Corte di Giustizia UE 2019
Rinvio pregiudiziale – Politica dell’immigrazione – Diritto
al ricongiungimento familiare – Direttiva 2003/86/CE – Articolo 10,
paragrafo 2 – Disposizione facoltativa – Condizioni per l’esercizio
del diritto al ricongiungimento familiare – Familiare di un rifugiato non
previsto all’articolo 4 – Nozione di “persona a carico”
L’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86/CE del Consiglio,
del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, deve
essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro
autorizzi il ricongiungimento familiare della sorella di un rifugiato solo se
quest’ultima, a causa del suo stato di salute, non è in grado di sovvenire alle
proprie necessità, purché:
– da un lato, tale
incapacità sia valutata tenendo conto della situazione particolare in cui si
trovano i rifugiati e dopo un esame individualizzato che tenga conto di tutti
gli elementi pertinenti, e
– dall’altro, sia
possibile stabilire, anche tenendo conto della situazione particolare in cui si
trovano i rifugiati e dopo un esame individualizzato che tenga conto di tutti
gli elementi pertinenti, che il sostegno materiale della persona interessata è
effettivamente garantito dal rifugiato o che il rifugiato sembra essere il
familiare più idoneo a fornire il sostegno materiale necessario.
OMISSIS
Sentenza
1 La
domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4,
paragrafi 2 e 3, e dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86/CE
del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento
familiare (GU 2003, L 251, pag. 12).
2 Tale
domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra TB e
Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Ufficio per l’immigrazione e l’asilo,
Ungheria) in merito al rigetto da parte di tale ufficio di una domanda di
rilascio di un permesso di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare a
favore della sorella dell’interessato.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 I
considerando 2, 4 e 8 della direttiva 2003/86 enunciano quanto segue:
«2) Le misure
in materia di ricongiungimento familiare dovrebbero essere adottate in
conformità con l’obbligo di protezione della famiglia e di rispetto della vita
familiare che è consacrato in numerosi strumenti di diritto internazionale. La
presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e i principi riconosciuti in
particolare nell’articolo 8 della convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea.
(...)
4) Il
ricongiungimento familiare è uno strumento necessario per permettere la vita
familiare. Esso contribuisce a creare una stabilità socioculturale che facilita
l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri, permettendo
d’altra parte di promuovere la coesione economica e sociale, obiettivo
fondamentale della Comunità, enunciato nel trattato.
(...)
8) La situazione
dei rifugiati richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle
ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che
impediscono loro di vivere là una normale vita familiare. In considerazione di
ciò, occorre prevedere condizioni più favorevoli per l’esercizio del loro
diritto al ricongiungimento familiare».
4 L’articolo
1 della suddetta direttiva così prevede:
«Lo scopo della presente direttiva è quello di fissare
le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui
dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio
degli Stati membri».
5 L’articolo
3, paragrafo 5, di tale direttiva recita come segue:
«La presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà
degli Stati membri di adottare o mantenere in vigore disposizioni più
favorevoli».
6 L’articolo
4 della medesima direttiva dispone, ai paragrafi da 1 a 3:
«1. In virtù della
presente direttiva e subordinatamente alle condizioni stabilite al capo IV e
all’articolo 16, gli Stati membri autorizzano l’ingresso e il soggiorno dei
seguenti familiari:
a) il coniuge
del soggiornante;
b) i figli
minorenni del soggiornante e del coniuge, compresi i figli adottati (...);
c) i figli
minorenni, compresi quelli adottati, del soggiornante, quando quest’ultimo sia
titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento. (...)
d) i figli
minorenni, compresi quelli adottati, del coniuge, quando quest’ultimo sia
titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento. (...)
(...)
2. In virtù della
presente direttiva e fatto salvo il rispetto delle condizioni stabilite al capo
IV, gli Stati membri possono, per via legislativa o regolamentare, autorizzare
l’ingresso e il soggiorno dei seguenti familiari:
a) gli
ascendenti diretti di primo grado del soggiornante o del suo coniuge, quando
sono a carico di questi ultimi e non dispongono di un adeguato sostegno
familiare nel paese d’origine;
b) i figli
adulti non coniugati del soggiornante o del suo coniuge, qualora obiettivamente
non possano sovvenire alle proprie necessità in ragione del loro stato di
salute.
3. Gli Stati membri
possono, per via legislativa o regolamentare, autorizzare l’ingresso e il
soggiorno ai sensi della presente direttiva, fatto salvo il rispetto delle
condizioni definite al capo IV, del partner non coniugato cittadino di un paese
terzo che abbia una relazione stabile duratura debitamente comprovata con il
soggiornante, o del cittadino di un paese terzo legato al soggiornante da una
relazione formalmente registrata, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, nonché
dei figli minori non coniugati, anche adottati, di tali persone, come pure i
figli adulti non coniugati di tali persone, qualora obiettivamente non possano
sovvenire alle proprie necessità in ragione del loro stato di salute.
Gli Stati membri possono decidere, relativamente al
ricongiungimento familiare, di riservare ai partner legati da una relazione
formalmente registrata lo stesso trattamento previsto per i coniugi».
7 L’articolo
10 della direttiva 2003/86, contenuto nel suo capo V, che reca il titolo
«Ricongiungimento familiare dei rifugiati», così prevede:
«1. L’articolo 4 si
applica alla definizione di familiari con l’eccezione del terzo comma del
paragrafo 1 di tale articolo che non si applica ai figli dei rifugiati.
2. Gli Stati membri
possono autorizzare il ricongiungimento di altri familiari non previsti
all’articolo 4, qualora essi siano a carico del rifugiato.
3. Se il rifugiato è
un minore non accompagnato, gli Stati membri:
a) autorizzano
l’ingresso e il soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare degli
ascendenti diretti di primo grado, senza applicare le condizioni previste
all’articolo 4, paragrafo 2, lettera a);
b) possono
autorizzare l’ingresso e il soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare
del suo tutore legale o di altro familiare, quando il rifugiato non abbia
ascendenti diretti o sia impossibile rintracciarli».
8 Ai
sensi dell’articolo 17 di tale direttiva:
«In caso di rigetto di una domanda, di ritiro o di
mancato rinnovo del permesso di soggiorno o di adozione di una misura di
allontanamento nei confronti del soggiornante o dei suoi familiari, gli Stati
membri prendono nella dovuta considerazione la natura e la solidità dei vincoli
familiari della persona e la durata del suo soggiorno nello Stato membro,
nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese
d’origine».
Diritto ungherese
9 L’articolo
19 dell’a harmadik országbeli állampolgárok beutazásáról és tartózkodásáról
szóló 2007. évi II. törvény (legge n. II del 2007, relativa all’ingresso e
al soggiorno dei cittadini di paesi terzi; in prosieguo: la «legge del 2007»)
dispone quanto segue:
«1. Può ottenere
un’autorizzazione al soggiorno ai fini di ricongiungimento familiare il
cittadino di un paese terzo che sia familiare di un cittadino di un paese terzo
titolare di un’autorizzazione al soggiorno, all’ingresso, di stabilimento, di
stabilimento provvisorio, di stabilimento nazionale o di stabilimento CE, o di
una persona che sia titolare, in forza di una legge speciale, di una carta di
soggiorno o di una carta di soggiorno permanente (in prosieguo e in via
generale: il «soggiornante»).
(...)
4. Può ottenere
un’autorizzazione al soggiorno a fini di ricongiungimento familiare:
a) il genitore a
carico;
b) il fratello o la
sorella e gli ascendenti e discendenti in linea diretta, qualora non siano in
grado di provvedere alle proprie necessità a causa del loro stato di salute,
del soggiornante o del suo coniuge o della persona cui
sia stata riconosciuta la qualità di rifugiato».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
10 Il
7 settembre 2015 l’autorità ungherese competente ha riconosciuto a TB lo status
di rifugiato. Il 12 gennaio 2016 la sorella di TB ha chiesto alla
rappresentanza diplomatica ungherese a Teheran (Iran) un permesso di soggiorno
per il ricongiungimento familiare con TB e un visto per entrare in possesso di
tale permesso di soggiorno.
11 Tale
richiesta è stata respinta da una decisione dell’autorità di primo grado,
confermata dall’autorità di secondo grado, in quanto, da un lato, la sorella di
TB, per ottenere il permesso di soggiorno richiesto, aveva fornito dati falsi
all’autorità competente e in quanto, dall’altro, essa, tenuto conto delle sue
qualifiche e del suo stato di salute, non aveva dimostrato che non sarebbe
stata in grado di mantenersi a causa del suo stato di salute, fermo restando
che, secondo la documentazione medica allegata alla sua domanda, essa
soffrirebbe di una depressione che richiedeva un controllo medico regolare.
12 Avverso
tale decisione di rigetto TB ha proposto ricorso dinanzi al giudice del rinvio.
A sostegno del suo ricorso, egli fa valere, in particolare, che la norma
prevista dall’articolo 19, paragrafo 4, lettera b), della legge del 2007, ai
sensi della quale il fratello o la sorella di un rifugiato può ottenere un
permesso di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare, a condizione che
egli non sia in grado di mantenersi a causa del suo stato di salute, viola
l’articolo 10, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2003/86.
13 Il
giudice nazionale, che dubita della compatibilità di tale norma con l’articolo
10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, rileva che la condizione così
prevista dall’articolo 19, paragrafo 4, lettera b), non corrisponde a quella
prevista da tale articolo 10, paragrafo 2, che consente agli Stati membri di
autorizzare il ricongiungimento dei membri della famiglia diversi da quelli di
cui all’articolo 4 di tale direttiva, quali i fratelli e le sorelle del
rifugiato, purché siano «a suo carico». Pertanto, la condizione di cui
all’articolo 19, paragrafo 4, lettera b), corrisponderebbe a quella di cui
all’articolo 4, paragrafi 2, lettera b), e 3, di tale direttiva per quanto
riguarda il ricongiungimento familiare, non dei fratelli e sorelle del
rifugiato, ma dei figli adulti non sposati del richiedente o del coniuge e dei
figli adulti non coniugati comuni del richiedente e del partner.
14 Di
conseguenza, tale giudice si chiede anzitutto se l’articolo 10, paragrafo 2,
della direttiva 2003/86 osti a che uno Stato membro, che si avvale della
possibilità prevista da tale disposizione autorizzando il ricongiungimento dei
familiari diversi da quelli di cui all’articolo 4 di tale direttiva, subordini
tale ricongiungimento a condizioni diverse da quelle previste da tale prima
disposizione.
15 A
tale riguardo, detto giudice rileva che, in una precedente sentenza, la Kúria (Corte suprema,
Ungheria) ha dichiarato, senza formulare una domanda di pronuncia
pregiudiziale, che la risposta a tale questione dovrebbe essere negativa e che
l’articolo 19, paragrafo 4, lettera b), della legge del 2007 non viola pertanto
l’articolo 10, paragrafo 2, di cui trattasi.
16 Tuttavia,
secondo il giudice del rinvio, se è vero che, conformemente all’articolo 10,
paragrafo 2, della direttiva 2003/86, gli Stati membri possono autorizzare il
ricongiungimento dei membri della famiglia non contemplati dall’articolo 4 di
tale direttiva e quindi derogare alla definizione della nozione di «familiare»
di cui a detto articolo, essi non potrebbero, per contro, derogare alla
condizione prevista da detto articolo 10, paragrafo 2, secondo cui tali membri
possono beneficiare del ricongiungimento familiare se sono a carico del
rifugiato.
17 In
secondo luogo, in caso di soluzione affermativa della questione di cui al punto
14 della presente sentenza, il giudice del rinvio s’interroga
sull’interpretazione della nozione di «persona a carico» ai sensi della
direttiva 2003/86.
18 A
tale riguardo, detto giudice rileva che, nella sua versione nella lingua
processuale, l’articolo 10, paragrafo 2, di tale direttiva si riferisce ai
familiari a carico del rifugiato («a menekült eltartottjai»), mentre, nella sua
versione in lingua inglese, tale disposizione si riferisce a coloro che hanno
una relazione di dipendenza con il rifugiato («dependent on the refugee»). Lo
stesso dubita che tali espressioni siano pienamente equivalenti.
19 Esso
si chiede inoltre se il concetto di persona «a carico» implichi una valutazione
globale dei vari elementi che caratterizzano la dipendenza o se tale concetto
possa essere riassunto come l’esistenza di uno solo di questi elementi, come
l’incapacità del familiare interessato di sovvenire alle proprie necessità a
causa del suo stato di salute, di modo che uno Stato membro possa, sulla sola
base di questo elemento, considerare che un familiare che non lo soddisfa non
dipende dal soggiornante, senza effettuare una valutazione individuale della
situazione di tale familiare. A tale riguardo, detto giudice rileva che,
secondo la Kúria
(Corte suprema, Ungheria), dalla giurisprudenza della Corte risulta che tale
nozione implica una dipendenza non solo materiale, ma anche fisica e
intellettuale, cosicché il rapporto di dipendenza può essere caratterizzato da
un rapporto di dipendenza complesso, di cui l’onere materiale costituisce solo
uno degli elementi.
20 In
terzo luogo, in caso di soluzione negativa della questione di cui al punto 14
della presente sentenza, il giudice nazionale si chiede se gli Stati membri
siano liberi di imporre qualsiasi condizione, comprese quelle previste
dall’articolo 4, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2003/86, e, eventualmente,
s’interroga sulla portata della condizione prevista da tale articolo 4,
paragrafo 3, in quanto i familiari interessati non siano oggettivamente in
grado di sovvenire alle proprie necessità a causa del loro stato di salute.
21 Alla
luce di tali circostanze, il Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság
(Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria) ha deciso di
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
«1) Se si
debba interpretare l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva [2003/86], nel
senso che, qualora uno Stato membro autorizzi ai sensi di detto articolo
l’ingresso di un familiare non incluso tra coloro che figurano all’articolo 4
[della menzionata direttiva], potrà applicare a tale familiare esclusivamente
il requisito previsto all’articolo 10, paragrafo 2 (che sia “a carico del
rifugiato”).
2) In caso di
risposta affermativa alla prima questione, se implichi la qualità di persona “a
carico” (“dependency”), disciplinata all’articolo 4, paragrafo 2, lettera a),
della direttiva [2003/86], una situazione di fatto in cui debbano concorrere,
cumulativamente, i vari aspetti della dipendenza, o se sia sufficiente, affinché
possa configurarsi detta qualità, che si configuri uno qualsiasi di tali
aspetti, a seconda delle circostanze specifiche di ciascuna fattispecie. In
tale contesto, se sia conforme al requisito previsto all’articolo 10, paragrafo
2, [di tale direttiva] (che sia “a carico del rifugiato”), una norma nazionale
che, escludendo una valutazione individuale, considera esclusivamente un unico
elemento fattuale (un aspetto indicativo della dipendenza: “non essere in grado
di provvedere alle proprie necessità a causa del proprio stato di salute”)
quale condizione che consente che sia soddisfatto detto requisito.
3) In caso di
risposta negativa alla prima questione e, quindi, qualora lo Stato membro possa
applicare altri requisiti oltre a quello figurante all’articolo 10, paragrafo
2, [della direttiva 2003/86] (che sia “a carico del rifugiato”), se questo
significhi che lo Stato membro è legittimato a stabilire, ove lo consideri
opportuno, qualsiasi requisito, inclusi quelli sanciti con riferimento ad altri
familiari all’articolo 4, paragrafi 2 e 3 [della menzionata direttiva], o se
possa applicare esclusivamente il requisito che rientra all’articolo 4,
paragrafo 3, [di detta direttiva]. In tale ipotesi, quale situazione di fatto
implichi il requisito “objectively unable to provide for their own needs on
account of their state of health” [qualora obiettivamente non possano sovvenire
alle proprie necessità in ragione del loro stato di salute] previsto
all’articolo 4, paragrafo 3. Se debba essere interpretato nel senso che il
familiare “non è in grado” di prendersi cura di “se stesso” o non può sovvenire
“alle proprie necessità”, o se si debba interpretare, eventualmente, in modo
diverso».
Sulle questioni pregiudiziali
Osservazioni preliminari
22 Il
governo ungherese sostiene che le questioni pregiudiziali sono irricevibili per
la loro natura ipotetica. Tali questioni si basano infatti sull’erronea
premessa che l’Ungheria, con l’articolo 19, paragrafo 4, lettera b), della
legge del 2007, ha attuato l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86,
anche se non ha notificato tali informazioni alla Commissione ai sensi
dell’articolo 20 di tale direttiva.
23 A
tale proposito, occorre ricordare che spetta soltanto al giudice nazionale, cui
è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità
dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle
particolarità del caso di specie, tanto la necessità di una pronuncia
pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, quanto la
rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le
questioni sollevate vertono sull’interpretazione di una norma giuridica
dell’Unione, la Corte
è, in via di principio, tenuta a statuire (sentenza del 10 dicembre 2018,
Wightman e a., C‑621/18, EU:C:2018:999, punto 26).
24 Ne
consegue che le questioni vertenti sul diritto dell’Unione sono assistite da
una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una
questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile soltanto
qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione richiesta di una norma
dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della
controversia nel procedimento principale, oppure qualora il problema sia di
natura ipotetica, o anche quando la
Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto
necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono sottoposte
(sentenza del 10 dicembre 2018, Wightman e a., C‑621/18, EU:C:2018:999,
punto 27).
25 Nella
specie si deve sottolineare che, secondo il giudice del rinvio, adottando
l’articolo 19, paragrafo 4, lettera b), della legge del 2007, il legislatore
ungherese ha senz’altro inteso attuare l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva
2003/86, recependo così una disposizione che concede agli Stati membri una
libertà di scelta che costituisce parte integrante del regime stabilito dalla
direttiva stessa (v., al riguardo, per analogia, sentenza del 21 dicembre 2011,
N.S. e a., C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti da 65 a 68).
26 Orbene,
la Corte è
tenuta a prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione delle
competenze tra i giudici dell’Unione e i giudici nazionali, il contesto
fattuale e normativo nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, come
definito dal provvedimento di rinvio. Di conseguenza, a prescindere dalle
censure mosse dal governo ungherese all’interpretazione del diritto nazionale
effettuata dal giudice del rinvio, l’esame del presente rinvio pregiudiziale
deve essere compiuto facendo riferimento all’interpretazione di tale diritto
operata da detto giudice (v., in tal senso, sentenza del 21 giugno 2016, New
Valmar, C‑15/15, EU:C:2016:464, punto 25).
27 Il
fatto che l’Ungheria non abbia notificato alla Commissione, ai sensi
dell’articolo 20 della direttiva 2003/86, l’articolo 19, paragrafo 4, lettera
b), come misura di trasposizione dell’articolo 10, paragrafo 2, di detta
direttiva, non è tale da modificare tale conclusione. Non è sufficiente che una
misura nazionale non sia stata notificata alla Commissione dallo Stato membro
interessato per escludere che la misura possa attuare una disposizione di una
direttiva.
28 L’eccezione
di irricevibilità deve pertanto essere respinta.
29 Va
inoltre rilevato che, con la seconda e la terza questione, il giudice nazionale
interroga la Corte
anche in merito all’interpretazione da dare all’articolo 4, paragrafi 2 e 3,
della direttiva 2003/86.
30 Tuttavia,
tali disposizioni concernono situazioni diverse da quella di cui trattasi nel
procedimento principale, in quanto riguardano il ricongiungimento familiare di
familiari di un rifugiato diversi dalla sorella.
31 Il
semplice fatto che, nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 10, paragrafo 2,
della direttiva 2003/86, il legislatore ungherese abbia utilizzato termini
analoghi a quelli di cui all’articolo 4, paragrafi 2 e 3, di tale direttiva non
è sufficiente a giustificare una richiesta di interpretazione di tali
disposizioni. Infatti, il giudice del rinvio non ha affermato, nella propria
domanda di pronuncia pregiudiziale, che il legislatore ungherese aveva inteso
operare un rinvio diretto e incondizionato a tali disposizioni adottando
l’articolo 19, paragrafo 4, lettera b), della legge del 2007 (v., al riguardo,
sentenze del 18 ottobre 2012, Nolan, C‑583/10, EU:C:2012:638, punto 47, e del 7
novembre 2018, C e A, C‑257/17, EU:C:2018:876, punto 33).
32 Ne
consegue che non è quindi necessario interpretare, nell’ambito della presente
causa, l’articolo 4, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2003/86.
Nel merito
33 Con
le sue questioni, che devono essere esaminate congiuntamente, il giudice
nazionale chiede, in sostanza, se l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva
2003/86 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato
membro autorizzi il ricongiungimento della sorella di un rifugiato solo qualora
quest’ultima, a causa del suo stato di salute, non sia in grado di sovvenire
alle proprie necessità.
34 Ai
sensi del suo articolo 1, lo scopo della direttiva 2003/86 è quello di fissare
le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui
dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio
degli Stati membri.
35 In
tale contesto, l’articolo 4 della presente direttiva elenca i familiari di un
cittadino di un paese terzo nei confronti dei quali gli Stati membri devono o
possono, a seconda dei casi, riconoscere il diritto al ricongiungimento
familiare ai sensi della presente direttiva.
36 Tuttavia,
dal considerando 8 della stessa direttiva risulta che essa offre ai rifugiati
condizioni più favorevoli per l’esercizio del diritto al ricongiungimento
familiare, giacché la loro situazione richiede un’attenzione particolare a
causa dei motivi che li hanno costretti a fuggire dal loro paese e che
impediscono loro di condurre una vita familiare normale (sentenza del 12 aprile
2018, A e S, C‑550/16, EU:C:2018:248, punto 32).
37 Una
di queste condizioni più favorevoli è stabilita dall’articolo 10, paragrafo 2,
della direttiva 2003/86.
38 Infatti,
mentre l’articolo 10, paragrafo 1, di tale direttiva rende l’articolo 4 della
stessa applicabile ai rifugiati, ad eccezione della riserva di cui al paragrafo
1, terzo comma, che non si applica ai figli dei rifugiati, l’articolo 10,
paragrafo 2, di tale direttiva consente inoltre agli Stati membri di concedere
il diritto al ricongiungimento familiare ai sensi di tale direttiva anche ai
membri della famiglia del rifugiato diversi da quelli di cui al medesimo
articolo 4.
39 Va
tuttavia sottolineato, in primo luogo, che l’articolo 10, paragrafo 2, è di
natura facoltativa. Questa disposizione lascia quindi alla discrezione di
ciascuno Stato membro la facoltà di decidere se attuare l’estensione del campo
di applicazione personale della direttiva 2003/86 da essa autorizzata.
40 Inoltre,
come l’avvocato generale ha sottolineato nella sostanza al paragrafo 37 delle
sue conclusioni, l’articolo 10, paragrafo 2, lascia agli Stati membri anche un
notevole margine di discrezionalità nel determinare, tra i familiari del
rifugiato, diversi da quelli di cui all’articolo 4 di detta direttiva, quelli
il cui ricongiungimento con il rifugiato residente nel loro territorio è auspicato
da tali Stati membri.
41 In
secondo luogo, va sottolineato che il margine di manovra di cui dispongono gli
Stati membri nell’attuazione dell’articolo 10, paragrafo 2, è tuttavia limitato
dalla condizione a cui tale disposizione subordina tale attuazione. Infatti,
dalle stesse disposizioni dell’articolo 10, paragrafo 2, risulta chiaramente
che gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento di altri membri
della famiglia del rifugiato, non contemplati dall’articolo 4 della direttiva
2003/86, se sono a carico del rifugiato.
42 Pertanto,
sotto un primo profilo, a pena di privare tale condizione di qualsiasi
efficacia, l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 deve essere
interpretato nel senso che osta a che uno Stato membro autorizzi il
ricongiungimento di un familiare di un rifugiato, non previsto dall’articolo 4
di tale direttiva, quando quest’ultimo non è a carico del rifugiato. Una
normativa nazionale che non rispetti tale condizione contrasterebbe con gli
obiettivi della direttiva 2003/86, in quanto consentirebbe di concedere il
beneficio dello status derivante da tale direttiva a persone che non soddisfano
le condizioni per ottenerlo (v., per analogia, sentenze del 27 giugno 2018,
Diallo, C‑246/17, EU:C:2018:499, punto 55, e del 23 maggio 2019, Bilali, C‑720/17,
EU:C:2019:448, punto 44).
43 Tale
constatazione lascia tuttavia impregiudicata la possibilità, riconosciuta
dall’articolo 3, paragrafo 5 di detta direttiva, che gli Stati membri
concedano, in base al solo diritto nazionale, un diritto di ingresso e di
soggiorno a condizioni più favorevoli.
44 Sotto
un secondo profilo, per quanto riguarda il significato da attribuire alla
condizione di essere «a carico» del rifugiato, occorre ricordare che dai
requisiti sia dell’applicazione uniforme del diritto dell’Unione sia del
principio di uguaglianza risulta che i termini di una disposizione del diritto
dell’Unione che non contiene alcun riferimento esplicito al diritto degli Stati
membri per determinarne il significato e la portata devono di norma trovare, in
tutta l’Unione europea, un’interpretazione autonoma e uniforme (sentenza del 29
luglio 2019, Spiegel Online, C‑516/17, EU:C:2019:625, punto 62 e giurisprudenza
citata).
45 Tuttavia,
poiché l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 non contiene alcun
riferimento al diritto nazionale degli Stati membri per quanto riguarda tale
condizione, essa deve essere interpretata in modo autonomo e uniforme.
46 A
tale riguardo, va rilevato che la
Corte ha già interpretato la condizione secondo cui il
familiare deve essere a carico del richiedente il ricongiungimento nell’ambito
della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29
aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari
di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri,
che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive
64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE,
90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77).
47 Secondo
tale giurisprudenza, lo status di familiare «a carico» di un cittadino
dell’Unione con diritto di soggiorno presuppone che si dimostri l’esistenza di
una situazione di reale dipendenza. Questa dipendenza deriva da una situazione
di fatto caratterizzata dalla circostanza che il sostegno materiale del
familiare è garantito dal titolare del diritto di soggiorno (sentenze del 19
ottobre 2004, Zhu e Chen, C‑200/02, EU:C:2004:639, punto 43; dell’8 novembre
2012, Iida, C‑40/11, EU:C:2012:691, punto 55; del 16 gennaio 2014, Reyes, C‑423/12,
EU:C:2014:16, punti 20 e 21, e del 13 settembre 2016, Rendón Marín, C‑165/14,
EU:C:2016:675, punto 50).
48 Per
determinare l’esistenza di tale dipendenza, lo Stato membro ospitante deve
valutare se, tenuto conto delle sue condizioni economiche e sociali, il
familiare non sia in grado di sopperire ai propri bisogni essenziali. La
necessità di sostegno materiale deve esistere nello Stato d’origine o di
provenienza del familiare nel momento in cui egli chiede di ricongiungersi con
il cittadino dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 9 gennaio 2007, Jia, C‑1/05,
EU:C:2007:1, punto 37, e del 16 gennaio 2014, Reyes, C‑423/12, EU:C:2014:16,
punti 22 e 30).
49 Occorre
prendere in considerazione tale giurisprudenza per interpretare la nozione di
familiare «a carico», ai sensi della direttiva 2003/86. Infatti, le direttive
2004/38 e 2003/86 perseguono analoghi obiettivi in quanto mirano a garantire o
a favorire, in seno allo Stato membro ospitante, il ricongiungimento familiare
dei cittadini di altri Stati membri o di paesi terzi che soggiornano legalmente
nello Stato membro ospitante.
50 Tuttavia,
occorre anche tener conto del fatto che, come ricordato nel considerando 8
della direttiva 2003/86, e come già risulta dal punto 35 della presente
sentenza, la situazione dei rifugiati richiede particolare attenzione, in
quanto sono stati costretti a fuggire dal loro paese e non possono prevedere di
condurre una vita familiare normale, in quanto possono essere stati separati
dalle loro famiglie per un lungo periodo di tempo prima del riconoscimento
dello status di rifugiato e in quanto spesso è impossibile o pericoloso per i
rifugiati o i membri della famiglia produrre documenti ufficiali o contattare
le autorità del loro paese d’origine (v., in tal senso, sentenze del 7 novembre
2018, K e B, C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 53, e del 13 marzo 2019, E., C‑635/17,
EU:C:2019:192, punto 66).
51 A
tale riguardo, esigere che il rifugiato garantisca effettivamente, al momento
della domanda di ricongiungimento, il sostegno materiale al familiare nello
Stato d’origine o nel paese d’origine del medesimo potrebbe avere l’effetto di
escludere dal campo d’applicazione dell’articolo 10, paragrafo 2, della
direttiva 2003/86 i familiari che sono realmente a suo carico, per il solo
fatto che il rifugiato non è o non è più in grado di fornire loro il sostegno
materiale di cui hanno bisogno per sovvenire alle proprie necessità essenziali
nel loro Stato d’origine o nel loro paese d’origine. Tuttavia, non si può
escludere che il rifugiato non sia o non sia più in grado di fornire tale
sostegno a causa di fattori che sfuggono al suo controllo, come l’impossibilità
materiale di inviare i fondi necessari o il timore di mettere in pericolo la
sicurezza dei suoi familiari contattandoli.
52 Di
conseguenza, il familiare di un rifugiato deve essere considerato a carico ai
sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 quando ne è
effettivamente dipendente, nel senso che, da un lato, tenuto conto delle sue
condizioni economiche e sociali, non è in grado di sovvenire alle proprie
necessità essenziali nel suo Stato d’origine o di provenienza alla data in cui
chiede di raggiungere il rifugiato, e, dall’altro, è accertato che il suo
sostegno materiale è effettivamente fornito dal rifugiato o che, tenuto conto
di tutte le circostanze pertinenti, quali il grado di parentela del familiare
interessato con il rifugiato, la natura e la solidità degli altri legami
familiari e l’età e la situazione economica degli altri parenti, il rifugiato
sembra essere il familiare più idoneo a fornire il sostegno materiale
richiesto.
53 Tale
interpretazione è sostenuta dall’articolo 17 della direttiva 2003/86, che
richiede un esame individualizzato della domanda di ricongiungimento familiare,
nell’ambito del quale, come risulta dal considerando 8 di tale direttiva, si
deve tener conto, in particolare, delle specificità connesse allo status di
rifugiato del soggiornante (v., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2018, K e
B, C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 53).
54 In
terzo luogo, da quanto precede consegue che se, come rileva il giudice
nazionale, in talune versioni linguistiche, l’articolo 10, paragrafo 2, fa
riferimento alla situazione di dipendenza del familiare dal rifugiato, mentre
in altre versioni tale disposizione fa riferimento allo status di familiare a
carico di tale rifugiato, tale divergenza è irrilevante ai fini
dell’interpretazione della condizione prevista da tale articolo 10, paragrafo
2.
55 In
terzo luogo, va osservato che, nell’attuazione della facoltà concessa loro
dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, gli Stati membri
possono stabilire requisiti supplementari relativi alla natura del rapporto di
dipendenza imposto da tale disposizione, in particolare subordinando il
riconoscimento dei diritti derivanti dalla direttiva 2003/86 alla condizione
che i familiari del rifugiato di cui trattasi siano a suo carico per
determinati motivi.
56 La
condizione relativa all’esistenza di un rapporto di dipendenza tra il rifugiato
e il familiare deve essere interpretata nel senso che essa è intesa ad
escludere dal beneficio dell’opzione riconosciuta dall’articolo 10, paragrafo
2, della direttiva 2003/86 i familiari del rifugiato, diversi da quelli di cui
all’articolo 4 di tale direttiva, che non sono a suo carico, senza tuttavia
imporre allo Stato membro, che decide di attuare tale facoltà, l’obbligo di
riconoscere automaticamente a tutti o a parte dei familiari del rifugiato,
diversi da quelli di cui all’articolo 4 della suddetta direttiva, il diritto al
ricongiungimento non appena sono a carico del rifugiato.
57 A
tale riguardo, occorre sottolineare, da un lato, che le disparità che possono
risultare dal fatto che ciascuno Stato membro è quindi libero di specificare la
natura del rapporto di dipendenza che, secondo la sua normativa nazionale,
consente ai familiari del rifugiato, diversi da quelli di cui all’articolo 4
della direttiva 2003/86, di beneficiare di un diritto al ricongiungimento
familiare ai sensi di tale direttiva, sono perfettamente compatibili con la
natura e la finalità dell’articolo 10, paragrafo 2, della stessa direttiva.
Infatti, già dai punti da 38 a 40 di tale sentenza risulta chiaramente che
l’articolo 10, paragrafo 2, è stato concepito dal legislatore dell’Unione come
una disposizione facoltativa, la cui attuazione lascia un margine di
discrezionalità agli Stati membri, cosicché le disparità nelle norme nazionali
di attuazione di tale opzione derivano naturalmente dalla scelta di tale
legislatore (v., per analogia, sentenza del 12 aprile 2018, A e S, C‑550/16,
EU:C:2018:248, punto 47).
58 D’altro
canto, la possibilità così concessa agli Stati membri di stabilire requisiti
supplementari non pregiudica, in quanto tale, gli obiettivi perseguiti in modo
generale dalla direttiva 2003/86, come indicato nei considerando 4 e 8 della
stessa, che consistono nell’agevolare l’integrazione dei cittadini di paesi
terzi interessati consentendo loro di condurre una vita familiare normale e di
offrire condizioni più favorevoli all’esercizio del diritto al ricongiungimento
familiare da parte dei rifugiati, tenuto conto della loro situazione
particolare. Infatti, come rilevato ai punti 36 e 37 della presente sentenza,
lo Stato membro interessato, avvalendosi della facoltà prevista dall’articolo
10, paragrafo 2, di tale direttiva e consentendo il ricongiungimento dei
familiari di rifugiati diversi da quelli di cui all’articolo 4 della stessa
direttiva, promuove già la realizzazione di tali obiettivi, anche se subordina
detto ricongiungimento a condizioni più rigorose di quella prevista
dall’articolo 10, paragrafo 2.
59 D’altro
canto, vietare ad uno Stato membro di stabilire tali requisiti supplementari
sarebbe contrario alla logica stessa dell’articolo 10, paragrafo 2, che, come
stabilito ai punti 38 e 39 della presente sentenza, consente agli Stati membri
sia di decidere di non riconoscere a nessuno dei familiari del rifugiato su cui
verte detta disposizione il diritto al ricongiungimento familiare, sia di
determinare liberamente quale di questi membri può beneficiare di tale diritto
al ricongiungimento.
60 Inoltre,
il divieto di cui trattasi potrebbe vanificare gli obiettivi di cui al punto 58
della presente sentenza, incoraggiando gli Stati membri a rinunciare alla
facoltà prevista dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86.
61 Tuttavia,
va anche sottolineato, in quarto luogo, che, esercitando la facoltà concessa
loro dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, gli Stati membri
attuano il diritto dell’Unione.
62 Di
conseguenza, il margine di discrezionalità conferito agli Stati membri da detto
articolo 10, paragrafo 2, non deve, anzitutto, essere esercitato da questi
ultimi in modo tale da pregiudicare l’obiettivo della direttiva 2003/86 e il
suo effetto utile (v., in tal senso, sentenza del 13 marzo 2019, E., C‑635/17,
EU:C:2019:192, punto 53).
63 A
tale riguardo, come stabilito ai punti 36, 50 e 53 della presente sentenza, da
un lato, la situazione dei rifugiati richiede un’attenzione particolare
nell’attuazione della direttiva 2003/86 e, dall’altro, l’articolo 17 di tale
direttiva richiede l’individualizzazione dell’esame delle domande di
ricongiungimento familiare.
64 Inoltre,
come confermato tra l’altro dal considerando 2 della direttiva 2003/86, essa
deve rispettare la Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).
65 Certo,
le disposizioni della Carta non possono essere interpretate nel senso che
privano gli Stati membri del margine di discrezionalità di cui dispongono
quando decidono di attuare l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86
ed esaminano le domande di ricongiungimento familiare presentate ai sensi di
tale disposizione. Le disposizioni di tale direttiva, tuttavia, devono essere
interpretate ed applicate, durante l’esame suddetto, in particolare, alla luce
dell’articolo 7 della Carta che sancisce, tra gli altri diritti, quello al
rispetto della vita familiare (v., in tal senso, sentenza del 21 aprile 2016,
Khachab, C‑558/14, EU:C:2016:285, punto 28).
66 Infine,
in base al principio di proporzionalità, che fa parte dei principi generali del
diritto dell’Unione, i mezzi predisposti dalla normativa nazionale che attua
l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 devono essere idonei a
realizzare gli obiettivi perseguiti da tale normativa e non devono eccedere
quanto è necessario per conseguirli (sentenza del 21 aprile 2016, Khachab, C‑558/14,
EU:C:2016:285, punto 42).
67 Di
conseguenza, la normativa nazionale che attua la facoltà prevista all’articolo
10, paragrafo 2, deve rispettare sia i diritti fondamentali garantiti dalla
Carta sia il principio di proporzionalità e non deve impedire un esame
individualizzato della domanda di ricongiungimento familiare, che deve essere
condotto tenendo conto anche della situazione particolare dei rifugiati.
68 È
alla luce di tutte le considerazioni di cui sopra che è necessario esaminare,
in ultima analisi, se l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 osti
a che uno Stato membro riconosca il diritto al ricongiungimento familiare della
sorella di un rifugiato solo se quest’ultima non è in grado di sovvenire alle
proprie necessità a causa del suo stato di salute.
69 Al
riguardo, va osservato, in primo luogo, che la sorella di un rifugiato non
rientra tra i familiari del soggiornante di cui all’articolo 4 della direttiva
2003/86. È, pertanto, possibile che uno Stato membro riconosca a tale familiare
del rifugiato il diritto al ricongiungimento familiare, in conformità
all’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva stessa.
70 In
secondo luogo, da quanto affermato ai punti da 54 a 59 della presente sentenza
risulta che l’articolo 10, paragrafo 2, non osta, in linea di principio,
all’introduzione da parte degli Stati membri di una condizione supplementare
che esige che il rapporto di dipendenza tra il rifugiato e il familiare sia
dovuto allo stato di salute di quest’ultimo.
71 Va
inoltre rilevato che, nell’ambito di un’armonizzazione più precisa, il
legislatore dell’Unione ha espressamente consentito agli Stati membri,
all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), e paragrafo 3, della direttiva
2003/86, di subordinare il diritto al ricongiungimento familiare di taluni
familiari di un cittadino di un paese terzo a una condizione analoga.
72 Tuttavia,
anche dal punto 42 di tale sentenza discende che, per preservare l’effetto
utile dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, uno Stato membro
non potrebbe consentire alla sorella di un rifugiato di beneficiare del diritto
al ricongiungimento familiare ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, della
direttiva 2003/86 senza che essa sia a carico del rifugiato, il che implica,
come dimostrato al punto 52 della presente sentenza, non solo che la sorella
del rifugiato non è in grado di sovvenire alle proprie necessità essenziali, ma
anche che è accertato che il suo sostegno materiale è effettivamente garantito
dal rifugiato o che, tenuto conto di tutte le circostanze pertinenti, il
rifugiato sembra essere il familiare più idoneo a fornire il sostegno materiale
richiesto.
73 Inoltre,
dai punti 53 e 63 della presente sentenza risulta anche che le autorità
nazionali competenti sono tenute ad effettuare un esame individualizzato del
rispetto della condizione secondo cui la sorella del rifugiato deve essere a
suo carico a causa del suo stato di salute.
74 Ne
consegue, in particolare, che una tale richiesta non può essere respinta per il
solo fatto che l’affezione di cui la sorella del rifugiato soffre sarebbe
automaticamente considerata come non idonea a instaurare un tale rapporto di
dipendenza.
75 In
particolare, l’esame individualizzato della domanda deve tener conto, in modo
equilibrato e ragionevole, di tutti gli elementi pertinenti della situazione
personale della sorella del rifugiato, quali l’età, il livello di istruzione,
la situazione professionale e finanziaria e lo stato di salute. Le autorità
nazionali dovranno, inoltre, tenere conto del fatto che l’ampiezza dei bisogni
può essere assai varia a seconda degli individui (v., in tal senso, sentenza
del 4 marzo 2010, Chakroun, C‑578/08, EU:C:2010:117, punto 48), nonché della
situazione particolare dei rifugiati, segnatamente delle difficoltà specifiche
con le quali questi ultimi devono confrontarsi riguardo all’ottenimento di
elementi di prova nel loro paese d’origine.
76 Spetta
al giudice nazionale interpretare, per quanto possibile, il diritto nazionale
e, in particolare, l’articolo 19, paragrafo 4, lettera b), della legge del
2007, in modo coerente con tali requisiti.
77 Da
tutto quanto precede consegue che le questioni sollevate devono essere risolte
nel senso che l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 deve essere
interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro autorizzi il
ricongiungimento familiare della sorella di un rifugiato solo se quest’ultima,
a causa del suo stato di salute, non è in grado di sovvenire alle proprie
necessità, purché:
– da un
lato, tale incapacità sia valutata tenendo conto della situazione particolare
in cui si trovano i rifugiati e dopo un esame individualizzato che tenga conto
di tutti gli elementi pertinenti, e
– dall’altro,
sia possibile stabilire, anche tenendo conto della situazione particolare in
cui si trovano i rifugiati e dopo un esame individualizzato che tenga conto di
tutti gli elementi pertinenti, che il sostegno materiale della persona
interessata è effettivamente garantito dal rifugiato o che il rifugiato sembra
essere il familiare più idoneo a fornire il sostegno materiale necessario.
Sulle spese
78 Nei
confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce
un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire
sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni
alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione)
dichiara:
L’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva
2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al
ricongiungimento familiare, deve essere interpretato nel senso che esso non
osta a che uno Stato membro autorizzi il ricongiungimento familiare della
sorella di un rifugiato solo se quest’ultima, a causa del suo stato di salute,
non è in grado di sovvenire alle proprie necessità, purché:
– da
un lato, tale incapacità sia valutata tenendo conto della situazione particolare
in cui si trovano i rifugiati e dopo un esame individualizzato che tenga conto
di tutti gli elementi pertinenti, e
– dall’altro,
sia possibile stabilire, anche tenendo conto della situazione particolare in
cui si trovano i rifugiati e dopo un esame individualizzato che tenga conto di
tutti gli elementi pertinenti, che il sostegno materiale della persona
interessata è effettivamente garantito dal rifugiato o che il rifugiato sembra
essere il familiare più idoneo a fornire il sostegno materiale necessario.
Dal sito http://curia.europa.eu