenza assoluta di potere giurisdizionale in capo alla Corte d’appello che, ex art. 67 l. n. 218 del 1995 ha ritenuto efficace e trascrivibile il provvedimento in oggetto.



sabato 17 febbraio 2018



Delibera dell’Autorità Nazionale Anticorruzione 24 gennaio 2018, n. 68, concernente la sussistenza di una situazione di incompatibilità, ai sensi dell’articolo 12, co. 4, del d.lgs. 39/2013 tra l’incarico di responsabile di area in un ente locale, ex articolo 109, co. 2, d.lgs. 267/2000 e quello di assessore in un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti.

Il Consiglio dell’Autorità nazionale anticorruzione

nell’adunanza del 24 gennaio 2018;
VISTO l’articolo 1, comma 3, della legge 6 novembre 2012, n. 190, secondo cui l’Autorità esercita poteri ispettivi mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni e ordina l’adozione di atti o provvedimenti richiesti dal piano nazionale anticorruzione e dai piani di prevenzione della corruzione delle singole amministrazioni e dalle regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa previste dalla normativa vigente, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza;
VISTO l’art. 16 del d.lgs. 8 aprile 2013 n. 39, secondo cui l’Autorità Nazionale Anticorruzione vigila sul rispetto, da parte delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, delle disposizioni di cui al citato decreto, in tema di inconferibilità e di incompatibilità degli incarichi, anche con l’esercizio di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi;
VISTA la delibera dell’ANAC n. 833 del 3 agosto 2016 concernente: «Linee guida in materia di accertamento delle inconferibilità e delle incompatibilità degli incarichi amministrativi da parte del responsabile della prevenzione della corruzione. Attività di vigilanza e poteri di accertamento dell’ANAC in caso di incarichi inconferibili e incompatibili;
VISTA la relazione dell’Ufficio vigilanza sull’imparzialità dei funzionari pubblici (UVIF)
Fatto
Con richiesta acquisita al protocollo dell’Autorità n. 65100 del 9 maggio 2017, e integrata con nota n. 128167 del 20 novembre 2017, il dott. G.Z., in qualità di Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza del Comune di C., ha fatto presente a questa Autorità la potenziale situazione di incompatibilità, ai sensi dell’articolo 12, co. 4, ex d.lgs. 39/2013, di un dipendente del suddetto Comune, che ha ricevuto dal sindaco l’incarico di responsabile di area, ai sensi dell’articolo 109, co. 2, d.lgs. 267/2000 e che, recentemente, è stato nominato assessore in un Comune con popolazione maggiore di 15.000 abitanti (Ca). A tal fine, il RPCT evidenzia che il citato articolo 12 «si riferisce letteralmente agli “incarichi dirigenziali”, mentre, nel caso concreto, essendo il Comune privo di dirigenti, il dipendente in questione espleta le funzioni apicali non a titolo originario – come avviene per i dirigenti – bensì a titolo derivato, a seguito di delega del Sindaco, ai sensi dell’articolo 109, co. 2, del d.lgs. 267/2000».
Diritto
Ai fini dell’applicabilità della disciplina relativa alle incompatibilità di cui al d.lgs. n. 39/2013, l’art. 1 comma 2 lett. j) del medesimo decreto prescrive che per incarichi dirigenziali interni si devono intendere “gli incarichi di funzione dirigenziale, comunque denominati, che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione, nonché gli incarichi di funzione dirigenziale nell'ambito degli uffici di diretta collaborazione, conferiti a dirigenti o ad altri dipendenti, ivi comprese le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, appartenenti ai ruoli dell'amministrazione che conferisce l'incarico ovvero al ruolo di altra pubblica amministrazione”.      
Ugualmente, la lett. k) del medesimo comma definisce gli incarichi conferiti a soggetti non muniti della qualifica di dirigente pubblico (esterni), facendo sempre riferimento “all’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione”.  
Il comma 2 dell’art. 2 del citato decreto legislativo 39/2013, precisa ulteriormente che negli enti locali, al conferimento di incarichi dirigenziali, è assimilato quello di funzioni dirigenziali a personale non dirigenziale, nonché di incarichi dirigenziali conferiti a soggetti con contratto a tempo determinato, ai sensi dell'articolo 110, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.             
Infine, l’art. 12 comma 4, lett. b)  del d.lgs. n. 39/2013 prevede che “Gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello provinciale o comunale sono incompatibili:…….b) con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, ricompresi nella  stessa regione dell’amministrazione locale che ha conferito l’incarico.”         
Perché si verifichi la fattispecie posta all’attenzione di questa Autorità, è necessario che il Comune presso cui viene ricoperta la carica politica sia superiore a 15.000 abitanti e sia ricompreso nella stessa regione dell’amministrazione locale che ha conferito l’incarico.
Nel caso di specie, entrambi i Comuni fanno parte della Regione Veneto, mentre la carica politica è ricoperta in un ente locale con popolazione superiore ai 15.000 abitanti.
Orientamenti dell’Autorità in tema di incompatibilità tra un incarico dirigenziale in un ente locale ed una carica politica in un ente locale con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, facenti parte della medesima regione.
Con riferimento alla fattispecie in esame, quest’Autorità si è già espressa con l’orientamento n. 4/2014 asserendo l’incompatibilità, ai sensi dell’art. 12, comma 4 lett. b) del d.lgs. n. 39/2013, tra l’incarico di posizione organizzativa in un ente locale, conferito ai sensi dell’art. 109, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000 e la carica di componente della giunta o dell’assemblea della forma associativa di cui il medesimo ente locale fa parte, in quanto tale incarico è qualificabile come incarico di funzioni dirigenziali a personale non dirigenziale (fatta salva l’ipotesi che il conferimento dello stesso sia avvenuto prima dell’entrata in vigore del citato decreto 39, secondo quanto stabilito dall’art. 29-ter del d.l. n. 69/2013).    
Successivamente, nella delibera n. 1001 del 21 settembre 2016 viene rappresentato che «Tutti gli incarichi dirigenziali interni ed esterni mediante i quali sia conferita la responsabilità di un servizio/ufficio, sono soggetti alla disciplina del d.lgs. n. 39/2013. Infatti, il riferimento all’ “esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione” di cui all’art. 1 comma 2 lett. j) e k) del d.lgs. n. 39/2013, ha la sola funzione di meglio descrivere la posizione del titolare dell’incarico, evidenziandone le differenze rispetto a quella di coloro ai quali sono stati attribuiti incarichi amministrativi di vertice».   
Nello stesso senso, l’Autorità si è espressa con la delibera numero 925 del 13 settembre 2017, pubblicata sul sito istituzionale.  

Tutto ciò premesso e considerato,
DELIBERA
  • nel caso esaminato sussiste una situazione di incompatibilità, ai sensi dell’art. 12, comma 4, lett.b) del D.lgs. n. 39/2013, tra l’incarico di responsabile di area nel Comune di C. e la nomina di assessore nel Comune di Ca;
  • il RPCT del Comune di C., preso atto della rilevata situazione di incompatibilità, diffida, senza indugio, l’interessato ad optare tra i due incarichi incompatibili entro i 15 giorni successivi alla sua comunicazione;
  • ove l’opzione non sia effettuata entro il termine perentorio di quindici giorni, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 39/2013, il RPCT dichiara la decadenza dall’incarico di responsabile di area e la risoluzione del relativo contratto;
  • di dare comunicazione della presente al RPCT ed al sindaco del Comune di Ca, nonché al RPCT ed al sindaco del Comune di C., con richiesta di dare comunicazione a questa Autorità degli esiti del procedimento.

https://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/AttiDellAutorita/_Atto?id=753f23f90a7780425ff9a57301927359

venerdì 16 febbraio 2018






Difetto assoluto di giurisdizione sulle elezioni politiche

Elezioni – Elezioni politiche – Controversia – Difetto assoluto di giurisdizione. 
         Ai sensi del combinato disposto degli artt. 126 e 129 c.p.a., il giudice amministrativo ha giurisdizione in materia di operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, ma non anche in materia di elezioni politiche nazionali, in relazione alle quali c'è difetto assoluto di giurisdizione (1).

 (1) Ha chiarito la Sezione che il contenzioso pre-elettorale è ripartito tra l’Ufficio centrale nazionale – competente per quanto concerne le controversie relative alla esclusione di liste e candidature – e le Assemblee di Camera e Senato, cui è attribuito il controllo del procedimento elettorale, in virtù di una norma eccezionale di carattere derogatorio, basato su un regime di riserva parlamentare strumentale alla necessità di garantire l’assoluta indipendenza del Parlamento (Corte cost. 231 del 1975), riconducibile all’autodichia.
Dal sito

lunedì 12 febbraio 2018



CITTADINANZA – ACQUISTO PER CONCESSIONE – RESIDENZA LEGALE (REQUISITO DELLA)

sentenza febbraio 2017

Dall’entrata in vigore del d.p.r. 362/1994, in virtù dell’abrogazione dell’art. 4, del d.p.r. 572/1993, non è più richiesto che i requisiti per la proposizione dell’istanza di concessione della cittadinanza debbano permanere sino alla prestazione del giuramento, dunque, sino alla conclusione del procedimento.

venerdì 9 febbraio 2018



Corte di Giustizia UE 6 febbraio 2018, n. C-395/16

Rinvio pregiudiziale – Lavoratori migranti – Previdenza sociale – Normativa da applicare – Regolamento (CEE) n. 1408/71 – Articolo 14, punto 1, lettera a) – Lavoratori distaccati – Regolamento (CEE) n. 574/72 – Articolo 11, paragrafo 1, lettera a) – Certificato E 101 – Forza probatoria – Certificato ottenuto o invocato in modo fraudolento









L’articolo 14, punto 1, lettera a), del regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità, nella versione modificata e aggiornata dal regolamento (CE) n. 118/97 del Consiglio, del 2 dicembre 1996, come modificato dal regolamento (CE) n. 631/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, e l’articolo 11, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CEE) n. 574/72 del Consiglio, del 21 marzo 1972, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento n. 1408/71, nella versione modificata e aggiornata dal regolamento n. 118/97, devono essere interpretati nel senso che, qualora l’istituzione dello Stato membro nel quale i lavoratori sono stati distaccati abbia investito l’istituzione che ha emesso certificati E 101 di una domanda di riesame e di revoca degli stessi, sulla scorta di elementi raccolti nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria dalla quale è emerso che tali certificati sono stati ottenuti o invocati in modo fraudolento, e l’istituzione emittente non abbia tenuto conto di tali elementi ai fini del riesame della correttezza del rilascio dei suddetti certificati, il giudice nazionale può, nell’ambito di un procedimento promosso contro persone sospettate di aver fatto ricorso a lavoratori distaccati servendosi di tali certificati, ignorare questi ultimi se – sulla base di detti elementi e in osservanza delle garanzie inerenti al diritto a un equo processo che devono essere accordate a tali persone – constati l’esistenza di una tale frode.








Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
6 febbraio 2018
Nella causa C‑359/16,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Hof van Cassatie (Corte di cassazione, Belgio), con decisione del 7 giugno 2016, pervenuta in cancelleria il 24 giugno 2016, nel procedimento penale contro
Ömer Altun,
Abubekir Altun,
Sedrettin Maksutogullari,
Yunus Altun,
Absa NV,
M. Sedat BVBA,
Alnur BVBA,
con l’intervento di:
Openbaar Ministerie,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, A. Tizzano, vicepresidente, R. Silva de Lapuerta, M. Ilešič, J.L. da Cruz Vilaça, A. Rosas e C. Vajda, presidenti di sezione, C. Toader, M. Safjan, D. Šváby, M. Berger, A. Prechal ed E. Regan (relatore), giudici,
avvocato generale: H. Saugmandsgaard Øe
cancelliere: C. Strömholm, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 20 giugno 2017,
considerate le osservazioni presentate:
–        per Ö. Altun, A. Altun, Maksutogullari, Y. Altun nonché per la Absa NV, la M. Sedat BVBA e la Alnur BVBA, da H. Van Bavel, D. Demuynck, E. Matthys, N. Alkis, S. Renette, P. Wytinck ed E. Baeyens, advocaten;
–        per il governo belga, da M. Jacobs e L. Van den Broeck, in qualità di agenti, assistiti da P. Paepe, advocaat;
–        per l’Irlanda, da A. Joyce e G. Hodge, in qualità di agenti, assistiti da C. Toland, SC;
–        per il governo francese, da D. Colas e C. David, in qualità di agenti;
–        per il governo ungherese, da M.Z. Fehér, G. Koós ed E.E. Sebestyén, in qualità di agenti;
–        per il governo polacco, da B. Majczyna, A. Siwek e D. Lutostańska, in qualità di agenti;
–        per la Commissione europea, da D. Martin e M. van Beek, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 novembre 2017,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 14, punto 1, lettera a), del regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità, nella versione modificata e aggiornata dal regolamento (CE) n. 118/97 del Consiglio, del 2 dicembre 1996 (GU 1997, L 28, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) n. 631/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004 (GU 2004, L 100, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento n. 1408/71»), nonché dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CEE) n. 574/72 del Consiglio, del 21 marzo 1972, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento n. 1408/71, nella versione modificata e aggiornata dal regolamento n. 118/97 (in prosieguo: il «regolamento n. 574/72»).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale avviato a carico dei sigg. Ömer Altun, Abubekir Altun, Sedrettin Maksutogullari e Yunus Altun nonché della Absa NV, della M. Sedat BVBA e della Alnur BVBA in ordine al distacco di lavoratori bulgari in Belgio.
 Contesto normativo
 Regolamento n. 1408/71
3        Gli articoli 13 e 14 del regolamento n. 1408/71 erano contenuti nel titolo II dello stesso, rubricato «Determinazione della legislazione applicabile».
4        L’articolo 13 di tale regolamento così recitava:
«1.      Le persone per cui è applicabile il presente regolamento sono soggette alla legislazione di un solo Stato membro, fatti salvi gli articoli 14 quater e 14 septies. Tale legislazione è determinata in base alle disposizioni del presente titolo.
2.      Con riserva degli articoli da 14 a 17:
a)      la persona che esercita un’attività subordinata nel territorio di uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato anche se risiede nel territorio di un altro Stato membro o se l’impresa o il datore di lavoro da cui dipende ha la propria sede o il proprio domicilio nel territorio di un altro Stato membro;
(...)».
5        L’articolo 14 del regolamento in parola, intitolato «Norme particolari applicabili alle persone, diverse dai marittimi, che esercitano un’attività subordinata», così disponeva:
«La norma enunciata all’articolo 13, paragrafo 2, lettera a) è applicata tenuto conto delle seguenti eccezioni e particolarità:
1)      a)      La persona che esercita un’attività subordinata nel territorio di uno Stato membro presso un’impresa dalla quale dipende normalmente ed è distaccata da questa impresa nel territorio di un altro Stato membro per svolgervi un lavoro per conto della medesima (...) rimane soggetta alla legislazione del primo Stato membro, a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i dodici mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un’altra persona giunta al termine del suo periodo di distacco;
(...)».
6        Ai sensi dell’articolo 80, paragrafo 1, del medesimo regolamento:
«La commissione amministrativa per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti, qui di seguito denominata “commissione amministrativa”, istituita presso la Commissione, è composta di un rappresentante governativo di ciascuno degli Stati membri, assistito all’occorrenza da consiglieri tecnici. (...)».
7        Ai sensi dell’articolo 81, lettera a), del regolamento n. 1408/71, la commissione amministrativa era incaricata di trattare, in particolare, ogni questione amministrativa o d’interpretazione derivante dalle disposizioni di tale regolamento.
8        Il successivo articolo 84 bis, paragrafo 3, prevedeva quanto segue:
«In caso di difficoltà d’interpretazione o di applicazione del presente regolamento tali da incidere sui diritti di una persona cui esso si applica, l’istituzione dello Stato competente o dello Stato di residenza della persona interessata deve contattare l’istituzione o le istituzioni dello Stato o degli Stati membri interessati. In assenza di una soluzione entro un termine ragionevole, le autorità interessate possono adire la commissione amministrativa».
9        Il regolamento n. 1408/71 è stato abrogato e sostituito, a decorrere dal 1° maggio 2010, dal regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2004, L 166, pag. 1).
10      L’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1408/71 è stato sostituito, in sostanza, dall’articolo 11, paragrafo 3, lettera a), del regolamento n. 883/2004, il quale dispone che «[f]atti salvi gli articoli da 12 a 16 (...) una persona che esercita un’attività subordinata o autonoma in uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato membro».
11      L’articolo 14, punto 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71 è stato sostituito, in sostanza, dall’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004, il quale dispone che «[l]a persona che esercita un’attività subordinata in uno Stato membro per conto di un datore di lavoro che vi esercita abitualmente le sue attività ed è da questo distaccata, per svolgervi un lavoro per suo conto, in un altro Stato membro rimane soggetta alla legislazione del primo Stato membro a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i ventiquattro mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un’altra persona».
 Regolamento n. 574/72
12      Il titolo III del regolamento n. 574/72, intitolato «Applicazione delle disposizioni del regolamento relative alla determinazione della legislazione applicabile», fissava, segnatamente, le modalità di applicazione degli articoli 13 e 14 del regolamento n. 1408/71.
13      In particolare, l’articolo 11 del regolamento n. 574/72, riguardante le formalità in caso di distacco di un lavoratore subordinato, prevedeva, al paragrafo 1, lettera a), che, nei casi di cui, in particolare, all’articolo 14, punto 1, del regolamento n. 1408/71, l’istituzione designata dall’autorità competente dello Stato membro la cui legislazione rimane applicabile fosse tenuta a rilasciare un certificato, denominato «certificato E 101», nel quale si attestava che il lavoratore subordinato rimaneva soggetto a tale legislazione e fino a quale data.
14      Il regolamento n. 574/72 è stato abrogato e sostituito, con effetto a decorrere dal 1° maggio 2010, dal regolamento (CE) n. 987/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento n. 883/2004 (GU 2009, L 284, pag. 1).
15      Ai sensi dell’articolo 5 del regolamento n. 987/2009:
«1.      I documenti rilasciati dall’istituzione di uno Stato membro che attestano la situazione di una persona ai fini dell’applicazione del regolamento di base e del regolamento di applicazione, nonché le certificazioni su cui si è basato il rilascio dei documenti, sono accettati dalle istituzioni degli altri Stati membri fintantoché essi non siano ritirati o dichiarati non validi dallo Stato membro in cui sono stati rilasciati.
2.      In caso di dubbio sulla validità del documento o sull’esattezza dei fatti su cui si basano le indicazioni che vi figurano, l’istituzione dello Stato membro che riceve il documento chiede all’istituzione emittente i chiarimenti necessari e, se del caso, il ritiro del documento. L’istituzione emittente riesamina i motivi che hanno determinato l’emissione del documento e, se necessario, procede al suo ritiro.
3.      A norma del paragrafo 2, in caso di dubbio sulle informazioni fornite dalla persona interessata, sulla validità del documento o sulle certificazioni o sull’esattezza dei fatti su cui si basano le indicazioni che vi figurano, l’istituzione del luogo di dimora o di residenza procede, qualora le sia possibile, su richiesta dell’istituzione competente, alle verifiche necessarie di dette informazioni o detto documento.
4.      In mancanza di accordo tra le istituzioni interessate, la questione può essere sottoposta alla commissione amministrativa, per il tramite delle autorità competenti, non prima che sia trascorso un mese dalla data in cui l’istituzione che ha ricevuto il documento ha sottoposto la sua richiesta. La commissione amministrativa cerca una conciliazione dei punti di vista entro i sei mesi successivi alla data in cui la questione le è stata sottoposta».
16      L’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento n. 987/2009, che ha, in sostanza, sostituito l’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento n. 574/72, dispone che, «[s]u richiesta della persona interessata o del datore di lavoro, l’istituzione competente dello Stato membro la cui legislazione è applicabile a norma del titolo II del regolamento [n. 883/2004] fornisce un attestato del fatto che tale legislazione è applicabile e indica, se del caso, fino a quale data e a quali condizioni». Tale attestazione è fornita mediante un certificato denominato «certificato A 1».
 Procedimento principale e questione pregiudiziale
17      La Sociale Inspectie (ispettorato sociale, Belgio) ha svolto un’inchiesta sull’impiego del personale della Absa, società di diritto belga attiva nel settore edilizio in Belgio.
18      Da tale inchiesta è emerso che, a partire dal 2008, la Absa era praticamente sprovvista di personale e affidava tutti suoi cantieri in subappalto a imprese bulgare che distaccavano lavoratori in Belgio. È stato altresì rilevato che l’impiego di tali lavoratori distaccati non era denunciato all’ente incaricato, in Belgio, della riscossione dei contributi previdenziali, in quanto i medesimi erano in possesso di certificati E 101 o A 1 rilasciati dall’istituzione designata dall’autorità bulgara competente ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento n. 574/72.
19      Un’inchiesta giudiziaria promossa in Bulgaria nell’ambito di una rogatoria disposta da un giudice istruttore belga ha accertato che tali imprese bulgare non esercitavano alcuna attività significativa in Bulgaria.
20      Sulla base dei risultati di tale inchiesta, il 12 novembre 2012 l’ispettorato sociale belga ha presentato all’istituzione designata dall’autorità bulgara competente una domanda motivata di riesame o di revoca dei certificati E 101 o A 1 rilasciati ai lavoratori distaccati di cui al procedimento principale.
21      Dalle osservazioni del governo belga risulta che, il 9 aprile 2013, in seguito a una lettera di sollecito inviata dall’ispettorato sociale belga, l’istituzione bulgara competente ha risposto a tale domanda trasmettendo un riepilogo dei certificati E 101 o A 1 rilasciati, con indicazione del loro periodo di validità e con la precisazione che le diverse imprese bulgare in questione, al momento del rilascio dei suddetti certificati, soddisfacevano i requisiti del distacco dal punto di vista amministrativo. In tale risposta non si teneva conto, invece, dei fatti constatati e accertati da parte delle autorità belghe.
22      Le autorità belghe hanno convenuto in giudizio gli imputati nel procedimento principale, nella loro qualità di datore di lavoro, incaricato o mandatario, in primo luogo, per aver fatto svolgere o consentito lo svolgimento di attività lavorativa a cittadini stranieri non ammessi o autorizzati a soggiornare nel territorio belga per più di tre mesi o a ivi stabilirsi senza permesso di lavoro; in secondo luogo, per aver omesso, al momento dell’assunzione di tali lavoratori, di presentare la denuncia richiesta dalla legge presso l’ente incaricato della riscossione dei contributi previdenziali, e, in terzo luogo, per aver omesso di iscrivere i suddetti lavoratori al Rijksdienst voor Sociale Zekerheid (Ufficio nazionale per la previdenza sociale, Belgio).
23      Con sentenza del 27 giugno 2014, il correctionele rechtbank Limburg, afdeling Hasselt (Tribunale penale del Limburgo, circondario di Hasselt, Belgio), ha assolto gli imputati dai capi d’imputazione formulati contro i medesimi dall’Openbaar Ministerie (pubblico ministero, Belgio), adducendo la motivazione che «l’impiego dei lavoratori bulgari era completamente coperto dai moduli E 101/A1, rilasciati regolarmente e legalmente a tale data».
24      Il pubblico ministero ha interposto appello avverso tale sentenza.
25      Con sentenza del 10 settembre 2015, lo hof van beroep te Antwerpen (Corte d’appello di Anversa, Belgio) ha condannato gli imputati nel procedimento principale. Tale giudice, pur avendo constatato che un certificato E 101 o A 1 era stato effettivamente rilasciato a ciascuno dei lavoratori distaccati di cui trattasi e che le autorità belghe non avevano esaurito la procedura prevista in caso di contestazione della validità dei certificati, ha tuttavia ritenuto di non essere vincolato da tali circostanze, in quanto i suddetti certificati erano stati ottenuti in modo fraudolento.
26      Il 10 settembre 2015, gli imputati nel procedimento principale hanno presentato ricorso per cassazione avverso tale sentenza.
27      Nutrendo dubbi sull’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento n. 574/72, lo Hof van Cassatie (Corte di cassazione, Belgio) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se un certificato E 101, rilasciato in forza dell’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento [n. 574/72], come applicabile prima della sua abolizione ad opera dell’articolo 96, paragrafo 1, del regolamento [n. 987/2009], possa essere annullato o ignorato da un giudice diverso da quello dello Stato membro di provenienza, qualora i fatti sottoposti al suo giudizio consentano di stabilire che il certificato è stato ottenuto o invocato in modo fraudolento».
 Sulla questione pregiudiziale
28      Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 14, punto 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71 e l’articolo 11, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 574/72 debbano essere interpretati nel senso che, quando un dipendente di un’impresa stabilita nel territorio di uno Stato membro è distaccato nel territorio di un altro Stato membro, un giudice di quest’ultimo Stato membro può ignorare un certificato E 101 rilasciato in forza della seconda disposizione citata, laddove dai fatti sottoposti al suo giudizio emerga che il suddetto certificato è stato ottenuto o invocato in modo fraudolento.
29      A tale riguardo, occorre ricordare che le disposizioni del titolo II del regolamento n. 1408/71, delle quali fa parte l’articolo 14 del medesimo, costituiscono, secondo una giurisprudenza costante della Corte, un sistema completo e uniforme di norme di conflitto volto a far sì che i lavoratori che si spostano all’interno dell’Unione europea siano soggetti al regime previdenziale di un solo Stato membro, in modo da evitare l’applicazione cumulativa di normative nazionali e le complicazioni che possono derivarne (sentenze del 10 febbraio 2000, FTS, C‑202/97, EU:C:2000:75, punto 20 e giurisprudenza ivi citata, e del 4 ottobre 2012, Format Urządzenia i Montaże Przemysłowe, C‑115/11, EU:C:2012:606, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).
30      A tal fine, l’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1408/71 fissa il principio secondo cui un lavoratore subordinato è soggetto, in materia di previdenza sociale, alla normativa dello Stato membro in cui lavora (sentenza del 4 ottobre 2012, Format Urządzenia i Montaże Przemysłowe, C‑115/11, EU:C:2012:606, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).
31      Tale principio è tuttavia formulato «[c]on riserva degli articoli da 14 a 17» del regolamento n. 1408/71. Infatti, in alcune situazioni particolari, l’applicazione pura e semplice della regola generale di cui all’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), di tale regolamento rischierebbe non già di evitare, bensì, al contrario, di creare, tanto per il lavoratore quanto per il datore di lavoro e gli enti previdenziali, complicazioni amministrative che potrebbero ostacolare l’esercizio della libera circolazione delle persone rientranti nell’ambito di applicazione del suddetto regolamento (sentenza del 4 ottobre 2012, Format Urządzenia i Montaże Przemysłowe, C‑115/11, EU:C:2012:606, punto 31 e giurisprudenza ivi citata). Norme particolari che disciplinano tali ipotesi sono contenute, segnatamente, nell’articolo 14 del regolamento n. 1408/71.
32      L’articolo 14, punto 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71 ha segnatamente lo scopo di favorire la libera prestazione dei servizi a vantaggio delle imprese che di tale libertà si avvalgono inviando lavoratori in Stati membri diversi da quello in cui sono stabilite. Tale disposizione mira, infatti, a superare gli ostacoli che possano impedire la libera circolazione dei lavoratori e a favorire l’integrazione economica, evitando le complicazioni amministrative, in particolare per i lavoratori e le imprese (v., in tal senso, sentenza del 10 febbraio 2000, FTS, C‑202/97, EU:C:2000:75, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).
33      Per evitare che un’impresa con sede nel territorio di uno Stato membro sia costretta a iscrivere i suoi dipendenti, normalmente soggetti alla normativa previdenziale di tale Stato membro, al regime previdenziale di un altro Stato membro nel quale siano inviati per svolgere lavori di durata limitata nel tempo, l’articolo 14, punto 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71 consente all’impresa di mantenere i propri dipendenti iscritti al regime previdenziale del primo Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 10 febbraio 2000, FTS, C‑202/97, EU:C:2000:75, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).
34      L’applicazione di tale disposizione è tuttavia subordinata al rispetto di due condizioni. La prima condizione, che concerne il vincolo necessario tra l’impresa che procede al distacco del lavoratore in uno Stato membro diverso da quello in cui la stessa è stabilita e il lavoratore distaccato, richiede il mantenimento di un legame organico tra tale impresa e tale lavoratore per tutta la durata del distacco di quest’ultimo. La seconda condizione, che riguarda il rapporto esistente tra la suddetta impresa e lo Stato membro nel quale essa è stabilita, richiede che quest’ultima eserciti abitualmente attività significative nel territorio di tale Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 10 febbraio 2000, FTS, C‑202/97, EU:C:2000:75, punto da 21 a 24, 30, 33 e da 40 a 45).
35      In tale contesto, il certificato E 101 mira, al pari della disciplina di diritto sostanziale prevista dall’articolo 14, punto 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71, ad agevolare la libera circolazione dei lavoratori e la libera prestazione dei servizi (sentenza del 26 gennaio 2006, Herbosch Kiere, C‑2/05, EU:C:2006:69, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).
36      In detto certificato, l’istituzione competente dello Stato membro in cui ha sede l’impresa nella quale sono impiegati i lavoratori interessati dichiara che questi restano soggetti al proprio regime previdenziale. In tal modo, per via del principio secondo cui i lavoratori devono essere iscritti a un unico regime previdenziale, tale certificato implica necessariamente che il regime dell’altro Stato membro non può trovare applicazione (v., in tal senso, sentenza del 26 gennaio 2006, Herbosch Kiere, C‑2/05, EU:C:2006:69, punto 21, e del 27 aprile 2017, A-Rosa Flussschiff, C‑620/15, EU:C:2017:309, punto 38).
37      Al riguardo, il principio di leale collaborazione, enunciato all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, impone all’istituzione emittente di procedere a una corretta valutazione dei fatti pertinenti per l’applicazione delle norme relative alla determinazione della normativa applicabile in materia previdenziale e, pertanto, di garantire l’esattezza delle indicazioni figuranti nel certificato E 101 (sentenza del 27 aprile 2017, A-Rosa Flussschiff, C‑620/15, EU:C:2017:309, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).
38      Per quanto concerne l’istituzione competente dello Stato membro nel quale il lavoro viene svolto, dagli obblighi di collaborazione che discendono dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE si evince altresì che gli stessi non verrebbero rispettati – e gli obiettivi dell’articolo 14, punto 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71 e dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 574/72 verrebbero disattesi – qualora l’istituzione di detto Stato membro si ritenesse non vincolata dalle indicazioni contenute nel certificato E 101 e assoggettasse ugualmente tali lavoratori al regime previdenziale di tale Stato membro (v., per analogia, sentenze del 30 marzo 2000, Banks e a., C‑178/97, EU:C:2000:169, punto 39, e del 27 aprile 2017, A-Rosa Flussschiff, C‑620/15, EU:C:2017:309, punto 40).
39      Di conseguenza, il certificato E 101, creando una presunzione di regolarità dell’iscrizione del lavoratore interessato al regime previdenziale dello Stato membro in cui ha sede l’impresa presso cui questi lavora, è vincolante, in linea di principio, per l’istituzione competente dello Stato membro in cui tale lavoratore svolge l’attività lavorativa (v., in tal senso, sentenza del 27 aprile 2017, A-Rosa Flussschiff, C‑620/15, EU:C:2017:309, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
40      Il principio di leale collaborazione, infatti, presuppone anche quello di fiducia reciproca.
41      Pertanto, fintantoché il certificato E 101 non venga revocato o invalidato, l’istituzione competente dello Stato membro nel quale il lavoratore svolga attività lavorativa deve tener conto del fatto che quest’ultimo è già soggetto alla normativa previdenziale dello Stato membro in cui ha sede l’impresa presso cui questi lavora e tale istituzione non può, di conseguenza, assoggettare il lavoratore di cui trattasi al proprio regime previdenziale (sentenza del 27 aprile 2017, A-Rosa Flussschiff, C‑620/15, EU:C:2017:309, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).
42      Occorre tuttavia ricordare che dal principio di leale collaborazione deriva che qualsiasi istituzione di uno Stato membro deve procedere a una corretta valutazione dell’applicazione del proprio regime previdenziale. Da tale principio risulta altresì che le istituzioni degli altri Stati membri hanno il diritto di attendersi che l’istituzione dello Stato membro interessato si conformi a tale obbligo (v., per analogia, sentenza del 3 marzo 2016, Commissione/Malta, C‑12/14, EU:C:2016:135, punto 37).
43      Di conseguenza, all’istituzione competente dello Stato membro che ha rilasciato il certificato E 101 incombe l’obbligo di riconsiderare la correttezza di tale rilascio e, eventualmente, di revocare il certificato stesso qualora l’istituzione competente dello Stato membro nel quale il lavoratore svolga un’attività lavorativa manifesti riserve in ordine all’esattezza dei fatti che sono alla base di detto certificato e, pertanto, delle indicazioni in esso contenute, in particolare perché non corrispondenti ai requisiti di cui all’articolo 14, punto 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71 (v., in tal senso, sentenza del 27 aprile 2017, A-Rosa Flussschiff, C‑620/15, EU:C:2017:309, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).
44      In forza dell’articolo 84 bis, paragrafo 3, del regolamento n. 1408/71, nell’eventualità in cui le istituzioni interessate non pervengano a un accordo, in particolare sulla valutazione dei fatti relativi a una situazione specifica e, di conseguenza, in ordine alla questione se quest’ultima rientri nelle previsioni dell’articolo 14, punto 1, lettera a), del suddetto regolamento, esse hanno facoltà di investire della questione la commissione amministrativa di cui all’articolo 80 del medesimo (v., per analogia, sentenza del 27 aprile 2017, A-Rosa Flussschiff, C‑620/15, EU:C:2017:309, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
45      Ove quest’ultima non riesca a conciliare le diverse posizioni delle istituzioni competenti in merito alla legislazione applicabile al caso di specie, lo Stato membro nel cui territorio il lavoratore interessato svolge un’attività lavorativa ha quanto meno facoltà, senza pregiudizio degli eventuali rimedi giurisdizionali esistenti nello Stato membro a cui appartiene l’istituzione emittente, di promuovere un procedimento per inadempimento, ai sensi dell’articolo 259 TFUE, al fine di consentire alla Corte di esaminare, nell’ambito di un tale ricorso, la questione della normativa applicabile a detto lavoratore e, di conseguenza, l’esattezza delle indicazioni figuranti nel certificato E 101 (sentenza del 27 aprile 2017, A-Rosa Flussschiff, C‑620/15, EU:C:2017:309, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).
46      Pertanto, in caso di errore, anche manifesto, di valutazione in merito alle condizioni di applicazione dei regolamenti n. 1408/71 e n. 574/72, e quand’anche risultasse che le condizioni di svolgimento dell’attività dei lavoratori interessati non rientrano manifestamente nella sfera di applicazione ratione materiae della disposizione sulla base della quale il certificato E 101 è stato rilasciato, la procedura da seguire per risolvere le eventuali controversie tra le istituzioni degli Stati membri interessati riguardanti la validità o l’esattezza di un certificato E 101 dev’essere rispettata (v., in tal senso, sentenza del 27 aprile 2017, A-Rosa Flussschiff, C‑620/15, EU:C:2017:309, punti 52 e 53).
47      Il regolamento n. 987/2009, attualmente in vigore, ha codificato la giurisprudenza della Corte, riconoscendo il carattere vincolante del certificato E 101 e la competenza esclusiva dell’istituzione emittente riguardo alla valutazione della validità di tale certificato, e riprendendo esplicitamente detta procedura in quanto strumento per risolvere le controversie vertenti sia sull’esattezza dei documenti rilasciati dall’istituzione competente di uno Stato membro sia sulla determinazione della legislazione applicabile al lavoratore interessato (v., in tal senso, sentenza del 27 aprile 2017, A-Rosa Flussschiff, C‑620/15, EU:C:2017:309, punto 59).
48      Conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, simili considerazioni non devono tuttavia consentire ai soggetti dell’ordinamento di avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 2 maggio 1996, Paletta, C‑206/94, EU:C:1996:182, punto 24; del 21 febbraio 2006, Halifax e a., C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 68; del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 35, nonché del 28 luglio 2016, Kratzer, C‑423/15, EU:C:2016:604, punto 37).
49      Il principio di divieto della frode e dell’abuso di diritto, espresso da tale giurisprudenza, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che i soggetti dell’ordinamento sono tenuti a rispettare. L’applicazione della normativa dell’Unione non può, infatti, essere estesa sino a comprendere le operazioni effettuate allo scopo di beneficiare fraudolentemente o abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 5 luglio 2007, Kofoed, C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 38, e del 22 novembre 2017, Cussens e a., C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27).
50      In particolare, la constatazione di una frode si basa su un insieme di indizi concordanti da cui risulti la sussistenza sia di un elemento oggettivo sia di un elemento soggettivo.
51      In tal senso, da un lato, l’elemento oggettivo consiste nel fatto che le condizioni richieste per ottenere e invocare un certificato E 101, previste al titolo II del regolamento n. 1408/71 e ricordate al punto 34 della presente sentenza, non siano soddisfatte.
52      Dall’altro, l’elemento soggettivo corrisponde all’intenzione degli interessati di aggirare o eludere le condizioni di rilascio del certificato in parola, per ottenerne il relativo vantaggio.
53      L’acquisizione fraudolenta di un certificato E 101 può quindi derivare da un’azione volontaria, quale la presentazione fallace della situazione reale del lavoratore distaccato o dell’impresa che distacca tale lavoratore, oppure da un’omissione volontaria, quale la dissimulazione dell’esistenza di un’informazione rilevante, con l’intento di eludere le condizioni di applicazione dell’articolo 14, punto 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71.
54      Premesso ciò, qualora, nell’ambito del dialogo previsto all’articolo 84 bis, paragrafo 3, del regolamento n. 1408/71, l’istituzione dello Stato membro nel quale alcuni lavoratori sono stati distaccati comunichi all’istituzione che ha emesso i certificati E 101 elementi concreti che suggeriscono che tali certificati siano stati ottenuti in modo fraudolento, spetta alla seconda istituzione, in forza del principio di leale cooperazione, riesaminare, sulla scorta di tali elementi, la correttezza del rilascio dei suddetti certificati e, eventualmente, revocarli, come risulta dalla giurisprudenza ricordata al punto 43 della presente sentenza.
55      Se quest’ultima istituzione non procede a un simile riesame entro un termine ragionevole, i suddetti elementi devono poter essere invocati nell’ambito di un procedimento giudiziario, affinché il giudice dello Stato membro nel quale i lavoratori sono stati distaccati ignori i certificati di cui trattasi.
56      Le persone cui si addebita, nell’ambito di un tale procedimento, di aver fatto ricorso a lavoratori distaccati servendosi di certificati ottenuti in modo fraudolento devono tuttavia essere messe in condizione di confutare gli elementi sui quali si fonda tale procedimento, in osservanza delle garanzie derivanti dal diritto a un equo processo, prima che il giudice nazionale decida, se del caso, di ignorare tali certificati e si pronunci sulla responsabilità di dette persone in forza del diritto nazionale applicabile.
57      Nel caso di specie, dagli elementi forniti dal giudice del rinvio si evince che dall’inchiesta svolta dall’ispettorato sociale belga in Bulgaria è emerso che le imprese bulgare che hanno distaccato i lavoratori di cui al procedimento principale non esercitavano alcuna attività significativa in Bulgaria.
58      Dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio emerge altresì che i certificati di cui trattasi nel procedimento principale sono stati ottenuti in modo fraudolento, attraverso una presentazione dei fatti non corrispondente alla realtà, allo scopo di eludere le condizioni alle quali la normativa dell’Unione subordina il distacco dei lavoratori.
59      Inoltre, com’è stato rilevato al punto 21 della presente sentenza, dalle osservazioni del governo belga risulta che l’istituzione bulgara competente, investita di una domanda di riesame e di revoca dei certificati in esame nel procedimento principale, alla luce dei risultati dell’inchiesta di cui al punto 57 della presente sentenza, non ha tenuto conto di questi ultimi ai fini di un riesame della correttezza del rilascio di tali certificati, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare sulla scorta dei fatti constatati nell’ambito del procedimento giudiziario.
60      In un caso come quello di cui al procedimento principale, il giudice nazionale può ignorare i certificati E 101 in questione e spetta al medesimo accertare se le persone sospettate di aver fatto ricorso a lavoratori distaccati servendosi di certificati ottenuti in modo fraudolento possano essere considerate responsabili in base al diritto nazionale applicabile.
61      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione posta dichiarando che l’articolo 14, punto 1, lettera a), del regolamento n. 1408/71 e l’articolo 11, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 574/72 devono essere interpretati nel senso che, qualora l’istituzione dello Stato membro nel quale i lavoratori sono stati distaccati abbia investito l’istituzione che ha emesso certificati E 101 di una domanda di riesame e di revoca degli stessi sulla scorta di elementi raccolti nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria dalla quale è emerso che tali certificati sono stati ottenuti o invocati in modo fraudolento e l’istituzione emittente non abbia tenuto conto di tali elementi ai fini del riesame della correttezza del rilascio dei suddetti certificati, il giudice nazionale può, nell’ambito di un procedimento promosso contro persone sospettate di aver fatto ricorso a lavoratori distaccati servendosi di tali certificati, ignorare questi ultimi se, sulla base di detti elementi e in osservanza delle garanzie inerenti al diritto a un equo processo che devono essere accordate a tali persone, constati l’esistenza di una tale frode.
 Sulle spese
62      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
L’articolo 14, punto 1, lettera a), del regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità, nella versione modificata e aggiornata dal regolamento (CE) n. 118/97 del Consiglio, del 2 dicembre 1996, come modificato dal regolamento (CE) n. 631/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, e l’articolo 11, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CEE) n. 574/72 del Consiglio, del 21 marzo 1972, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento n. 1408/71, nella versione modificata e aggiornata dal regolamento n. 118/97, devono essere interpretati nel senso che, qualora l’istituzione dello Stato membro nel quale i lavoratori sono stati distaccati abbia investito l’istituzione che ha emesso certificati E 101 di una domanda di riesame e di revoca degli stessi, sulla scorta di elementi raccolti nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria dalla quale è emerso che tali certificati sono stati ottenuti o invocati in modo fraudolento, e l’istituzione emittente non abbia tenuto conto di tali elementi ai fini del riesame della correttezza del rilascio dei suddetti certificati, il giudice nazionale può, nell’ambito di un procedimento promosso contro persone sospettate di aver fatto ricorso a lavoratori distaccati servendosi di tali certificati, ignorare questi ultimi se – sulla base di detti elementi e in osservanza delle garanzie inerenti al diritto a un equo processo che devono essere accordate a tali persone – constati l’esistenza di una tale frode.
Dal sito http://curia.europa.eu




Monetizzazione delle ferie maturate e non godute in caso di pensionamento


Cass., Sez. Lav., 1° febbraio 2018, n. 2496


FATTI DI CAUSA

1. La Corte d'Appello di Roma con la sentenza in epigrafe accoglieva l'appello proposto da D.D.  nei confronti dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale - ISPRA, già APAT, avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Roma e in riforma di quest'ultima condannava l'ISPRA a pagare al D. la somma di euro 8.584,17, oltre interessi sulle somme annualmente rivalutate.

2. Il D., che aveva lavorato alle dipendenze dell'ISPRA sino al pensionamento intervenuto in data 30 novembre 2001, aveva agito in giudizio per la monetizzazione delle ferie maturate e non godute alla cessazione del rapporto, pari a 52 giorni.

3. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l'ISPRA prospettando due motivi di ricorso.

4. Resiste il lavoratore con controricorso.

5. Il d. ha depositato memoria in prossimità dell'udienza pubblica.



RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, vanno disattese le eccezioni di inammissibilità dei motivi del ricorso prospettate dal D. in quanto generiche.

2 Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell'art. 7, comma 13, del CCNL EPR 1994/1997, e dell'art. 6, comma 9, del CCNL 1998/01. Omessa o comunque insufficiente motivazione (in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.

In ragione delle suddette disposizioni assume il ricorrente non vi è luogo al pagamento di indennità sostitutive delle ferie non godute se non, al momento della cessazione del rapporto, in presenza di esigenze di servizio che abbiano giustificato la mancata prestazione.

A tali esigenze il lavoratore non aveva fatto cenno. Né poteva ritenersi che gravasse sul datore di lavoro la prova che la prestazione era stata resa per esclusiva volontà del lavoratore e che lo stesso aveva rifiutato di godere delle ferie nel periodo indicato dal datore medesimo.

Quindi, spettava al lavoratore dare tale prova, e comunque era stata prodotta dal datore di lavoro comunicazione con cui il responsabile del servizio trattamento economico del personale attestava che non vi era agli atti del servizio documentazione attestante richiesta di ferie del lavoratore e relativa mancata concessione, mentre risultavano 52 giorni di ferie non godute.

Peraltro, il lavoratore aveva sempre goduto della massima libertà di stabilire i tempi delle proprie presenze in servizio. Ciò, già solo come ricercatore-tecnologo, e ancor più come dirigente di tale profilo, anche solo di prima fascia.


3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia. Violazione dell'art. 57 del d.lgs. n. 546/92 (in relazione all'art. 360, n. 4, cod. proc. civ.).

La sentenza non aveva pronunciato sull'eccezione con cui l'Agenzia aveva evidenziato che la censura avversa - riguardante un preteso e mai dedotto, in primo grado, inadempimento datoriale ad un mai allegato obbligo di fargli godere, ad ogni costo, le ferie maturate - introduceva un nuovo ed inammissibile motivo di doglianza, dichiarando di non accettare il contraddittorio sul punto.


4. Preliminarmente, va rilevato che il secondo motivo di ricorso è inammissibile, atteso che dalla lettura della sentenza di appello emerge che la sentenza di primo grado aveva attribuito rilievo ostativo, al riconoscimento del diritto invocato, alla circostanza che il dirigente non aveva esercitato il potere, che gli competeva senza necessità di altrui autorizzazione, di godere delle ferie maturate.

Pertanto, in ragione della statuizione di primo grado, veniva in rilievo il tema delle modalità di determinazione del periodo in cui fruire le ferie, in ordine al quale non è ravvisabile il carattere di novità prospettato dal ricorrente.


5. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

Il CCNL EPR 1994-1997 del 7 ottobre 1996, CCNL normativo 1994 - 1997 ed economico 1994 - 1995, all'art. 7 (Ferie, festività del Santo Patrono e recupero festività soppresse), commi 1, 9, 15 (di contenuto uguale al comma 13 richiamato dal ricorrente) e 16, prevede:

"1. Il dipendente ha diritto, per ogni anno di servizio, ad un periodo di ferie retribuito. Durante tale periodo al dipendente spetta la normale retribuzione, escluse le indennità previste per prestazioni di lavoro straordinario e quelle collegate ad effettive prestazioni di servizio".

"9. Le ferie sono un diritto irrinunciabile e la mancata fruizione non dà luogo alla corresponsione di compensi sostitutivi, salvo quanto previsto nel comma 16. Esse vanno fruite nel corso di ciascun anno solare, su richiesta del dipendente, previa autorizzazione, tenuto conto delle esigenze di servizio."

"15 Fermo restando il disposto del comma 9, all'atto della cessazione dal rapporto di lavoro, qualora le ferie spettanti a tale data non siano state fruite per esigenze di servizio, si procede al pagamento sostitutivo delle stesse sulla base del trattamento economico di cui al comma 1."

"16. Al personale che presenti i requisiti previsti dall'articolo 5 comma 1, delle legge 724/94, spettano ulteriori quindici giorni di ferie, non frazionabili, per recupero biologico, nel rispetto delle disposizioni del d.lgs. 230/95."

Il successivo CCNL EPR 1998-2001, all'art. 6 (Ferie, festività del Santo Patrono e recupero festività soppresse), commi 1, 9 e 15, stabilisce

"1. Il dipendente ha diritto, per ogni anno di servizio, ad un periodo di ferie retribuito. Durante tale periodo al dipendente spetta la normale retribuzione, escluse le indennità previste per prestazioni di lavoro straordinario e quelle collegate ad effettive prestazioni di servizio. (..)

9. Le ferie sono un diritto irrinunciabile e la mancata fruizione non dà luogo alla corresponsione di compensi sostitutivi, salvo quanto previsto nel comma 15. Esse vanno fruite nel corso di ciascun anno solare, su richiesta del dipendente, previa autorizzazione, tenuto conto delle esigenze di servizio. (...)

15. Fermo restando il disposto del comma 9, all'atto della cessazione dal rapporto di lavoro, qualora le ferie spettanti a tale data non siano state fruite per esigenze di servizio, si procede al pagamento sostitutivo delle stesse sulla base del trattamento economico di cui al comma 1".


6. Così ricapitolato il quadro della disciplina contrattuale di settore, occorre ricordare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 286 del 2013 ha affermato che: "(...) le ferie del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche, ivi comprese quelle regionali, rimangono obbligatoriamente fruite «secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti», tuttora modellati dalla contrattazione collettiva dei singoli comparti. E la stessa attuale preclusione delle clausole contrattuali di miglior favore circa la "monetizzazione" delle ferie non può prescindere dalla tutela risarcitoria civilistica del danno da mancato godimento incolpevole. Tant'è che nella prassi amministrativa si è imposta un'interpretazione volta ad escludere dalla sfera di applicazione del divieto posto dall'art. 5, comma 8, del d.l. n. 95 del 2012 «i casi di cessazione dal servizio in cui l'impossibilità di fruire le ferie non è imputabile o riconducibile al dipendente» (parere del Dipartimento della funzione pubblica 8 ottobre 2012, n. 40033). Con la conseguenza di ritenere tuttora monetizzabili le ferie in presenza di «eventi estintivi del rapporto non imputabili alla volontà del lavoratore ed alla capacità organizzativa del datore di lavoro» (nota prot. n. 0094806 del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato)".

Con la successiva sentenza n. 95 del 2016 nel ritenere non fondata questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 8, del d.l. n. 95 del 2012, conv., con mod. dalla legge n. 135 del 2012 (che prevede, tra l'altro: "Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione ..., sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi"), ha posto in evidenza come il legislatore correli il divieto di corrispondere trattamenti sostitutivi a fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro è riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione) o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che comunque consentano di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito al periodo di godimento delle ferie.

Il Giudice delle Leggi ha precisato che la disciplina statale in questione come interpretata dalla prassi amministrativa e dalla magistratura contabile, è nel senso di escludere dall'àmbito applicativo del divieto le vicende estintive del rapporto di lavoro che non chiamino in causa la volontà del lavoratore e la capacità organizzativa del datore di lavoro.

Ha chiarito la Corte costituzionale che tale interpretazione, che si pone nel solco della giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte di cassazione, non pregiudica il diritto alle ferie, come garantito dalla Carta fondamentale (art. 36, comma terzo), dalle fonti internazionali (Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro h. 132 del 1970, concernente i congedi annuali pagati, ratificata e resa esecutiva con legge 10 aprile 1981, n. 157) e da quelle europee (art. 31, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; direttiva 23 novembre 1993, n. 93/104/CE del Consiglio, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, poi confluita nella direttiva n. 2003/88/CE, che interviene a codificare la materia).

Tale diritto inderogabile sarebbe violato se la cessazione dal servizio vanificasse, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso dalla malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore.


7. Questa Corte con la sentenza n. 13860 del 2000, richiamata nella sentenza n. 95 del 2016 del Giudice delle Leggi, ha affermato che dal mancato godimento delle ferie deriva - una volta divenuto impossibile per l'imprenditore, anche senza sua colpa, adempiere l'obbligazione di consentire la loro fruizione - il diritto del lavoratore al pagamento dell'indennità sostitutiva, che ha natura retributiva, in quanto rappresenta la corresponsione, a norma degli artt. 1463 e 2037 cod. civ., del valore di prestazioni non dovute e non restituibili in forma specifica; l'assenza di un'espressa previsione contrattuale non esclude l'esistenza del diritto a detta indennità sostitutiva, che peraltro non sussiste se il datore di lavoro dimostra di avere offerto un adeguato tempo per il godimento delle ferie, di cui il lavoratore non abbia usufruito (venendo ad incorrere così nella "mora del creditore"). Lo stesso diritto, costituendo un riflesso contrattuale del diritto alle ferie, non può essere condizionato, nella sua esistenza, alle esigenze aziendali.

8. Nella specie, la Corte d'Appello, con accertamento di merito non adeguatamente censurato, ha rilevato che il collocamento d'ufficio in ferie del lavoratore da parte del datore di lavoro, senza assorbimento al momento del pensionamento dell'intero monte ferie spettante, era intervenuto senza che risultasse che il lavoratore medesimo si fosse rifiutato di godere delle ferie in un periodo indicato e comunicato dal datore di lavoro.

Pertanto, correttamente, alla luce dei principi sopra enunciati dal Giudice delle Leggi e da questa Corte, il giudice di Appello, in presenza di causa non imputabile al lavoratore, quale il collocamento a riposo, ha accolto la domanda.


9. Il ricorso deve essere rigettato.


10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.


PQM


La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e 15% per spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 ottobre 2017.

giovedì 8 febbraio 2018











Sindaci candidati alle elezioni provinciali - Ricorso Pat con firma PAdES-BASIC

Processo amministrativo – Processo amministrativo telematico – Ricorso – Sottoscrizione con firma PAdES-BASIC, anziché PAdES-BES

Elezioni – Province – Candidati – Sindaci della provincia il cui mandato scade prima di diciotto mesi dalla data di svolgimento delle elezioni - Art. 1, comma 60, l. n. 56 del 2014 – Esclusione.

        La sottoscrizione del ricorso con firma PAdES-BASIC, anziché PAdES-BES, come prescritto dall’art. 24 del c.a.d., richiamato dall’art. 9, d.P.C.M. n. 490 del 2016 e dal successivo art. 12, comma 6 dell’Allegato costituisce difformità che, in applicazione dell’art. 156, comma 3, c.p.c., non si traduce in nullità, avendo l’atto raggiunto il suo scopo (1).

        L’art. 1, comma 60, l. 7 aprile 2014, n. 56, secondo cui sono eleggibili a presidente della provincia i sindaci della provincia il cui mandato scada non prima di diciotto mesi dalla data di svolgimento delle elezioni, ha carattere precettivo, con la conseguenza che non è possibile la candidatura di sindaci con meno di diciotto mesi di mandato residui (2).


(1) Ha chiarito la Sezione che il rilievo di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non è volto a tutelare l'interesse all'astratta regolarità del processo, ma a garantire solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della rilevata violazione (Cass. civ., S.U., n. 7665 del 2016).


(2) Ad avviso della Sezione la norma non è sospetta di incostituzionalità.

La ratio dell’art. 1, comma 60, l. 7 aprile 2014, n. 56, è di assicurare stabilità all’organo presidente della provincia, il quale è eletto tra i sindaci e cessa con il venir meno del mandato sindacale (comma 65).

La finalità che la norma consente di conseguire è di evitare di dover ripetere le elezioni prima che sia trascorso il periodo di diciotto mesi, con ciò contenendo la frequenza delle tornate elettorali e tendenzialmente diminuendo le risorse necessarie allo svolgimento delle competizioni nonché gli eventuali ulteriori inconvenienti che possono presumersi connessi all’esistenza di una campagna elettorale c.d. permanente. In definitiva, la previsione del requisito è orientata dal principio di buon andamento dell’organizzazione amministrativa (art. 97 Cost.).

Accanto a questo, va considerato che l’esistenza di un mandato sindacale residuo avente una durata minima costituisce indice presuntivo della permanenza di un legame con l’elettorato locale di cui il presidente è stato espressione, e con esso di rappresentatività politica.

Non può negarsi che il requisito possa comportare una compressione della potenziale rappresentatività degli organi di governo delle organizzazioni territoriali locali, che costituisce esplicazione del principio democratico sancito dall’art. 1 Cost..

Tuttavia, sempre ad avviso del Consiglio di Stato, tale potenziale compressione è il frutto di una scelta del Legislatore, che non risulta irragionevole, alla luce delle finalità suindicate, e considerando che si tratta di eleggere un organo provinciale c.d. di secondo livello e che quindi, in certa misura, l’esplicazione della sovranità popolare e del principio democratico può ritenersi garantita a monte, nel corretto svolgimento delle elezioni degli organi comunali chiamati poi a loro volta a votare quelli provinciali.

Riguardo agli ulteriori parametri di costituzionalità invocati, analoghe considerazioni possono svolgersi riguardo al principio del pluralismo, né si comprende come la previsione di un requisito di stabilità dell’organo eletto possa violare quanto sancito dagli artt. 2 e 5 Cost., oppure ledere la libertà di associazione dei partiti, essendo relativa esclusivamente a condizioni di candidabilità/eleggibilità che nulla hanno a che vedere con la possibilità per gli stessi soggetti di aderire a qualsivoglia partito o associazione di sorta.