Corte di Giustizia UE 24 giugno 2015, n. C-373/13
«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e
giustizia – Frontiere, asilo e immigrazione – Direttiva
2004/83/CE – Articolo 24, paragrafo 1 – Norme minime sulle condizioni
per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della
protezione sussidiaria – Revoca del permesso di soggiorno –
Presupposti – Nozione di “imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di
ordine pubblico” – Partecipazione di una persona avente lo status di
rifugiato alle attività di un’organizzazione figurante nell’elenco delle
organizzazioni terroristiche predisposto dall’Unione europea»
1) La direttiva 2004/83/CE del
Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a
cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona
altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul
contenuto della protezione riconosciuta, dev’essere interpretata nel senso che
un permesso di soggiorno, una volta rilasciato a un rifugiato, può essere
revocato o in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, quando
sussistono imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ai
sensi di tale disposizione, oppure in applicazione dell’articolo 21, paragrafo
3, della richiamata direttiva, quando sussistono motivi per applicare la deroga
al principio di non respingimento previsto dall’articolo 21, paragrafo 2, di
questa stessa direttiva.
2) Il sostegno a un’associazione
terroristica iscritta nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931/PESC
del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativa all’applicazione di misure
specifiche per la lotta al terrorismo, nella versione in vigore alla data dei
fatti della controversia principale, può costituire uno degli «imperiosi motivi
di sicurezza nazionale o di ordine pubblico», ai sensi dell’articolo 24,
paragrafo 1, della direttiva 2004/83, anche se le condizioni previste
dall’articolo 21, paragrafo 2, della stessa non sono riunite. Affinché un permesso
di soggiorno rilasciato a un rifugiato possa essere revocato sul fondamento
dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, per il motivo che tale
rifugiato sostiene siffatta associazione terroristica, le autorità competenti
sono tuttavia tenute a procedere, sotto il controllo dei giudici nazionali, a
una valutazione individuale degli elementi di fatto specifici relativi alle
azioni sia dell’associazione sia del rifugiato di cui trattasi. Quando uno
Stato membro decide di allontanare un rifugiato il cui permesso di soggiorno è
stato revocato, ma sospende l’esecuzione di tale decisione, è incompatibile con
la richiamata direttiva privarlo dell’accesso alle prestazioni garantite dal
capo VII della medesima, salvo che trovi applicazione un’eccezione espressamente
prevista da questa stessa direttiva.
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
24 giugno 2015
Nella causa C‑373/13,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Verwaltungsgerichtshof
Baden‑Württemberg (Germania), con decisione del 27 maggio 2013, pervenuta in
cancelleria il 2 luglio 2013, nel procedimento
H.T.
contro
Land
Baden-Württemberg,
LA CORTE
(Prima Sezione),
composta da A. Tizzano, presidente di sezione,
S. Rodin, A. Borg Barthet, E. Levits e M. Berger
(relatore), giudici,
avvocato generale: E. Sharpston
cancelliere: A. Impellizzeri, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito
all’udienza del 4 giugno 2014,
considerate le osservazioni presentate:
– per
H.T., da B. Pradel, Rechtsanwalt;
– per il
governo tedesco, da T. Henze, A. Lippstreu e A. Wiedmann, in
qualità di agenti;
– per il
governo ellenico, da M. Michelogiannaki, in qualità di agente;
– per il
governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da
M. Russo, avvocato dello Stato;
– per la Commissione europea,
da M. Condou-Durande e W. Bogensberger, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale,
presentate all’udienza dell’11 settembre 2014,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La
domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli
21, paragrafi 2 e 3, e 24, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2004/83/CE del
Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a
cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona
altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul
contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12).
2 Tale
domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. T.
e il Land Baden-Württemberg in merito a una decisione che ha pronunciato
l’espulsione del sig. T. dal territorio della Repubblica federale di
Germania e ha revocato il suo permesso di soggiorno.
Contesto normativo
Il diritto internazionale
La
Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati
3 L’articolo
28 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il
28 luglio 1951 [
Recueil des traités des Nations unies, vol. 189,
pag. 150, n. 2545 (1954)], ed entrata in vigore il 22 aprile 1954 (in
prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»), come completata dal Protocollo
relativo allo status dei rifugiati del 31 gennaio 1967, entrato a sua volta in
vigore il 4 ottobre 1967, al paragrafo 1, rubricato «Documento di viaggio»,
così prevede:
«Gli Stati contraenti concederanno ai rifugiati
residenti regolarmente sul loro territorio dei documenti di viaggio destinati a
permettere loro di viaggiare al di fuori di detto territorio, a meno che
imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico vi si oppongano
(...)».
4 L’articolo
32 della Convenzione di Ginevra, rubricato «Espulsione», al paragrafo 1 così
dispone:
«Gli Stati contraenti non espelleranno un rifugiato
residente regolarmente sul loro territorio, se non per motivi di sicurezza
nazionale o di ordine pubblico».
5 L’articolo
33 della Convenzione di Ginevra, intitolato «Divieto di espulsione e di
respingimento (refoulement)» stabilisce:
«1. Nessuno Stato
contraente potrà espellere o respingere (refouler) – in nessun modo – un
rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà
sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità,
appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni
politiche.
2. Il beneficio di
detta disposizione non potrà tuttavia essere invocato da un rifugiato per il
quale vi siano gravi motivi per considerarlo un pericolo per la sicurezza dello
Stato in cui si trova, oppure da un rifugiato il quale, essendo stato oggetto
di una condanna già passata in giudicato per un crimine o un delitto
particolarmente grave, rappresenti una minaccia per la comunità di detto
Stato».
Le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite
6 Il
28 settembre 2001 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la
risoluzione 1373 (2001) il cui preambolo ribadisce in particolare «la necessità
di lottare con tutti i mezzi, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite,
contro le minacce alla pace e alla sicurezza internazionali derivanti dagli
atti terroristici».
7 Al
punto 5 di detta risoluzione, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
dichiara «che gli atti, metodi e pratiche terroristici sono contrari alle
finalità e ai principi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e che il
finanziamento e l’organizzazione di atti terroristici o l’istigazione a
commettere tali atti, compiuti scientemente, sono altresì contrari alle
finalità e ai principi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite».
8 Il
punto 5 della risoluzione 1377 (2001) del 12 novembre 2001 del Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite, concernente la minaccia alla pace e alla
sicurezza internazionali derivanti da atti terroristici, sottolinea «che gli
atti di terrorismo internazionale sono contrari alle finalità e ai principi
enunciati nella Carta delle Nazioni Unite e che il finanziamento, la
pianificazione e la preparazione degli atti di terrorismo internazionale, come
tutte le altre forme di sostegno a tal fine, sono del pari contrari alle
finalità e ai principi in [essa] enunciati».
Il diritto dell’Unione
9 I
considerando 3, 6, 10, 16, 22, 28 e 30 della direttiva 2004/83 così recitano:
«(3) La
convenzione di Ginevra ed il relativo protocollo costituiscono la pietra
angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei
rifugiati.
(...)
(6) Lo scopo
principale della presente direttiva è quello, da una parte, di assicurare che
gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che
hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di
assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali
persone in tutti gli Stati membri.
(...)
(10) La
presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi
riconosciuti segnatamente nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea. Essa mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della dignità
umana, il diritto di asilo dei richiedenti asilo e dei familiari al loro
seguito.
(...)
(14) Il
riconoscimento dello status di rifugiato è un atto declaratorio.
(...)
(22) Gli atti
contrari ai fini e ai principi delle Nazioni unite sono enunciati nel preambolo
e agli articoli 1 e 2 della carta delle Nazioni unite e si rispecchiano, tra
l’altro, nelle risoluzioni delle Nazioni unite relative alle misure di lotta al
terrorismo, nelle quali è dichiarato che “atti, metodi e pratiche di terrorismo
sono contrari ai fini e ai principi delle Nazioni unite” e che “chiunque
inciti, pianifichi, finanzi deliberatamente atti di terrorismo compie attività
contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni unite”.
(...)
(28) Nella
nozione di sicurezza nazionale e di ordine pubblico rientrano pure i casi in
cui un cittadino di un paese terzo faccia parte di un’organizzazione che
sostiene il terrorismo internazionale o sostenga una siffatta organizzazione.
(...)
(30) Entro i
limiti derivanti dagli obblighi internazionali, gli Stati membri possono
stabilire che la concessione di prestazioni in materia di accesso
all’occupazione, assistenza sociale, assistenza sanitaria e accesso agli
strumenti d’integrazione sia subordinata al rilascio di un permesso di
soggiorno».
10 L’articolo
13 della direttiva 2004/83, intitolato «Riconoscimento dello status di
rifugiato», così recita:
«Gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al
cittadino di un paese terzo o all’apolide ammissibile quale rifugiato in
conformità dei capi II e III».
11 L’articolo
14 di tale direttiva, rubricato «Revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello
status»:
«(…)
4. Gli Stati membri
hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare di rinnovare lo status
riconosciuto a un rifugiato da un organismo statale, amministrativo,
giudiziario o quasi giudiziario quando:
a) vi sono
fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisce un pericolo
per la sicurezza dello Stato membro in cui si trova;
b) la persona
in questione, essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un
reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità di tale
Stato membro.
(…)
6. Le persone cui si
applicano i paragrafi 4 o 5 godono dei diritti analoghi conferiti dagli
articoli 3, 4, 16, 22, 31, 32 e 33 della convenzione di Ginevra, o di diritti
analoghi, purché siano presenti nello Stato membro».
12 L’articolo
21 della richiamata direttiva, intitolato «Protezione dal respingimento», così
dispone:
«1. Gli Stati membri
rispettano il principio di “non refoulement” in conformità dei propri obblighi
internazionali.
2. Qualora non sia
vietato dagli obblighi internazionali previsti dal paragrafo 1, gli Stati
membri possono respingere un rifugiato, formalmente riconosciuto o meno,
quando:
a) vi siano
ragionevoli motivi per considerare che detta persona rappresenti un pericolo
per la sicurezza dello Stato membro nel quale si trova; o
b) che,
essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di
particolare gravità, detta persona costituisca un pericolo per la comunità di
tale Stato membro.
3. Gli Stati membri
hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare il rinnovo o il rilascio
di un permesso di soggiorno di un (o a un) rifugiato al quale si applichi il
paragrafo 2».
13 L’articolo
24 di tale medesima direttiva, rubricato «Permesso di soggiorno», è formulato
nei termini seguenti:
«1. Gli Stati membri
rilasciano ai beneficiari dello status di rifugiato, il più presto possibile
dopo aver riconosciuto loro lo status, un permesso di soggiorno valido per un
periodo di almeno tre anni rinnovabile, purché non vi ostino imperiosi motivi
di sicurezza nazionale o di ordine pubblico e fatto salvo l’articolo 21,
paragrafo 3.
Fatto salvo l’articolo 23, paragrafo 1, il permesso di
soggiorno da rilasciare ai familiari dei beneficiari dello status di rifugiato
può essere valido per un periodo inferiore a tre anni e rinnovabile.
2. Gli Stati membri
rilasciano ai beneficiari della protezione sussidiaria, il più presto possibile
dopo aver riconosciuto loro lo status, un permesso di soggiorno valido per un
periodo non inferiore ad un anno rinnovabile, purché non vi ostino imperiosi
motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico».
14 L’articolo
28 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29
aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari
di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri,
che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive
64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE,
90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e rettifica in
GU 2004, L 229, pag. 35), rubricato «Protezione contro
l’allontanamento», così prevede:
«1. Prima di adottare
un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico
o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante tiene conto di elementi
quali la durata del soggiorno dell’interessato nel suo territorio, la sua età,
il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua
integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante e importanza dei suoi
legami con il paese d’origine.
2. Lo Stato membro
ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei
confronti del cittadino dell’Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua
cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo
territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
3. Il cittadino
dell’Unione non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo se
la decisione è adottata per motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti
dallo Stato membro, qualora:
a) abbia
soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni; o
b) sia
minorenne, salvo qualora l’allontanamento sia necessario nell’interesse del
bambino, secondo quanto contemplato dalla convenzione delle Nazioni Unite sui
diritti del fanciullo del 20 novembre 1989».
15 L’articolo
9 della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa
allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo
periodo (GU 2004, L 16, pag. 44), rubricato «Revoca o perdita dello
status», così dispone:
«1. I soggiornanti di
lungo periodo non hanno più diritto allo status di soggiornante di lungo
periodo nei casi seguenti:
(...)
b) adozione di
un provvedimento di allontanamento a norma dell’articolo 12;
(...)».
Il diritto tedesco
16 L’articolo
11 della legge in materia di soggiorno, lavoro e integrazione degli stranieri
nel territorio federale (Gesetz über den Aufenthalt, die Erwerbstätigkeit und
die Integration von Ausländern im Bundesgebiet), del 30 luglio 2004 (BGBl. 2004
I, pag. 1950), nella versione applicabile ai fatti della controversia
principale (in prosieguo: l’«Aufenthaltsgesetz»), rubricato «Divieto d’ingresso
e di soggiorno», al paragrafo 1 prevede quanto segue:
«Lo straniero destinatario di un provvedimento di
espulsione, di respingimento o di accompagnamento alla frontiera non ha più il
diritto di fare ingresso nel territorio federale e di soggiornarvi. Non è
possibile che gli sia rilasciato un titolo di soggiorno, neanche in presenza
dei presupposti previsti a tal fine dalla presente legge (...)».
17 L’articolo
25 dell’Aufenthaltsgesetz, intitolato «Soggiorno per motivi umanitari», così
dispone:
«(1) L’autorizzazione
al soggiorno è rilasciata allo straniero al quale è stato riconosciuto il
diritto d’asilo tramite un provvedimento non impugnabile. La presente
disposizione non si applica allo straniero destinatario di un provvedimento di
espulsione per motivi gravi relativi alla sicurezza nazionale e all’ordine
pubblico. Fino al rilascio dell’autorizzazione, il soggiorno si presume
autorizzato. L’autorizzazione al soggiorno consente l’esercizio di un’attività
professionale.
(2) L’autorizzazione
al soggiorno è rilasciata allo straniero al quale è stato riconosciuto lo
status di rifugiato tramite un provvedimento non impugnabile dell’Ufficio
federale per le migrazioni e i rifugiati ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4,
della legge sulla procedura di asilo. Il paragrafo 1, frasi dalla seconda alla
quarta, si applica per analogia.
(...)
(5) In deroga
all’articolo 11, paragrafo 1, l’autorizzazione al soggiorno può essere
rilasciata alla straniero tenuto a lasciare il territorio in forza di un atto
esecutivo qualora la sua partenza sia impossibile per motivi di diritto o di
fatto e l’eliminazione degli ostacoli alla sua partenza non possa avvenire
entro un termine prevedibile. L’autorizzazione al soggiorno è rilasciata
trascorsi 18 mesi dalla sospensione dell’allontanamento (...)».
18 L’articolo
51 dell’Aufenthaltsgesetz, intitolato «Cessazione della regolarità del
soggiorno, mantenimento delle restrizioni», al paragrafo 1 così prevede:
«Il permesso di soggiorno decade nei casi seguenti:
(...)
5. Espulsione dello
straniero,
(...)».
19 L’articolo
54 dell’Aufenthaltsgesetz, intitolato «Principio dell’espulsione», è formulato
nei termini seguenti:
«Uno straniero è espulso in linea di principio quando
(…)
5. i fatti
consentono di concludere che egli appartiene o è appartenuto a un’associazione
che sostiene il terrorismo, o che sostiene o ha sostenuto un’associazione di
questo tipo; l’espulsione può essere fondata sull’appartenenza o su atti di
sostegno precedenti soltanto nei limiti in cui essi siano causa di una minaccia
attuale,
(...)».
20 Ai
sensi dell’articolo 54a dell’Aufenthaltsgesetz, intitolato «Sorveglianza, per
motivi di sicurezza interna, degli stranieri destinatari di un provvedimento di
espulsione»:
«(1) Lo straniero destinatario
di una decisione di espulsione esecutiva resa in applicazione dell’articolo 54,
punto 5, (...) è soggetto all’obbligo di presentarsi alla stazione di polizia
competente per il suo luogo di soggiorno almeno una volta alla settimana,
qualora l’Ufficio per gli stranieri non disponga diversamente. Se uno straniero
è tenuto a lasciare il territorio in forza di un atto esecutivo adottato per un
motivo diverso dalle cause di espulsione contemplate dalla prima frase,
l’obbligo di presentazione di cui alla prima frase può essere disposto qualora
ciò sia necessario per evitare una minaccia alla sicurezza nazionale e
all’ordine pubblico.
(2) Il suo soggiorno
è limitato alla circoscrizione dell’Ufficio per gli stranieri, se quest’ultimo
non fissa modalità diverse.
(...)».
21 L’articolo
55 dell’Aufenthaltsgesetz, intitolato «Espulsione nell’ambito del potere
discrezionale dell’amministrazione», così dispone:
«(1) Uno straniero
può essere espulso quando il suo soggiorno arreca pregiudizio alla sicurezza
nazionale, all’ordine pubblico o ad altri interessi rilevanti della Repubblica
federale di Germania.
(...)
(3) Ai fini della
decisione relativa all’espulsione si tiene conto
1. della
durata del soggiorno regolare dello straniero e dei suoi legami personali,
economici e di altro tipo sul territorio federale meritevoli di tutela;
2. delle
conseguenze dell’espulsione per i familiari o il partner dello straniero che
soggiornano regolarmente nel territorio federale e che vivono insieme a lui nel
contesto di una comunità di vita familiare o di coppia;
3. delle
condizioni di sospensione dell’allontanamento di cui all’articolo 60a,
paragrafi 2 e 2b».
22 L’articolo
56 dell’Aufenthaltsgesetz, rubricato «Protezione speciale contro l’espulsione»,
al paragrafo 1 così prevede:
«Lo straniero che
1. possiede
un’autorizzazione di stabilimento e risiede regolarmente da almeno cinque anni
nel territorio federale,
(...)
3. possiede
un’autorizzazione al soggiorno, ha regolarmente soggiornato per almeno cinque
anni nel territorio federale e vive in regime di matrimonio o di convivenza con
un cittadino straniero di cui ai punti 1 e 2,
4. vive con un
familiare tedesco o con un partner tedesco nel contesto di una comunità di vita
familiare o di coppia,
5. ha ottenuto
il riconoscimento del diritto di asilo, beneficia nel territorio federale dello
status di rifugiato straniero o possiede un documento di viaggio contemplato
dalla convenzione del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati (BGBl.
1953 II, pag. 559) e rilasciato da un’autorità della Repubblica federale
di Germania,
beneficia di una protezione speciale contro
l’espulsione. Egli è espulso unicamente per gravi motivi di sicurezza nazionale
e di ordine pubblico. Sussistono in linea di principio gravi motivi di
sicurezza nazionale e di ordine pubblico nei casi previsti dagli articoli 53 e
54, punti da 5 a 5b e 7. Qualora siano soddisfatte le condizioni di cui
all’articolo 53, lo straniero viene di norma espulso. Se le condizioni di cui
all’articolo 54 sono soddisfatte, è adottata una decisione sulla sua espulsione
nell’ambito del potere discrezionale dell’amministrazione».
23 L’articolo
60 dell’Aufenthaltsgesetz, intitolato «Divieto di allontanamento», è formulato
nei termini seguenti:
«(1) In applicazione
della convenzione del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati (BGBl.
1953 II, pag. 559), uno straniero non può essere espulso verso uno Stato
ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza,
religione, nazionalità, appartenenza ad una determinata categoria sociale o
delle sue opinioni politiche. Tale disposizione si applica anche ai beneficiari
del diritto di asilo e agli stranieri che hanno ottenuto lo status di rifugiato
tramite un atto non impugnabile o che beneficiano, per altri motivi, dello
status di rifugiati stranieri nel territorio federale o che sono stati
riconosciuti al di fuori del territorio federale come rifugiati stranieri
conformemente alla [Convenzione di Ginevra] (...)
(...)
(8) Il paragrafo 1
non si applica quando, per gravi motivi, lo straniero dev’essere considerato un
pericolo per la sicurezza della Repubblica federale di Germania o quando, prima
di avere subito una condanna definitiva a una pena detentiva di durata pari o
superiore a tre anni per un reato particolarmente grave, costituisce un
pericolo per la comunità. La presente disposizione si applica anche ove lo
straniero soddisfi le condizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della
legge sulla procedura di asilo.
(9) Nei casi previsti
dal paragrafo 8, uno straniero che ha presentato domanda di asilo può, in
deroga alle disposizioni della legge sulla procedura di asilo, essere
destinatario di un provvedimento di allontanamento che può essere eseguito
(...)
(...)».
24 L’articolo
60a dell’Aufenthaltsgesetz, rubricato «Sospensione temporanea
dell’allontanamento (tolleranza)», così dispone:
«(...)
(2) L’allontanamento
dello straniero è sospeso durante il periodo in cui tale allontanamento è
impossibile per motivi di fatto e di diritto e non è stata rilasciata
un’autorizzazione al soggiorno. (...)
(3) La sospensione
dell’allontanamento di uno straniero lascia impregiudicato il suo obbligo di
lasciare il territorio.
(...)».
25 L’articolo
18 della legge che fissa il regime pubblico delle associazioni (Gesetz zur
Regelung des öffentlichen Vereinsrechts), del 5 agosto 1964 (BGBl. 1964 I,
pag. 593), nella versione applicabile ai fatti della controversia
principale (in prosieguo: il «Vereinsgesetz»), rubricato «Ambito di
applicazione territoriale dei divieti di associazioni», così prevede:
«I divieti che colpiscono associazioni aventi sede fuori
dal territorio in cui si applica la presente legge, ma che dispongono di sotto‑organizzazioni
all’interno di tale territorio, si applicano unicamente a queste ultime.
Qualora l’associazione non abbia alcuna organizzazione nel territorio in cui si
applica tale legge, il divieto (articolo 3, paragrafo 1) riguarda la sua
attività in detto territorio».
26 L’articolo
20 del Vereinsgesetz, rubricato «Violazioni dei divieti», al paragrafo 1 così
dispone:
«Chiunque, con un’attività esercitata nel territorio in
cui si applica la presente legge,
(...)
4. contravvenga
a un divieto esecutivo imposto in applicazione dell’articolo 14, paragrafo 3,
prima frase, o dell’articolo 18, seconda frase,
(...)
sarà punito con la pena della reclusione non superiore a
un anno o con una pena pecuniaria se l’atto non è punito ai sensi degli articoli
84, 85, 86a, o degli articoli da 129 a 129b del codice penale (...)
(...)».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
27 Il
sig. T., nato nel 1956, è un cittadino turco di origine curda che dal 1989
vive in Germania con la moglie, anch’essa cittadina turca, e i loro otto figli
comuni, dei quali cinque sono cittadini tedeschi.
28 Dal
24 giugno 1993 il sig. T. è riconosciuto come rifugiato ai sensi della
Convenzione di Ginevra. Tale riconoscimento è stato motivato dalle attività politiche
che egli svolgeva in esilio a favore del «partito dei lavoratori del Kurdistan»
(in prosieguo: il «PKK») nonché dalla persecuzione politica di cui rischiava di
essere vittima nel caso di un suo ritorno in Turchia.
29 Dal
7 ottobre 1993 il sig. T. è in possesso di un permesso di soggiorno a
tempo indeterminato in Germania.
30 Con
decisione del 21 agosto 2006 le autorità competenti hanno revocato lo status di
rifugiato del sig. T., in quanto la situazione politica in Turchia era
cambiata e, di conseguenza, egli non poteva più essere considerato a rischio di
persecuzione in tale paese.
31 Tale
decisione è stata annullata da una sentenza del Verwaltungsgericht Karlsruhe
(tribunale amministrativo di Karlsruhe, Germania) del 30 novembre 2007,
cosicché il sig. T. ha conservato lo status di rifugiato.
32 Durante
gli anni 90 il sig. T. si è dedicato, in forme diverse, ad attività
politiche a favore del PKK e di organizzazioni collegate a quest’ultimo o che
gli erano succedute.
33 Con
decisione del 22 novembre 1993 il Ministro federale dell’Interno ha vietato al
PKK e ad altre organizzazioni collegate a tale partito di svolgere attività in
Germania.
34 Sul
fondamento dell’articolo 20 del Vereinsgesetz, le autorità competenti hanno
avviato un procedimento penale a carico del sig. T. a causa del sostegno
che egli aveva fornito al PKK, dopo avere ottenuto elementi a suo carico
durante una perquisizione presso il suo domicilio. Nel corso del procedimento è
stato accertato che l’interessato aveva raccolto offerte per conto del PKK e
aveva occasionalmente distribuito il periodico
Serxwebûn, pubblicato dal
PKK.
35 Con
sentenza del 3 dicembre 2008 il Landgericht Karlsruhe (tribunale regionale di
Karlsruhe) ha condannato il sig. T. a una pena pecuniaria di
EUR 3 000 per violazione del divieto di attività alla luce del
diritto delle associazioni. Poiché il ricorso contro tale sentenza è stato
respinto dal Bundesgerichtshof (Corte di giustizia federale), quest’ultima è
divenuta definitiva l’8 aprile 2009.
36 Con
decisione del 27 marzo 2012 il Regierungspräsidium Karlsruhe (consiglio
regionale della città di Karlsruhe) ha disposto, in nome del Land
Baden-Württemberg, l’espulsione del sig. T. dalla Repubblica federale di
Germania (in prosieguo: la «decisione di espulsione»). Tale decisione, fondata
sul combinato disposto degli articoli 54, punto 5, 55 e 56
dell’Aufenthaltsgesetz, è stata motivata dal fatto che il sig. T. aveva
compiuto atti di sostegno a favore del PKK fino a una data avanzata del 2011 e
che egli presentava quindi una «pericolosità attuale» ai sensi dell’articolo
54, punto 5, dell’Aufenthaltsgesetz. Detta decisione ha inoltre imposto
all’interessato, conformemente all’articolo 54a dell’Aufenthaltsgesetz, di
presentarsi due volte alla settimana presso la stazione di polizia competente e
ha limitato la sua libertà di circolazione al solo territorio della città di
Mannheim (Germania), nella quale si trovava il suo domicilio. Da ultimo, in
forza dell’articolo 51, paragrafo 1, dell’Aufenthaltsgesetz, questa stessa
decisione ha comportato di pieno diritto la decadenza del permesso di soggiorno
che era stato rilasciato al sig. T.
37 Tuttavia,
in considerazione della comunità di vita familiare che il sig. T. formava
con la moglie e i figli minori e tenuto conto del permesso di soggiorno a tempo
indeterminato che gli era stato rilasciato in precedenza, del diritto di asilo
che gli era stato conferito e dello status di rifugiato riconosciutogli, la
decisione di espulsione è intervenuta nell’ambito del potere discrezionale
dell’amministrazione sul fondamento dell’articolo 56, paragrafo 1,
dell’Aufenthaltsgesetz e l’autorità competente ha deciso di sospendere
l’allontanamento del sig. T. Il ricorso proposto da quest’ultimo avverso
tale decisione è stato respinto con sentenza del Verwaltungsgericht Karlsruhe
del 7 agosto 2012.
38 Il
sig. T. ha interposto appello avverso tale sentenza presso il giudice del
rinvio e quest’ultimo ha dichiarato l’appello ricevibile con ordinanza del 28
novembre 2012. Detto giudice esprime dubbi sull’annullamento del permesso di
soggiorno del sig. T., e si chiede pertanto se la decisione di espulsione
possa essere giustificata alla luce degli articoli 21, paragrafi 2 e 3, e 24
della direttiva 2004/83. Il Verwaltungsgerichtshof Baden‑Württemberg (tribunale
amministrativo superiore del Baden‑Württemberg) considera, in particolare, che
l’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 24, paragrafo 1, primo comma,
di tale direttiva di rilasciare ai beneficiari dello status di rifugiato un
permesso di soggiorno valido per almeno tre anni comporta il divieto di
annullare tale permesso di soggiorno o un permesso esistente, qualora non
esistano motivi per i quali il rilascio di un permesso di soggiorno possa
essere rifiutato a priori.
39 In
tale contesto, il Verwaltungsgerichtshof Baden‑Württemberg ha deciso di
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
«1) a) Se
la norma di cui all’articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della direttiva
2004/83, sull’obbligo degli Stati membri di rilasciare un permesso di soggiorno
alle persone cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato, debba essere
osservata anche in caso di revoca di un permesso di soggiorno precedentemente
rilasciato.
b) Se tale
norma debba essere quindi interpretata nel senso che osta alla revoca o alla
cessazione del permesso di soggiorno (ad esempio attraverso un’espulsione
disposta ai sensi del diritto nazionale) di un rifugiato riconosciuto qualora
non siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 21, paragrafo 3, in
combinato disposto con il paragrafo 2, della direttiva 2004/83, e non
sussistano “imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico” ai
sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, primo comma, [di tale direttiva].
2) In caso di
risposta affermativa alla prima questione, lettere a) e b):
a) Come debba
essere interpretata la causa di esclusione costituita dagli “imperiosi motivi
di sicurezza nazionale o di ordine pubblico” di cui all’articolo 24, paragrafo
1, primo comma, della direttiva 2004/83 in relazione ai rischi derivanti
dall’attività di sostegno a un’associazione terroristica.
b) Se si
possano ravvisare “imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine
pubblico” ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della direttiva
2004/83 nel caso in cui un rifugiato riconosciuto abbia sostenuto il PKK in
particolare mediante la raccolta di offerte e la costante partecipazione a manifestazioni
vicine al PKK, anche se non sono soddisfatte le condizioni per disattendere il
principio di “non refoulement” a norma dell’articolo 33, paragrafo 2, della
Convenzione di Ginevra e quindi neppure le condizioni dell’articolo 21,
paragrafo 2, della direttiva 2004/83.
3) In caso di
risposta negativa alla prima questione, lettera a):
Se la revoca o la cessazione del permesso di soggiorno
concesso a un rifugiato riconosciuto (ad esempio attraverso un’espulsione
disposta ai sensi del diritto nazionale) sia ammissibile, sotto il profilo del
diritto dell’Unione, solo in presenza delle condizioni di cui all’articolo 21,
paragrafo 3, in combinato disposto con il paragrafo 2, della direttiva 2004/83
o della successiva, identica, disciplina della direttiva 2011/95/UE [del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme
sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di
beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i
rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione
sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 337,
pag. 9)]».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima e terza questione
40 Con
la prima e la terza questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice
del rinvio chiede in sostanza se, e a quali condizioni, l’articolo 24,
paragrafo 1, della direttiva 2004/83 autorizzi uno Stato membro a revocare il
permesso di soggiorno di un rifugiato o a cessare tale permesso di soggiorno
sebbene tale disposizione, contrariamente all’articolo 21, paragrafo 3, di
detta direttiva, non preveda esplicitamente tale possibilità. In caso
affermativo, il giudice chiede se la revoca del permesso di soggiorno sia
autorizzata unicamente in applicazione dell’articolo 21, paragrafi 2 e 3 della
richiamata direttiva, nel caso in cui il rifugiato non sia più protetto contro
il respingimento, o anche in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, della stessa.
41 Per
rispondere a tali questioni si deve esaminare la portata rispettiva
dell’articolo 21, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2004/83 e dell’articolo 24,
paragrafo 1, di tale direttiva, nonché i rapporti esistenti tra queste due
disposizioni.
42 Secondo
l’articolo 21, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, gli Stati membri sono
tenuti a rispettare il principio di «non refoulement» in conformità dei propri
obblighi internazionali. L’articolo 21, paragrafo 2, della richiamata
direttiva, il cui tenore letterale riprende in sostanza quello dell’articolo
33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, prevede tuttavia una deroga a
tale principio, conferendo agli Stati membri il potere discrezionale di
respingere un rifugiato quando ciò non sia loro vietato da tali obblighi
internazionali e vi siano ragionevoli motivi per considerare che tale rifugiato
rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato membro nel quale si trova
o che, essendo stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato
di particolare gravità, detto rifugiato costituisca un pericolo per la comunità
di tale Stato membro. Al contrario, l’articolo 21 di detta direttiva nulla
prevede per quanto concerne l’espulsione di un rifugiato al di fuori del caso
di respingimento.
43 Qualora
la situazione di un rifugiato soddisfi le condizioni previste dall’articolo 21,
paragrafo 2, della direttiva 2004/83, gli Stati membri, avendo il potere
discrezionale di respingere un rifugiato o di non respingerlo, dispongono di
tre opzioni. In primo luogo, possono procedere al respingimento del rifugiato
di cui trattasi. In secondo luogo, possono espellere il rifugiato verso uno
Stato terzo in cui egli non rischia di essere perseguitato o di essere vittima
di danni gravi ai sensi dell’articolo 15 di tale direttiva. In terzo luogo, essi
possono autorizzare il rifugiato a rimanere nel loro territorio.
44 Quando
il respingimento è possibile in forza dell’articolo 21, paragrafo 2, della
direttiva 2004/83, gli Stati membri hanno anche la facoltà, conformemente
all’articolo 21, paragrafo 3, di detta direttiva, di revocare, di cessare o di
rifiutare il rinnovo di un permesso di soggiorno. Infatti, una volta che il
rifugiato è soggetto a respingimento, non è più necessario che gli venga
rilasciato un permesso di soggiorno, che egli continui ad esserne in possesso o
che ne ottenga il rinnovo. Di conseguenza, come rilevato dall’avvocato generale
al paragrafo 62 delle sue conclusioni, se un rifugiato non rientra nell’ambito
di applicazione dell’articolo 21, paragrafo 2, della richiamata direttiva,
l’articolo 21, paragrafo 3, di quest’ultima non può trovare applicazione.
Pertanto, quando uno Stato membro avvia un procedimento nei confronti di un
rifugiato, in circostanze analoghe a quelle del procedimento principale, ma non
può respingerlo in quanto le condizioni richieste dall’articolo 21, paragrafo
2, della medesima direttiva non sono soddisfatte, il permesso di soggiorno di
tale rifugiato non può essere revocato sul fondamento dell’articolo 21,
paragrafo 3, della direttiva 2004/83.
45 Si
pone allora la questione se, in tali circostanze, uno Stato membro possa
comunque, compatibilmente con tale direttiva, revocare il permesso di soggiorno
di un rifugiato ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della richiamata
direttiva.
46 In
proposito si deve constatare che tale disposizione prevede esplicitamente solo
la possibilità di non rilasciare un permesso di soggiorno, e non quella di
revocarlo o di cessarlo. In particolare, essa obbliga gli Stati membri a
rilasciare al rifugiato, il più presto possibile, un permesso di soggiorno
valido per un periodo di almeno tre anni rinnovabile. A tale obbligo si può
derogare soltanto se vi ostino imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di
ordine pubblico.
47 Orbene,
nonostante l’assenza di disposizioni espresse che autorizzino gli Stati membri,
sul fondamento dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, a
revocare un permesso di soggiorno precedentemente rilasciato a un rifugiato,
numerosi argomenti militano a favore di un’interpretazione che consenta agli
Stati membri di ricorrere a tale misura.
48 In
primo luogo si deve constatare che la lettera dell’articolo 24, paragrafo 1,
della citata direttiva non esclude espressamente la possibilità di revocare un
permesso di soggiorno.
49 In
secondo luogo, la revoca di un permesso di soggiorno risulta conforme alla
finalità di tale disposizione. Se è vero che gli Stati membri sono autorizzati
a rifiutare il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno ove imperiosi
motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico lo giustifichino, essi
devono a maggior ragione essere autorizzati a revocare tale permesso di
soggiorno o a cessarlo qualora motivi di questo tipo sopravvengano dopo il suo
rilascio.
50 In
terzo luogo, tale interpretazione è altresì coerente con l’economia della
direttiva 2004/83. Come correttamente osserva la Commissione europea,
l’articolo 24, paragrafo 1, della medesima direttiva completa l’articolo 21,
paragrafo 3, della stessa, in quanto autorizza implicitamente ma
necessariamente lo Stato membro interessato a revocare un permesso di
soggiorno, o a cessarlo, anche nei casi in cui le condizioni di cui
all’articolo 21, paragrafo 2, della predetta direttiva non sono soddisfatte,
qualora imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ai sensi
dell’articolo 24 della medesima direttiva lo giustifichino.
51 Ne
consegue che gli Stati membri possono revocare un permesso di soggiorno
rilasciato a un rifugiato, o cessare tale permesso, sulla base dell’articolo
21, paragrafo 3, della direttiva 2004/83, a condizione che tale rifugiato
rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 21, paragrafo 2, di tale
direttiva, oppure, se tale ipotesi non si verifica, sulla base dell’articolo
24, paragrafo 1, della medesima direttiva, a condizione che imperiosi motivi di
sicurezza nazionale o di ordine pubblico giustifichino tale misura.
52 Inoltre,
come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 68 delle sue conclusioni,
tale interpretazione è corroborata dai lavori preparatori della direttiva
2004/83, i quali evidenziano che l’articolo 24, paragrafo 1, della stessa è
stato inserito su proposta della Repubblica federale di Germania in seguito
agli attentati che hanno colpito gli Stati Uniti d’America l’11 settembre 2001.
Tale disposizione è stata quindi introdotta al fine di offrire agli Stati
membri la possibilità di limitare, a talune particolari condizioni, la
circolazione dei cittadini degli Stati terzi all’interno dello spazio Schengen,
allo scopo di combattere il terrorismo e di contrastare in tal modo le minacce
alla sicurezza nazionale e all’ordine pubblico. Da tali considerazioni emerge
quindi che detta disposizione conferisce implicitamente agli Stati membri,
quando le condizioni da essa previste sono soddisfatte, la possibilità di
revocare un permesso di soggiorno rilasciato in precedenza.
53 Tale
interpretazione deriva altresì dall’obbligo imposto agli Stati membri
dall’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, di rilasciare ai beneficiari
dello status di rifugiato un permesso di soggiorno valido per almeno tre anni,
poiché l’obbligo in questione comporta necessariamente, come corollario, la
possibilità di revocare tale permesso di soggiorno. In proposito va rammentato,
a titolo esemplificativo, che l’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), della
direttiva 2003/109 prevede espressamente la perdita dello status di
soggiornante di lungo periodo in seguito all’adozione di un provvedimento di
allontanamento.
54 Da
ultimo, in tale contesto, la possibilità per uno Stato membro di revocare il
permesso di soggiorno precedentemente rilasciato a un rifugiato risponde a
evidenti ragioni logiche. Infatti non si può escludere che, per un motivo
puramente fortuito, uno Stato membro che abbia rilasciato un permesso di
soggiorno a un rifugiato sia in seguito informato dell’esistenza di fatti
commessi da quest’ultimo prima del rilascio del permesso di soggiorno e che, se
fossero stati noti a tale Stato membro in tempo utile, avrebbero ostato, per imperiosi
motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, al rilascio di tale
permesso. Orbene, sarebbe incompatibile con l’obiettivo perseguito dalla
direttiva 2004/83 il fatto che, in una tale situazione, non esista nessuna
possibilità di revocare detto permesso di soggiorno già rilasciato. Tale
conclusione vale a fortiori quando i fatti addebitati al rifugiato di cui
trattasi sono stati commessi dopo il rilascio del permesso di soggiorno di cui
trattasi.
55 Tenuto
conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima e
alla terza questione dichiarando che la direttiva 2004/83 dev’essere
interpretata nel senso che un permesso di soggiorno, una volta rilasciato a un
rifugiato, può essere revocato o in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, di
tale direttiva, quando sussistono imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di
ordine pubblico ai sensi di tale disposizione, oppure in applicazione
dell’articolo 21, paragrafo 3, della richiamata direttiva, quando sussistono
motivi per applicare la deroga al principio di non respingimento previsto
dall’articolo 21, paragrafo 2, di tale medesima direttiva.
Sulla seconda questione
56 Con
la seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il sostegno
fornito da un rifugiato a un’associazione terroristica possa costituire uno
degli «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico» ai sensi
dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, e ciò anche qualora
tale rifugiato non rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 21,
paragrafo 2, di tale direttiva.
57 Al
fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio si deve constatare, in
via preliminare, che la nozione di «ragionevoli motivi» di cui all’articolo 21,
paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/83 e quella di «imperiosi motivi
di sicurezza nazionale o di ordine pubblico» di cui all’articolo 24, paragrafo
1, di tale direttiva non sono definite né dalle predette disposizioni né da
nessun’altra disposizione della direttiva in parola.
58 In
tale contesto, la determinazione del significato e della portata di tali
nozioni dev’essere stabilita, secondo una giurisprudenza costante, tenendo
conto sia dei termini delle disposizioni di diritto dell’Unione di cui
trattasi, sia del contesto delle stesse, nonché degli obiettivi perseguiti
dalla normativa di cui esse fanno parte (v., in particolare, sentenze Lundberg,
C‑317/12, EU:C:2013:631, punto 19, e Bouman, C‑114/13, EU:C:2015:81, punto 31)
e, ove necessario, della genesi di tale normativa (v., per analogia, sentenza
Pringle, C‑370/12, EU:C:2012:756, punto 135).
59 Per
quanto concerne il tenore letterale degli articoli 21, paragrafo 1, lettera a),
e 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, si deve rilevare, come sostiene la Commissione nelle sue
osservazioni, che tale direttiva è caratterizzata da divergenze di formulazione
tra le sue varie versioni linguistiche – e quindi da un certa
incoerenza – per quanto riguarda le condizioni alle quali sono soggette le
deroghe previste da tali disposizioni. A ciò si aggiunge il fatto che la
versione tedesca dell’articolo 21, paragrafo 2, della predetta direttiva
impiega termini diversi da quelli a cui fa ricorso la versione tedesca
dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra («stichhaltige
Gründe» anziché «schwerwiegende Gründe»), mentre le versioni inglese e francese
dell’articolo 21, paragrafo 2, di tale medesima direttiva utilizzano ciascuna
il termine che compare nelle versioni inglese e francese dell’articolo 33, paragrafo
2, della citata convenzione («reasonable grounds» e «raisons sérieuses»).
60 In
tale contesto occorre ricordare che, conformemente a costante giurisprudenza,
quando le versioni linguistiche di un testo differiscono, la norma in questione
dev’essere interpretata e applicata in modo uniforme, alla luce delle versioni
vigenti in tutte le lingue dell’Unione europea (sentenza M. e a., C‑627/13
e C‑2/14, EU:C:2015:59, punto 48 e giurisprudenza citata).
61 La
formulazione utilizzata in una delle versioni linguistiche di una disposizione
del diritto dell’Unione non può essere l’unico elemento a sostegno
dell’interpretazione di questa disposizione né si può attribuire ad essa, a tal
riguardo, un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche.
Tale modo di procedere sarebbe infatti in contrasto con la necessità di
applicare in modo uniforme il diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza
M. e a., C‑627/13 e C‑2/14, EU:C:2015:59, punto 48 e giurisprudenza
citata).
62 Pertanto,
in caso di divergenza tra le varie versioni linguistiche di un testo di diritto
dell’Unione, la disposizione di cui trattasi deve essere interpretata in
funzione del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa
fa parte (sentenza M. e a., C‑627/13 e C‑2/14, EU:C:2015:59, punto 49 e
giurisprudenza citata).
63 A
tale proposito si deve anzitutto rammentare che lo status di rifugiato
dev’essere riconosciuto a una persona che soddisfi i requisiti minimi stabiliti
dal diritto dell’Unione. In forza dell’articolo 13 della direttiva 2004/83, gli
Stati membri riconoscono tale status al cittadino di un paese terzo o
all’apolide che soddisfa le condizioni per essere considerato quale rifugiato
in conformità dei capi II e III di tale direttiva. Dal considerando 14 della
stessa, secondo il quale il riconoscimento di detto status è un atto
declaratorio, emerge che gli Stati membri non dispongono di nessun potere
discrezionale a tale proposito.
64 Dall’articolo
78, paragrafo 1, TFUE discende poi che la politica comune che l’Unione sviluppa
in materia di asilo è volta a offrire uno «status appropriato» a qualsiasi
cittadino di un paese terzo «che necessita di protezione internazionale» e a
garantire il «rispetto del principio di non respingimento».
65 Si
deve inoltre ricordare che tale principio di non respingimento è garantito
quale diritto fondamentale dagli articoli 18 e 19, paragrafo 2, della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea.
66 Il
considerando 10 della direttiva 2004/83 precisa a tal fine che quest’ultima
rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti nella Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea, assicurando in particolare il
pieno rispetto della dignità umana e il diritto di asilo dei richiedenti asilo
e dei familiari al loro seguito.
67 D’altronde,
il considerando 6 della direttiva 2004/83 afferma che lo scopo principale della
stessa, oltre ad assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per
individuare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione
internazionale, è quello di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia
disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri.
68 Gli
articoli 21, paragrafo 2, e 24, paragrafo 1, della richiamata direttiva
costituiscono in proposito l’attuazione nel diritto positivo dei diritti
riconosciuti a ogni persona dal diritto dell’Unione al fine di garantirle una
protezione duratura contro la persecuzione. Del resto, queste due disposizioni
fanno parte del capo VII della medesima direttiva, intitolato «Contenuto della
protezione internazionale», che ha l’obiettivo di definire le prestazioni di
cui possono beneficiare i candidati allo status di rifugiato o alla protezione
sussidiaria la cui domanda è stata accolta.
69 Orbene,
anche se, come già constatato al punto 50 della presente sentenza, tra
l’articolo 21, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2004/38 e l’articolo 24,
paragrafo 1, della medesima, sussiste non solo una certa sovrapposizione,
poiché entrambe le disposizioni riguardano la facoltà offerta agli Stati membri
di revocare, di cessare o di rifiutare il rinnovo o il rilascio di un permesso
di soggiorno, ma anche una complementarità tra le stesse, è comunque pacifico
che le predette disposizioni hanno ambiti d’applicazione distinti e rientrano
in regimi giuridici diversi.
70 L’articolo
21, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 enuncia il principio secondo il quale
i rifugiati sono protetti, di regola, contro il respingimento. Al contrario,
l’articolo 21, paragrafo 2, di tale direttiva introduce una deroga a tale
principio, consentendo il respingimento di un rifugiato, formalmente
riconosciuto o meno come tale, o in forza dell’articolo 21, paragrafo 2,
lettera a), della citata direttiva, quando vi siano ragionevoli motivi per
considerare che egli rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato
membro nel quale si trova, ovvero in forza dell’articolo 21, paragrafo 2,
lettera b), di tale medesima direttiva, quando, essendo stato condannato con
sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, egli
costituisca un pericolo per la comunità di tale Stato membro.
71 Il
respingimento di un rifugiato, sebbene sia autorizzato in via di principio
dalla disposizione derogatoria dell’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva
2004/83, costituisce soltanto l’estrema ratio alla quale uno Stato membro può
ricorrere quando nessun’altra misura è possibile o sufficiente per affrontare
il pericolo al quale tale rifugiato espone la sicurezza o la comunità di tale
Stato membro. Nel caso in cui uno Stato membro, in applicazione dell’articolo
14, paragrafo 4, di tale direttiva, revochi, cessi o rifiuti di rinnovare lo
status di rifugiato riconosciuto a una persona, quest’ultima ha diritto, conformemente
all’articolo 14, paragrafo 6, della predetta direttiva, di godere dei diritti
elencati in particolare agli articoli 32 e 33 della Convenzione di Ginevra.
72 Le
conseguenze, per il rifugiato di cui trattasi, dell’applicazione della deroga prevista
dall’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2004/83 possono essere
estremamente drastiche, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 81
delle sue conclusioni, in quanto lo stesso può essere allora respinto verso un
paese in cui potrebbe correre il rischio di persecuzioni. Per questa ragione
tale disposizione assoggetta la pratica del respingimento a condizioni
rigorose, dato che, in particolare, soltanto un rifugiato che è stato
condannato con sentenza passata in giudicato per un «reato di particolare
gravità» può essere considerato un «pericolo per la comunità di tale Stato
membro» ai sensi della citata disposizione. Del resto, anche qualora tali
condizioni siano soddisfatte, il respingimento del rifugiato di cui trattasi
costituisce soltanto una facoltà lasciata alla discrezione degli Stati membri,
che sono liberi di scegliere altre opzioni meno rigorose.
73 Al
contrario, l’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, il cui testo
presenta un carattere più astratto rispetto a quello dell’articolo 21,
paragrafo 2, di tale direttiva, riguarda soltanto il rifiuto di rilasciare un
permesso di soggiorno a un rifugiato e la revoca di tale permesso di soggiorno,
e non il respingimento di tale rifugiato. Detta disposizione concerne quindi
unicamente i casi in cui il pericolo che detto rifugiato rappresenta per la
sicurezza nazionale, l’ordine pubblico o la comunità dello Stato membro di cui
trattasi non può giustificare né la perdita dello status di rifugiato né a
fortiori il respingimento di tale medesimo rifugiato. È questo il motivo per
cui l’attuazione della deroga prevista dall’articolo 24, paragrafo 1, della
richiamata direttiva non presuppone l’esistenza di un reato particolarmente
grave.
74 Per
un rifugiato, le conseguenze della revoca del suo permesso di soggiorno in
forza dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 sono quindi meno
gravose, in quanto tale provvedimento non può portare alla revoca dello status
di rifugiato e men che meno al suo respingimento ai sensi dell’articolo 21,
paragrafo 2, di tale direttiva.
75 Ne
consegue che la nozione di «imperiosi motivi» ai sensi dell’articolo 24,
paragrafo 1, della direttiva 2004/83 ha una portata più ampia rispetto a quella
di «ragionevoli motivi» ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2, di tale
direttiva, e che talune circostanze che non presentano il grado di gravità che
autorizza uno Stato membro a ricorrere alla deroga prevista dall’articolo 21,
paragrafo 2, della predetta direttiva e a prendere una decisione di
respingimento possono tuttavia consentire a tale Stato membro di privare il
rifugiato di cui trattasi del suo permesso di soggiorno sul fondamento
dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale medesima direttiva.
76 Stante
tale precisazione, per quanto concerne la questione specifica sollevata dal
giudice del rinvio, ossia se il sostegno fornito a un’associazione terroristica
possa costituire uno degli «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine
pubblico» ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, va
rammentato che le nozioni di «sicurezza nazionale» o di «ordine pubblico» non
sono definite da tale disposizione.
77 Per
contro, la Corte
ha già avuto occasione di interpretare le nozioni di «pubblica sicurezza» e di
«ordine pubblico» di cui agli articoli 27 e 28 della direttiva 2004/38. Orbene,
anche se tale direttiva persegue obiettivi diversi da quelli perseguiti dalla
direttiva 2004/83, e se è vero che gli Stati membri restano liberi di
determinare, conformemente alle loro necessità nazionali – che possono
variare da uno Stato membro all’altro e da un’epoca all’altra – le regole
di ordine pubblico e di pubblica sicurezza (sentenza I., C‑348/09,
EU:C:2012:300, punto 23 e giurisprudenza citata), resta il fatto che la portata
della protezione che una comunità intende accordare ai suoi interessi
fondamentali non può variare a seconda dello status giuridico della persona che
lede tali interessi.
78 Pertanto,
al fine di interpretare la nozione di «imperiosi motivi di sicurezza nazionale
o di ordine pubblico» ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva
2004/83, si deve anzitutto prendere il considerazione il fatto che è già stato
dichiarato che la nozione di «pubblica sicurezza» ai sensi dell’articolo 28, paragrafo
3, della direttiva 2004/38 comprende tanto la sicurezza interna di uno Stato
membro quanto la sua sicurezza esterna (v., in particolare, sentenza
Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 43 e giurisprudenza citata) e che,
pertanto, il pregiudizio al funzionamento delle istituzioni e dei servizi
pubblici essenziali nonché la sopravvivenza della popolazione, come il rischio
di perturbazioni gravi dei rapporti internazionali o della coesistenza pacifica
dei popoli, o ancora il pregiudizio agli interessi militari, possono ledere la
pubblica sicurezza (sentenza Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 44).
Inoltre, in tale contesto la
Corte ha altresì dichiarato che la nozione di «motivi
imperativi di pubblica sicurezza» ai sensi di tale articolo 28, paragrafo 3,
presuppone non soltanto l’esistenza di un pregiudizio alla pubblica sicurezza,
ma altresì che detto pregiudizio presenti un livello di gravità particolarmente
elevato, espresso dall’impiego dell’espressione «motivi imperativi» (sentenza
Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 41).
79 Occorre
poi osservare che la nozione di «ordine pubblico» contenuta nella direttiva
2004/38, in particolare negli articoli 27 e 28, è stata interpretata dalla
giurisprudenza della Corte nel senso che il ricorso a tale nozione presuppone,
in ogni caso, oltre alla perturbazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi
infrazione della legge, l’esistenza di una minaccia reale, attuale e
sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società
(v., in particolare, sentenza Byankov, C‑249/11, EU:C:2012:608, punto 40 e
giurisprudenza citata).
80 In
tale contesto, per quanto riguarda nello specifico la direttiva 2004/83,
occorre ricordare che, secondo il suo considerando 28, nelle nozioni di
«sicurezza nazionale» e di «ordine pubblico» rientrano pure i casi in cui un
cittadino di un paese terzo faccia parte di un’organizzazione che sostiene il
terrorismo internazionale o sostenga una siffatta organizzazione.
81 Si
deve inoltre constatare, da un lato, che l’articolo 1, paragrafo 3, della
posizione comune 2001/931/PESC del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativa
all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU L 344
pag. 93), nella versione in vigore alla data dei fatti della controversia
principale (in prosieguo: la «posizione comune 2001/931»), definisce cosa si
debba intendere per «atto terroristico» e, dall’altro, che il PKK compare
proprio nell’elenco allegato a tale posizione comune.
82 Da
tutte queste considerazioni risulta quindi che il sostegno fornito da un
rifugiato a un’organizzazione che si dedica ad atti rientranti nell’ambito di
applicazione della posizione comune 2001/931 costituisce, in linea di massima,
una circostanza atta a dimostrare che le condizioni di applicazione della
deroga prevista dall’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 sono
riunite.
83 L’iscrizione
di un’organizzazione nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931
costituisce dunque, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 95 delle
sue conclusioni, una chiara indicazione del fatto che tale organizzazione sia
un’organizzazione terroristica o che si sospetti che lo sia. Detta circostanza
deve quindi necessariamente essere presa in considerazione dall’autorità
competente nel momento in cui quest’ultima, in una prima fase, verifica se
l’organizzazione di cui trattasi abbia commesso atti terroristici.
84 Si
deve quindi verificare, caso per caso, se gli atti dell’organizzazione in
questione possano minacciare la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico ai
sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83. A tale proposito la Corte ha dichiarato, per
quanto concerne l’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva, che
gli atti di natura terroristica, caratterizzati da violenza nei confronti delle
popolazioni civili, anche se sono commessi con un dichiarato obiettivo
politico, devono essere considerati reati gravi di diritto comune ai sensi di
tale disposizione (sentenza B e D, C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto
81).
85 La Corte ha inoltre dichiarato
che gli atti di terrorismo internazionale sono, in linea generale e
indipendentemente dalla partecipazione di uno Stato, atti contrari alle
finalità e ai principi delle Nazioni Unite (sentenza B e D, C‑57/09 e C‑101/09,
EU:C:2010:661, punto 83). Ne consegue che uno Stato membro potrebbe
legittimamente, in presenza di tali atti, addurre la sussistenza di imperiosi
motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico ai sensi dell’articolo 24,
paragrafo 1, della direttiva 2004/83 per applicare la deroga prevista da tale
disposizione.
86 Una
volta compiuta tale verifica, l’autorità competente deve, in un secondo tempo,
procedere a una valutazione dei fatti specifici dei quali è a conoscenza, al
fine di stabilire se il sostegno all’organizzazione di cui trattasi, nella
forma di un’assistenza alla raccolta di fondi e di una regolare partecipazione
a eventi organizzati da tale organizzazione, circostanza che sembra essersi verificata
nel caso del sig. T., rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo
24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83.
87 Infatti,
anche se gli atti commessi da un’organizzazione iscritta nell’elenco di cui
all’allegato della posizione comune 2001/931 a motivo del suo coinvolgimento in
atti terroristici possono collegarsi alla causa di deroga prevista
dall’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, la sola circostanza che
la persona di cui trattasi abbia sostenuto tale organizzazione non può avere
quale conseguenza automatica la revoca del suo permesso di soggiorno a norma di
tale disposizione (v., per analogia, sentenza B e D, C‑57/09 e C‑101/09,
EU:C:2010:661, punto 88).
88 Non
sussiste un rapporto diretto tra la posizione comune 2001/931 e la direttiva
2004/83 quanto ai loro obiettivi rispettivi, e non si può giustificare il fatto
che l’autorità competente, qualora intenda privare un rifugiato del suo
permesso di soggiorno in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale
direttiva, si fondi unicamente sul suo sostegno a un’organizzazione inserita in
un elenco redatto al di fuori dell’ambito istituito dalla richiamata direttiva
nel rispetto della Convenzione di Ginevra (v., in tal senso, sentenza B e D, C‑57/09
e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 89).
89 Per
quanto attiene al procedimento principale, ne consegue che i presupposti in
base ai quali l’organizzazione sostenuta dal sig. T. è stata iscritta
nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931 non possono essere
comparati alla valutazione individuale di fatti specifici che deve precedere
qualsiasi decisione di privare un rifugiato del suo permesso di soggiorno in
forza dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 (v., per analogia,
B e D, C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 91).
90 Pertanto,
nell’ambito del controllo giurisdizionale della valutazione effettuata
dall’autorità competente, il giudice del rinvio deve esaminare il ruolo
effettivamente svolto dal sig. T. nel contesto del suo sostegno a tale
organizzazione, ricercando in particolare se abbia commesso egli stesso atti
terroristici, se e in quale misura sia stato coinvolto nella pianificazione,
nell’adozione di decisioni o nella direzione di altre persone al fine della
commissione di atti di questo tipo, e se e in qual misura abbia finanziato tali
atti o procurato ad altre persone i mezzi per commetterli.
91 Nel
caso di specie, per quanto riguarda agli atti di sostegno del sig. T. al
PKK, dagli atti emerge che l’interessato ha partecipato a riunioni legali e a
manifestazioni quali la celebrazione del nuovo anno curdo, nonché alla raccolta
di offerte per tale organizzazione. Orbene, la sussistenza di tali atti non
implica necessariamente che il suo autore abbia sostenuto la legittimità di
attività terroristiche. A fortiori, atti di questo tipo non costituiscono di
per sé atti terroristici.
92 In
tale contesto il giudice del rinvio è inoltre tenuto a valutare il grado di
gravità del pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico derivante
dagli atti commessi dal sig. T. In particolare, esso deve verificare se
gli possa essere imputata una responsabilità individuale nell’attuazione delle
azioni del PKK. A tale proposito, se è vero che si deve tenere conto della
condanna penale in ultimo grado di cui il sig. T. è stato oggetto il 3
dicembre 2008, spetta tuttavia a tale giudice ricercare, alla luce del
principio di proporzionalità che il provvedimento da adottare doveva
rispettare, se il pericolo che l’interessato ha potuto eventualmente costituire
in passato per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico della Repubblica
federale di Germania esistesse ancora alla data in cui è stata adottata la
decisione di cui trattasi nel procedimento principale.
93 A
tale proposito, a detto giudice del rinvio spetta inoltre prendere in
considerazione la circostanza che il sig. T. è stato condannato a una pena
pecuniaria e non a una pena detentiva e indagare se, tenuto conto di tale
circostanza e, se del caso, del tipo di atti commessi dall’interessato,
esistessero «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico» ai
sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 per giustificare
la revoca del permesso di soggiorno del sig. T.
94 Fornite
tali precisazioni, va inoltre aggiunto che l’attuazione da parte di uno Stato
membro della deroga prevista dall’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva
2004/83 ha come prima conseguenza, per il rifugiato interessato, la perdita del
suo permesso di soggiorno, anche se questi, come accade nel procedimento
principale, è autorizzato su un altro fondamento giuridico a restare legalmente
nel territorio di tale Stato membro.
95 Occorre
tuttavia sottolineare a questo proposito che il rifugiato il cui permesso di
soggiorno è revocato in applicazione dell’articolo 24, paragrafo 1, della
direttiva 2004/83 conserva lo status di rifugiato, almeno fino al momento in
cui non si ponga fine a tale status. Pertanto, anche se privo del permesso di
soggiorno, l’interessato resta un rifugiato e conserva a tale titolo il diritto
alle prestazioni che il capo VII di tale direttiva garantisce a qualsiasi
rifugiato, in particolare il diritto alla protezione contro il respingimento,
al mantenimento dell’unità familiare, al rilascio di documenti di viaggio, all’accesso
all’occupazione e all’istruzione, all’assistenza sociale, all’assistenza
sanitaria e all’alloggio, alla libertà di circolazione all’interno dello Stato
membro e all’accesso agli strumenti d’integrazione. In altri termini, uno Stato
membro non dispone di alcun potere discrezionale per continuare a concedere a
tale rifugiato le prestazioni concrete garantite dalla richiamata direttiva o
per rifiutargliele.
96 Sebbene
il considerando 30 della direttiva 2004/83 preveda che, entro i limiti derivanti
dagli obblighi internazionali, gli Stati membri possono stabilire che «la
concessione di prestazioni in materia di accesso all’occupazione, assistenza
sociale, assistenza sanitaria e accesso agli strumenti d’integrazione sia
subordinata al rilascio di un permesso di soggiorno», la condizione così
imposta fa tuttavia riferimento ad azioni di carattere puramente
amministrativo, poiché il capo VII di tale direttiva ha l’obiettivo di
garantire ai rifugiati un livello minimo di prestazioni in tutti gli Stati
membri. Peraltro, poiché tale considerando non trova corrispondenze nelle
disposizioni della predetta direttiva, esso non può costituire una base
giuridica che consenta agli Stati membri di ridurre le prestazioni garantite da
tale capo VII nel caso in cui il permesso di soggiorno di un rifugiato venga
revocato.
97 Poiché
tali diritti conferiti ai rifugiati sono la conseguenza del riconoscimento
dello status di rifugiato e non del rilascio del permesso di soggiorno, per
tutto il tempo in cui possiede tale status il rifugiato deve beneficiare dei
diritti che gli sono così garantiti dalla direttiva 2004/83; tali diritti
possono essere limitati soltanto nel rispetto delle condizioni fissate dal capo
VII di tale direttiva e gli Stati membri non hanno il diritto di aggiungere
restrizioni che non siano in esso previste.
98 Per
questo motivo, per quanto concerne la controversia principale, come emerge dal
fascicolo presentato alla Corte, la circostanza che la revoca del permesso di
soggiorno del sig. T., intervenuta automaticamente in seguito alla
decisione di espulsione, abbia avuto ripercussioni sull’accesso di quest’ultimo
all’occupazione, alla formazione professionale e ad altri diritti
sociali – in quanto, in diritto tedesco, il godimento di tali diritti è
connesso al regolare possesso di un permesso di soggiorno – risulta
incompatibile con la direttiva 2004/83.
99 Alla
luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve rispondere alla seconda
questione dichiarando che il sostegno a un’associazione terroristica iscritta
nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931 può costituire uno degli
«imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico», ai sensi
dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, anche se le condizioni
previste dall’articolo 21, paragrafo 2, della stessa non sono riunite. Affinché
un permesso di soggiorno rilasciato a un rifugiato possa essere revocato sul
fondamento dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, per il motivo che
tale rifugiato sostiene siffatta associazione terroristica, le autorità
competenti sono tuttavia tenute a procedere, sotto il controllo dei giudici
nazionali, a una valutazione individuale degli elementi di fatto specifici
relativi alle azioni sia dell’associazione sia del rifugiato di cui trattasi.
Quando uno Stato membro decide di allontanare un rifugiato il cui permesso di
soggiorno è stato revocato, ma sospende l’esecuzione di tale decisione, è
incompatibile con la richiamata direttiva privarlo dell’accesso alle prestazioni
garantite dal capo VII della medesima, salvo che trovi applicazione
un’eccezione espressamente prevista da questa stessa direttiva.
Sulle spese
100 Nei
confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce
un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire
sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni
alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione)
dichiara:
1) La direttiva
2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime
sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di
rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, dev’essere
interpretata nel senso che un permesso di soggiorno, una volta rilasciato a un
rifugiato, può essere revocato o in forza dell’articolo 24, paragrafo 1, di
tale direttiva, quando sussistono imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di
ordine pubblico ai sensi di tale disposizione, oppure in applicazione
dell’articolo 21, paragrafo 3, della richiamata direttiva, quando sussistono
motivi per applicare la deroga al principio di non respingimento previsto
dall’articolo 21, paragrafo 2, di questa stessa direttiva.
2) Il sostegno a
un’associazione terroristica iscritta nell’elenco allegato alla posizione
comune 2001/931/PESC del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativa
all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, nella
versione in vigore alla data dei fatti della controversia principale, può
costituire uno degli «imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine
pubblico», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, anche
se le condizioni previste dall’articolo 21, paragrafo 2, della stessa non sono
riunite. Affinché un permesso di soggiorno rilasciato a un rifugiato possa
essere revocato sul fondamento dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale
direttiva, per il motivo che tale rifugiato sostiene siffatta associazione
terroristica, le autorità competenti sono tuttavia tenute a procedere, sotto il
controllo dei giudici nazionali, a una valutazione individuale degli elementi
di fatto specifici relativi alle azioni sia dell’associazione sia del rifugiato
di cui trattasi. Quando uno Stato membro decide di allontanare un rifugiato il
cui permesso di soggiorno è stato revocato, ma sospende l’esecuzione di tale
decisione, è incompatibile con la richiamata direttiva privarlo dell’accesso
alle prestazioni garantite dal capo VII della medesima, salvo che trovi
applicazione un’eccezione espressamente prevista da questa stessa direttiva.
Dal sito http://curia.europa.eu