martedì 30 giugno 2015





PANOZZO Rober, Introduzione al (lo studio del)  diritto di accesso: (superamento del) principio di segretezza e riferimenti comunitari e costituzionali



http://www.diritto.it/docs/37123-introduzione-al-lo-studio-del-diritto-di-accesso-superamento-del-principio-di-segretezza-e-riferimenti-comunitari-e-costituzionali

lunedì 29 giugno 2015




Interdetto e divorzio

Trib. Bari 8 aprile 2015


E’ il curatore speciale – e non il tutore – legittimato a proporre istanza di divorzio, in caso si soggetto interdetto per infermità di mente




Tar Liguria 22 giugno 2015, n. 602


E’ accessibile la denuncia (nello specifico: presentata al Ministero del Lavoro), quale che possa essere l’esito della stessa [osserva il Collegio che la denuncia “potrebbe condurre ad un procedimento sanzionatorio onde la sussistenza dell’interesse sotto specie del diritto di difesa”, ma, anche qualora venisse archiviata, “sussisterebbe l’interesse della ricorrente a conoscerla onde tutelare quantomeno la propria reputazione commerciale nelle appropriate sedi anche giurisdizionali”]





Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direz. Territ. del Lavoro di Genova e di Cooperativa Taxisti Genovesi - Co.Ta.Ge. - Società Cooperativa A Responsabilità Limitata;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2015 il dott. Luca Morbelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Con ricorso notificato in data 2 aprile 2015 e depositato in data 14 aprile 2015 la società Uber Italy s.r.l. ha impugnato il provvedimento in epigrafe deducendo la violazione degli artt. 22, 23, 24 l. 241/90, difetto di motivazione e di istruttoria, violazione del diritto di difesa in quanto sarebbero insussistenti i due presupposti fondanti il diniego come ritenuti dall’amministrazione: la genericità della richiesta e l’assenza di interesse attuale all’ostensione dei documenti.
La vicenda trae l’avvio da una denuncia esposto presentato dalla Cooperativa Taxisti Genovesi alla Direzione territoriale del lavoro di Genova contro la ricorrente.
Di tale denuncia esposto la ricorrente ne aveva notizia tramite stampa la stessa, pertanto, formulava l’istanza di accesso ad esito della quale veniva espresso il diniego odiernamente impugnato.
Il ricorso è fondato.
L’interesse richiesto dall’art. 22 l. 241/90 è l’interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento del quale è chiesto l'accesso.
Non pare dubitabile l’interesse della ricorrente alla conoscenza della denuncia quale che possa essere stato l’esito della stessa.
La denuncia potrebbe condurre ad un procedimento sanzionatorio onde la sussistenza dell’interesse sotto specie del diritto di difesa.
Ma anche in ipotesi la denuncia venisse archiviata siccome infondata sussisterebbe l’interesse della ricorrente a conoscerla onde tutelare quantomeno la propria reputazione commerciale nelle appropriate sedi anche giurisdizionali.
L’amministrazione sostiene poi la genericità dell’istanza che sarebbe finalizzata alternativamente a obbligare l’amministrazione a svolgere indagini, ricerche o comunque ad assumere atti risolvendosi in un controllo generalizzato sul suo operato.
Anche simile prospettazione deve essere disattesa.
L’istanza è, infatti, finalizzata ad ottenere un preciso documento detenuto dall’amministrazione. Né la genericità dell’indicazione degli estremi del documento, circostanza questa per certi versi inevitabile quando non si conoscono gli estremi della protocollazione, può essere confusa con la genericità dell’istanza. La prima riguarda gli estremi identificativi di un singolo atto la seconda riguarda l’ambito della richiesta finalizzata all’ostensione di una serie indeterminata di atti.
Nessun controllo generalizzato può ipotizzarsi nella richiesta di copia di una denuncia trattandosi di atto specifico e ben determinato.
Da ultimo il Collegio rileva che l’amministrazione ben avrebbe potuto differire l’accesso ma non avendolo fatto non può opporre la pendenza di un procedimento di istruttorio ovvero sanzionatorio.
In conclusione il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla la nota impugnata, accerta il diritto di accesso della ricorrente alle denunce/esposti a proprio carico esistenti presso la Direzione territoriale del lavoro di Genova, ordina all’amministrazione di consentire alla ricorrente l’accesso mediante visione ed estrazione di copia dei documenti richiesti con istanza 23 febbraio 2015.
Condanna l’amministrazione resistente e la controinteressata, in solido tra loro, al pagamento in favore della ricorrente delle spese di giudizio che si liquidano in complessivi €. 1000, 00 (mille/00) oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

sabato 27 giugno 2015





Corte di Giustizia UE 25 giugno 2015, n. C-664/13

«Rinvio pregiudiziale – Trasporti – Patente di guida – Rinnovo da parte dello Stato membro di rilascio – Condizione di residenza sul territorio di tale Stato membro – Dichiarazione di residenza»











L’articolo 12 della direttiva 2006/126/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, concernente la patente di guida, deve essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro in forza della quale il solo strumento di cui dispone una persona che chiede il rilascio o il rinnovo di una patente di guida in tale Stato membro, per dimostrare che soddisfa il requisito di «residenza normale», ai sensi di tale articolo 12, sul territorio del suddetto Stato membro, come previsto all’articolo 7, paragrafi 1, lettera e), e 3, lettera b), della suddetta direttiva, consiste nel provare l’esistenza di un domicilio dichiarato sul territorio dello Stato membro interessato.














SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)
25 giugno 2015
Nella causa C‑664/13,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Administratīvā apgabaltiesa (Lettonia), con decisione del 5 dicembre 2013, pervenuta in cancelleria il 13 dicembre 2013, nel procedimento
VAS «Ceļu satiksmes drošības direkcija»,
Latvijas Republikas Satiksmes ministrija
contro
Kaspars Nīmanis,
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta da T. von Danwitz, presidente di sezione, C. Vajda, A. Rosas (relatore), E. Juhász e D. Šváby, giudici,
avvocato generale: E. Sharpston
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
–        per il governo lettone, da I. Kalniņš e L. Skolmeistare, in qualità di agenti;
–        per il governo estone, da N. Grünberg, in qualità di agente;
–        per la Commissione europea, da N. Yerrell e E. Kalniņš, in qualità di agenti,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 12 della direttiva 2006/126/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, concernente la patente di guida (GU L 403, pag. 18, e rettifica GU 2009, L 19, pag. 67).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia insorta tra, da un lato, la VAS «Ceļu satiksmes drošības direkcija» (direzione della sicurezza stradale; in prosieguo: la «CSDD») e il Latvijas Republikas Satiksmes ministrija (Ministero dei Trasporti della Repubblica di Lettonia) e, dall’altro, il sig. Nīmanis in merito ad un rifiuto di rinnovare la patente di guida dell’interessato.
 Contesto normativo
 Il diritto dell’Unione
3        Il considerando 2 della direttiva 2006/126 è così formulato:
«Le norme relative alle patenti di guida sono elementi indispensabili della politica comune dei trasporti, contribuiscono a migliorare la sicurezza della circolazione stradale, nonché ad agevolare la libera circolazione delle persone che trasferiscono la propria residenza in uno Stato membro diverso da quello che ha rilasciato la patente di guida (...)».
4        Secondo il considerando 8 di tale direttiva, per rispondere ad esigenze imprescindibili di sicurezza della circolazione, è necessario fissare condizioni minime per il rilascio della patente di guida.
5        Il considerando 15 di detta direttiva così recita:
«Per motivi di sicurezza, è opportuno che gli Stati membri possano applicare le loro disposizioni nazionali in materia di ritiro, sospensione, rinnovo e annullamento della patente di guida a qualsiasi titolare che abbia acquisito la residenza normale nel loro territorio».
6        In conformità all’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2006/126, «[l]e patenti di guida rilasciate dagli Stati membri sono riconosciute reciprocamente dai medesimi».
7        L’articolo 7 di tale direttiva così dispone:
«1.      Il rilascio della patente di guida è subordinat[o]:
a)      al superamento di una prova di verifica delle capacità e dei comportamenti e di una prova di controllo delle cognizioni, nonché al soddisfacimento di norme mediche, conformemente alle disposizioni degli allegati II e III;
(...)
e)      alla residenza normale o alla prova della qualità di studente per un periodo di almeno sei mesi nel territorio dello Stato membro che rilascia la patente di guida.
(...)
3.      Il rinnovo della patente di guida nel momento in cui scade la sua validità amministrativa è subordinato:
(...)
b)      all’esistenza della residenza normale o alla prova della qualifica di studente nel territorio dello Stato membro che rilascia la patente di guida, per un periodo di almeno sei mesi.
(...)
5.      (...)
Fermo restando l’articolo 2, uno Stato membro che rilascia una patente applica la dovuta diligenza per garantire che una persona soddisfi ai requisiti stabiliti nel paragrafo 1 del presente articolo e applica le disposizioni nazionali riguardanti la revoca o il ritiro dell’abilitazione alla guida qualora si accerti che una patente è stata rilasciata senza che i requisiti fossero soddisfatti».
8        L’articolo 12 della direttiva 2006/126 prevede quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva, per residenza normale si intende il luogo in cui una persona dimora abitualmente, vale a dire per almeno 185 giorni all’anno, per interessi personali e professionali o, nel caso di una persona che non abbia interessi professionali, per interessi personali che rivelino stretti legami tra la persone e il luogo in cui essa abita.
Tuttavia, per residenza normale di una persona i cui interessi professionali sono situati in un luogo diverso da quello degli interessi personali e che pertanto soggiorna alternativamente in luoghi diversi che si trovino in due o più Stati membri, si intende il luogo in cui tale persona ha i propri interessi personali, a condizione che vi ritorni regolarmente. Quest’ultima condizione non è necessaria se la persona effettua un soggiorno in uno Stato membro per l’esecuzione di una missione a tempo determinato. La frequenza di corsi universitari o scolastici non implica il trasferimento della residenza normale».
 Diritto lettone
9        L’articolo 22, paragrafo 1, punto 1, della legge sulla circolazione stradale (Ceļu satiksmes likums), nella sua versione in vigore dal 1° gennaio 2013, stabilisce che il diritto di condurre autoveicoli e la patente di guida possono essere attribuiti a chiunque abbia raggiunto l’età prevista dalla legge e abbia stabilito la propria residenza normale in Lettonia o possa dimostrare di aver studiato in Lettonia nel corso degli ultimi sei mesi.
10      Tale disposizione così recita:
«(...) Ai sensi della presente disposizione, la residenza normale di una persona si trova in Lettonia qualora ricorra una delle seguenti condizioni:
a)      presenza di un interesse personale (attestante lo stretto legame tra la persona in questione e la Lettonia) e di un interesse professionale, per cui il luogo di residenza della persona e il suo domicilio dichiarato per almeno 185 giorni all’anno si trovano in Lettonia;
b)      la persona non ha interessi professionali ma, in presenza di un interesse personale (attestante lo stretto legame tra la persona in questione e la Lettonia), il suo luogo di residenza e il suo domicilio dichiarato si trovano in Lettonia;
c)      la persona vive all’estero per un interesse professionale ma, in presenza di un interesse personale (attestante lo stretto legame tra la persona in questione e la Lettonia), torna frequentemente in Lettonia, paese in cui risiede e mantiene il suo domicilio dichiarato;
d)      la persona mantiene il suo domicilio dichiarato in Lettonia, pur soggiornando all’estero per motivi di studio».
11      Conformemente all’articolo 1 della legge sulla dichiarazione del domicilio (Dzīvesvietas deklarēšanas likums), lo scopo di detta legge consiste nel realizzare la reperibilità di ogni persona nei suoi rapporti giuridici con lo Stato e con l’amministrazione locale.
12      L’articolo 2 di tale legge stabilisce l’obbligo di dichiarare il proprio domicilio e definisce i dati che devono essere comunicati, nonché la procedura di registrazione. Conformemente a tale articolo, la suddetta legge è applicabile alle persone che hanno il proprio domicilio in Lettonia. Peraltro, la dichiarazione di domicilio non genera, di per sé, obblighi di diritto civile.
13      In forza dell’articolo 3 della stessa legge, il domicilio è un luogo (con indirizzo) vincolato a un immobile, liberamente eletto da una persona che, in esso, alloggia con l’intenzione tacita o espressa di vivervi, stabilisce la propria residenza legale e si rende reperibile per quanto attiene ai suoi rapporti giuridici con lo Stato e l’amministrazione locale. Tale articolo prevede inoltre che una persona alloggia legalmente in un determinato immobile qualora lo possieda, abbia stipulato un contratto di locazione relativamente ad esso, sia a fini abitativi che commerciali, oppure abbia acquisito il diritto di utilizzarlo in seguito a matrimonio, vincoli di parentela, affinità o su altra base giuridica o contrattuale.
 Procedimento principale e questione pregiudiziale
14      Al sig. Nīmanis è stata rilasciata una patente di guida, in Lettonia, il 13 dicembre 2000, allorché il domicilio dichiarato dell’interessato si trovava in tale Stato membro. Il termine di validità di tale patente di guida era stato fissato in 10 anni, conformemente alle regole stabilite dal legislatore lettone.
15      Secondo i dati del registro anagrafico, il sig. Nīmanis non ha più un domicilio dichiarato in Lettonia fin dal febbraio 2002. Tuttavia, l’interessato considera di avere il diritto di ottenere il rinnovo della sua partente di guida in tale Stato membro, in quanto egli vi ha la propria residenza normale.
16      Per ottenere tale rinnovo, il sig. Nīmanis si è rivolto alla CSDD, la quale ha constatato, in sede di esame dei dati del suddetto registro, che il sig. Nīmanis non aveva un domicilio dichiarato in Lettonia.
17      Il 30 dicembre 2010, la CSDD ha adottato una decisione di rifiuto di fornire un servizio, atteso che, per ottenere tale servizio, il sig. Nīmanis avrebbe dovuto risiedere in Lettonia per almeno 185 giorni e dichiarare il proprio domicilio conformemente alla procedura prevista dalla normativa lettone.
18      Dopo aver esaminato il ricorso proposto dal sig. Nīmanis, il Latvijas Republikas Satiksmes ministrija ha considerato, con una decisione del 3 febbraio 2011, che tale decisione della CSDD era conforme alle disposizioni dell’articolo 22 della legge sulla circolazione stradale.
19      Il sig. Nīmanis ha proposto dinanzi all’Administratīvā rajona tiesa (tribunale amministrativo distrettuale), un ricorso diretto ad ottenere un atto amministrativo a lui favorevole, vale a dire il rinnovo della propria patente di guida.
20      Con decisione del 3 giugno 2011, pronunciata dall’Administratīvā apgabaltiesa (Corte amministrativa regionale), sono state adottate talune misure provvisorie che obbligano la CSDD a rinnovare la patente di guida del sig. Nīmanis.
21      Con decisione del 3 aprile 2012, l’Administratīvā rajona tiesa ha riconosciuto che, conformemente alla normativa vigente, la CSDD non poteva far valere il requisito relativo al domicilio dichiarato, atteso che, alla data del diniego di rinnovo della patente di guida del sig. Nīmanis, la normativa lettone non prevedeva specificamente la necessità che l’interessato avesse un domicilio dichiarato in Lettonia al fine di ottenere il rinnovo della sua patente di guida in tale Stato membro.
22      Lo stesso giudice ha quindi considerato infondata la decisione del Latvijas Republikas Satiksmes ministrija, secondo la quale solo il domicilio dichiarato poteva costituire la prova che l’interessato ha la propria residenza normale in Lettonia, ovvero risiede in tale Stato membro per più di 185 giorni all’anno. Tali circostanze potrebbero altresì essere provate con altri elementi e non solo con le informazioni riportate nel registro anagrafico per quanto riguarda il domicilio dichiarato dell’interessato.
23      Il giudice del rinvio precisa che l’Administratīvā rajona tiesa non ha affatto constatato che, nel caso di specie, la cittadinanza del sig. Nīmanis era oggetto di contestazione, né che erano stati forniti altri elementi di prova, secondo i quali egli non aveva la propria residenza normale in Lettonia o risiedeva in tale Stato membro meno di 185 giorni all’anno.
24      La CSDD ha impugnato la decisione dell’Administratīvā rajona tiesa dinanzi al giudice del rinvio, facendo valere, segnatamente, i seguenti argomenti.
25      La direttiva 2006/126 prevederebbe una normativa applicabile all’intero territorio degli Stati membri dell’Unione, al fine di stabilire una procedura unica e criteri uniformi per la concessione delle patenti di guida, nonché per garantire, da un lato, che non si abusi della possibilità di ottenere una patente di guida in un altro Stato membro qualora, a causa di determinate circostanze, non sia possibile ottenere tale patente nello Stato membro di residenza, e, dall’altro, che il luogo del domicilio rappresenti solo uno dei criteri previsti per il rilascio di una patente di guida. La CSDD aggiunge che se il sig. Nīmanis volesse ottenere il rinnovo della propria patente di guida in uno Stato membro diverso dalla Repubblica di Lettonia, lo stesso criterio sarebbe oggetto di verifica anche in tale Stato membro. Anche ai fini del rilascio di una patente di guida a cittadini di un altro Stato membro, la CSDD applicherebbe i criteri previsti dalla legge sulla circolazione stradale e dalle disposizioni esecutive adottate dal Consiglio dei ministri. Pertanto, se l’interessato non ha dichiarato di avere il proprio domicilio in Lettonia e nessuna informazione a tal proposito risulta dal registro anagrafico, il rilascio della patente di guida viene negato.
26      Inoltre, la dichiarazione di domicilio non sarebbe una mera formalità, atteso che essa sarebbe essenziale anche ad altri fini.
27      Il Latvijas Republikas Satiksmes ministrija ha sostenuto la CSDD nell’ambito dell’impugnazione proposta nei confronti della decisione dell’Administratīvā rajona tiesa.
28      Il giudice del rinvio precisa che, conformemente alla giurisprudenza dei giudici lettoni, per esaminare una domanda diretta ad ottenere l’adozione di un atto amministrativo favorevole, il giudice deve valutare se, nelle circostanze della causa di cui è investito, il ricorrente abbia il diritto di ottenere il rilascio di un atto del genere. Inoltre, secondo lo stesso giudice, la causa deve essere esaminata conformemente alle circostanze di fatto e di diritto constatate al momento del suo esame. Il giudice non può pronunciare una decisione con la quale impone un obbligo alle autorità in applicazione di disposizioni legislative non più in vigore.
29      Per pronunciarsi su una domanda diretta ad ottenere l’adozione di un atto amministrativo favorevole, vale a dire, nel caso di specie, il rinnovo di una patente di guida, il giudice del rinvio dovrebbe prendere in considerazione, conformemente a tale giurisprudenza, il contesto normativo vigente al momento dell’adozione di tale decisione.
30      Il giudice del rinvio constata che la normativa contenuta all’articolo 22 della legge sulla circolazione stradale, che prevede una condizione secondo la quale, per ottenere il rilascio di una patente di guida, è necessario avere un domicilio dichiarato in Lettonia, è stata adottata a seguito della trasposizione della direttiva 2006/126 nel diritto lettone.
31      Al fine di statuire sul procedimento principale, occorrerebbe determinare se le informazioni riportate nel registro anagrafico per quanto riguarda il domicilio dichiarato sul territorio lettone costituiscano il solo strumento con il quale il sig. Nīmanis può dimostrare di avere la propria residenza normale in Lettonia, per ottenere il rinnovo della propria patente di guida.
32      Secondo il giudice del rinvio, l’obiettivo della dichiarazione di domicilio prevista nell’ordinamento lettone consiste nel garantire che ciascuno possa essere contattato nell’ambito dei suoi rapporti con lo Stato. L’assenza di domicilio dichiarato non significherebbe, di per sé, che la persona non risiede in Lettonia.
33      Peraltro, tale giudice sottolinea che se una persona ha la propria residenza normale in Lettonia, pur senza avere un domicilio dichiarato in detto Stato membro, tale persona non ha neanche il diritto, in ragione della sua residenza normale, di ottenere il rilascio di una patente di guida in un altro Stato membro, atteso che essa non soddisfa il requisito relativo alla residenza normale in tale altro Stato membro, come previsto dalla direttiva 2006/126.
34      Poiché nutriva dubbi circa la conformità della normativa lettone con l’articolo 12 della direttiva 2006/126 nonché con gli obiettivi di quest’ultima, come definiti al suo considerando 2, vale a dire il miglioramento della sicurezza stradale e l’agevolazione della libera circolazione delle persone che trasferiscono la propria residenza in uno Stato membro diverso dallo Stato di rilascio della patente, l’Administratīvā apgabaltiesa ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’articolo 12 della direttiva 2006/126, in combinato disposto con il considerando 2, prima frase, di tale direttiva, debba essere interpretato nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro secondo cui l’unico mezzo per dimostrare la residenza normale di una persona in detto Stato (Lettonia) è costituito dal domicilio dichiarato di tale persona. L’espressione “domicilio dichiarato” deve essere intesa come l’obbligo della persona, ai sensi della normativa nazionale, di iscriversi a un registro nazionale per comunicare la sua reperibilità all’indirizzo dichiarato ai fini dei rapporti giuridici intrattenuti con lo Stato e con l’amministrazione locale».
 Sulla questione pregiudiziale
35      Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 12 della direttiva 2006/126 debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale il solo strumento di cui dispone una persona che chiede il rilascio o rinnovo di una patente di guida in tale Stato membro, per dimostrare che soddisfa il requisito di «residenza normale», ai sensi di tale articolo 12, sul territorio dello Stato membro di rilascio e di rinnovo di una patente di guida, previsto all’articolo 7, paragrafi 1, lettera e), e 3, lettera b), della suddetta direttiva (in prosieguo: il «requisito di residenza normale»), consiste nel provare l’esistenza di un domicilio dichiarato sul territorio dello Stato membro interessato.
36      In via preliminare, occorre constatare che il rispetto del requisito di residenza normale costituisce un elemento essenziale del sistema istituito da tale direttiva, la cui chiave di volta è costituita dal principio del riconoscimento reciproco delle patente di guida (v., in tal senso, sentenza Hofmann, C‑419/10, EU:C:2012:240, punto 78 e giurisprudenza ivi citata).
37      La Corte ha già statuito che il requisito di residenza contribuisce, in particolare, a combattere il «turismo delle patenti di guida» in assenza di un’armonizzazione completa delle normative degli Stati membri relative al rilascio delle patenti di guida e che tale requisito è indispensabile per il controllo del rispetto del requisito dell’idoneità alla guida [v., per quanto riguarda il requisito di residenza normale previsto all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 91/439/CEE del Consiglio, del 29 luglio 1991, concernente la patente di guida (GU L 237, pag. 1), sentenze Wiedemann e Funk, C‑329/06 e C‑343/06, EU:C:2008:366, punto 69; Zerche e a., da C‑334/06 a C‑336/06, EU:C:2008:367, punto 66, e Grasser, C‑184/10, EU:C:2011:324, punto 27].
38      La Corte ha quindi affermato che, in certi casi, il mancato rispetto del requisito di residenza normale è sufficiente, di per sé solo, a giustificare il rifiuto, da parte di uno Stato membro, di riconoscere la patente di guida rilasciata da un altro Stato membro [v., per quanto riguarda il requisito di residenza normale previsto all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 91/439, sentenze Apelt, C‑224/10, EU:C:2011:655, punto 34, e Akyüz, C‑467/10, EU:C:2012:112, punto 61].
39      Solo lo Stato membro di rilascio della patente di guida è competente per verificare il rispetto del requisito di residenza normale (v., in tal senso, ordinanza Wierer, C‑445/08, EU:C:2009:443, punto 55). Ciò vale anche per quanto riguarda lo Stato membro nel quale il titolare di una patente chiede il rinnovo di quest’ultima.
40      Di conseguenza, occorre che le autorità responsabili del rilascio e del rinnovo delle patenti di guida in uno Stato membro possano accertarsi in modo affidabile che il richiedente soddisfi effettivamente il requisito di residenza normale.
41      L’articolo 7, paragrafo 5, secondo comma, della direttiva 2006/126 prevede, in tale contesto, che lo Stato membro che rilascia una patente di guida applica la dovuta diligenza per garantire che l’interessato soddisfi i requisiti stabiliti all’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, tra i quali figura il requisito di residenza normale.
42      Orbene, se da un lato l’articolo 12 della direttiva 2006/126 definisce i criteri che consentono di stabilire ciò che occorre intendere per «residenza normale», ai fini dell’applicazione di tale direttiva, occorre dall’altro constatare che quest’ultima non contiene alcuna disposizione che precisi le modalità di prova dell’esistenza di una residenza siffatta dinanzi alle autorità responsabili del rilascio e del rinnovo delle patente di guida.
43      Se è vero, da una parte, che le modalità di prova del rispetto del requisito di residenza normale dinanzi alle autorità responsabili della rilascio e del rinnovo delle patenti di guida rientrano nella competenza degli Stati membri e, dall’altra, che la direttiva 2006/126 fissa unicamente, come risulta dal suo considerando 8, condizioni minime per il rilascio della patente di guida da parte degli Stati membri, discende tuttavia dall’articolo 12 di tale direttiva, in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafi 1, lettera e), e 3, lettera b), di quest’ultima, che il risultato da raggiungere, da parte degli Stati membri, conformemente a tali disposizioni, consiste nel determinare se siano soddisfatti i criteri, riportati al suddetto articolo 12, che consentono di dimostrare che una persona ha la propria residenza normale sul loro territorio, al fine di verificare se tale persona soddisfi il requisito di residenza normale.
44      Pertanto, le modalità di prova del rispetto del requisito di residenza normale non devono andare al di là di quanto necessario per consentire alle autorità competenti dello Stato membro di rilascio e di rinnovo delle patenti di guida di garantire che l’interessato rispetta tale requisito alla luce dei criteri di cui all’articolo 12 della direttiva 2006/126.
45      A tal fine, il fatto che uno Stato membro subordini il rilascio e il rinnovo di una patente di guida all’obbligo di avere un domicilio dichiarato sul proprio territorio sembra costituire uno strumento appropriato, idoneo a facilitare la verifica, da parte delle autorità competenti, del rispetto del requisito di residenza normale.
46      Tuttavia, l’obbligo assoluto di avere un domicilio dichiarato sul territorio di uno Stato membro e, quindi, il rifiuto opposto al richiedente una patente di guida di ricorrere ad altri mezzi di prova per dimostrare che egli soddisfa i criteri previsti all’articolo 12 della direttiva 2006/126, vanno al di là di quanto necessario per consentire alle autorità competenti di garantire che l’interessato rispetta il requisito di residenza normale.
47      Infatti, per quanto riguarda il requisito di residenza normale, l’articolo 12 della direttiva 2006/126 prevede una serie di criteri oggettivi che consentono di accertare se il richiedente ha la propria residenza normale sul suddetto territorio.
48      Orbene, è immaginabile che un richiedente soddisfi tali criteri, che consentono di accertare che egli ha la propria residenza normale sul territorio di uno Stato membro, pur non avendo un domicilio dichiarato in tale Stato membro, il che sembra essere il caso del sig. Nīmanis. Di conseguenza, a tale richiedente potrebbe, e anzi dovrebbe, essere negato il rilascio di una patente di guida anche in altri Stati membri sulla base del requisito di residenza normale, in quanto egli non vi ha la propria residenza normale, ai sensi dell’articolo 12 della direttiva 2006/126.
49      L’interessato potrebbe quindi essere privato della possibilità di ottenere una patente di guida nell’Unione, sebbene egli abbia la propria residenza normale, ai sensi dell’articolo 12 della direttiva 2006/126, sul territorio di uno Stato membro.
50      Peraltro, una normativa di uno Stato membro in forza della quale l’unico strumento di cui dispone il richiedente una patente di guida, per dimostrare alle autorità competenti che egli soddisfa il requisito di residenza normale, consiste nel dimostrare l’esistenza di una dichiarazione di domicilio dell’interessato sul territorio di tale Stato membro presenta un carattere troppo esclusivo. Invero, una normativa siffatta privilegia un elemento che non riflette l’insieme dei criteri previsti all’articolo 12 della direttiva 2006/126, in quanto esclude qualsiasi altro elemento rappresentativo delle situazioni menzionate al suddetto articolo.
51      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sollevata che l’articolo 12 della direttiva 2006/126 deve essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro in forza della quale il solo strumento di cui dispone una persona che chiede il rilascio o il rinnovo di una patente di guida in tale Stato membro, per dimostrare che soddisfa il requisito di «residenza normale», ai sensi di tale articolo 12, sul territorio del suddetto Stato membro, come previsto all’articolo 7, paragrafi 1, lettera e), e 3, lettera b), della suddetta direttiva, consiste nel provare l’esistenza di un domicilio dichiarato sul territorio dello Stato membro interessato.
 Sulle spese
52      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
L’articolo 12 della direttiva 2006/126/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, concernente la patente di guida, deve essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro in forza della quale il solo strumento di cui dispone una persona che chiede il rilascio o il rinnovo di una patente di guida in tale Stato membro, per dimostrare che soddisfa il requisito di «residenza normale», ai sensi di tale articolo 12, sul territorio del suddetto Stato membro, come previsto all’articolo 7, paragrafi 1, lettera e), e 3, lettera b), della suddetta direttiva, consiste nel provare l’esistenza di un domicilio dichiarato sul territorio dello Stato membro interessato.
Dal sito http://curia.europa.eu





Corte di Giustizia UE 24 giugno 2015, n. C-373/13

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Frontiere, asilo e immigrazione – Direttiva 2004/83/CE – Articolo 24, paragrafo 1 – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Revoca del permesso di soggiorno – Presupposti – Nozione di “imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico” – Partecipazione di una persona avente lo status di rifugiato alle attività di un’organizzazione figurante nell’elenco delle organizzazioni terroristiche predisposto dall’Unione europea»









1)      La direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, dev’essere interpretata nel senso che un permesso di soggiorno, una volta rilasciato a un rifugiato, può essere revocato o in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, quando sussistono imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ai sensi di tale disposizione, oppure in applicazione dell’articolo 21, paragrafo 3, della richiamata direttiva, quando sussistono motivi per applicare la deroga al principio di non respingimento previsto dall’articolo 21, paragrafo 2, di questa stessa direttiva.
2)      Il sostegno a un’associazione terroristica iscritta nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931/PESC del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, nella versione in vigore alla data dei fatti della controversia principale, può costituire uno degli «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, anche se le condizioni previste dall’articolo 21, paragrafo 2, della stessa non sono riunite. Affinché un permesso di soggiorno rilasciato a un rifugiato possa essere revocato sul fondamento dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, per il motivo che tale rifugiato sostiene siffatta associazione terroristica, le autorità competenti sono tuttavia tenute a procedere, sotto il controllo dei giudici nazionali, a una valutazione individuale degli elementi di fatto specifici relativi alle azioni sia dell’associazione sia del rifugiato di cui trattasi. Quando uno Stato membro decide di allontanare un rifugiato il cui permesso di soggiorno è stato revocato, ma sospende l’esecuzione di tale decisione, è incompatibile con la richiamata direttiva privarlo dell’accesso alle prestazioni garantite dal capo VII della medesima, salvo che trovi applicazione un’eccezione espressamente prevista da questa stessa direttiva.












SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
24 giugno 2015
Nella causa C‑373/13,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Verwaltungsgerichtshof Baden‑Württemberg (Germania), con decisione del 27 maggio 2013, pervenuta in cancelleria il 2 luglio 2013, nel procedimento
H.T.
contro
Land Baden-Württemberg,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta da A. Tizzano, presidente di sezione, S. Rodin, A. Borg Barthet, E. Levits e M. Berger (relatore), giudici,
avvocato generale: E. Sharpston
cancelliere: A. Impellizzeri, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 4 giugno 2014,
considerate le osservazioni presentate:
–        per H.T., da B. Pradel, Rechtsanwalt;
–        per il governo tedesco, da T. Henze, A. Lippstreu e A. Wiedmann, in qualità di agenti;
–        per il governo ellenico, da M. Michelogiannaki, in qualità di agente;
–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da M. Russo, avvocato dello Stato;
–        per la Commissione europea, da M. Condou-Durande e W. Bogensberger, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’11 settembre 2014,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 21, paragrafi 2 e 3, e 24, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. T. e il Land Baden-Württemberg in merito a una decisione che ha pronunciato l’espulsione del sig. T. dal territorio della Repubblica federale di Germania e ha revocato il suo permesso di soggiorno.
 Contesto normativo
 Il diritto internazionale
 La Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati
3        L’articolo 28 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], ed entrata in vigore il 22 aprile 1954 (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»), come completata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati del 31 gennaio 1967, entrato a sua volta in vigore il 4 ottobre 1967, al paragrafo 1, rubricato «Documento di viaggio», così prevede:
«Gli Stati contraenti concederanno ai rifugiati residenti regolarmente sul loro territorio dei documenti di viaggio destinati a permettere loro di viaggiare al di fuori di detto territorio, a meno che imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico vi si oppongano (...)».
4        L’articolo 32 della Convenzione di Ginevra, rubricato «Espulsione», al paragrafo 1 così dispone:
«Gli Stati contraenti non espelleranno un rifugiato residente regolarmente sul loro territorio, se non per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico».
5        L’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, intitolato «Divieto di espulsione e di respingimento (refoulement)» stabilisce:
«1.      Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere (refouler) – in nessun modo – un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche.
2.      Il beneficio di detta disposizione non potrà tuttavia essere invocato da un rifugiato per il quale vi siano gravi motivi per considerarlo un pericolo per la sicurezza dello Stato in cui si trova, oppure da un rifugiato il quale, essendo stato oggetto di una condanna già passata in giudicato per un crimine o un delitto particolarmente grave, rappresenti una minaccia per la comunità di detto Stato».
 Le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
6        Il 28 settembre 2001 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1373 (2001) il cui preambolo ribadisce in particolare «la necessità di lottare con tutti i mezzi, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite, contro le minacce alla pace e alla sicurezza internazionali derivanti dagli atti terroristici».
7        Al punto 5 di detta risoluzione, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dichiara «che gli atti, metodi e pratiche terroristici sono contrari alle finalità e ai principi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e che il finanziamento e l’organizzazione di atti terroristici o l’istigazione a commettere tali atti, compiuti scientemente, sono altresì contrari alle finalità e ai principi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite».
8        Il punto 5 della risoluzione 1377 (2001) del 12 novembre 2001 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, concernente la minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali derivanti da atti terroristici, sottolinea «che gli atti di terrorismo internazionale sono contrari alle finalità e ai principi enunciati nella Carta delle Nazioni Unite e che il finanziamento, la pianificazione e la preparazione degli atti di terrorismo internazionale, come tutte le altre forme di sostegno a tal fine, sono del pari contrari alle finalità e ai principi in [essa] enunciati».
 Il diritto dell’Unione
9        I considerando 3, 6, 10, 16, 22, 28 e 30 della direttiva 2004/83 così recitano:
«(3)      La convenzione di Ginevra ed il relativo protocollo costituiscono la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati.
(...)
(6)      Lo scopo principale della presente direttiva è quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri.
(...)
(10)      La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Essa mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della dignità umana, il diritto di asilo dei richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito.
(...)
(14)      Il riconoscimento dello status di rifugiato è un atto declaratorio.
(...)
(22)      Gli atti contrari ai fini e ai principi delle Nazioni unite sono enunciati nel preambolo e agli articoli 1 e 2 della carta delle Nazioni unite e si rispecchiano, tra l’altro, nelle risoluzioni delle Nazioni unite relative alle misure di lotta al terrorismo, nelle quali è dichiarato che “atti, metodi e pratiche di terrorismo sono contrari ai fini e ai principi delle Nazioni unite” e che “chiunque inciti, pianifichi, finanzi deliberatamente atti di terrorismo compie attività contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni unite”.
(...)
(28)      Nella nozione di sicurezza nazionale e di ordine pubblico rientrano pure i casi in cui un cittadino di un paese terzo faccia parte di un’organizzazione che sostiene il terrorismo internazionale o sostenga una siffatta organizzazione.
(...)
(30)      Entro i limiti derivanti dagli obblighi internazionali, gli Stati membri possono stabilire che la concessione di prestazioni in materia di accesso all’occupazione, assistenza sociale, assistenza sanitaria e accesso agli strumenti d’integrazione sia subordinata al rilascio di un permesso di soggiorno».
10      L’articolo 13 della direttiva 2004/83, intitolato «Riconoscimento dello status di rifugiato», così recita:
«Gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all’apolide ammissibile quale rifugiato in conformità dei capi II e III».
11      L’articolo 14 di tale direttiva, rubricato «Revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status»:
«(…)
4.      Gli Stati membri hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare di rinnovare lo status riconosciuto a un rifugiato da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario quando:
a)      vi sono fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisce un pericolo per la sicurezza dello Stato membro in cui si trova;
b)      la persona in questione, essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità di tale Stato membro.
(…)
6.      Le persone cui si applicano i paragrafi 4 o 5 godono dei diritti analoghi conferiti dagli articoli 3, 4, 16, 22, 31, 32 e 33 della convenzione di Ginevra, o di diritti analoghi, purché siano presenti nello Stato membro».
12      L’articolo 21 della richiamata direttiva, intitolato «Protezione dal respingimento», così dispone:
«1.      Gli Stati membri rispettano il principio di “non refoulement” in conformità dei propri obblighi internazionali.
2.      Qualora non sia vietato dagli obblighi internazionali previsti dal paragrafo 1, gli Stati membri possono respingere un rifugiato, formalmente riconosciuto o meno, quando:
a)      vi siano ragionevoli motivi per considerare che detta persona rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato membro nel quale si trova; o
b)      che, essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, detta persona costituisca un pericolo per la comunità di tale Stato membro.
3.      Gli Stati membri hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare il rinnovo o il rilascio di un permesso di soggiorno di un (o a un) rifugiato al quale si applichi il paragrafo 2».
13      L’articolo 24 di tale medesima direttiva, rubricato «Permesso di soggiorno», è formulato nei termini seguenti:
«1.      Gli Stati membri rilasciano ai beneficiari dello status di rifugiato, il più presto possibile dopo aver riconosciuto loro lo status, un permesso di soggiorno valido per un periodo di almeno tre anni rinnovabile, purché non vi ostino imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico e fatto salvo l’articolo 21, paragrafo 3.
Fatto salvo l’articolo 23, paragrafo 1, il permesso di soggiorno da rilasciare ai familiari dei beneficiari dello status di rifugiato può essere valido per un periodo inferiore a tre anni e rinnovabile.
2.      Gli Stati membri rilasciano ai beneficiari della protezione sussidiaria, il più presto possibile dopo aver riconosciuto loro lo status, un permesso di soggiorno valido per un periodo non inferiore ad un anno rinnovabile, purché non vi ostino imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico».
14      L’articolo 28 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e rettifica in GU 2004, L 229, pag. 35), rubricato «Protezione contro l’allontanamento», così prevede:
«1.      Prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante tiene conto di elementi quali la durata del soggiorno dell’interessato nel suo territorio, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante e importanza dei suoi legami con il paese d’origine.
2.      Lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell’Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
3.      Il cittadino dell’Unione non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo se la decisione è adottata per motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro, qualora:
a)      abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni; o
b)      sia minorenne, salvo qualora l’allontanamento sia necessario nell’interesse del bambino, secondo quanto contemplato dalla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989».
15      L’articolo 9 della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU 2004, L 16, pag. 44), rubricato «Revoca o perdita dello status», così dispone:
«1.      I soggiornanti di lungo periodo non hanno più diritto allo status di soggiornante di lungo periodo nei casi seguenti:
(...)
b)      adozione di un provvedimento di allontanamento a norma dell’articolo 12;
(...)».
 Il diritto tedesco
16      L’articolo 11 della legge in materia di soggiorno, lavoro e integrazione degli stranieri nel territorio federale (Gesetz über den Aufenthalt, die Erwerbstätigkeit und die Integration von Ausländern im Bundesgebiet), del 30 luglio 2004 (BGBl. 2004 I, pag. 1950), nella versione applicabile ai fatti della controversia principale (in prosieguo: l’«Aufenthaltsgesetz»), rubricato «Divieto d’ingresso e di soggiorno», al paragrafo 1 prevede quanto segue:
«Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione, di respingimento o di accompagnamento alla frontiera non ha più il diritto di fare ingresso nel territorio federale e di soggiornarvi. Non è possibile che gli sia rilasciato un titolo di soggiorno, neanche in presenza dei presupposti previsti a tal fine dalla presente legge (...)».
17      L’articolo 25 dell’Aufenthaltsgesetz, intitolato «Soggiorno per motivi umanitari», così dispone:
«(1)      L’autorizzazione al soggiorno è rilasciata allo straniero al quale è stato riconosciuto il diritto d’asilo tramite un provvedimento non impugnabile. La presente disposizione non si applica allo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione per motivi gravi relativi alla sicurezza nazionale e all’ordine pubblico. Fino al rilascio dell’autorizzazione, il soggiorno si presume autorizzato. L’autorizzazione al soggiorno consente l’esercizio di un’attività professionale.
(2)      L’autorizzazione al soggiorno è rilasciata allo straniero al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato tramite un provvedimento non impugnabile dell’Ufficio federale per le migrazioni e i rifugiati ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della legge sulla procedura di asilo. Il paragrafo 1, frasi dalla seconda alla quarta, si applica per analogia.
(...)
(5)      In deroga all’articolo 11, paragrafo 1, l’autorizzazione al soggiorno può essere rilasciata alla straniero tenuto a lasciare il territorio in forza di un atto esecutivo qualora la sua partenza sia impossibile per motivi di diritto o di fatto e l’eliminazione degli ostacoli alla sua partenza non possa avvenire entro un termine prevedibile. L’autorizzazione al soggiorno è rilasciata trascorsi 18 mesi dalla sospensione dell’allontanamento (...)».
18      L’articolo 51 dell’Aufenthaltsgesetz, intitolato «Cessazione della regolarità del soggiorno, mantenimento delle restrizioni», al paragrafo 1 così prevede:
«Il permesso di soggiorno decade nei casi seguenti:
(...)
5.      Espulsione dello straniero,
(...)».
19      L’articolo 54 dell’Aufenthaltsgesetz, intitolato «Principio dell’espulsione», è formulato nei termini seguenti:
«Uno straniero è espulso in linea di principio quando
(…)
5.      i fatti consentono di concludere che egli appartiene o è appartenuto a un’associazione che sostiene il terrorismo, o che sostiene o ha sostenuto un’associazione di questo tipo; l’espulsione può essere fondata sull’appartenenza o su atti di sostegno precedenti soltanto nei limiti in cui essi siano causa di una minaccia attuale,
(...)».
20      Ai sensi dell’articolo 54a dell’Aufenthaltsgesetz, intitolato «Sorveglianza, per motivi di sicurezza interna, degli stranieri destinatari di un provvedimento di espulsione»:
«(1)      Lo straniero destinatario di una decisione di espulsione esecutiva resa in applicazione dell’articolo 54, punto 5, (...) è soggetto all’obbligo di presentarsi alla stazione di polizia competente per il suo luogo di soggiorno almeno una volta alla settimana, qualora l’Ufficio per gli stranieri non disponga diversamente. Se uno straniero è tenuto a lasciare il territorio in forza di un atto esecutivo adottato per un motivo diverso dalle cause di espulsione contemplate dalla prima frase, l’obbligo di presentazione di cui alla prima frase può essere disposto qualora ciò sia necessario per evitare una minaccia alla sicurezza nazionale e all’ordine pubblico.
(2)      Il suo soggiorno è limitato alla circoscrizione dell’Ufficio per gli stranieri, se quest’ultimo non fissa modalità diverse.
(...)».
21      L’articolo 55 dell’Aufenthaltsgesetz, intitolato «Espulsione nell’ambito del potere discrezionale dell’amministrazione», così dispone:
«(1)      Uno straniero può essere espulso quando il suo soggiorno arreca pregiudizio alla sicurezza nazionale, all’ordine pubblico o ad altri interessi rilevanti della Repubblica federale di Germania.
(...)
(3)      Ai fini della decisione relativa all’espulsione si tiene conto
1.      della durata del soggiorno regolare dello straniero e dei suoi legami personali, economici e di altro tipo sul territorio federale meritevoli di tutela;
2.      delle conseguenze dell’espulsione per i familiari o il partner dello straniero che soggiornano regolarmente nel territorio federale e che vivono insieme a lui nel contesto di una comunità di vita familiare o di coppia;
3.      delle condizioni di sospensione dell’allontanamento di cui all’articolo 60a, paragrafi 2 e 2b».
22      L’articolo 56 dell’Aufenthaltsgesetz, rubricato «Protezione speciale contro l’espulsione», al paragrafo 1 così prevede:
«Lo straniero che
1.      possiede un’autorizzazione di stabilimento e risiede regolarmente da almeno cinque anni nel territorio federale,
(...)
3.      possiede un’autorizzazione al soggiorno, ha regolarmente soggiornato per almeno cinque anni nel territorio federale e vive in regime di matrimonio o di convivenza con un cittadino straniero di cui ai punti 1 e 2,
4.      vive con un familiare tedesco o con un partner tedesco nel contesto di una comunità di vita familiare o di coppia,
5.      ha ottenuto il riconoscimento del diritto di asilo, beneficia nel territorio federale dello status di rifugiato straniero o possiede un documento di viaggio contemplato dalla convenzione del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati (BGBl. 1953 II, pag. 559) e rilasciato da un’autorità della Repubblica federale di Germania,
beneficia di una protezione speciale contro l’espulsione. Egli è espulso unicamente per gravi motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico. Sussistono in linea di principio gravi motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico nei casi previsti dagli articoli 53 e 54, punti da 5 a 5b e 7. Qualora siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 53, lo straniero viene di norma espulso. Se le condizioni di cui all’articolo 54 sono soddisfatte, è adottata una decisione sulla sua espulsione nell’ambito del potere discrezionale dell’amministrazione».
23      L’articolo 60 dell’Aufenthaltsgesetz, intitolato «Divieto di allontanamento», è formulato nei termini seguenti:
«(1)      In applicazione della convenzione del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati (BGBl. 1953 II, pag. 559), uno straniero non può essere espulso verso uno Stato ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche. Tale disposizione si applica anche ai beneficiari del diritto di asilo e agli stranieri che hanno ottenuto lo status di rifugiato tramite un atto non impugnabile o che beneficiano, per altri motivi, dello status di rifugiati stranieri nel territorio federale o che sono stati riconosciuti al di fuori del territorio federale come rifugiati stranieri conformemente alla [Convenzione di Ginevra] (...)
(...)
(8)      Il paragrafo 1 non si applica quando, per gravi motivi, lo straniero dev’essere considerato un pericolo per la sicurezza della Repubblica federale di Germania o quando, prima di avere subito una condanna definitiva a una pena detentiva di durata pari o superiore a tre anni per un reato particolarmente grave, costituisce un pericolo per la comunità. La presente disposizione si applica anche ove lo straniero soddisfi le condizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della legge sulla procedura di asilo.
(9)      Nei casi previsti dal paragrafo 8, uno straniero che ha presentato domanda di asilo può, in deroga alle disposizioni della legge sulla procedura di asilo, essere destinatario di un provvedimento di allontanamento che può essere eseguito (...)
(...)».
24      L’articolo 60a dell’Aufenthaltsgesetz, rubricato «Sospensione temporanea dell’allontanamento (tolleranza)», così dispone:
«(...)
(2)      L’allontanamento dello straniero è sospeso durante il periodo in cui tale allontanamento è impossibile per motivi di fatto e di diritto e non è stata rilasciata un’autorizzazione al soggiorno. (...)
(3)      La sospensione dell’allontanamento di uno straniero lascia impregiudicato il suo obbligo di lasciare il territorio.
(...)».
25      L’articolo 18 della legge che fissa il regime pubblico delle associazioni (Gesetz zur Regelung des öffentlichen Vereinsrechts), del 5 agosto 1964 (BGBl. 1964 I, pag. 593), nella versione applicabile ai fatti della controversia principale (in prosieguo: il «Vereinsgesetz»), rubricato «Ambito di applicazione territoriale dei divieti di associazioni», così prevede:
«I divieti che colpiscono associazioni aventi sede fuori dal territorio in cui si applica la presente legge, ma che dispongono di sotto‑organizzazioni all’interno di tale territorio, si applicano unicamente a queste ultime. Qualora l’associazione non abbia alcuna organizzazione nel territorio in cui si applica tale legge, il divieto (articolo 3, paragrafo 1) riguarda la sua attività in detto territorio».
26      L’articolo 20 del Vereinsgesetz, rubricato «Violazioni dei divieti», al paragrafo 1 così dispone:
«Chiunque, con un’attività esercitata nel territorio in cui si applica la presente legge,
(...)
4.      contravvenga a un divieto esecutivo imposto in applicazione dell’articolo 14, paragrafo 3, prima frase, o dell’articolo 18, seconda frase,
(...)
sarà punito con la pena della reclusione non superiore a un anno o con una pena pecuniaria se l’atto non è punito ai sensi degli articoli 84, 85, 86a, o degli articoli da 129 a 129b del codice penale (...)
(...)».
 Procedimento principale e questioni pregiudiziali
27      Il sig. T., nato nel 1956, è un cittadino turco di origine curda che dal 1989 vive in Germania con la moglie, anch’essa cittadina turca, e i loro otto figli comuni, dei quali cinque sono cittadini tedeschi.
28      Dal 24 giugno 1993 il sig. T. è riconosciuto come rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra. Tale riconoscimento è stato motivato dalle attività politiche che egli svolgeva in esilio a favore del «partito dei lavoratori del Kurdistan» (in prosieguo: il «PKK») nonché dalla persecuzione politica di cui rischiava di essere vittima nel caso di un suo ritorno in Turchia.
29      Dal 7 ottobre 1993 il sig. T. è in possesso di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato in Germania.
30      Con decisione del 21 agosto 2006 le autorità competenti hanno revocato lo status di rifugiato del sig. T., in quanto la situazione politica in Turchia era cambiata e, di conseguenza, egli non poteva più essere considerato a rischio di persecuzione in tale paese.
31      Tale decisione è stata annullata da una sentenza del Verwaltungsgericht Karlsruhe (tribunale amministrativo di Karlsruhe, Germania) del 30 novembre 2007, cosicché il sig. T. ha conservato lo status di rifugiato.
32      Durante gli anni 90 il sig. T. si è dedicato, in forme diverse, ad attività politiche a favore del PKK e di organizzazioni collegate a quest’ultimo o che gli erano succedute.
33      Con decisione del 22 novembre 1993 il Ministro federale dell’Interno ha vietato al PKK e ad altre organizzazioni collegate a tale partito di svolgere attività in Germania.
34      Sul fondamento dell’articolo 20 del Vereinsgesetz, le autorità competenti hanno avviato un procedimento penale a carico del sig. T. a causa del sostegno che egli aveva fornito al PKK, dopo avere ottenuto elementi a suo carico durante una perquisizione presso il suo domicilio. Nel corso del procedimento è stato accertato che l’interessato aveva raccolto offerte per conto del PKK e aveva occasionalmente distribuito il periodico Serxwebûn, pubblicato dal PKK.
35      Con sentenza del 3 dicembre 2008 il Landgericht Karlsruhe (tribunale regionale di Karlsruhe) ha condannato il sig. T. a una pena pecuniaria di EUR 3 000 per violazione del divieto di attività alla luce del diritto delle associazioni. Poiché il ricorso contro tale sentenza è stato respinto dal Bundesgerichtshof (Corte di giustizia federale), quest’ultima è divenuta definitiva l’8 aprile 2009.
36      Con decisione del 27 marzo 2012 il Regierungspräsidium Karlsruhe (consiglio regionale della città di Karlsruhe) ha disposto, in nome del Land Baden-Württemberg, l’espulsione del sig. T. dalla Repubblica federale di Germania (in prosieguo: la «decisione di espulsione»). Tale decisione, fondata sul combinato disposto degli articoli 54, punto 5, 55 e 56 dell’Aufenthaltsgesetz, è stata motivata dal fatto che il sig. T. aveva compiuto atti di sostegno a favore del PKK fino a una data avanzata del 2011 e che egli presentava quindi una «pericolosità attuale» ai sensi dell’articolo 54, punto 5, dell’Aufenthaltsgesetz. Detta decisione ha inoltre imposto all’interessato, conformemente all’articolo 54a dell’Aufenthaltsgesetz, di presentarsi due volte alla settimana presso la stazione di polizia competente e ha limitato la sua libertà di circolazione al solo territorio della città di Mannheim (Germania), nella quale si trovava il suo domicilio. Da ultimo, in forza dell’articolo 51, paragrafo 1, dell’Aufenthaltsgesetz, questa stessa decisione ha comportato di pieno diritto la decadenza del permesso di soggiorno che era stato rilasciato al sig. T.
37      Tuttavia, in considerazione della comunità di vita familiare che il sig. T. formava con la moglie e i figli minori e tenuto conto del permesso di soggiorno a tempo indeterminato che gli era stato rilasciato in precedenza, del diritto di asilo che gli era stato conferito e dello status di rifugiato riconosciutogli, la decisione di espulsione è intervenuta nell’ambito del potere discrezionale dell’amministrazione sul fondamento dell’articolo 56, paragrafo 1, dell’Aufenthaltsgesetz e l’autorità competente ha deciso di sospendere l’allontanamento del sig. T. Il ricorso proposto da quest’ultimo avverso tale decisione è stato respinto con sentenza del Verwaltungsgericht Karlsruhe del 7 agosto 2012.
38      Il sig. T. ha interposto appello avverso tale sentenza presso il giudice del rinvio e quest’ultimo ha dichiarato l’appello ricevibile con ordinanza del 28 novembre 2012. Detto giudice esprime dubbi sull’annullamento del permesso di soggiorno del sig. T., e si chiede pertanto se la decisione di espulsione possa essere giustificata alla luce degli articoli 21, paragrafi 2 e 3, e 24 della direttiva 2004/83. Il Verwaltungsgerichtshof Baden‑Württemberg (tribunale amministrativo superiore del Baden‑Württemberg) considera, in particolare, che l’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 24, paragrafo 1, primo comma, di tale direttiva di rilasciare ai beneficiari dello status di rifugiato un permesso di soggiorno valido per almeno tre anni comporta il divieto di annullare tale permesso di soggiorno o un permesso esistente, qualora non esistano motivi per i quali il rilascio di un permesso di soggiorno possa essere rifiutato a priori.
39      In tale contesto, il Verwaltungsgerichtshof Baden‑Württemberg ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      a)      Se la norma di cui all’articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2004/83, sull’obbligo degli Stati membri di rilasciare un permesso di soggiorno alle persone cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato, debba essere osservata anche in caso di revoca di un permesso di soggiorno precedentemente rilasciato.
b)      Se tale norma debba essere quindi interpretata nel senso che osta alla revoca o alla cessazione del permesso di soggiorno (ad esempio attraverso un’espulsione disposta ai sensi del diritto nazionale) di un rifugiato riconosciuto qualora non siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 21, paragrafo 3, in combinato disposto con il paragrafo 2, della direttiva 2004/83, e non sussistano “imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico” ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, primo comma, [di tale direttiva].
2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione, lettere a) e b):
a)      Come debba essere interpretata la causa di esclusione costituita dagli “imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico” di cui all’articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2004/83 in relazione ai rischi derivanti dall’attività di sostegno a un’associazione terroristica.
b)      Se si possano ravvisare “imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico” ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2004/83 nel caso in cui un rifugiato riconosciuto abbia sostenuto il PKK in particolare mediante la raccolta di offerte e la costante partecipazione a manifestazioni vicine al PKK, anche se non sono soddisfatte le condizioni per disattendere il principio di “non refoulement” a norma dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra e quindi neppure le condizioni dell’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2004/83.
3)      In caso di risposta negativa alla prima questione, lettera a):
Se la revoca o la cessazione del permesso di soggiorno concesso a un rifugiato riconosciuto (ad esempio attraverso un’espulsione disposta ai sensi del diritto nazionale) sia ammissibile, sotto il profilo del diritto dell’Unione, solo in presenza delle condizioni di cui all’articolo 21, paragrafo 3, in combinato disposto con il paragrafo 2, della direttiva 2004/83 o della successiva, identica, disciplina della direttiva 2011/95/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 337, pag. 9)]».
 Sulle questioni pregiudiziali
 Sulla prima e terza questione
40      Con la prima e la terza questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza se, e a quali condizioni, l’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 autorizzi uno Stato membro a revocare il permesso di soggiorno di un rifugiato o a cessare tale permesso di soggiorno sebbene tale disposizione, contrariamente all’articolo 21, paragrafo 3, di detta direttiva, non preveda esplicitamente tale possibilità. In caso affermativo, il giudice chiede se la revoca del permesso di soggiorno sia autorizzata unicamente in applicazione dell’articolo 21, paragrafi 2 e 3 della richiamata direttiva, nel caso in cui il rifugiato non sia più protetto contro il respingimento, o anche in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, della stessa.
41      Per rispondere a tali questioni si deve esaminare la portata rispettiva dell’articolo 21, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2004/83 e dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, nonché i rapporti esistenti tra queste due disposizioni.
42      Secondo l’articolo 21, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, gli Stati membri sono tenuti a rispettare il principio di «non refoulement» in conformità dei propri obblighi internazionali. L’articolo 21, paragrafo 2, della richiamata direttiva, il cui tenore letterale riprende in sostanza quello dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, prevede tuttavia una deroga a tale principio, conferendo agli Stati membri il potere discrezionale di respingere un rifugiato quando ciò non sia loro vietato da tali obblighi internazionali e vi siano ragionevoli motivi per considerare che tale rifugiato rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato membro nel quale si trova o che, essendo stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, detto rifugiato costituisca un pericolo per la comunità di tale Stato membro. Al contrario, l’articolo 21 di detta direttiva nulla prevede per quanto concerne l’espulsione di un rifugiato al di fuori del caso di respingimento.
43      Qualora la situazione di un rifugiato soddisfi le condizioni previste dall’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2004/83, gli Stati membri, avendo il potere discrezionale di respingere un rifugiato o di non respingerlo, dispongono di tre opzioni. In primo luogo, possono procedere al respingimento del rifugiato di cui trattasi. In secondo luogo, possono espellere il rifugiato verso uno Stato terzo in cui egli non rischia di essere perseguitato o di essere vittima di danni gravi ai sensi dell’articolo 15 di tale direttiva. In terzo luogo, essi possono autorizzare il rifugiato a rimanere nel loro territorio.
44      Quando il respingimento è possibile in forza dell’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2004/83, gli Stati membri hanno anche la facoltà, conformemente all’articolo 21, paragrafo 3, di detta direttiva, di revocare, di cessare o di rifiutare il rinnovo di un permesso di soggiorno. Infatti, una volta che il rifugiato è soggetto a respingimento, non è più necessario che gli venga rilasciato un permesso di soggiorno, che egli continui ad esserne in possesso o che ne ottenga il rinnovo. Di conseguenza, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 62 delle sue conclusioni, se un rifugiato non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 21, paragrafo 2, della richiamata direttiva, l’articolo 21, paragrafo 3, di quest’ultima non può trovare applicazione. Pertanto, quando uno Stato membro avvia un procedimento nei confronti di un rifugiato, in circostanze analoghe a quelle del procedimento principale, ma non può respingerlo in quanto le condizioni richieste dall’articolo 21, paragrafo 2, della medesima direttiva non sono soddisfatte, il permesso di soggiorno di tale rifugiato non può essere revocato sul fondamento dell’articolo 21, paragrafo 3, della direttiva 2004/83.
45      Si pone allora la questione se, in tali circostanze, uno Stato membro possa comunque, compatibilmente con tale direttiva, revocare il permesso di soggiorno di un rifugiato ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della richiamata direttiva.
46      In proposito si deve constatare che tale disposizione prevede esplicitamente solo la possibilità di non rilasciare un permesso di soggiorno, e non quella di revocarlo o di cessarlo. In particolare, essa obbliga gli Stati membri a rilasciare al rifugiato, il più presto possibile, un permesso di soggiorno valido per un periodo di almeno tre anni rinnovabile. A tale obbligo si può derogare soltanto se vi ostino imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico.
47      Orbene, nonostante l’assenza di disposizioni espresse che autorizzino gli Stati membri, sul fondamento dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, a revocare un permesso di soggiorno precedentemente rilasciato a un rifugiato, numerosi argomenti militano a favore di un’interpretazione che consenta agli Stati membri di ricorrere a tale misura.
48      In primo luogo si deve constatare che la lettera dell’articolo 24, paragrafo 1, della citata direttiva non esclude espressamente la possibilità di revocare un permesso di soggiorno.
49      In secondo luogo, la revoca di un permesso di soggiorno risulta conforme alla finalità di tale disposizione. Se è vero che gli Stati membri sono autorizzati a rifiutare il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno ove imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico lo giustifichino, essi devono a maggior ragione essere autorizzati a revocare tale permesso di soggiorno o a cessarlo qualora motivi di questo tipo sopravvengano dopo il suo rilascio.
50      In terzo luogo, tale interpretazione è altresì coerente con l’economia della direttiva 2004/83. Come correttamente osserva la Commissione europea, l’articolo 24, paragrafo 1, della medesima direttiva completa l’articolo 21, paragrafo 3, della stessa, in quanto autorizza implicitamente ma necessariamente lo Stato membro interessato a revocare un permesso di soggiorno, o a cessarlo, anche nei casi in cui le condizioni di cui all’articolo 21, paragrafo 2, della predetta direttiva non sono soddisfatte, qualora imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ai sensi dell’articolo 24 della medesima direttiva lo giustifichino.
51      Ne consegue che gli Stati membri possono revocare un permesso di soggiorno rilasciato a un rifugiato, o cessare tale permesso, sulla base dell’articolo 21, paragrafo 3, della direttiva 2004/83, a condizione che tale rifugiato rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 21, paragrafo 2, di tale direttiva, oppure, se tale ipotesi non si verifica, sulla base dell’articolo 24, paragrafo 1, della medesima direttiva, a condizione che imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico giustifichino tale misura.
52      Inoltre, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 68 delle sue conclusioni, tale interpretazione è corroborata dai lavori preparatori della direttiva 2004/83, i quali evidenziano che l’articolo 24, paragrafo 1, della stessa è stato inserito su proposta della Repubblica federale di Germania in seguito agli attentati che hanno colpito gli Stati Uniti d’America l’11 settembre 2001. Tale disposizione è stata quindi introdotta al fine di offrire agli Stati membri la possibilità di limitare, a talune particolari condizioni, la circolazione dei cittadini degli Stati terzi all’interno dello spazio Schengen, allo scopo di combattere il terrorismo e di contrastare in tal modo le minacce alla sicurezza nazionale e all’ordine pubblico. Da tali considerazioni emerge quindi che detta disposizione conferisce implicitamente agli Stati membri, quando le condizioni da essa previste sono soddisfatte, la possibilità di revocare un permesso di soggiorno rilasciato in precedenza.
53      Tale interpretazione deriva altresì dall’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, di rilasciare ai beneficiari dello status di rifugiato un permesso di soggiorno valido per almeno tre anni, poiché l’obbligo in questione comporta necessariamente, come corollario, la possibilità di revocare tale permesso di soggiorno. In proposito va rammentato, a titolo esemplificativo, che l’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2003/109 prevede espressamente la perdita dello status di soggiornante di lungo periodo in seguito all’adozione di un provvedimento di allontanamento.
54      Da ultimo, in tale contesto, la possibilità per uno Stato membro di revocare il permesso di soggiorno precedentemente rilasciato a un rifugiato risponde a evidenti ragioni logiche. Infatti non si può escludere che, per un motivo puramente fortuito, uno Stato membro che abbia rilasciato un permesso di soggiorno a un rifugiato sia in seguito informato dell’esistenza di fatti commessi da quest’ultimo prima del rilascio del permesso di soggiorno e che, se fossero stati noti a tale Stato membro in tempo utile, avrebbero ostato, per imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, al rilascio di tale permesso. Orbene, sarebbe incompatibile con l’obiettivo perseguito dalla direttiva 2004/83 il fatto che, in una tale situazione, non esista nessuna possibilità di revocare detto permesso di soggiorno già rilasciato. Tale conclusione vale a fortiori quando i fatti addebitati al rifugiato di cui trattasi sono stati commessi dopo il rilascio del permesso di soggiorno di cui trattasi.
55      Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima e alla terza questione dichiarando che la direttiva 2004/83 dev’essere interpretata nel senso che un permesso di soggiorno, una volta rilasciato a un rifugiato, può essere revocato o in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, quando sussistono imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ai sensi di tale disposizione, oppure in applicazione dell’articolo 21, paragrafo 3, della richiamata direttiva, quando sussistono motivi per applicare la deroga al principio di non respingimento previsto dall’articolo 21, paragrafo 2, di tale medesima direttiva.
 Sulla seconda questione
56      Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il sostegno fornito da un rifugiato a un’associazione terroristica possa costituire uno degli «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico» ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, e ciò anche qualora tale rifugiato non rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 21, paragrafo 2, di tale direttiva.
57      Al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio si deve constatare, in via preliminare, che la nozione di «ragionevoli motivi» di cui all’articolo 21, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/83 e quella di «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico» di cui all’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva non sono definite né dalle predette disposizioni né da nessun’altra disposizione della direttiva in parola.
58      In tale contesto, la determinazione del significato e della portata di tali nozioni dev’essere stabilita, secondo una giurisprudenza costante, tenendo conto sia dei termini delle disposizioni di diritto dell’Unione di cui trattasi, sia del contesto delle stesse, nonché degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui esse fanno parte (v., in particolare, sentenze Lundberg, C‑317/12, EU:C:2013:631, punto 19, e Bouman, C‑114/13, EU:C:2015:81, punto 31) e, ove necessario, della genesi di tale normativa (v., per analogia, sentenza Pringle, C‑370/12, EU:C:2012:756, punto 135).
59      Per quanto concerne il tenore letterale degli articoli 21, paragrafo 1, lettera a), e 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, si deve rilevare, come sostiene la Commissione nelle sue osservazioni, che tale direttiva è caratterizzata da divergenze di formulazione tra le sue varie versioni linguistiche – e quindi da un certa incoerenza – per quanto riguarda le condizioni alle quali sono soggette le deroghe previste da tali disposizioni. A ciò si aggiunge il fatto che la versione tedesca dell’articolo 21, paragrafo 2, della predetta direttiva impiega termini diversi da quelli a cui fa ricorso la versione tedesca dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra («stichhaltige Gründe» anziché «schwerwiegende Gründe»), mentre le versioni inglese e francese dell’articolo 21, paragrafo 2, di tale medesima direttiva utilizzano ciascuna il termine che compare nelle versioni inglese e francese dell’articolo 33, paragrafo 2, della citata convenzione («reasonable grounds» e «raisons sérieuses»).
60      In tale contesto occorre ricordare che, conformemente a costante giurisprudenza, quando le versioni linguistiche di un testo differiscono, la norma in questione dev’essere interpretata e applicata in modo uniforme, alla luce delle versioni vigenti in tutte le lingue dell’Unione europea (sentenza M. e a., C‑627/13 e C‑2/14, EU:C:2015:59, punto 48 e giurisprudenza citata).
61      La formulazione utilizzata in una delle versioni linguistiche di una disposizione del diritto dell’Unione non può essere l’unico elemento a sostegno dell’interpretazione di questa disposizione né si può attribuire ad essa, a tal riguardo, un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. Tale modo di procedere sarebbe infatti in contrasto con la necessità di applicare in modo uniforme il diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza M. e a., C‑627/13 e C‑2/14, EU:C:2015:59, punto 48 e giurisprudenza citata).
62      Pertanto, in caso di divergenza tra le varie versioni linguistiche di un testo di diritto dell’Unione, la disposizione di cui trattasi deve essere interpretata in funzione del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenza M. e a., C‑627/13 e C‑2/14, EU:C:2015:59, punto 49 e giurisprudenza citata).
63      A tale proposito si deve anzitutto rammentare che lo status di rifugiato dev’essere riconosciuto a una persona che soddisfi i requisiti minimi stabiliti dal diritto dell’Unione. In forza dell’articolo 13 della direttiva 2004/83, gli Stati membri riconoscono tale status al cittadino di un paese terzo o all’apolide che soddisfa le condizioni per essere considerato quale rifugiato in conformità dei capi II e III di tale direttiva. Dal considerando 14 della stessa, secondo il quale il riconoscimento di detto status è un atto declaratorio, emerge che gli Stati membri non dispongono di nessun potere discrezionale a tale proposito.
64      Dall’articolo 78, paragrafo 1, TFUE discende poi che la politica comune che l’Unione sviluppa in materia di asilo è volta a offrire uno «status appropriato» a qualsiasi cittadino di un paese terzo «che necessita di protezione internazionale» e a garantire il «rispetto del principio di non respingimento».
65      Si deve inoltre ricordare che tale principio di non respingimento è garantito quale diritto fondamentale dagli articoli 18 e 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
66      Il considerando 10 della direttiva 2004/83 precisa a tal fine che quest’ultima rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, assicurando in particolare il pieno rispetto della dignità umana e il diritto di asilo dei richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito.
67      D’altronde, il considerando 6 della direttiva 2004/83 afferma che lo scopo principale della stessa, oltre ad assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per individuare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale, è quello di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri.
68      Gli articoli 21, paragrafo 2, e 24, paragrafo 1, della richiamata direttiva costituiscono in proposito l’attuazione nel diritto positivo dei diritti riconosciuti a ogni persona dal diritto dell’Unione al fine di garantirle una protezione duratura contro la persecuzione. Del resto, queste due disposizioni fanno parte del capo VII della medesima direttiva, intitolato «Contenuto della protezione internazionale», che ha l’obiettivo di definire le prestazioni di cui possono beneficiare i candidati allo status di rifugiato o alla protezione sussidiaria la cui domanda è stata accolta.
69      Orbene, anche se, come già constatato al punto 50 della presente sentenza, tra l’articolo 21, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2004/38 e l’articolo 24, paragrafo 1, della medesima, sussiste non solo una certa sovrapposizione, poiché entrambe le disposizioni riguardano la facoltà offerta agli Stati membri di revocare, di cessare o di rifiutare il rinnovo o il rilascio di un permesso di soggiorno, ma anche una complementarità tra le stesse, è comunque pacifico che le predette disposizioni hanno ambiti d’applicazione distinti e rientrano in regimi giuridici diversi.
70      L’articolo 21, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 enuncia il principio secondo il quale i rifugiati sono protetti, di regola, contro il respingimento. Al contrario, l’articolo 21, paragrafo 2, di tale direttiva introduce una deroga a tale principio, consentendo il respingimento di un rifugiato, formalmente riconosciuto o meno come tale, o in forza dell’articolo 21, paragrafo 2, lettera a), della citata direttiva, quando vi siano ragionevoli motivi per considerare che egli rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato membro nel quale si trova, ovvero in forza dell’articolo 21, paragrafo 2, lettera b), di tale medesima direttiva, quando, essendo stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, egli costituisca un pericolo per la comunità di tale Stato membro.
71      Il respingimento di un rifugiato, sebbene sia autorizzato in via di principio dalla disposizione derogatoria dell’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2004/83, costituisce soltanto l’estrema ratio alla quale uno Stato membro può ricorrere quando nessun’altra misura è possibile o sufficiente per affrontare il pericolo al quale tale rifugiato espone la sicurezza o la comunità di tale Stato membro. Nel caso in cui uno Stato membro, in applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, di tale direttiva, revochi, cessi o rifiuti di rinnovare lo status di rifugiato riconosciuto a una persona, quest’ultima ha diritto, conformemente all’articolo 14, paragrafo 6, della predetta direttiva, di godere dei diritti elencati in particolare agli articoli 32 e 33 della Convenzione di Ginevra.
72      Le conseguenze, per il rifugiato di cui trattasi, dell’applicazione della deroga prevista dall’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2004/83 possono essere estremamente drastiche, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 81 delle sue conclusioni, in quanto lo stesso può essere allora respinto verso un paese in cui potrebbe correre il rischio di persecuzioni. Per questa ragione tale disposizione assoggetta la pratica del respingimento a condizioni rigorose, dato che, in particolare, soltanto un rifugiato che è stato condannato con sentenza passata in giudicato per un «reato di particolare gravità» può essere considerato un «pericolo per la comunità di tale Stato membro» ai sensi della citata disposizione. Del resto, anche qualora tali condizioni siano soddisfatte, il respingimento del rifugiato di cui trattasi costituisce soltanto una facoltà lasciata alla discrezione degli Stati membri, che sono liberi di scegliere altre opzioni meno rigorose.
73      Al contrario, l’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, il cui testo presenta un carattere più astratto rispetto a quello dell’articolo 21, paragrafo 2, di tale direttiva, riguarda soltanto il rifiuto di rilasciare un permesso di soggiorno a un rifugiato e la revoca di tale permesso di soggiorno, e non il respingimento di tale rifugiato. Detta disposizione concerne quindi unicamente i casi in cui il pericolo che detto rifugiato rappresenta per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico o la comunità dello Stato membro di cui trattasi non può giustificare né la perdita dello status di rifugiato né a fortiori il respingimento di tale medesimo rifugiato. È questo il motivo per cui l’attuazione della deroga prevista dall’articolo 24, paragrafo 1, della richiamata direttiva non presuppone l’esistenza di un reato particolarmente grave.
74      Per un rifugiato, le conseguenze della revoca del suo permesso di soggiorno in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 sono quindi meno gravose, in quanto tale provvedimento non può portare alla revoca dello status di rifugiato e men che meno al suo respingimento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2, di tale direttiva.
75      Ne consegue che la nozione di «imperiosi motivi» ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 ha una portata più ampia rispetto a quella di «ragionevoli motivi» ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2, di tale direttiva, e che talune circostanze che non presentano il grado di gravità che autorizza uno Stato membro a ricorrere alla deroga prevista dall’articolo 21, paragrafo 2, della predetta direttiva e a prendere una decisione di respingimento possono tuttavia consentire a tale Stato membro di privare il rifugiato di cui trattasi del suo permesso di soggiorno sul fondamento dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale medesima direttiva.
76      Stante tale precisazione, per quanto concerne la questione specifica sollevata dal giudice del rinvio, ossia se il sostegno fornito a un’associazione terroristica possa costituire uno degli «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico» ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, va rammentato che le nozioni di «sicurezza nazionale» o di «ordine pubblico» non sono definite da tale disposizione.
77      Per contro, la Corte ha già avuto occasione di interpretare le nozioni di «pubblica sicurezza» e di «ordine pubblico» di cui agli articoli 27 e 28 della direttiva 2004/38. Orbene, anche se tale direttiva persegue obiettivi diversi da quelli perseguiti dalla direttiva 2004/83, e se è vero che gli Stati membri restano liberi di determinare, conformemente alle loro necessità nazionali – che possono variare da uno Stato membro all’altro e da un’epoca all’altra – le regole di ordine pubblico e di pubblica sicurezza (sentenza I., C‑348/09, EU:C:2012:300, punto 23 e giurisprudenza citata), resta il fatto che la portata della protezione che una comunità intende accordare ai suoi interessi fondamentali non può variare a seconda dello status giuridico della persona che lede tali interessi.
78      Pertanto, al fine di interpretare la nozione di «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico» ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, si deve anzitutto prendere il considerazione il fatto che è già stato dichiarato che la nozione di «pubblica sicurezza» ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 comprende tanto la sicurezza interna di uno Stato membro quanto la sua sicurezza esterna (v., in particolare, sentenza Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 43 e giurisprudenza citata) e che, pertanto, il pregiudizio al funzionamento delle istituzioni e dei servizi pubblici essenziali nonché la sopravvivenza della popolazione, come il rischio di perturbazioni gravi dei rapporti internazionali o della coesistenza pacifica dei popoli, o ancora il pregiudizio agli interessi militari, possono ledere la pubblica sicurezza (sentenza Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 44). Inoltre, in tale contesto la Corte ha altresì dichiarato che la nozione di «motivi imperativi di pubblica sicurezza» ai sensi di tale articolo 28, paragrafo 3, presuppone non soltanto l’esistenza di un pregiudizio alla pubblica sicurezza, ma altresì che detto pregiudizio presenti un livello di gravità particolarmente elevato, espresso dall’impiego dell’espressione «motivi imperativi» (sentenza Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 41).
79      Occorre poi osservare che la nozione di «ordine pubblico» contenuta nella direttiva 2004/38, in particolare negli articoli 27 e 28, è stata interpretata dalla giurisprudenza della Corte nel senso che il ricorso a tale nozione presuppone, in ogni caso, oltre alla perturbazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società (v., in particolare, sentenza Byankov, C‑249/11, EU:C:2012:608, punto 40 e giurisprudenza citata).
80      In tale contesto, per quanto riguarda nello specifico la direttiva 2004/83, occorre ricordare che, secondo il suo considerando 28, nelle nozioni di «sicurezza nazionale» e di «ordine pubblico» rientrano pure i casi in cui un cittadino di un paese terzo faccia parte di un’organizzazione che sostiene il terrorismo internazionale o sostenga una siffatta organizzazione.
81      Si deve inoltre constatare, da un lato, che l’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931/PESC del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU L 344 pag. 93), nella versione in vigore alla data dei fatti della controversia principale (in prosieguo: la «posizione comune 2001/931»), definisce cosa si debba intendere per «atto terroristico» e, dall’altro, che il PKK compare proprio nell’elenco allegato a tale posizione comune.
82      Da tutte queste considerazioni risulta quindi che il sostegno fornito da un rifugiato a un’organizzazione che si dedica ad atti rientranti nell’ambito di applicazione della posizione comune 2001/931 costituisce, in linea di massima, una circostanza atta a dimostrare che le condizioni di applicazione della deroga prevista dall’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 sono riunite.
83      L’iscrizione di un’organizzazione nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931 costituisce dunque, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 95 delle sue conclusioni, una chiara indicazione del fatto che tale organizzazione sia un’organizzazione terroristica o che si sospetti che lo sia. Detta circostanza deve quindi necessariamente essere presa in considerazione dall’autorità competente nel momento in cui quest’ultima, in una prima fase, verifica se l’organizzazione di cui trattasi abbia commesso atti terroristici.
84      Si deve quindi verificare, caso per caso, se gli atti dell’organizzazione in questione possano minacciare la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83. A tale proposito la Corte ha dichiarato, per quanto concerne l’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva, che gli atti di natura terroristica, caratterizzati da violenza nei confronti delle popolazioni civili, anche se sono commessi con un dichiarato obiettivo politico, devono essere considerati reati gravi di diritto comune ai sensi di tale disposizione (sentenza B e D, C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 81).
85      La Corte ha inoltre dichiarato che gli atti di terrorismo internazionale sono, in linea generale e indipendentemente dalla partecipazione di uno Stato, atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite (sentenza B e D, C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 83). Ne consegue che uno Stato membro potrebbe legittimamente, in presenza di tali atti, addurre la sussistenza di imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 per applicare la deroga prevista da tale disposizione.
86      Una volta compiuta tale verifica, l’autorità competente deve, in un secondo tempo, procedere a una valutazione dei fatti specifici dei quali è a conoscenza, al fine di stabilire se il sostegno all’organizzazione di cui trattasi, nella forma di un’assistenza alla raccolta di fondi e di una regolare partecipazione a eventi organizzati da tale organizzazione, circostanza che sembra essersi verificata nel caso del sig. T., rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83.
87      Infatti, anche se gli atti commessi da un’organizzazione iscritta nell’elenco di cui all’allegato della posizione comune 2001/931 a motivo del suo coinvolgimento in atti terroristici possono collegarsi alla causa di deroga prevista dall’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, la sola circostanza che la persona di cui trattasi abbia sostenuto tale organizzazione non può avere quale conseguenza automatica la revoca del suo permesso di soggiorno a norma di tale disposizione (v., per analogia, sentenza B e D, C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 88).
88      Non sussiste un rapporto diretto tra la posizione comune 2001/931 e la direttiva 2004/83 quanto ai loro obiettivi rispettivi, e non si può giustificare il fatto che l’autorità competente, qualora intenda privare un rifugiato del suo permesso di soggiorno in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, si fondi unicamente sul suo sostegno a un’organizzazione inserita in un elenco redatto al di fuori dell’ambito istituito dalla richiamata direttiva nel rispetto della Convenzione di Ginevra (v., in tal senso, sentenza B e D, C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 89).
89      Per quanto attiene al procedimento principale, ne consegue che i presupposti in base ai quali l’organizzazione sostenuta dal sig. T. è stata iscritta nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931 non possono essere comparati alla valutazione individuale di fatti specifici che deve precedere qualsiasi decisione di privare un rifugiato del suo permesso di soggiorno in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 (v., per analogia, B e D, C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 91).
90      Pertanto, nell’ambito del controllo giurisdizionale della valutazione effettuata dall’autorità competente, il giudice del rinvio deve esaminare il ruolo effettivamente svolto dal sig. T. nel contesto del suo sostegno a tale organizzazione, ricercando in particolare se abbia commesso egli stesso atti terroristici, se e in quale misura sia stato coinvolto nella pianificazione, nell’adozione di decisioni o nella direzione di altre persone al fine della commissione di atti di questo tipo, e se e in qual misura abbia finanziato tali atti o procurato ad altre persone i mezzi per commetterli.
91      Nel caso di specie, per quanto riguarda agli atti di sostegno del sig. T. al PKK, dagli atti emerge che l’interessato ha partecipato a riunioni legali e a manifestazioni quali la celebrazione del nuovo anno curdo, nonché alla raccolta di offerte per tale organizzazione. Orbene, la sussistenza di tali atti non implica necessariamente che il suo autore abbia sostenuto la legittimità di attività terroristiche. A fortiori, atti di questo tipo non costituiscono di per sé atti terroristici.
92      In tale contesto il giudice del rinvio è inoltre tenuto a valutare il grado di gravità del pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico derivante dagli atti commessi dal sig. T. In particolare, esso deve verificare se gli possa essere imputata una responsabilità individuale nell’attuazione delle azioni del PKK. A tale proposito, se è vero che si deve tenere conto della condanna penale in ultimo grado di cui il sig. T. è stato oggetto il 3 dicembre 2008, spetta tuttavia a tale giudice ricercare, alla luce del principio di proporzionalità che il provvedimento da adottare doveva rispettare, se il pericolo che l’interessato ha potuto eventualmente costituire in passato per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico della Repubblica federale di Germania esistesse ancora alla data in cui è stata adottata la decisione di cui trattasi nel procedimento principale.
93      A tale proposito, a detto giudice del rinvio spetta inoltre prendere in considerazione la circostanza che il sig. T. è stato condannato a una pena pecuniaria e non a una pena detentiva e indagare se, tenuto conto di tale circostanza e, se del caso, del tipo di atti commessi dall’interessato, esistessero «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico» ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 per giustificare la revoca del permesso di soggiorno del sig. T.
94      Fornite tali precisazioni, va inoltre aggiunto che l’attuazione da parte di uno Stato membro della deroga prevista dall’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 ha come prima conseguenza, per il rifugiato interessato, la perdita del suo permesso di soggiorno, anche se questi, come accade nel procedimento principale, è autorizzato su un altro fondamento giuridico a restare legalmente nel territorio di tale Stato membro.
95      Occorre tuttavia sottolineare a questo proposito che il rifugiato il cui permesso di soggiorno è revocato in applicazione dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 conserva lo status di rifugiato, almeno fino al momento in cui non si ponga fine a tale status. Pertanto, anche se privo del permesso di soggiorno, l’interessato resta un rifugiato e conserva a tale titolo il diritto alle prestazioni che il capo VII di tale direttiva garantisce a qualsiasi rifugiato, in particolare il diritto alla protezione contro il respingimento, al mantenimento dell’unità familiare, al rilascio di documenti di viaggio, all’accesso all’occupazione e all’istruzione, all’assistenza sociale, all’assistenza sanitaria e all’alloggio, alla libertà di circolazione all’interno dello Stato membro e all’accesso agli strumenti d’integrazione. In altri termini, uno Stato membro non dispone di alcun potere discrezionale per continuare a concedere a tale rifugiato le prestazioni concrete garantite dalla richiamata direttiva o per rifiutargliele.
96      Sebbene il considerando 30 della direttiva 2004/83 preveda che, entro i limiti derivanti dagli obblighi internazionali, gli Stati membri possono stabilire che «la concessione di prestazioni in materia di accesso all’occupazione, assistenza sociale, assistenza sanitaria e accesso agli strumenti d’integrazione sia subordinata al rilascio di un permesso di soggiorno», la condizione così imposta fa tuttavia riferimento ad azioni di carattere puramente amministrativo, poiché il capo VII di tale direttiva ha l’obiettivo di garantire ai rifugiati un livello minimo di prestazioni in tutti gli Stati membri. Peraltro, poiché tale considerando non trova corrispondenze nelle disposizioni della predetta direttiva, esso non può costituire una base giuridica che consenta agli Stati membri di ridurre le prestazioni garantite da tale capo VII nel caso in cui il permesso di soggiorno di un rifugiato venga revocato.
97      Poiché tali diritti conferiti ai rifugiati sono la conseguenza del riconoscimento dello status di rifugiato e non del rilascio del permesso di soggiorno, per tutto il tempo in cui possiede tale status il rifugiato deve beneficiare dei diritti che gli sono così garantiti dalla direttiva 2004/83; tali diritti possono essere limitati soltanto nel rispetto delle condizioni fissate dal capo VII di tale direttiva e gli Stati membri non hanno il diritto di aggiungere restrizioni che non siano in esso previste.
98      Per questo motivo, per quanto concerne la controversia principale, come emerge dal fascicolo presentato alla Corte, la circostanza che la revoca del permesso di soggiorno del sig. T., intervenuta automaticamente in seguito alla decisione di espulsione, abbia avuto ripercussioni sull’accesso di quest’ultimo all’occupazione, alla formazione professionale e ad altri diritti sociali – in quanto, in diritto tedesco, il godimento di tali diritti è connesso al regolare possesso di un permesso di soggiorno – risulta incompatibile con la direttiva 2004/83.
99      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve rispondere alla seconda questione dichiarando che il sostegno a un’associazione terroristica iscritta nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931 può costituire uno degli «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, anche se le condizioni previste dall’articolo 21, paragrafo 2, della stessa non sono riunite. Affinché un permesso di soggiorno rilasciato a un rifugiato possa essere revocato sul fondamento dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, per il motivo che tale rifugiato sostiene siffatta associazione terroristica, le autorità competenti sono tuttavia tenute a procedere, sotto il controllo dei giudici nazionali, a una valutazione individuale degli elementi di fatto specifici relativi alle azioni sia dell’associazione sia del rifugiato di cui trattasi. Quando uno Stato membro decide di allontanare un rifugiato il cui permesso di soggiorno è stato revocato, ma sospende l’esecuzione di tale decisione, è incompatibile con la richiamata direttiva privarlo dell’accesso alle prestazioni garantite dal capo VII della medesima, salvo che trovi applicazione un’eccezione espressamente prevista da questa stessa direttiva.
 Sulle spese
100    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
1)      La direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, dev’essere interpretata nel senso che un permesso di soggiorno, una volta rilasciato a un rifugiato, può essere revocato o in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, quando sussistono imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ai sensi di tale disposizione, oppure in applicazione dell’articolo 21, paragrafo 3, della richiamata direttiva, quando sussistono motivi per applicare la deroga al principio di non respingimento previsto dall’articolo 21, paragrafo 2, di questa stessa direttiva.
2)      Il sostegno a un’associazione terroristica iscritta nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931/PESC del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, nella versione in vigore alla data dei fatti della controversia principale, può costituire uno degli «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, anche se le condizioni previste dall’articolo 21, paragrafo 2, della stessa non sono riunite. Affinché un permesso di soggiorno rilasciato a un rifugiato possa essere revocato sul fondamento dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, per il motivo che tale rifugiato sostiene siffatta associazione terroristica, le autorità competenti sono tuttavia tenute a procedere, sotto il controllo dei giudici nazionali, a una valutazione individuale degli elementi di fatto specifici relativi alle azioni sia dell’associazione sia del rifugiato di cui trattasi. Quando uno Stato membro decide di allontanare un rifugiato il cui permesso di soggiorno è stato revocato, ma sospende l’esecuzione di tale decisione, è incompatibile con la richiamata direttiva privarlo dell’accesso alle prestazioni garantite dal capo VII della medesima, salvo che trovi applicazione un’eccezione espressamente prevista da questa stessa direttiva.
Dal sito http://curia.europa.eu