La legge 7 aprile 2014, n. 56, Disposizioni
sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni
(c.d. legge Delrio), secondo la Consulta
Corte cost. 26 marzo 2015, n. 50
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 4 a 19, 21,
22, 25, 42, 48, da 54 a 58, da 60 a 65, 67, da 69 a 79, 81, 83, da 89 a 92, 95,
105, 106, 117, 124, 130, 133 e 149 della legge 7 aprile 2014, n. 56
(Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni
di comuni), promosso dalle Regioni Lombardia, Veneto, Campania e Puglia con
ricorsi notificati il 4-10, il 4, il 6 (spedito per la notifica) e il 6-12
giugno 2014, depositati in cancelleria il 6, il 13 e il 16 giugno 2014 ed
iscritti ai nn. 39, 42, 43 e 44 del registro ricorsi 2014.
Visti gli atti di costituzione, di cui uno fuori termine, del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2015 il Giudice relatore Mario
Rosario Morelli;
uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini per la Regione Lombardia,
Luca Antonini e Luigi Manzi per la Regione Veneto, Beniamino Caravita di Toritto per
la Regione Campania,
Marcello Cecchetti per la
Regione Puglia e gli avvocati dello Stato Pio Marrone e
Massimo Massella Ducci Teri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Le Regioni Lombardia, Veneto, Campania e Puglia, con i ricorsi in
epigrafe, hanno proposto varie questioni di legittimità costituzionale della
legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle
province, sulle unioni e fusioni di comuni) che, complessivamente, investono
cinquantotto commi del suo articolo 1.
Le disposizioni censurate – per i motivi dalle singole ricorrenti,
rispettivamente, illustrati ed in relazione ai parametri corrispondentemente
evocati (dei quali specificamente si dirà nel Considerato in diritto) – sono,
in particolare, quelle di cui ai seguenti commi del predetto art. 1:
– da 5 a 19, 21, 22, 25, 42 e 48, sulla istituzione e disciplina delle
«Città metropolitane»;
– da 54 a 58, da 60 a 65, 67, da 69 a 79, 81 e 83, sulla ridefinizione dei
confini territoriali e del perimetro delle competenze delle Province («In
attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e
delle relative norme di attuazione»);
– da 89 a 92 e 95, concernenti modalità e tempistiche del procedimento di
riordino delle funzioni ancora attribuite alle Province ed allo scorporo di
quelle ad esse sottratte e riassegnate ad altri enti;
– 4, 105, 106, 117, 124, 130 e133, in tema di unioni e fusioni di Comuni;
– 149, sulla prevista predisposizione, da parte del Ministro per gli affari
regionali, di «appositi programmi di attività», per accompagnare e sostenere
l’applicazione degli interventi di riforma.
2.– In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
contestando la fondatezza di ciascuna delle questioni sollevate, sulla base di
plurime argomentazioni (delle quali anche si dirà nel Considerato in diritto).
3.– Nella imminenza della udienza di discussione, ciascuna delle Regioni
ricorrenti ha depositato memoria; e, nei quattro correlativi giudizi,
l’Avvocatura dello Stato ha depositato, a sua volta, altrettante memorie.
Considerato in diritto
1.– Con i quattro ricorsi in epigrafe, che per la comunanza o connessione
dei rispettivi oggetti, possono riunirsi per essere congiuntamente esaminati,
le Regioni Lombardia, Veneto, Campania e Puglia impugnano, complessivamente,
cinquantotto commi dell’art. 1 della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni
sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni),
per contrasto con i parametri (congiuntamente o disgiuntamente evocati) di cui
agli artt. 1, 2, 3, 5, 48, 97, 114, 117, commi secondo, lettera p), terzo e
quarto, 118, 119, 120, 123, primo comma, 133, primo e secondo comma, 136 e 138
della Costituzione, oltreché all’art. 117, primo comma Cost., in relazione agli
artt. 3 e 9 della Carta europea dell’autonomia locale, firmata a Strasburgo il
15 ottobre 1985, ratificata e resa esecutiva con legge 30 dicembre 1989, n.
439.
A ciascun ricorso resiste il Presidente del Consiglio dei ministri per il
tramite dell’Avvocatura generale dello Stato; ma il suo atto di costituzione
nel giudizio instaurato dalla Regione Lombardia va dichiarato inammissibile,
perché proposto oltre il termine perentorio di cui all’art 19, terzo comma,
delle norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale,
risultando depositato il 22 luglio 2014 e, quindi, il 31° giorno successivo
alla scadenza del termine medesimo stabilito per il deposito del ricorso
principale.
2.– Disaggregate dai singoli ricorsi e riaggregate – in relazione ai profili
di coincidenza o complementarietà delle disposizioni impugnate e dei parametri,
in relazione a queste evocati – le questioni proposte dai ricorrenti,
rispettivamente, coinvolgono:
– la disciplina delle istituite «Città metropolitane», per quanto attiene ai
commi da 5 a 19, 21, 22, 25, 42 e 48 del suddetto art. 1 della legge n. 56 del
2014;
– la ridefinizione dei confini territoriali e del quadro delle competenze
delle Province, «in attesa della riforma del titolo V, parte seconda, della
Costituzione», quanto ai commi da 54 a 58, da 60 a 65, 67, da 69 a 79, 81 e 83
del medesimo art. 1;
– il procedimento di riallocazione delle funzioni “non fondamentali” delle
Province (commi da 89 a 92 e 95 del citato articolo);
– la disciplina delle unioni e fusioni di Comuni (commi 4, 105, 106, 117,
124, 130 e 133);
– la prevista predisposizione di «appositi programmi di attività», di fonte
ministeriale, per sostenere gli «interventi di riforma» di cui alla legge impugnata,
e per la «attuazione di quanto previsto dall’art. 9 del decreto-legge 6 luglio
2012 n. 95 [Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con
invarianza dei servizi ai cittadini], convertito, con modificazioni, dalla
legge 7 agosto 2012 n. 135» (comma 149).
3.– Il primo gruppo di norme sottoposte al vaglio di costituzionalità
attiene, come evidenziato, alla istituzione e disciplina dell’ente
territoriale, così detto di «area vasta», delle «Città metropolitane»
(funzionale al prefigurato disegno finale di soppressione delle Province con
fonte legislativa di rango costituzionale).
3.1.– Si tratta, in particolare, delle disposizioni di cui ai seguenti commi
della legge n. 56 del 2014:
– 5, che istituisce le Città metropolitane di Torino, Milano, Venezia,
Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, e qualifica i
principi della correlativa disciplina «di grande riforma economica e sociale»,
con riguardo alle aree metropolitane da adottare dalle Regioni autonome, in
conformità ai rispettivi statuti;
– 6, che disegna il territorio delle Città metropolitane in coincidenza «con
quello della provincia omonima», facendo salva «l’iniziativa dei comuni, ivi
compresi i comuni capoluogo delle province limitrofe […] per l’adesione alla
città metropolitana»;
– 7, 8 e 9, individuativi degli organi di dette «città» [«a) il sindaco
metropolitano; b) il consiglio metropolitano; c) la conferenza metropolitana»]
e delle correlative funzioni;
− 10 e 11, sulle materie disciplinate dallo statuto, con previsione di
delegabilità di specifiche funzioni (da Comuni od unioni) alla Città
metropolitana e viceversa;
– 12 e 18, sulla tempistica per la costituzione delle Città metropolitane;
– 13, sulla composizione e modalità di elezione di una conferenza statutaria
per la redazione di una proposta di statuto della Città metropolitana;
– 14, sulla temporanea e limitata prorogatio dei poteri di Presidenti e
Giunte delle Province in carica alla data di entrata in vigore della legge n.
56 del 2014;
– 15, sulle prime elezioni del Consiglio metropolitano;
– 16, sulla successione delle Città metropolitane, nei rapporti attivi e
passivi, e nell’esercizio delle funzioni, delle Province omonime, cui
subentrano;
– 17, sulla procedura del potere sostitutivo ex art. 8 della legge 5 giugno
2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), «in caso di mancata
approvazione dello statuto entro il 30 giugno 2015»;
– 19, per il quale «il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del
comune capoluogo»;
− 21, sulla durata in carica del Consiglio metropolitano e sul termine
relativo all’indizione delle nuove elezioni dello stesso Consiglio
metropolitano, in caso di rinnovo del Consiglio del comune capoluogo;
– 22, sulla condizione della previa articolazione, in più Comuni, del
territorio del Comune capoluogo, ai fini della eleggibilità diretta (ove
statutariamente prevista) del sindaco e del Consiglio metropolitano;
– 25, sulla composizione del «consiglio metropolitano» (eletto dai sindaci e
dai consiglieri dei Comuni della Città metropolitana);
– 42, sulla conferenza metropolitana, «composta dal sindaco metropolitano,
che la convoca e la presiede, e dai sindaci dei comuni appartenenti alla città
metropolitana»;
– 48, sulle disposizioni e sul trattamento economico applicabili al
personale delle Città metropolitane.
3.2.– Nell’economia delle numerose censure formulate dalle Regioni
ricorrenti con riguardo al quadro delle sopra citate disposizioni, rilievo
preliminare (e potenzialmente assorbente) assumono, nell’ordine, quella che
denuncia il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., sul
presupposto che la istituzione e la disciplina delle Città metropolitane non
rientri in alcuno dei tre ambiti di competenza legislativa statale individuati
tassativamente nella richiamata norma costituzionale; e quella che deduce la
violazione dell’art. 133, primo comma, Cost., per il quale − ai fini del
mutamento delle circoscrizioni provinciali e della perimetrazione delle Città
metropolitane nell’ambito di una Regione − lo Stato potrebbe intervenire con
proprie leggi, ma solo “su iniziativa dei Comuni sentita la stessa Regione” e,
quindi, all’esito di un procedimento legislativo cosiddetto “rinforzato”, nella
specie, viceversa, omesso.
3.2.1.– Ulteriori (subordinate) censure sono, poi in particolare, rivolte
alle disposizioni afferenti ai commi 7, 8, 9, 19, 25 e 42 dell’art. 1 della
legge n. 56 del 2014, per supposta violazione degli artt. 1, 5, 48, 114 e 117,
primo comma, Cost. (quest’ultimo in relazione al parametro interposto
costituito dall’art. 3, comma 2, della Carta europea dell’autonomia locale),
nella parte in cui le previste istituzione e disciplina della Città
metropolitana quale nuovo ente territoriale con un modello di governo di
secondo grado, caratterizzato totalmente da organi elettivi indiretti, si
assume che verrebbe a risultare in contrasto con il principio della
rappresentanza politica democratica e con quello della sovranità popolare,
suscettibili, invece, di essere, derogati soltanto con legge costituzionale,
mediante l’osservanza del procedimento di revisione aggravata previsto
dall’art. 138 Cost.
3.2.2.– Le Regioni Lombardia e Veneto hanno anche prospettato la
illegittimità costituzionale dei commi 7, 8, 9, 16, 19, 21, 25 e 42 dell’art. 1
della legge n. 56 del 2014, per violazione degli artt. 3, 5, 117, primo comma,
e 118 Cost., sul presupposto che le censurate disposizioni contrasterebbero con
il principio di autonomia degli enti territoriali locali, con quello di
rappresentatività e democraticità (non risultando prevista l’elezione di almeno
un organo collegiale a suffragio universale e diretto), oltre che con quelli di
sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, la cui lesione discenderebbe
dalla disposta attribuzione della regolamentazione dell’allocazione delle
funzioni amministrative di detti nuovi enti territoriali alla competenza
statale, in dispregio della riserva legislativa conferita alle Regioni.
La Regione
Lombardia ha, altresì, espresso il dubbio di violazione anche
dell’art. 119 Cost. (oltre che dello stesso art. 117, primo comma, Cost., in
relazione al parametro interposto individuato nell’art. 9 della Carta europea
dell’autonomia locale), nella parte in cui le disposizioni denunciate si
porrebbero in contrasto con il principio di necessaria democraticità del
governo delle autonomie locali, sotto l’ulteriore profilo del riconoscimento
della loro autonomia finanziaria e della loro autorità impositiva.
3.2.3.– Per contrasto con gli artt. 114, secondo comma, e 120, secondo
comma, Cost., la
Regione Puglia ha poi denunciato l’incostituzionalità del
comma 17 (in correlazione anche ai successivi commi 81 e 83) dell’art. 1 della
legge n. 56 del 2014, in ragione della prospettata illegittimità della
previsione dell’esercizio del potere sostitutivo straordinario dello Stato per
l’eventualità della mancata realizzazione della potestà statutaria delle
Province e delle Città metropolitane.
3.2.4.– In riferimento ai parametri di cui agli artt. 1, 3, 48, 114, 117,
primo comma, e 118 Cost., la Regione Lombardia ha censurato poi il comma 19
del predetto art. 1, quanto alla adottata soluzione per cui il sindaco del
Comune capoluogo è di diritto il sindaco della Città metropolitana.
Le Regioni Puglia e Campania hanno esteso l’impugnativa al successivo comma
22, per il profilo delle gravosità degli adempimenti e delle condizioni cui è
subordinata la possibilità di successiva elezione diretta del sindaco
metropolitano.
3.2.5.− A sua volta, la disposizione di cui al sopra citato comma 48 – relativa
alla applicazione al personale metropolitano delle disposizioni vigenti per il
personale delle Province – sarebbe, secondo la Regione Puglia,
«incostituzionale nella misura in cui si riferisce anche alla disciplina
inerente il rapporto d’ufficio, oltre che a quella concernente il rapporto di
servizio, da ritenersi di competenza statale in virtù del titolo di intervento
“ordinamento civile”».
3.2.6.– La medesima Regione Puglia, denuncia, infine, i commi 10 e 11,
lettere b) e c), e, parallelamente, il comma 89, lettera a), dell’art. 1 della
legge in esame, nella parte in cui disciplinerebbero aspetti organizzativi
delle Città metropolitane (e delle Province) diversi da quelli concernenti gli
«organi di governo» (art. 117, secondo comma, lettera p, Cost.); i commi 9 e 11
(e 89), in quanto regolerebbero funzioni delle Città metropolitane (e delle
Province) non riconducibili alla competenza dello Stato in materia di funzioni
fondamentali o nelle altre materie di competenza esclusiva di quest’ultimo (art.
118, secondo comma, Cost.).
3.3.− L’Avvocatura dello Stato ha contestato la fondatezza di ciascuna delle
riferite censure sulla premessa di fondo della riconducibilità delle norme
impugnate alla competenza statuale, in merito alla istituzione delle Città
metropolitane, a suo avviso implicata nell’art. 114 Cost.; sostenendo il
sostanziale rispetto, altresì, del procedimento di cui all’art. 133, primo
comma, Cost., per quanto attiene alla correlativa conformazione territoriale,
la legittimità dell’adottato modello di governo, di secondo grado, del nuovo
ente territoriale; ed escludendo, infine, la violazione dei parametri evocati
dalle ricorrenti con riguardo ai sopra menzionati singoli specifici aspetti
disciplinatori dell’ente medesimo.
3.4.− Le questioni sin qui esaminate non sono fondate.
3.4.1.− Non fondata è, innanzitutto, la preliminare questione di competenza
sollevata dalle ricorrenti sul presupposto che la mancata espressa previsione
della “istituzione delle città metropolitane” nell’ambito di materia riservato
alla legislazione esclusiva dello Stato ex art. 117, comma secondo, lettera p),
Cost. ne comporti l’automatica attribuzione alla rivendicata competenza
regionale esclusiva, in applicazione della clausola di residualità di cui al
quarto comma dello stesso art. 117.
Se esatta fosse, invero, una tale tesi si dovrebbe pervenire, per assurdo,
alla conclusione che la singola Regione sarebbe legittimata a fare ciò che lo
Stato “non potrebbe fare” in un campo che non può verosimilmente considerarsi
di competenza esclusiva regionale, quale, appunto, quello che attiene alla
costituzione della Città metropolitana, che è ente di rilevanza nazionale (ed
anche sovranazionale ai fini dell’accesso a specifici fondi comunitari).
E ciò a maggior ragione ove si consideri che con riguardo al nuovo ente
territoriale, le Regioni non avrebbero le competenze, che l’evocato art. 117,
secondo comma, lettera p), Cost., riserva in via esclusiva allo Stato, nella
materia «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali».
Correttamente, dunque, ha rilevato in contrario, nelle sue difese,
l’Avvocatura dello Stato che il novellato art. 114 Cost., nel richiamare al
proprio interno, per la prima volta, l’ente territoriale Città metropolitana,
ha imposto alla Repubblica il dovere della sua concreta istituzione. È proprio,
infatti, tale esigenza costituzionale che fonda la competenza legislativa
statale relativa alla istituzione del nuovo ente, che non potrebbe, del resto,
avere modalità di disciplina e struttura diversificate da Regione a Regione,
senza con ciò porsi in contrasto con il disegno costituzionale che presuppone
livelli di governo che abbiano una disciplina uniforme, almeno con riferimento
agli aspetti essenziali.
D’altro canto, le Città metropolitane istituite dalla legge n. 56 del 2014,
sono destinate a subentrare integralmente alle omonime Province esistenti, la
cui istituzione è di competenza statale.
Quanto, infine, alla censura della Regione Campania − per cui
l’individuazione specifica delle nove province da trasformare in Città
metropolitane, con esclusione di un procedimento generale per l’istituzione
delle stesse, renderebbe la disposizione impugnata una legge-provvedimento, e
comporterebbe, per ciò, violazione dei principi costituzionali di
ragionevolezza (art. 3), di proporzionalità e di imparzialità (art. 97) − è
agevole rilevare, in contrario, che quella impugnata, individua non una sola,
ma tutte le Province in relazione alle quali è stata, al momento, ritenuta
opportuna la trasformazione in Città metropolitane. Si tratta, pertanto, di una
legge a carattere innegabilmente generale che, nell’istituire le Città
metropolitane, contiene anche l’elenco di quelle effettivamente con essa
istituite.
Ed a riprova di ciò rileva anche il fatto che la normativa in esame
costituisce, come detto, principio di grande riforma economica e sociale per le
Regioni a statuto speciale, ai sensi del comma 5, ultimo periodo,
dell’impugnato art. 1 della legge n. 56 del 2014.
Otto su dieci delle istituite Città metropolitane sono, peraltro, già
nell’esercizio delle loro funzioni, e gli statuti di sei di queste sono già
stati approvati alla data del 31 dicembre 2014.
3.4.2.− A sua volta non fondata è anche la successiva questione
procedimentale, per asserito contrasto – con il precetto di cui all’art. 133,
primo comma, Cost. − della disposizione individuativa del territorio della
Città metropolitana (fatto coincidere «con quello della provincia omonima»), di
cui al comma 6 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014.
Con la legge in esame il legislatore ha inteso realizzare una significativa
riforma di sistema della geografia istituzionale della Repubblica, in vista di
una semplificazione dell’ordinamento degli enti territoriali, senza arrivare
alla soppressione di quelli previsti in Costituzione. L’intervento − che
peraltro ha solo determinato l’avvio della nuova articolazione di enti locali,
al quale potranno seguire più incisivi interventi di rango costituzionale − è
stato necessariamente complesso.
Ciò giustifica la mancata applicazione delle regole procedurali contenute
nell’art. 133 Cost., che risultano riferibili solo ad interventi singolari, una
volta rispettato il principio, espresso da quelle regole, del necessario
coinvolgimento delle popolazioni locali interessate, anche se con forme diverse
e successive, al fine di consentire il predetto avvio in condizioni di
omogeneità sull’intero territorio nazionale.
Il denunciato comma 6 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, non manca,
infatti, di prevedere espressamente «l’iniziativa dei comuni, ivi compresi i
comuni capoluogo delle province limitrofe», ai fini dell’adesione (sia pure ex
post) alla Città metropolitana, il che per implicito comporta la speculare
facoltà di uscirne, da parte dei Comuni della Provincia omonima; e, a tal fine,
la stessa norma dispone che sia sentita la Regione interessata e che, in caso di suo parere
contrario, sia promossa una «intesa» tra la Regione stessa ed i comuni che intendono entrare
nella (od uscire dalla) Città metropolitana. E ciò testualmente, «ai sensi
dell’articolo 133, primo comma, della Costituzione» e «nell’ambito della
procedura di cui al predetto articolo 133». Il che autorizza una lettura del
citato comma 6 conforme al parametro in esso richiamato: lettura, questa,
costituzionalmente adeguata che, per un principio di conservazione, non può non
prevalere su quella, contra Constitutionem, presupposta dalle Regioni
ricorrenti.
3.4.3.− Anche il modello di governo di secondo grado adottato dalla legge n.
56 del 2014 per le neoistituite Città metropolitane supera il vaglio di
costituzionalità in relazione a tutti i parametri evocati dalle quattro
ricorrenti.
Il tentativo delle difese regionali − di ricondurre l’utilizzazione del
termine “sovranità” al concetto di sovranità popolare, di cui al secondo comma
dell’art. 1 Cost., e di identificare la sovranità popolare con gli istituti di
democrazia diretta e con il sistema rappresentativo che si esprime anche nella
(diretta) partecipazione popolare nei diversi enti territoriali − è già stato,
infatti, ritenuto «non condivisibile» da questa Corte, nella sentenza n. 365
del 2007.
La natura costituzionalmente necessaria degli enti previsti dall’art. 114
Cost., come «costitutivi della Repubblica», ed il carattere autonomistico ad
essi impresso dall’art. 5 Cost. non implicano, infatti, ciò che le ricorrenti
pretendono di desumerne, e cioè l’automatica indispensabilità che gli organi di
governo di tutti questi enti siano direttamente eletti.
Con la sentenza n. 274 del 2003 e la successiva ordinanza n. 144 del 2009, è
stata, del resto, esclusa la totale equiparazione tra i diversi livelli di
governo territoriale e si è evidenziato come proprio i principi di adeguatezza
e differenziazione, nei ricorsi in esame più volte evocati, comportino la
possibilità di diversificare i modelli di rappresentanza politica ai vari
livelli.
E nella già richiamata sentenza n. 365 del 2007, è stato ribadito che
«né[anche] tra le pur rilevanti modifiche introdotte dalla legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione) può essere individuata una innovazione tale da equiparare
pienamente tra loro i diversi soggetti istituzionali, che pure tutti compongono
l’ordinamento repubblicano, così da rendere omogenea la stessa condizione
giuridica di fondo dello Stato, delle Regioni e degli enti territoriali».
D’altra parte già con la sentenza n. 96 del 1968, questa Corte ha affermato
la piena compatibilità di un meccanismo elettivo di secondo grado con il
principio democratico e con quello autonomistico, escludendo che il carattere
rappresentativo ed elettivo degli organi di governo del territorio venga meno
in caso di elezioni di secondo grado, «che, del resto, sono prevedute dalla
Costituzione proprio per la più alta carica dello Stato».
Ed alla luce di tale principio va escluso che la materia «legislazione
elettorale» di Città metropolitane – devoluta alla competenza esclusiva dello
Stato ex art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. – si riferisca
specificamente ed esclusivamente ad un procedimento di elezione diretta, attesa
anche la natura polisemantica dell’espressione usata dal Costituente, come tale
riferibile ad entrambi i modelli di «legislazione elettorale».
Né, infine, sussiste la denunciata incompatibilità della normativa impugnata
con l’art. 3, comma 2, della Carta europea dell’autonomia locale, invocata
dalle ricorrenti − come parametro interposto ai fini della violazione dell’art.
117, primo comma, Cost. − nella parte in cui prevederebbe che almeno uno degli
organi collegiali sia ad elezione popolare diretta.
A prescindere dalla natura di documento di mero indirizzo della suddetta
Carta europea, che lascia ferme «le competenze di base delle collettività
locali […] stabilite dalla Costituzione o della legge», come riconosciuto nella
sentenza di questa Corte n. 325 del 2010, al fine, appunto, di escludere
l’idoneità delle disposizioni della Carta stessa ad attivare la violazione
dell’art. 117, primo comma, Cost., è comunque decisivo il rilievo che
l’espressione usata dalla norma sovranazionale, nel richiedere che i membri
delle assemblee siano “freely elected”, ha, sì, un rilievo centrale quale
garanzia della democraticità del sistema delle autonomie locali, ma va intesa
nel senso sostanziale della esigenza di una effettiva rappresentatività
dell’organo rispetto alle comunità interessate.
In questa prospettiva non è esclusa la possibilità di una elezione
indiretta, purché siano previsti meccanismi alternativi che comunque permettano
di assicurare una reale partecipazione dei soggetti portatori degli interessi
coinvolti.
Tali meccanismi, nella specie, sussistono, essendo imposta la sostituzione
di coloro che sono componenti “ratione muneris” dell’organo indirettamente
eletto, quando venga meno il munus (art. 1, comma 25, ed analogamente, con
riguardo ad organi delle Province, commi 65 e 69). E di ciò non è menzione nei
ricorsi, che si limitano a porre la questione di costituzionalità in termini
generali e astratti, senza alcun riferimento puntuale né alla concreta
disciplina né ai compiti attribuiti alle Città metropolitane e alle nuove
Province, profilo, quest’ultimo, non irrilevante anche nella prospettiva della
Carta europea.
Il comma 22 del denunciato art. 1 espressamente, comunque, dispone che «lo
Statuto della città metropolitana può prevedere l’elezione diretta del sindaco
e del consiglio metropolitano».
Il procedimento per l’elezione del Consiglio metropolitano è, inoltre, in
ogni suo aspetto, puntualmente disciplinato dalle disposizioni di cui ai commi
da 26 a 39 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014 e nessuna censura le quattro
Regioni ricorrenti hanno rivolto anche a dette disposizioni.
3.4.4.− Superano parimenti la verifica di costituzionalità le ulteriori
censurate più specifiche disposizioni disciplinatorie della Città
metropolitana:
a) quanto alla figura del sindaco metropolitano, perché, per un verso, la
sua individuazione nel sindaco del Comune capoluogo di Provincia, sub comma 19
dell’art. 1 in esame, non è irragionevole in fase di prima attuazione del nuovo
ente territoriale (attesi il particolare ruolo e l’importanza del Comune
capoluogo intorno a cui si aggrega la
Città metropolitana), e non è, comunque, irreversibile,
restando demandato, come detto, allo statuto di detta città di optare per
l’elezione diretta del proprio sindaco. E, per altro verso, perché la
«articolazione territoriale del comune capoluogo in più comuni» − che il
successivo comma 22 pone come presupposto per l’elezione diretta del sindaco
metropolitano − non viola l’art. 133, secondo comma, Cost., non comprimendo in
alcun modo le prerogative del legislatore regionale e non eliminando il
coinvolgimento, nel procedimento, delle popolazioni interessate, atteso che la
«proposta del Consiglio comunale deve essere sottoposta a referendum tra tutti
i cittadini della città metropolitana su base delle rispettive leggi regionali»
− né contrasta con l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., essendo il
presupposto, di cui si discute, comunque, riconducibile alla competenza
statuale esclusiva in materia di «legislazione elettorale […] di […] città
metropolitane»;
b) quanto alla conferenza metropolitana − cui il comma 8 (ultimo periodo)
attribuisce «poteri propositivi e consultivi» − la censura formulata in ragione
del carattere riduttivo di tali attribuzioni, nel contesto del sistema di
governo della città metropolitana, è agevolmente superata dalla considerazione
che la conferenza può vedersi attribuite ulteriori competenze dallo statuto,
atto fondamentale di autorganizzazione dell’ente, il quale viene approvato
dalla conferenza stessa; per cui proprio la conferenza si configura, dunque,
come organo decisore finale delle proprie competenze, fatte salve quelle
riservate in via esclusiva al sindaco metropolitano;
c) quanto al personale delle Città metropolitane, perché la disposizione di
cui al comma 48 − che applica allo stesso il trattamento vigente per il
personale delle Province, al quale, ove trasferito mantiene «fino al prossimo
contratto il trattamento in godimento» − attiene alla sola prima fase del
procedimento (per altro già in stato di avanzata attuazione) di riallocazione
del personale a seguito del riordino delle funzioni attribuite agli enti
coinvolti e dei profili finanziari connessi alla riforma introdotta dalla legge
n. 56 del 2014. La quale, nella misura in cui coinvolga la materia «diritto
civile», nella quale ricade la disciplina dei contratti in questione, risponde
ad un titolo di competenza esclusiva dello Stato;
d) quanto alle «norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente», ivi
comprese le attribuzioni degli organi, nonché l’articolazione delle loro
competenze – che il comma 10 demanda allo statuto di stabilire – perché ciò che
si censura rientra, comunque, nella disciplina complessiva degli «organi di
governo» di cui alla lettera p) del comma secondo dell’art. 117, Cost.,
oltreché – per quanto già detto – in quella relativa alla Città metropolitana
di cui all’art. 114 Cost.;
e) quanto alle modalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni
metropolitane − che i commi 10 e 11, lettere b) e c), fanno rientrare tra i
contenuti disciplinatori dello statuto − perché non ha pregio, per le ragioni
di cui sopra, la censura che presuppone limitata alla disciplina dei singoli
organi di governo la competenza statale relativa alla Città metropolitana;
f) quanto all’esercizio del potere statuale sostitutivo − previsto dal comma
17, «in caso di mancata approvazione dello statuto entro il 30 giugno 2015» −
perché detta disposizione, a torto censurata in riferimento agli artt. 114,
secondo comma, e 120, secondo comma, Cost., trova la sua giustificazione
nell’esigenza di realizzare il principio dell’unità giuridica su tutto il
territorio nazionale in merito all’attuazione del nuovo assetto ordinamentale
previsto dalla legge n. 56 del 2014.
3.4.5.− Può dichiararsi cessata la materia del contendere con riguardo,
infine, alla disposizione di cui al comma 13 che, a distanza di poco più di due
settimane (e senza possibilità, dunque, di sua applicazione medio tempore), è
stata abrogata dall’art. 19, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66
(Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89.
4.− Il secondo gruppo di disposizioni denunciate attiene, come detto, al
nuovo modello ordinamentale delle Province (per le quali, tuttavia, è in corso
l’approvazione di un progetto − da realizzarsi nelle forme di legge
costituzionale − che ne prevede la futura soppressione, con la loro conseguente
eliminazione dal novero degli enti autonomi riportati nell’art. 114 Cost.,
come, del resto, chiaramente evincibile dall’incipit contenuto nel comma 51
dell’art. 1 della legge in esame).
4.1.− Si tratta, in particolare, delle disposizioni di cui ai seguenti commi
dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014:
− 54, che definisce organi delle Province «esclusivamente: a) il presidente
della provincia, b) il consiglio provinciale; c) l’assemblea dei sindaci»;
− 55, 58 e da 60 a 65, sulle funzioni, sui requisiti di eleggibilità e sulle
modalità di elezione, nonché sulle cause di decadenza del Presidente della
Provincia;
− 56, sulla assemblea dei sindaci («costituita dai sindaci dei comuni
appartenenti alla provincia»);
− 57, sulla possibilità che gli statuti delle Province prevedano, d’intesa
con la regione, «la costituzione di zone omogenee per specifiche funzioni, con
organismi collegati agli organi provinciali senza nuovi o maggiori oneri per la
finanza pubblica»;
− 67 e da 69 a 78, sulla composizione del Consiglio provinciale e sui
requisiti di eleggibilità e modalità di elezione dei consiglieri provinciali;
− 79, sulla elezione del Presidente della Provincia e del Consiglio
provinciale «in sede di prima applicazione della presente legge»;
− 81 e 83, sulle «modifiche statutarie conseguenti alla presente legge»,
demandate al Consiglio provinciale (ed alla approvazione del collegio dei
sindaci) ed all’eventuale esercizio del potere sostitutivo ex art. 8 della
legge 5 giugno 2013, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento
della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
4.2.− Anche con riguardo a tale complessivo contesto normativo le ricorrenti
convergono nell’ipotizzare la violazione, in primo luogo, degli artt. 5 e 114,
oltre che all’art. 117, primo comma, Cost., con riferimento al parametro
interposto individuabile nel già richiamato art. 3, comma 2, della cosiddetta
Carta europea dell’autonomia locale, sul presupposto che le Province non sarebbero,
per l’effetto, più configurate come enti rappresentativi delle popolazioni
locali (secondo quanto ancora impone la Costituzione attuale), ma come enti di secondo
grado, la cui modalità elettiva degli organi politici comporterebbe la totale
esclusione dell’esercizio della sovranità popolare.
Prospettano, inoltre, la violazione dei principi di sussidiarietà verticale
e di ragionevolezza, in ragione della ritenuta inversione logica del modello di
allocazione/distribuzione delle funzioni amministrative rispetto alla
disciplina contemplata dalla Costituzione, con conseguente lesione del
principio di necessaria democraticità di governo delle autonomie locali, anche
in ordine al riconoscimento della loro autonomia finanziaria e della loro
autorità impositiva.
Sostiene, altresì, in particolare la Regione Veneto, che
le disposizioni in esame violerebbero gli artt. 1, 48, 5, 97, 114, 117, 118,
119 e 120 Cost., nella parte relativa alla disposta proroga delle gestioni
commissariali in corso ed alla legittimazione di proroghe ulteriori.
4.3.− Anche le censure rivolte al riordino delle Province sono non fondate.
4.3.1.− In primo luogo, non pertinente è l’evocazione del parametro di cui
all’art. 138 Cost.
Come, infatti, chiarito dalla sentenza n. 220 del 2013, il procedimento di
cui al richiamato art. 138 risulterebbe obbligato nel solo caso di soppressione
delle Province, e non anche in quello – che, nella specie, viene in rilievo −
di riordino dell’ente medesimo.
4.3.2.− A loro volta, le censure rivolte al modello di governo di secondo grado,
parimenti adottato per il riordinato ente Provincia, risultano non fondate
(anche con riguardo al vulnus che si assume derivante all’autonomia
finanziaria, di entrate di spesa, ove riconducibile ad organi non direttamente
rappresentativi) sulla base delle medesime ragioni già esposte con riferimento
alle Città metropolitane e della considerazione che inerisce, comunque, alla competenza
dello Stato − nella materia «legislazione elettorale, organi di governo e
funzioni fondamentali di […] province» (art. 117, secondo comma, lettera p,
Cost., − ogni altro denunciato aspetto disciplinatorio, appunto, di detto ente
territoriale.
4.3.3.− Quanto, infine, alla proroga dei commissariamenti, non è esatto che
questa sarebbe − come si denuncia − sine die.
Il comma 82 dell’art. 1 in esame − nel testo sostituito dall’art. 23, comma
1, lettera f), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la
semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici
giudiziari), convertito, con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 11
agosto 2014, n. 114 − dispone, infatti, che, per le Province già oggetto di commissariamento,
il commissario, a partire dal 1° luglio 2014, muti natura, e cioè,
sostanzialmente, decada, dando vita, pur nella coincidenza della persona
fisica, ad un organo diverso che, privo dei poteri commissariali, è chiamato ad
assicurare, a titolo gratuito, la gestione della fase transitoria solo «per
l’ordinaria amministrazione e per gli atti urgenti e indifferibili, fino
all’insediamento del presidente della provincia eletto ai sensi dei commi da 58
a 78».
5.− Il terzo gruppo di censure è rivolto al riordino delle funzioni ancora
attribuite alle Province ed allo scorporo di quelle attribuite ad altri enti.
5.1.− Si tratta, in particolare, delle disposizioni di cui ai seguenti commi
dell’art. 1 della legge in esame:
− 89, sulle funzioni (diverse da quelle “fondamentali”, che «in attesa della
riforma del titolo V, parte seconda, della Costituzione» continuano ad essere
esercitate dalle Province), che «nell’ambito del processo di riordino sono
trasferite dalle province ad altri enti territoriali»;
– 90, sul procedimento per il trasferimento delle funzioni di cui sopra;
– 91, secondo cui «Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative,
lo Stato e le regioni individuano in modo puntuale, mediante accordo sancito
nella Conferenza unificata, le funzioni di cui al comma 89 oggetto del riordino
e le relative competenze»;
− 92, sul procedimento e sui criteri generali per «l’individuazione dei beni
e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse
all’esercizio delle funzioni che devono essere trasferite, ai sensi dei commi
da 85 a 97, dalle province agli enti subentranti, garantendo i rapporti di
lavoro a tempo indeterminato in corso, nonché quelli a tempo determinato in
corso fino alla scadenza per essi prevista»;
− 95, per il quale «La regione, entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore della presente legge, provvede, sentite le organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative, a dare attuazione all’accordo di cui al comma 91.
Decorso il termine senza che la regione abbia provveduto, si applica l’articolo
8 della legge 5 giugno 2003, n. 131».
5.2.− Al riguardo le quattro ricorrenti − con riferimento ai parametri di
cui agli artt. 3, 97, 114, 117, secondo comma, lettera p), e 120 Cost. –
denunciano, in particolare, le disposizioni di cui ai commi 89, 90, 91, 92 e 95
(e la Regione Veneto
anche quelle di cui ai commi 54, 55, 56, 58, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 67 e da 69
a 79), nella parte in cui dette norme, nel loro complesso, conferirebbero alla
legislazione statale, al di fuori della competenza esclusiva nella materia
«funzioni fondamentali delle Province», un titolo di competenza illegittimo,
appartenendo la legittimazione a stabilire le modalità e le tempistiche per la
riallocazione delle funzioni “non fondamentali” delle Province, nonché ad
individuare le risorse connesse agli eventuali trasferimenti, alla competenza
regionale, alla stregua dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza ed in conformità ai principi di ragionevolezza, dell’opportunità e
della coerenza con i fini perseguiti, oltre che di quello del buon andamento dell’azione
amministrativa e del principio di leale collaborazione a cui deve informarsi
l’esercizio del potere sostitutivo.
Inoltre, i limiti ed i vincoli imposti dal legislatore regionale, fuori
dagli ambiti di competenza dello Stato, comprimerebbero, illegittimamente, il
potere regionale di individuare il livello di governo più idoneo all’esercizio
delle funzioni amministrative di propria competenza.
In particolare, secondo la
Regione Puglia, la previsione sub comma 92 dell’art. 1 della
legge n. 56 del 2014, − per cui «i criteri generali per l’individuatone dei
beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse
all’esercizio delle funzioni che devono essere trasferite» siano stabiliti «con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri», ancorché «previa intesa in
sede di Conferenza unificata» − violerebbe, a sua volta, gli artt. 3, primo
comma, e 118, primo comma, Cost., in quanto volta a determinare una uniforme
allocazione di funzioni amministrative agli enti di area vasta in tutte le
Regioni, in contrasto con il principio di eguaglianza e di ragionevolezza (che
imporrebbe, invece, di distinguere il trattamento giuridico di situazioni non
omogenee) e con il principio di differenziazione. E contrasterebbe, altresì,
con l’art. 117, terzo comma, Cost., nella parte in cui si rivolgerebbe a
funzioni ricadenti nelle materie di competenza concorrente in quanto tale
disposizione costituzionale impone che principi fondamentali siano stabiliti
dallo Stato, mediante fonte di rango legislativo, e non mediante decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri.
La medesima disposizione, sub comma 92, è censurata dalla Regione Veneto,
per contrasto con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., sul
presupposto che implichi un rovesciamento nel procedimento di allocazione delle
funzioni, una volta che «la definizione dei criteri del trasferimento delle
funzioni fondamentali […] non avviene nella fase di previe disposizioni di
legge regionale […] nel rispetto del riparto della competenza previsto
dall’art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione […]».
Mentre un vulnus ulteriore ai parametri costituzionali di cui sopra è
pressoché concordemente individuata dalle ricorrenti anche con riferimento
all’esercizio del potere sostitutivo ricollegato, dal successivo comma 95, al
mancato rispetto, da parte delle Regioni, del termine (di sei mesi dalla data
di entrata in vigore della legge n. 56 del 2014) stabilito per la
individuazione delle funzioni, non fondamentali, delle Province oggetto del
riordino, con le modalità di cui al comma 91 (id est: «sentite le
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative […] mediante accordo
sancito dalla Conferenza unificata»).
5.3.− L’esame delle questioni che precedono non può prescindere da una sia
pur sintetica ricognizione del complessivo quadro normativo, all’interno del
quale si collocano le disposizioni come sopra specificatamente denunciate.
I commi da 85 a 96 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014 riguardano le
funzioni delle “nuove” Province (in carica nelle more della riforma del Titolo
V della Costituzione), indicando quelle “fondamentali” − che rimangono a loro
attribuite − e prevedendo, per le altre funzioni esercitate all’atto
dell’entrata in vigore della citata legge n. 56 del 2014 (ovvero all’8 aprile
2014), il trasferimento delle stesse ad altri enti territoriali (comma 89).
Nel menzionato complesso di disposizioni viene, in sostanza, disegnato un
dettagliato meccanismo di determinazione delle intere funzioni, all’esito del
quale la Provincia
continuerà ad esistere quale ente territoriale “con funzioni di area vasta”, le
quali, peraltro, si riducono a quelle qualificate “fondamentali” (elencate nel
comma 85) e a quelle, meramente eventuali, indicate nei commi 88 e 90.
Con riferimento al procedimento di riordino delle funzioni ancora attribuite
alle Province e allo scorporo di quelle a tale ente sottratte e riassegnate ad
altri enti, si prevede che, entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge
n. 56 del 2014, in attuazione dell’art. 118 Cost., lo Stato e le Regioni,
sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, individuino
in modo puntuale, mediante accordo sancito in Conferenza unificata, le funzioni
di cui al comma 89 oggetto della complessiva riorganizzazione e le relative
competenze (comma 91). E ciò avendo riguardo alle seguenti finalità: determinazione
dell’ambito territoriale ottimale di esercizio per ciascuna funzione; efficacia
nello svolgimento delle funzioni fondamentali da parte dei Comuni e delle
Unioni di Comuni; riconoscimento di esigenze unitarie; adozione di forme di
avvalimento e deleghe di esercizio tra gli enti territoriali coinvolti nel
processo di riordino, attraverso intese o convenzioni.
Allo scopo di rendere concretamente operativo il trasferimento delle
funzioni come descritte, nel termine previsto dal comma 91, il Presidente del
Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno e del Ministro
per gli affari regionali, di concerto con i Ministri per la semplificazione e
la pubblica amministrazione e dell’economia e delle finanze, previa intesa in
sede di Conferenza unificata, avrebbe dovuto stabilire − con proprio decreto −
i criteri generali per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie,
umane (previa consultazione delle organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative), strumentali e organizzative connesse all’esercizio delle
funzioni che sarebbero state trasferite agli enti subentranti, garantendo i
rapporti di lavoro in corso.
Nell’eventualità del mancato raggiungimento in sede di Conferenza unificata
dell’accordo circa l’individuazione delle funzioni oggetto del riordino
(previste dal comma 91), ovvero dell’intesa in ordine alla determinazione dei
criteri generali per l’individuazione di quanto contemplato dal comma 92, al
Presidente del Consiglio veniva riconosciuta (dal comma 93) la possibilità di
disporre quanto necessario con riferimento alle funzioni amministrative delle
Province di competenza statale, mentre, in relazione alle funzioni di
competenza delle Regioni, queste avrebbero dovuto dare attuazione, entro sei
mesi dall’entrata in vigore della legge n. 56 del 2014, all’accordo relativo
all’individuazione delle funzioni da trasferire agli enti subentranti,
prevedendosi che, in difetto, sarebbe stato possibile ricorrere all’esercizio
del potere sostitutivo di cui all’art. 8 della legge n. 131 del 2003 (comma
95), riguardante l’attuazione dell’art. 120 Cost.
Importanza centrale, nel descritto complesso procedimento di riordino,
rivestiva, dunque, l’accordo in Conferenza unificata, quale accordo-quadro
demandato all’individuazione, in primo luogo, del concreto perimetro delle
funzioni fondamentali (comma 85) e, di conseguenza, alla determinazione delle
altre funzioni oggetto di possibile trasferimento. Ed è sulla base di tale
accordo che lo Stato e le Regioni avrebbero dovuto emanare gli atti di propria
competenza, nel rispetto del riparto delle competenze legislative previsto
dalla Costituzione, in modo da ricomporre le funzioni amministrative, in modo
organico, a livello di governo ritenuto adeguato.
Più in dettaglio, l’accordo previsto dal comma 91 avrebbe dovuto:
1) prioritariamente, far confluire nei nuovi cataloghi di funzioni
fondamentali delle Province e delle Città metropolitane le funzioni
amministrative già svolte dalle Province, al fine di salvaguardare l’integrità
di funzionamento degli enti, l’organizzazione del lavoro e l’efficienza dei
servizi, nonché l’equilibrio finanziario, in modo da sostanziare la portata del
comma 85 individuante le funzioni fondamentali residuate (elencate dalla
lettera a alla lettera f);
2) individuare e puntualizzare, di conseguenza, quali funzioni diverse da
quelle fondamentali sarebbero state rimesse alla legislazione regionale,
secondo la competenza per materia prevista dall’art. 117, commi terzo e quarto,
Cost. (precisandosi che su tali funzioni l’accordo avrebbe dovuto comunque
garantire che il riordino ad opera delle singole Regioni non poteva comportare
la costituzione di nuovi enti e agenzie);
3) allo stesso modo, individuare le funzioni nelle materie di competenza
legislativa statale, che il d.P.C.m. attuativo avrebbe dovuto, poi, trasferire.
5.4.− I riportati passaggi procedimentali risultano, allo stato, peraltro,
già attuati, mediante la conclusione dell’Accordo in Conferenza unificata
previsto dal citato comma 91, intervenuto in data 11 settembre 2014 (anziché
entro l’8 luglio 2014, come stabilito dalla stessa disposizione).
Con tale accordo è stato, in particolare, convenuto tra lo Stato e le
Regioni che:
− ai sensi del comma 89, Stato e Regioni attribuiscono le funzioni
provinciali diverse da quelle fondamentali secondo le rispettive competenze,
per cui lo Stato può e deve provvedere solo per le funzioni che rientrano nelle
materie di propria competenza legislativa esclusiva, ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, Cost. (oltre che per quelle specificamente a lui attribuite in
materia di tutela delle minoranze), mentre alle Regioni spetta di provvedere
per tutte le altre attualmente esercitate dalle Province (punto 9, lettera a);
− quanto alle funzioni il cui riordino spetta alle Regioni, Stato e Regioni
prendono atto e condividono che le funzioni attualmente svolte dalle Province
che rientrano nelle competenze regionali sono necessariamente differenziate
Regione per Regione. Si concorda a tal fine che ciascuna Regione provveda a
definire l’elenco delle funzioni fondamentali di cui all’art. 1, comma 85,
della legge n. 54 del 2014, e ad operare il riordino nel rispetto dei principi
e secondo le modalità concordati nel presente Accordo (punto 9, lettera c);
− lo Stato si impegna ad adottare il d.P.C.m. di cui al comma 92 dell’art. 1
della legge, anche per la parte relativa alle funzioni amministrative degli
enti di vasta area di competenza statale, contestualmente alla sottoscrizione
dell’Accordo in sede di Conferenza unificata, mentre le Regioni si impegnano ad
adottare le iniziative legislative di loro competenza entro il 31 dicembre 2014
(punto 10).
E, proprio in virtù di quest’ultima disposizione, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha adottato in data 26 settembre 2014, l’apposito
decreto per l’individuazione dei criteri fondamentali per la definizione ed il
trasferimento dei beni e risorse connessi alle funzioni oggetto del riordino
(fondamentali e non), oltreché per la mobilità del personale, garantendosi
l’intervento delle associazioni sindacali.
5.5.− In dipendenza dell’attuazione del complesso procedimento delineato nei
commi da 89 a 92 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, culminato nell’Accordo
sancito nella Conferenza unificata dell’11 settembre 2014 e seguito
dall’emissione del d.P.C.m. indicato nel comma 92, può ritenersi venuto meno
l’interesse delle Regioni ricorrenti e si può, quindi, dichiarare cessata la
materia del contendere sul complesso motivo in esame, sia in virtù della definizione
congiunta delle competenze (in relazione al processo di riordino) e della loro
ripartizione tra Stato e Regioni in conformità dei titoli di legittimazione
stabiliti dalla Costituzione e delle linee direttrici della stessa legge n. 56
del 2014, sia avuto riguardo al rispettato principio di leale collaborazione da
parte dello Stato. Atteso che quest’ultimo − proprio al fine di concretizzare
il menzionato procedimento complessivo di riorganizzazione delle funzioni – ne
ha posto in essere la modalità attuativa rispettando il criterio della stipula
dell’Accordo in sede di Conferenza unificata imposto dal comma 91, ispirata
dalla necessaria concertazione con le Regioni, sentite previamente le
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. In tal modo non già
agendo secondo una logica di esercizio di potere unilaterale, bensì di garanzia
della esplicazione in una posizione paritaria del ruolo delle Regioni
partecipanti all’accordo, e così assicurando il rispetto del predetto
fondamentale principio.
5.6.− Non fondata è poi la questione di costituzionalità riferita all’art.
1, commi 17, 81 e 83, della legge n. 56 del 2014 − sollevata dalla Regione
Puglia in relazione agli artt. 114, secondo comma, e 120, secondo comma Cost. −
con riguardo alla denunciata illegittimità della previsione dell’esercizio del
potere sostitutivo straordinario dello Stato per l’eventualità della mancata
realizzazione della potestà statutaria delle Province e delle Città
metropolitane. E ciò in quanto le norme censurate mirano ad assicurare il
necessario principio dell’unità giuridica su tutto il territorio nazionale
(finalità, tra le altre, esplicitamente contemplata dal secondo comma dell’art.
120 Cost.) con l’attuazione del nuovo assetto ordinamentale rivisto dalla
stessa legge n. 56 del 2014 e perché, in ogni caso, il potere sostitutivo
statuale trova il suo fondamento espresso nella legge, dalla quale risulta la
definizione dei presupposti sostanziali, e costituisce la manifestazione degli
interessi unitari alla cui salvaguardia è propriamente preordinato l’intervento
surrogatorio dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 121 del 2012; n. 73 e n. 43
del 2004).
Per di più, ove la singola Regione destinataria dell’esercizio del potere
sostitutivo del Governo ritenesse l’illegittimità dell’iniziativa statale in
via sostitutiva siccome compiuta in difetto delle condizioni normative ed in
difformità dei presupposti applicativi statuiti dalla giurisprudenza
costituzionale, potrebbe, a tutela della propria autonomia, attivare i rimedi
giurisdizionali ritenuti adeguati, ivi compreso il conflitto di attribuzione.
5.7.− Analogamente non fondata è la questione che attiene alla previsione
(sub comma 95) del potere sostitutivo dello Stato in caso di inerzia delle
Regioni rispetto all’attuazione dell’accordo di cui al comma 91.
E ciò in quanto il procedimento, nel quale si inserisce un tal censurato
potere sostitutivo, trova la sua giustificazione nell’esigenza di garantire che
le attività attualmente svolte dalle Province siano mantenute in capo ai nuovi
enti destinatari, senza soluzione di continuità, nell’interesse dei cittadini e
della comunità nazionale.
6. – Il quarto gruppo di questioni ha ad oggetto:
a) le disposizioni che concernono le «unioni di comuni», di cui al comma 4
(che li definisce «enti locali costituiti da due o più comuni per l’esercizio
associato di funzioni o servizi di loro competenza») ed ai commi 105 e 106
dell’art. 1 della legge impugnata, sulla correlativa disciplina («L’unione ha
potestà statutaria e regolamentare e ad essa si applicano, in quanto
compatibili e non derogati con le disposizioni della legge recante disposizioni
sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, i
princìpi previsti per l’ordinamento dei comuni, con particolare riguardo allo
status degli amministratori, all’ordinamento finanziario e contabile, al
personale e all’organizzazione»);
b) le disposizioni, di cui ai successivi commi 117, 124, 130 e 133 del
medesimo art. 1, che disciplinano i procedimenti di fusione di più Comuni in un
nuovo Comune e di incorporazione di un Comune in altro contiguo.
6.1.– In particolare, la
Regione Campania ha, per un verso, dedotto il supposto
difetto del titolo di competenza in capo allo Stato, ravvisando − in ordine
alla regolamentazione normativa delle Unioni di Comuni – la sussistenza della
competenza regionale residuale in relazione al disposto dell’art. 117, quarto
comma, Cost. e, per altro verso, avuto riguardo alle censure attinenti al procedimento
di fusione tra Comuni (con specifico riferimento ai commi 22 e 130 dell’art. 1
della legge in questione), ha denunciato la lesione degli artt. 123, primo
comma, e 133, secondo comma, Cost., sotto il profilo dell’asserita invasione
della competenza regionale nella materia concernente l’istituzione di nuovi
enti comunali nell’ambito del suo territorio (così come la modificazione delle
inerenti circoscrizioni o delle relative denominazioni), da realizzarsi,
oltretutto, garantendo la preventiva audizione delle popolazioni concretamente
interessate, e senza trascurare, altresì, la (ritenuta) violazione della
riserva statutaria regionale in ordine alla disciplina dei referendum
riguardanti le leggi ed i provvedimenti di competenza, per l’appunto, regionale.
La Regione Puglia,
dal suo canto, ha dedotto – sia con riferimento alla disciplina delle Unioni
tra Comuni che con riguardo a quella della fusione tra gli stessi –
l’illegittimità delle relative disposizioni sotto il profilo della ravvisata
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., dovendosi, anche a
suo avviso, a proposito di detta materia, ritenere operativa la competenza
regionale residuale prevista dal medesimo art. 117 al quarto comma.
6.2.− Anche tali questioni sono non fondate.
6.2.1.– Non è ravvisabile, in primo luogo, la dedotta violazione della
competenza regionale con riguardo alle introdotte nuove disposizioni
disciplinatrici delle Unioni di Comuni.
Tali unioni − risolvendosi in forme istituzionali di associazione tra Comuni
per l’esercizio congiunto di funzioni o servizi di loro competenza e non
costituendo, perciò, al di là dell’impropria definizione sub comma 4 dell’art.
1, un ente territoriale ulteriore e diverso rispetto all’ente Comune –
rientrano, infatti, nell’area di competenza statuale sub art. 117, secondo
comma, lettera p), e non sono, di conseguenza, attratte nell’ambito di
competenza residuale di cui al quarto comma dello stesso art. 117.
Per altro verso, le riferite disposizioni – in quanto introducono misure semplificatorie
volte al contenimento della spesa pubblica (intervenendo sugli organi, sulla
loro composizione, sulla gratuità degli incarichi e sul divieto di avvalersi di
una segreteria comunale) − oltre che al conseguimento di obiettivi di maggiore
efficienza o migliore organizzazione delle funzioni comunali, riflettono anche
principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, non
suscettibili, per tal profilo, di violare le prerogative degli enti locali (ex
plurimis, sentenze n. 44 e n. 22 del 2014, n. 151 del 2012, n. 237 del 2009).
6.2.2.− Allo stesso modo la disposizione (sub comma 130) relativa alla
fusione di Comuni di competenza regionale non ha ad oggetto l’istituzione di un
nuovo ente territoriale (che sarebbe senza dubbio di competenza regionale)
bensì l’incorporazione in un Comune esistente di un altro Comune, e cioè una
vicenda (per un verso aggregativa e, per altro verso, estintiva) relativa,
comunque, all’ente territoriale Comune, e come tale, quindi, ricompresa nella
competenza statale nella materia «ordinamento degli enti locali», di cui
all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.
Ed infatti, l’estinzione di un Comune e la sua incorporazione in un altro
Comune incidono sia sull’ordinamento del primo che del secondo, oltre che sulle
funzioni fondamentali e sulla legislazione elettorale applicabile.
Dal che la non fondatezza, anche in questo caso, della censura di violazione
del titolo di competenza fatto valere dalle ricorrenti, in prospettiva
applicativa del criterio residuale di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost.
Del pari insussistente è, a sua volta, l’ulteriore violazione degli artt.
123 e 133, secondo comma, Cost. denunciata dalla Regione Campania, con
riferimento al medesimo comma 130 (ed in correlazione con il precedente comma
22) dell’art. 1 della legge in esame, riguardante il procedimento di fusione
per incorporazione di più Comuni.
Il censurato comma 130 demanda, infatti, la disciplina del referendum
consultivo comunale delle popolazioni interessate (quale passaggio
indefettibile del procedimento di fusione per incorporazione) proprio alle
specifiche legislazioni regionali, rimettendo, peraltro, alle singole Regioni
l’adeguamento delle stesse rispettive legislazioni, onde consentire l’effettiva
attivazione della nuova procedura, sul presupposto che le disposizioni − di
carattere evidentemente generale (e che rimandano, in ogni caso, alle
discipline regionali) − contenute nella legge n. 56 del 2014 non siano, di per
sé, esaustive. Per cui non risulta scalfita l’autonomia statutaria spettante in
materia a ciascuna Regione.
7.− La Regione
Campania, con l’ultimo motivo del suo ricorso, ha proposto
un’ulteriore, peculiare questione di legittimità costituzionale del comma 149 −
nella parte in cui prevede che «Al fine di procedere all’attuazione di quanto
previsto dall’articolo 9 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95», il Ministro
per gli affari regionali predispone appositi programmi di attività contenenti
modalità operative e altre indicazioni – per sospetta violazione degli artt.
97, 117, 118, 123 e 136 Cost. e, ciò sul rilievo che, con la norma censurata,
sarebbe stata prevista la “reviviscenza” del richiamato art. 9 del d.l. n. 95
del 2012, malgrado la sua sopravvenuta abrogazione per effetto dell’art. 1,
comma 562, lettera a), della legge n. 147 del 2013 e la sua intervenuta
dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale ad opera della sentenza
n. 236 del 2013 (con conseguente violazione del giudicato costituzionale),
oltre che per lesione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite
nella materia «organizzazione amministrativa regionale».
7.1.– Anche tale ultima questione non è fondata.
La norma censurata può essere infatti agevolmente interpretata, in senso
conforme a Costituzione, considerando la finalità attuativa dell’abrogato art. 9
del d.l. n. 95 del 2012 come inutiliter in essa enunciata, posto che
l’obiettivo, che la norma stessa concorrentemente si pone − quello cioè di
«accompagnare e sostenere l’applicazione degli interventi di riforma della
presente legge» − ne sorregge, di per sé, il contenuto dispositivo: «il
Ministro per gli affari regionali predispone, entro sessanta giorni dalla data
di entrata in vigore della presente legge e senza nuovi o maggiori oneri per la
finanza pubblica, appositi programmi di attività contenenti modalità operative
e altre indicazioni finalizzate ad assicurare, anche attraverso la nomina di
commissari, il rispetto dei termini previsti per gli adempimenti di cui alla
presente legge e la verifica dei risultati ottenuti. Su proposta del Ministro
per gli affari regionali, con accordo sancito nella Conferenza unificata, sono
stabilite le modalità di monitoraggio sullo stato di attuazione della riforma».
per questi motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’inammissibilità, per tardività, dell’intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri in relazione al giudizio instaurato con il ricorso
(iscritto al n. 39 del 2014) proposto dalla Regione Lombardia;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi
5, 9, 10, 11, lettere b) e c), 12 e 16, nonché del comma 6, nei sensi di cui in
motivazione, dell’art. 1 della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle
città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni),
promosse, in riferimento agli artt. 3, 5, 48, 114, 117, commi secondo, lettera
p), e quarto, della Costituzione, dalle Regioni Veneto e Puglia
(rispettivamente, con i ricorsi n. 42 e n. 44 del 2014);
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi
5 e 12, nonché del comma 6, nei sensi di cui in motivazione, dell’art. 1 della
legge n. 56 del 2014, promosse, in riferimento all’art. 133, primo comma,
Cost., dalle Regioni Veneto, Campania e Puglia (rispettivamente, con i ricorsi
n. 42, n. 43 e n. 44 del 2014), nonché la questione di legittimità
costituzionale dei commi da 12 a 18 dello stesso art. 1 della legge n. 56 del
2014, promossa, dalla sola Regione Campania (con il ricorso n. 43 del 2014), in
riferimento al medesimo art. 133, primo comma, Cost.;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi
7, 8, 9, 19, 25 e 42 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promosse, in
riferimento agli artt. 1, 5, 48, 144, e 117, primo comma, Cost., in relazione
all’art. 3, comma 2, della Carta europea dell’autonomia locale, firmata a
Strasburgo il 15 ottobre 1985, ratificata e resa esecutiva con legge 30
dicembre 1989, n. 439), da tutte le Regioni ricorrenti; nonché dalle sole
Regioni Lombardia e Veneto (con i ricorsi n. 39 e n. 42 del 2014) anche con
riferimento agli artt. 3 e 118 Cost. e, soltanto dalla Regione Lombardia (con
il ricorso n. 39 del 2014), in riferimento agli art. 119 e 117, primo comma,
Cost., in relazione all’art. 9 della suddetta Carta europea dell’autonomia
locale;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dei commi
17, 81 e 83 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promossa, in riferimento
agli artt. 114, secondo comma, e 120, secondo comma, Cost., dalla Regione
Puglia (con il ricorso n. 44 del 2014);
6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del comma
19 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promossa, in riferimento agli artt.
1, 3, 48, 114, 117, primo comma − in relazione all’art. 3, comma 2, della Carta
europea dell’autonomia locale firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985,
ratificata e resa esecutiva con legge 30 dicembre 1989, n. 439 − e 118 Cost.,
dalla Regione Lombardia (con il ricorso n. 39 del 2014);
7) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del comma
22 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promossa, in riferimento agli artt.
123, primo comma, e 133, secondo comma, Cost., dalla Regione Campania (con il
ricorso n. 43 del 2014) e limitatamente al solo art. 133, secondo comma, Cost. dalla
Regione Puglia (con il ricorso n. 44 del 2014);
8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi
54, 55, 56, 58, 59, 60, 67 e 69 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014,
promosse, in riferimento agli artt. 1, 3, 5, 48, 114, 117, primo comma − in
relazione all’art. 3, comma 2, della Carta europea dell’autonomia locale −, 118
e 138 Cost., dalle Regioni Lombardia (con il ricorso n. 39 del 2014) e Veneto
(con il ricorso n. 42 del 2014);
9) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi
54, 55, 56, 58, 59, 60, 67 e 69 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014,
promosse, in riferimento agli artt. 1, 3, 5, 48, 114, 117, primo comma − in
relazione all’art. 9 della Carta europea dell’autonomia locale −, 118, 119 e
138 Cost., dalla Regione Lombardia (con il ricorso n. 39 del 2014) e dalla
Regione Veneto (con il ricorso n. 42 del 2014);
10) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi
54, 55, 56, 58, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 67, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77,
78 e 79 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promosse, in riferimento agli
artt. 1, 5, 48, 97, 114, 118, 119 e 120 Cost., dalla Regione Veneto (con il
ricorso n. 42 del 2014);
11) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dei
commi 57 e 89 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promossa, in riferimento
agli 117, commi secondo, lettera p), e quarto, 118, secondo comma, Cost., dalla
Regione Puglia (con il ricorso n. 44 del 2014), nonché la questione di
legittimità costituzionale dei commi 11 e 89 dell’art. 1 della stessa legge n.
56 del 2014, promossa, in riferimento all’art. 118, primo comma, Cost., dalla
medesima Regione Puglia (con il ricorso n. 44 del 2014);
12) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del
comma 95 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promossa, in riferimento agli
artt. 3, 97, 114, 117, commi secondo, lettera p), terzo e quarto, 118, secondo
comma, 120 e 138 Cost., dalle Regioni Lombardia (con il ricorso n. 39 del
2014), Campania (con il ricorso n. 43 del 2014) e Puglia (con il ricorso n. 44
del 2014);
13) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dei
commi 4, 105 e 106 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promossa, in
riferimento agli artt. 117, commi secondo, lettera p), e quarto, e 118 Cost.,
dalla Regione Campania (con il ricorso n. 43 del 2014), nonché la questione di
legittimità costituzionale degli stessi commi 105, lettere a) e b), e 106
dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, in riferimento all’art. 117, commi
secondo, lettera p), e quarto, Cost., dalla Regione Puglia (con il ricorso n.
44 del 2014);
14) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del comma
130 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promossa, in riferimento agli artt.
123, primo comma, e 133, secondo comma, Cost., dalla Regione Campania (con il
ricorso n. 43 del 2014), nonché la questione di legittimità costituzionale
dello stesso comma 130, promossa, in riferimento all’art. 117, commi secondo,
lettera p), e quarto, Cost., dalla Regione Puglia (con il ricorso n. 44 del
2014);
15) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei
commi 117, 124 e 130 (terzo periodo), nonché del comma 133 dell’art. 1 della
legge n. 56 del 2014, promosse, in riferimento all’art. 117, commi secondo,
lettera p), e quarto, Cost., dalla Regione Puglia (con il ricorso n. 44 del
2014);
16) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale del comma 149 dell’art. 1 della legge n. 56 del
2014, promossa, in riferimento agli artt. 97, 117, 118, 123 e 136 Cost., dalla
Regione Campania (con il ricorso n. 43 del 2014);
17) dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni
di legittimità costituzionale dei commi 89, 90, 91 e 92 dell’art. 1 della legge
n. 56 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97, 114, 117, commi
secondo, lettera p), terzo e quarto, 118, secondo comma, e 138 Cost., da tutte
le Regioni ricorrenti (con esclusione, da parte della Regione Puglia, del comma
90);
18) dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla questione
di legittimità costituzionale del comma 13 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014,
promossa, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera p), e quarto,
Cost., dalla Regione Puglia (con il ricorso n. 44 del 2014).