giovedì 29 dicembre 2016



Sollevata la questione di legittimità costituzionale sull’obbligo del giuramento, ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana, da parte della persona affetta da disabilità

Trib. Modena (g.t.) 6 dicembre 2016

E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 della l. 5 febbraio 1992, n. 91, 7, 1° comma, d.p.r. 572 del 12 ottobre 1993 e 25, 1° comma, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396, nella parte in cui prevedono l'obbligo di prestazione del giuramento, quale condizione per l'acquisizione della cittadinanza, anche laddove tale adempimento non possa essere prestato da parte di persona affetta da disabilità a causa di tale condizione patologica, per violazione degli artt. 2 e 3°, 2° comma, Cost. e dell'art. 18 della Convenzione O.N.U. per i diritti delle persone disabili, ratificata dall’Italia con legge n. 18 del 3 marzo 2009, nonché degli artt. 21 e 26 della Dichiarazione O.N.U. dei Diritti delle Persone con Disabilità del 1975



I. XXX XXX, amministratore di sostegno (nominato con decreto di questo g.t. in data 14 ottobre 2012) della figlia XXX XXX (nata in India il XXX e residente a XXX), ha richiesto al giudice tutelare di autorizzare la trascrizione del decreto concessivo della cittadinanza a favore della figlia datato 20 luglio 2016, in assenza del prescritto giuramento. Dato che la figlia non sarebbe in grado, né in condizioni di prestare tale atto, in quanto affetta da “epilessia parziale con secondaria generalizzazione in attuale buon controllo con terapia anticomiziale-associato ritardo mentale grave in pachigiria focale” (come da documentazione della Commissione per l'accertamento dello stato di invalidità).

La giovane beneficiaria, è stata ascoltata in udienza, alla presenza del padre-a.d.s. per saggiarne l'idoneità a prestare il prescritto giuramento.

In vero, la persona è apparsa completamente disorientata nel tempo e nello spazio (dal verbale risulta che la ragazza dice che il giudice “è Stefano” e non è in grado di precisare dove si trova,sottoscrive il verbale col nome “Sara”) e il padre-a.d.s. ha precisato che XXX non sa leggere, né scrivere.


II. In diritto, va preliminarmente fornito un rapido quadro normativo della materia.

In base all’art. 9, 1° comma, lett. f), della l. n. 91 del 1992, la cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di stato, su proposta del Ministro dell’interno, allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.

L’art. 10, della cit. l. n. 91 prevede che: «il decreto di concessione della cittadinanza non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla notifica del decreto medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato», mentre l’art. 23, 1° co., l. n. 91/1992 dispone che «le dichiarazioni per l’acquisto […] della cittadinanza e la prestazione del giuramento previste dalla presente legge sono rese all’ufficiale dello stato civile del comune dove il dichiarante risiede o intende stabilire la propria residenza, ovvero, in caso di residenza all’estero, davanti all’autorità diplomatica o consolare del luogo di residenza».

A sua volta, l'art. 7, 2° comma, d.p.r. 12 ottobre 1993, n. 572, dispone che: “il giuramento di cui all'art. 10 della legge d e v e e s s e r e p r e s t a t o e n t r o s e i m e s i d a l l a n o t i f i c a all'intestatario del decreto di cui agli artt. 7 e 9 della legge”.

Infine, l’art. 25, 1° comma, d.p.r. 3.11.2000, n. 396, ord. stato civile, stabilisce che: «l’ufficiale dello stato civile non può trascrivere il decreto di concessione della cittadinanza se prima non è stato prestato il giuramento prescritto dall’art. 10, l. 5.2.1992, n. 91», mentre secondo l’art. 27, d.p.r. cit., «l’acquisto della cittadinanza italiana ha effetto dal giorno successivo a quello in cui è stato prestato il giuramento, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 10 e 15, l. 5.2.1992, n. 91, anche quando la trascrizione del decreto di concessione avviene in data posteriore». In concreto, la dottrina ha sottolineato che il giuramento è sempre stato, in ogni luogo, diretto a “rafforzare una pronunzia del giurante”. Lo stesso, più in particolare, “non è più che la forma rafforzata di una promessa, una solennità supplementare destinata indubbiamente a far riflettere il giurante sulla gravità dell'atto che sta compiendo, ma che giuridicamente non lo modifica e nulla vi aggiunge”. La portata di tale atto si esplica su di un piano prevalentemente morale, in quanto “sospinge, attraverso un vincolo interno, all'osservanza di obblighi e doveri preesistenti”, cosicchè il giuramento non rivestirebbe efficacia costitutiva, ma accessoria.


III. Il problema che il ricorso suscita non è di poco momento; esso consiste nel verificare, a fronte di persona che, a causa dell'infermità mentale che l'affligge non sia in grado di prestare il prescritto giuramento, in che modo l'ordinamento debba reagire e porsi da un punto di vista sistematico e ricostruttivo, ricercando se sussista una lacuna normativa, ovvero, un contrasto del tessuto normativo rispetto ai parametri costituzionali ed sovranazionali dati.


IV. Un primo decreto petroniano (Trib. Bologna 9 gennaio 2009, in personaedanno, con nota di COSTANZO) ha ritenuto di estendere l'esonero dal giuramento per acquisire la cittadinanza affermando l'applicabilità all'amministrazione di sostegno, quale effetto ex art. 411 c.c., dall'esenzione dal giuramento sulla scorta di parere favorevole espresso dal Consiglio di Stato con riguardo la concessione della cittadinanza all'interdetto senza prestazione di giuramento, in quanto atto personalissimo non delegabile al tutore (C.d.S. 13 marzo 1987, n. 261/85).


IV. Altro provvedimento del Tribunale di Mantova (Trib. Mantova 2 dicembre 2010) ha semplicemente ritenuto di esentare l'interdetto dalla prestazione del giuramento necessario ad acquisire la cittadinanza, non essendo lo stesso delegabile al tutore.


V. Soluzioni giuridiche riferite in precedenza non convincono.

Non pare ipotizzabile l'applicazione analogica dell'art. 411 c.c. ,che ammette di estendere all'amministrazione di sostegno “determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato”. Nella specie, è trasparente che la norma codicistica richiamata ammette l'estensione all'amministrazione di sostegno di disposizioni di “legge”; non il contenuto di atti amministrativi, quali sono i pareri espressi dal C.d.S. in sede consultiva.


VI. Dall'altro, può ipotizzarsi l'insorgenza di questione di legittimità costituzionale delle disposizioni normative richiamate in precedenza (art. 10 l. n. 91 del 1992, art. 7, 2° comma, d.p.r. 572 del 1993, e 25 d.p.r. 396 del 2000), in particolare, nella parte in cui le stesse non prevedono deroghe all'obbligo della prestazione del giuramento, quale condizione per l'acquisizione della cittadinanza italiana, in presenza di condizioni personali di infermità mentale in cui versi il futuro cittadino, impeditive il compimento dell'atto formale in discorso.

Da questo punto di vista, dato che, a giudizio della dottrina, il giuramento, avendo natura ancillare e secondaria rispetto al conseguimento della cittadinanza, non avrebbe efficacia costitutiva di essa ,potrebbe ritenersi non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni normative richiamate e che impongono la prestazione del giuramento quale condizione per l'acquisizione della cit tad ina nza , pe r vi ola zio ne d i più di un par ame tro costituzionale.

In particolare, se la Repubblica riconosce e garantisce i “diritti inviolabili dell'uomo” (art. 2 Cost.), non permettere al disabile psichico l'acquisizione di un diritto fondamentale, qual è l o status di cittadino (fonte di diritti e doveri pubblicistici), dal momento che non è in grado della prestazione dell'atto formale del giuramento, significherebbe, alla fin fine, non “garantire” tale diritto; escludendo, così, l'infermo di mente dalla nuova collettività in cui è nato e si è formato, solo a causa dell'impedimento determinato dalla sua condizione psichica di natura personale. L'ostacolo personale impedirebbe l'acquisizione del diritto e gli arrecherebbe un considerevole danno.

Che dire poi del parametro affidato al capoverso dell'art. 3 Cost.?

Se è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, non si può forse ritenere che l'impossibilità di prestazione del giuramento per acquisire la cittadinanza, determinato dalla condizione patologica della persona affetta da malattia mentale, non costituisca significativo “ostacolo” all'esplicazione della personalità dell'individuo, come tale contrastante con tale cruciale previsione programmatica ?

Se così è, allora, le disposizione normative in precedenza richiamate, disponenti che il mancato giuramento nei sei mesi successivi alla notifica del decreto di concessione della cittadinanza ne determina inefficacia, paiono contrastare anche con quest'ultimo parametro costituzionale, creando disparità di trattamento tra cittadini sani e normali, questi ultimi in grado di prestare giuramento, e quanti sani non siano in quanto affetti da disabilità e che, per effetto della mancata prestazione del giuramento, non possono acquistare lo status civitatis.

Tenuto conto di ciò, il presente procedimento va sospeso, con remissione degli atti alla Corte Costituzionale, dato che la questione di legittimità costituzionale quivi sollevata sugli artt. 10 della l. 5 febbraio 1992, n. 91, 7 d.p.r. 572 del 12 ottobre 1993 e 25, 1° comma, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396, appare rilevante, in questo procedimento dovendosi applicare le disposizioni normative testè richiamate, e non manifestamente infondata, alla luce della violazione dei parametri fissati dagli artt. 2 e 3, 2° comma, Cost.


VII. Il mancato rispetto del principio di uguaglianza quale diritto fondamentale dell’individuo va rilevato anche con riferimento al quadro legislativo sovranazionale, cui l'ordinamento dello Stato è tenuto a conformarsi.


VIII. Infatti, l’art. 18 della Convenzione O.N.U. per i diritti delle persone disabili, ratificata dall’Italia con la Legge n. 18 del 3 marzo 2009 (e quindi legge dello Stato a tutti gli effetti), dispone che: “il diritto alla cittadinanza non può essere negato e dunque i disabili hanno il diritto di acquisire e cambiare la cittadinanza e non possono essere privati della stessa arbitrariamente o a causa della loro disabilità”.


IX. Lo scopo della Convenzione è quello di indurre gli Stati firmatari a promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità. La condizione di disabilità viene individuata nell'esistenza di barriere di diversa natura e tipologia che possano ostacolare la piena ed effettiva partecipazione nella società, in condizioni di uguaglianza con gli altri, per le persone che presentano delle durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali.

Il testo normativo richiama la Convenzione europea dei diritti dell'uomo ed è dotato di portata universale, dato che si rivolge a tutte le persone disabili, indipendentemente dalla nazionalità, e alle quali garantisce il diritto ad un livello di vita adeguato e il diritto alla protezione sociale, rievocando i principi enunciati anche dalla Dichiarazione O.N.U. dei Diritti delle Persone con Ritardo Mentale del 1971, della Dichiarazione O.N.U. dei Diritti delle Persone con Disabilità del 1975, degli articoli 21 (“Nell'ambito d'applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull'Unione europea è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi”) e 26 (“L'Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità”) della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea di Nizza, resa vincolante dal Trattato di Lisbona del 2009.

Si evince, pertanto, che l’Unione è fondata sul rispetto dell’uguaglianza della dignità umana, della democrazia, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani compresi quelli enunciati dall’art. 67 TFUE in base ai quali “l'Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri”.

Da tali principi dell’ordinamento si ricava che la tutela dei diritti umani nell’Unione europea non dipende dal possesso della cittadinanza dell’Unione, che va riconosciuta anche ai cittadini di paesi terzi. Sotto questo profilo si è avviato il passaggio da una fase improntata alla salvaguardia dei diritti dei cittadini dell’Unione ad una nuova fase caratterizzata anche dalla tutela della persona in quanto tale. Il punto cruciale riguarda il rapporto intercorrente tra l’iniziativa dell’amministratore ed i bisogni, le aspirazioni, gli interessi del beneficiario straniero ed incapace; nell’ipotesi di totale nonché effettiva incapacità di formazione della volontà consapevole da parte dello straniero disabile, la privazione tout court della capacità di agire nell’esercizio dell’acquisto della cittadinanza (in quanto atto personalissimo, come tale non delegabile in via surrogatoria all’amministratore di sostegno), appare criticabile almeno per un duplice ordine di ragioni: in primis, tale impostazione lederebbe la legittima aspettativa dello straniero a vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana, stante il ricorso dei requisiti oggettivi fissati dalla legge; in secundis, si affaccerebbe il rischio, di lasciare lo straniero isolato da quella trama di relazioni di cui, ai fini dello status civitatis, costituisce il principale centro di imputazione di interessi.

Come si vede, quindi, anche da questo punto di vista, si dubita della legittimità costituzionale della trama normativa costituita dalle disposizioni normative che impongono anche al disabile, che ne sia impossibilitato per effetto della patologia mentale che l'affligge, di prestare giuramento quale presupposto per l'acquisto della cittadinanza.

P.Q.M.

Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 della l. 5 febbraio 1992, n. 91, 7, 1° comma, d.p.r. 572 del 12 ottobre 1993 e 25, 1° comma, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396, nella parte in cui prevedono l'obbligo di prestazione del giuramento, quale condizione per l'acquisizione della cittadinanza, anche laddove tale adempimento non possa essere prestato da parte di persona affetta da disabilità a causa di tale condizione patologica, per violazione degli artt. 2 e 3°, 2° comma, Cost. e dell'art. 18 della Convenzione O.N.U. per i diritti delle persone disabili, ratificata dall’Italia con legge n. 18 del 3 marzo 2009, nonché degli artt. 21 e 26 della Dichiarazione O.N.U. dei Diritti delle Persone con Disabilità del 1975, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il procedimento in corso. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, previa notifica alla parte istante, nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri e con comunicazione dell'ordinanza anche ai presidenti delle due Camere del Parlamento.

venerdì 23 dicembre 2016




Corte Dei Conti – Sezione di controllo per l’Umbria 24 novembre 2016, n. 113, Gettone di presenza per il segretario della S.C.E.C.

Il principio di onnicomprensività deve raccordarsi con il principio enunciato nell’articolo 36 della Costituzione, nel senso che la retribuzione del dipendente pubblico (e non soltanto del dirigente) può variare in funzione delle responsabilità, del bilanciamento tra prestazione richiesta e risultato atteso (il sinallagma), tra una negoziazione generale (collettiva) e una posizione individuale, in aderenza al singolo profilo ricoperto

Non si deve corrispondere al dipendente pubblico chiamato a svolgere le attività di segretario della Sottocommissione elettorale un “compenso aggiuntivo” laddove tali compiti siano riconducibili a “funzioni e poteri connessi alla sua qualifica e all’ufficio ricoperto” o corrispondano “a mansioni cui egli non possa sottrarsi perché rientranti nei normali compiti di servizio”, nonché qualora le medesime attività siano svolte durante l’orario di lavoro e siano comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici


Al dipendente comunale delegato (non appartenente al comparto dirigenziale e non incaricato di posizione organizzativa) per le attività di segretario della Sottocommissione elettorale spetta, in relazione alle sedute svolte al di fuori dell’orario di lavoro o il gettone di presenza previsto dall’art. 24 del T.U. 223/1967, oltre al rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute, oppure il compenso per le ore di lavoro straordinario effettivamente svolto



OMISSIS

F A T T O
Con la nota sopra indicata il Sindaco del Comune di F., dopo avere premesso che:
- l'art. 24 del T.U. 20.03.1967 n. 223 prevede che "a ciascun componente ed al segretario della commissione elettorale circondariale può essere corrisposto, oltre al rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute, un gettone di presenza pari a lire 60.000, al lordo delle ritenute di legge, in luogo di quello previsto dalle disposizioni in vigore per i componenti delle commissioni costituite presso le Amministrazioni dello Stato.";
- l'art. 230 della L. 24.12.2007 n. 244 ha successivamente sancito che "l'incarico di componente delle commissioni elettorali comunali e delle commissioni e sottocommissioni elettorali circondariali è gratuito, ad eccezione delle spese di viaggio effettivamente sostenute”;
- a seguito della revisione delle competenze territoriali delle Commissioni circondariali di Perugia e Spoleto al Comune di F. è stata assegnata la I^ Sotto-commissione elettorale circondariale di Spoleto avente competenza sui Comuni di F., Cannara, Sellano, Nocera Umbra, Spello e Valtopina;
- il Segretario della S.C.E.C. di cui fa parte il Comune di F. è un dipendente comunale, al quale è stato conferito tale incarico con decreto del Sindaco;
chiede di conoscere l'orientamento di questa Sezione rispetto alle seguenti problematiche:
1. Se sia legittimo, dato il quadro normativo attuale, corrispondere il gettone di presenza al Segretario della S.C.E.C. con spesa a carico dei fondi della Commissione;
2. Se tale corresponsione spetti anche qualora il Segretario delegato (non appartenente al comparto dirigenziale e non incaricato di posizione organizzativa) sia incaricato, presso il Comune assegnatario della S.C.E.C., delle funzioni di responsabile dell'Ufficio Elettorale e di Segretario della Commissione Elettorale Comunale;
3. Se le riunioni della S.C.E.C. debbano svolgersi durante od al di fuori del normale orario di lavoro, ed in che rapporto, nel caso si svolgano in regime di plus-orario, debba porsi l'eventuale compenso per lavoro straordinario (o l'eventuale recupero) con il gettone di presenza, qualora spettante.
 Considerato in
D I R I T T O
OMISSIS
Nel caso di specie, la richiesta di parere deve ritenersi ammissibile anche sul piano oggettivo, attenendo i quesiti proposti a questioni ermeneutiche di carattere generale ed astratto attinenti a norme di contenimento della spesa pubblica, chiaramente riconducibili alla materia della contabilità pubblica, nell’accezione dinamica anzi descritta.
Nel merito
Con il primo quesito il Comune di F. chiede se sia legittimo corrispondere il gettone di presenza al Segretario della S.C.E.C., con spesa a carico dei fondi della Commissione, alla stregua del vigente quadro normativo.
La risposta al quesito richiede un breve inquadramento delle Commissioni e Sottocommissioni elettorali circondariali e del loro rapporto con le competenze dei Comuni. Dall’esame della normativa che le riguarda (artt. 21 e ss. del d.P.R. 20 marzo 1967, n. 223 (Approvazione del testo unico delle leggi per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali) e artt. 30 e ss. del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali) si rileva che le suddette Commissioni e le Sottocommissioni sono organi collegiali, presieduti rispettivamente dal prefetto (o da un suo delegato) e da un dipendente del Ministero dell’interno con qualifica non inferiore a consigliere di prefettura, mentre tra i componenti non è contemplato il dipendente designato a svolgere compiti segretariali.
Si tratta di organi dello Stato dotati di una propria soggettività giuridica (cfr. Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, 29 gennaio 1966, n. 38), non incardinati in una struttura ministeriale né in quella comunale, che si avvalgono del supporto “segretariale” del Comune nel quale hanno sede. In particolare, l’art. 27, comma 2, del d.P.R. 223/1967 dispone che le funzioni di redazione dei processi verbali di tutte le operazioni della Commissione elettorale circondariale “sono svolte dal segretario o da funzionari di ruolo del comune designati dal sindaco; in seno alle Sottocommissioni le medesime funzioni sono svolte dal segretario del comune che ne è sede o da altri impiegati designati dal sindaco”. Inoltre, l’art. 62 del citato d.P.R. dispone che “Le spese per il funzionamento delle Commissioni elettorali mandamentali e delle eventuali Sottocommissioni gravano sul bilancio dei Comuni compresi nella circoscrizione del mandamento giudiziario e sono ripartite tra i Comuni medesimi in base alla rispettiva popolazione elettorale…”.
Alla luce del suesposto quadro normativo si evince che il segretario non è assimilabile ai componenti delle Commissioni e delle Sottocommissioni e che l’equiparazione ad essi è stata operata dalla norma soltanto al fine di estendere “anche” al segretario la corresponsione di un gettone di presenza. Recita infatti l’art. 24 del citato D.P.R. 223/67, come modificato dall’art. 10 della legge 120/99, che “a ciascun componente ed al segretario della commissione elettorale circondariale può essere corrisposto, oltre al rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute, un gettone di presenza pari a lire 60.000,00, al lordo delle ritenute di legge, in luogo di quello previsto dalle disposizioni in vigore per i componenti delle commissioni costituite presso le Amministrazioni dello Stato. L’importo del gettone di presenza è rivalutato, a partire dal mese di aprile dell’anno 2000, con le procedure ed i termini previsti dalla legge 4 aprile 1985, n. 117”.
Successivamente, l’art. 2, comma 30, della legge 244/2007, nel disporre che l’incarico di componente delle commissioni elettorali comunali e delle commissioni e sottocommissioni elettorali circondariali è gratuito ad eccezione delle spese di viaggio effettivamente sostenute”, ha sancito la gratuità dell’incarico dei “componenti” ma nulla ha disposto circa il compenso spettante al segretario.
L’orientamento maturato in seno alle Sezioni di controllo di questa Corte che si sono occupate della problematica (Sez. Toscana, del. n. 144/09/PAR; Sez. Lombardia, del. n. 307/2010/PAR; Sez. Piemonte, del. n. 4/2010/SRCPIE/PAR) è nel senso che, nel silenzio della legge 244/2007, l’Ente (rectius gli enti che appartengono alla circoscrizione elettorale in cui insiste la Commissione o la Sottocommissione) ha (hanno) la facoltà di corrispondere un gettone di presenza al segretario della Commissione o Sottocommissione elettorale in quanto non espressamente vietato dalla normativa vigente.
In una più recente pronuncia altra Sezione di controllo (Sez. Friuli Venezia Giulia, del. n. 27 del 21/02/2012) ha tuttavia affermato chele disposizioni di cui all’art. 24 del d.P.R. 223/1967 vanno interpretate, in chiave logico-sistematica, anche alla luce dei numerosi e reiterati interventi legislativi che, dopo l’entrata in vigore della legge 244/2007, sono volti a limitare le spese delle amministrazioni pubbliche, in particolare quelle inerenti il funzionamento degli organi di governo e degli apparati politici, nonché quelle degli organi amministrativi e di controllo. Peraltro, in relazione alle medesime Commissioni e Sottocommissioni elettorali circondariali, le norme successivamente intervenute a garantirne la funzionalità non hanno comportato “maggiori oneri a carico della finanza pubblica” (cfr. art. 4, Decreto-legge 27 gennaio 2009, n. 3, come modificato dalla Legge 25 marzo 2009, n. 26; art. 1, comma 1, del Decreto-legge 11 aprile 2011, n. 37 convertito dalla L. 1 giugno 2011, n. 78).
A sostegno di tale orientamento, la citata Sezione adduce che la contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego ha reso sempre più stringenti i limiti alla corresponsione di compensi “aggiuntivi” rispetto al trattamento economico stabilito dal contratto, e che le norme che dettano principi generali in materia di ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche possono trovare applicazione anche nei confronti dei soggetti che sono designati dal sindaco per svolgere le funzioni di segretario di Commissione e Sottocommissione elettorale circondariale. Ciò in quanto si tratta di disposizioni (art. 2, comma 3 e art. 45, comma 3 del d.lgs. 165/2001, e, ancor prima, art. 19, comma 4 del d.P.R. 1 giugno 1979, n. 191) che introducono nell’ordinamento giuridico il cd. regime di onnicomprensività del trattamento economico per tutti i dipendenti pubblici (ivi compresi quelli che non rivestono la qualifica dirigenziale), che “impedisce di attribuire compensi aggiuntivi qualora gli stessi rientrino nelle funzioni attribuite e nelle connesse responsabilità, per lo svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici” (v., in tal senso, Consiglio di Stato, Sez. V, 2.8.2010, n. 5099; Cons. St., Sez. V, 12.2.2008, n. 493).
Il principio di onnicomprensività della retribuzione troverebbe ulteriore conferma, seguendo detta tesi, nel disposto dell’art. 53 comma 2 del decreto legislativo 165/2001 (che recita: “le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri d’ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative”), il quale sancisce il divieto di erogare compensi ai dipendenti pubblici in tutti i casi in cui l’attività svolta dall’impiegato sia riconducibile alla qualifica o a funzioni e obblighi connessi alla sua posizione organizzativa e/o all’ufficio ricoperto o comunque corrispondenti a mansioni rientranti nei normali compiti di servizio.
Ne discende che il trattamento economico remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dipendenti pubblici dal contratto di lavoro, ivi compreso qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio, con facoltà del dipendente di non accettare incarichi che non rientrano in alcun modo nelle funzioni loro assegnate.
In effetti, il principio di onnicomprensività del “trattamento economico” in ambito pubblico è stato costruito, in dottrina e in giurisprudenza, analizzando la struttura della retribuzione a carattere “vincolato” del dirigente pubblico, atteso che, in aggiunta alla retribuzione di posizione e di risultato, ai dirigenti possono essere erogati direttamente, a titolo di “retribuzione di risultato”, solo i compensi previsti da specifiche disposizioni di legge, come espressamente recepite nelle vigenti disposizioni della contrattazione collettiva nazionale e secondo le modalità da queste stabilite, riconoscendo ad ogni singola Amministrazione la facoltà di determinare l’incidenza delle predette “erogazioni aggiuntive” sull’ammontare della retribuzione di risultato sulla base criteri generali oggetto di previa concertazione sindacale.
La Sezione condivide la tesi secondo la quale l’anzidetto principio di onnicomprensività deve raccordarsi con l’altro principio enunciato nell’articolo 36 della Costituzione, nel senso che la retribuzione del dipendente pubblico (e non soltanto del dirigente) può variare in funzione delle responsabilità, del bilanciamento tra prestazione richiesta e risultato atteso (il sinallagma), tra una negoziazione generale (collettiva) e una posizione individuale, in aderenza al singolo profilo ricoperto D’altra parte, va pure tenuto conto, come già evidenziato dalla Sezione di controllo per il Friuli nella deliberazione sopra citata, che sul regime di onnicomprensività della retribuzione si è innestato il recente blocco della dinamica retributiva nel pubblico impiego, reso necessario dalle sempre più pressanti e urgenti esigenze di contenimento della spesa pubblica. In particolare, meritano di essere segnalati:
1. il decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge n. 122 del 30 luglio 2010, ha introdotto nell’ordinamento l’obbligo di riduzione della spesa per il personale del settore pubblico nell’ambito delle misure di contenimento delle dinamiche occupazionali.
2. il decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che all’art. 76 comma 7 aveva stabilito il divieto assoluto di assunzioni in caso di superamento del limite massimo di incidenza percentuale, nonché i limiti alla spesa per le nuove assunzioni;
- il decreto legge n. 90/2014, il cui art. 3, co. 5-quater ha consentito il turn over in misura piena dall'anno 2015 soltanto in favore degli enti la cui incidenza delle spese di personale sulla spesa corrente sia pari o inferiore al 25%.
Ai fini della risposta al primo quesito proposto appare utile richiamare un parere reso dall’Aran, la quale ha ritenuto che sia necessario verificare se le prestazioni correlate allo svolgimento delle funzioni richiese al dipendente interessato rientrino o meno nelle ordinarie competenze del dipendente medesimo. Qualora esse rientrino nei normali obblighi di lavoro (sono cioè svolte "ratione officii") e vengano svolte durante l'orario di lavoro, sono retribuite unicamente con il trattamento economico fondamentale e accessorio previsto dal CCNL di riferimento. Se, invece, dette prestazioni si collocano al di fuori delle competenze ordinarie, e quindi non sono svolte "ratione officii", esse possono essere svolte solo su incarico (o preventiva autorizzazione) dell'ente, ai sensi dell'art.53 del D.Lgs.165/2001, devono essere svolte al di fuori e non a carico dell'orario di lavoro e solo in tal caso possono essere percepiti eventuali compensi o gettoni ulteriori rispetto al trattamento economico fondamentale e accessorio previsto dai contratti collettivi.
Alla luce di quanto sopra osservato, ritiene il Collegio che l’ente locale dovrà evitare di corrispondere al dipendente pubblico chiamato a svolgere le attività si segretario della Sottocommissione elettorale un “compenso aggiuntivo” laddove tali compiti siano riconducibili a “funzioni e poteri connessi alla sua qualifica e all’ufficio ricoperto” o corrispondano “a mansioni cui egli non possa sottrarsi perché rientranti nei normali compiti di servizio” (cfr. Cons. Stato, V, 2 ottobre 2002, n. 5163), nonché qualora le medesime attività siano svolte durante l’orario di lavoro e siano comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici (cfr. Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 33/2011, Sezione del controllo per la Regione Sardegna, deliberazione n. 13/2010, Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, deliberazione n. 13/2010, Sezione regionale di controllo per la Toscana, deliberazione n. 144/2009).
Con il secondo quesito si chiede alla Sezione se tale corresponsione spetti anche qualora il Segretario delegato (non appartenente al comparto dirigenziale e non incaricato di posizione organizzativa) sia incaricato, presso il Comune assegnatario della S.C.E.C., delle funzioni di responsabile dell'Ufficio Elettorale e di Segretario della Commissione Elettorale Comunale.
L’art. 27, comma 3 del T.U. 223/1967 dispone che le funzioni di segretario delle sottocommissioni istituite presso comuni diversi dal comune capoluogo del circondario sono svolte dal segretario del comune che ne è sede o da impiegati dello stesso, designati dal sindaco.
Ritiene il Collegio che le funzioni di responsabile dell'Ufficio Elettorale e di Segretario della Commissione Elettorale Comunale siano ontologicamente distinte dalle funzioni di segretario della Sottocommissione circondariale, trattandosi quest’ultimo di un organo distinto dal Comune e dalla Commissione elettorale comunale e richiedendosi, per lo svolgimento delle funzioni di segretario di detta Sottocommissione, una specifica designazione del Sindaco.
Tuttavia, poiché il medesimo dipendente svolge anche le funzioni di responsabile dell'Ufficio Elettorale e di Segretario della Commissione Elettorale Comunale e poiché le funzioni di segretario della Sottocommissione circondariale sono sicuramente riconducibili ai compiti d’istituto dell’amministrazione d’appartenenza (ex art. 27, comma 3, del cit. d.P.R. 223/1967), nessun compenso aggiuntivo dovrebbe spettare al dipendente per lo svolgimento di dette funzioni “aggiuntive” durante il suo orario di lavoro.
Ciò non può assolutamente significare che la Sottocommissione elettorale circondariale sia tenuta a riunirsi esclusivamente durante l’orario di lavoro del segretario, cosa peraltro non prevedibile né praticabile atteso che detto organo, ai sensi dell’art. 32-bis del citato d.P.R. 223/1967, è obbligato a provvedere in tempo utile in ordine alle richieste di ammissione al voto presentate dai soggetti interessati durante l’intera durata di apertura dei seggi elettorali per consentire l’esercizio del diritto di voto. Viceversa, per le attività di segretario di detta Sottocommissione svolte dal predetto impiegato al di fuori dell’orario di lavoro l’ente locale è tenuto a corrispondere al medesimo o il gettone di presenza previsto dall’art. 24 del citato T.U., oltre al rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute, oppure il compenso per le ore di lavoro straordinario effettivamente svolto, trattandosi di attività da svolgersi obbligatoriamente nei termini sopra indicati.
P. Q. M.
La Corte dei conti - Sezione di controllo per l’Umbria
rilascia nelle suestese considerazioni il parere, indicato in epigrafe, richiesto dal Comune di F.
Dispone
che, a cura della Segreteria, copia della presente deliberazione sia trasmessa al Comune di F. per il tramite del Consiglio delle Autonomie locali dell’Umbria

mercoledì 21 dicembre 2016





Messaggio dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale 21 dicembre 2016, n. 5171, Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze. Legge 20 maggio 2016, n. 76

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 118 del 21 maggio 2016 è stata pubblicata la legge 20 maggio 2016, n. 76, entrata in vigore il 5 giugno 2016 e recante disposizioni in materia di “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”.

La legge in esame disciplina le unioni civili tra persone dello stesso sesso, nonché le convivenze di fatto, in particolare l’articolo 1:

1. ai commi da 1 a 35 regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso;
2. ai commi da 36 a 65 regolamenta le convivenze di fatto tra due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile;
3. ai commi da 66 a 69 fornisce le disposizioni in ordine alla copertura finanziaria del provvedimento, nonché al monitoraggio degli oneri di natura previdenziale e assistenziale derivanti dalle unioni civili.

Al riguardo, l’articolo 1, comma 20, della legge n. 76 del 2016, con riferimento alle unioni civili, dispone che “Al solo fine di  assicurare  l’effettività  della  tutela  dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi  derivanti  dall'unione civile tra  persone  dello  stesso  sesso,  le  disposizioni  che  si riferiscono al matrimonio e  le  disposizioni  contenenti  le  parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque  ricorrono  nelle leggi, negli atti aventi forza  di  legge,  nei  regolamenti  nonché' negli atti amministrativi e nei contratti  collettivi,  si  applicano anche ad ognuna delle parti  dell'unione  civile  tra  persone  dello stesso sesso”.

Pertanto, a decorrere dal 5 giugno 2016, ai fini del riconoscimento del diritto alle prestazioni pensionistiche e previdenziali (es. pensione ai superstiti, integrazione al trattamento minimo, maggiorazione sociale, successione iure proprio, successione legittima, etc.) e dell’applicazione delle disposizioni che le disciplinano, il componente dell’unione civile è equiparato al coniuge.

Inoltre, l’articolo 1, commi da 66 a 69, della legge in esame prevede la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’attuazione delle disposizioni relative alle unioni civili, nonché la comunicazione da parte dell’Inps al Ministro del lavoro e delle politiche sociali dei dati relativi agli oneri di natura previdenziale ed assistenziale derivanti dall’attuazione della diposizione in esame, al fine di consentire il relativo monitoraggio da parte del predetto Dicastero.

Con successivo messaggio verranno fornite istruzioni procedurali inerenti alla gestione delle prestazioni pensionistiche e previdenziali riconosciute in favore dei destinatari della norma in oggetto.


sabato 17 dicembre 2016



Corte di Giustizia UE 14 dicembre 2016, (cause riunite) nn. C-401/15, C-402/15, C-403/15

Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione delle persone – Diritti dei lavoratori – Parità di trattamento – Vantaggi sociali – Sussidio economico per il compimento di studi superiori – Requisito di filiazione – Nozione di “figlio” – Figlio del coniuge o del partner registrato – Contributo al mantenimento di tale figlio









L’articolo 45 TFUE e l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, vanno interpretati nel senso che deve intendersi per figlio di un lavoratore frontaliero che può beneficiare indirettamente dei vantaggi sociali di cui a quest’ultima disposizione, quali il finanziamento degli studi concesso da uno Stato membro ai figli dei lavoratori che esercitano o hanno esercitato la propria attività in tale Stato, non solo il figlio che ha un legame di filiazione con il lavoratore in parola, ma altresì il figlio del coniuge o del partner registrato del lavoratore suddetto, laddove quest’ultimo provveda al mantenimento di tale figlio. Quest’ultimo requisito risulta da una situazione di fatto che spetta all’amministrazione e, se del caso, ai giudici nazionali, verificare senza che gli stessi siano tenuti a stabilire le ragioni di detto sostegno né a quantificarne l’entità in modo preciso.













SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
15 dicembre 2016 
Nelle cause riunite da C‑401/15 a C‑403/15,
aventi ad oggetto tre domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Cour administrative (Corte amministrativa, Lussemburgo), con decisioni del 22 luglio 2015, pervenute in cancelleria il 24 luglio 2015, nei procedimenti
Noémie Depesme (C‑401/15),
Saïd Kerrou (C‑401/15),
Adrien Kauffmann (C‑402/15),
Maxime Lefort (C‑403/15)
contro
Ministre de l’Enseignement supérieur et de la Recherche,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta da M. Ilešič, presidente di sezione, A. Prechal, A. Rosas (relatore), C. Toader e E. Jarašiūnas, giudici,
avvocato generale: M. Wathelet
cancelliere: A. Calot Escobar
considerate le osservazioni presentate:
–        per N. Depesme e S. Kerrou, da P. Peuvrel, avocat;
–        per A. Kauffmann, da S. Jacquet, avocat;
–        per M. Lefort, da S. Coï, avocat;
–        per il governo lussemburghese, da D. Holderer, in qualità di agente, assistita da P. Kinsch, avocat;
–        per la Commissione europea, da D. Martin e M. Kellerbauer, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 giugno 2016,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione degli articoli 45 TFUE e 7, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione (GU 2011, L 141, pag. 1).
2        Le suindicate domande sono state presentate nell’ambito di tre controversie di cui sono parti, rispettivamente, la sig.ra Noémie Depesme unitamente al sig. Saïd Kerrou, il sig. Adrien Kauffmann e il sig. Maxime Lefort, da un lato, e, dall’altro, il ministre de l’Enseignement supérieur et de la Recherche (Ministro dell’Istruzione superiore e della Ricerca, Lussemburgo; in prosieguo: il «ministro»), vertenti sul diniego da parte di quest’ultimo di concedere, alla sig.ra Depesme e ai sigg. Kaufmann e Lefort, il sussidio finanziario di Stato per il compimento di studi superiori per l’anno accademico 2013/2014.
 Contesto normativo
 Diritto dell’Unione
3        Ai sensi dell’articolo 7 del regolamento (CEE) n.°1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU 1968, L 257, pag. 2):
«1.      Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato.
2.      Egli gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali.
(...)».
4        L’articolo 10 del regolamento n. 1612/68 così recitava:
«1.      Hanno diritto di stabilirsi con il lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro, qualunque sia la loro cittadinanza:
a)      il coniuge ed i loro discendenti minori di anni 21 o a carico;
(…)».
5        L’articolo 10 del regolamento n. 1612/68 è stato abrogato dalla direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifica in GU 2004, L 229, pag. 35).
6        I considerando 3 e 5 della direttiva 2004/38 così recitano:
«(3)      La cittadinanza dell’Unione dovrebbe costituire lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri quando essi esercitano il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno. È pertanto necessario codificare e rivedere gli strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione.
(...)
(5)      Il diritto di ciascun cittadino dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri presuppone, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di libertà e di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza. Ai fini della presente direttiva, la definizione di “familiare” dovrebbe altresì includere il partner che ha contratto un’unione registrata, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio».
7        L’articolo 2 di detta direttiva così prevede:
«Ai fini della presente direttiva valgono le seguenti definizioni:
(...)
2)      “familiare”:
a)      il coniuge;
b)      il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante;
c)      i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);
(...)
(...)».
8        Il regolamento n. 1612/68 è stato abrogato, con effetto a partire dal 16 giugno 2011, dal regolamento n. 492/2011. L’articolo 7 del regolamento n. 492/2011 ricalca il tenore dell’articolo 7 del regolamento n. 1612/68.
9        Il considerando 1 della direttiva 2014/54/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa alle misure intese ad agevolare l’esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione dei lavoratori (GU 2014, L 128. pag. 8), è redatto nel seguente modo:
«La libera circolazione dei lavoratori è una delle libertà fondamentali dei cittadini dell’Unione nonché uno dei pilastri del mercato interno dell’Unione sancita dall’articolo 45 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Questo principio trova ulteriore applicazione nel diritto dell’Unione mirante a garantire il pieno esercizio dei diritti conferiti ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari. Il termine “loro familiari” dovrebbe avere lo stesso significato del termine definito all’articolo 2, punto 2, della direttiva [2004/38/CE], che si applica anche ai familiari di lavoratori frontalieri».
10      L’articolo 1 della suddetta direttiva così prevede:
«La presente direttiva stabilisce disposizioni che agevolano l’uniforme applicazione e attuazione pratica dei diritti conferiti dall’articolo 45 TFUE e dagli articoli da 1 a 10 del regolamento [n. 492/2011]. La presente direttiva si applica ai cittadini dell’Unione che esercitano tali diritti e ai loro familiari (“lavoratori dell’Unione e loro familiari”)».
11      Ai sensi dell’articolo 2 della suddetta direttiva:
«1.      La presente direttiva si applica alle materie seguenti, di cui agli articoli da 1 a 10 del regolamento [n. 492/2011], nel campo della libera circolazione dei lavoratori:
(...)
c)      accesso ai vantaggi sociali e fiscali;
(...)
2.      L’ambito di applicazione della presente direttiva è identico a quello del regolamento [n. 492/2011]».
 Diritto lussemburghese
12      Il sussidio economico dello Stato per studi superiori era disciplinato, alla data dei fatti del procedimento principale, dalla legge del 22 giugno 2000, relativa al sussidio economico dello Stato per studi superiori (loi du 22 juin 2000 concernant l’aide financière de l’État pour etudes supérieures; Mémorial A 2000, pag. 1106), come modificata dalla legge del 19 luglio 2013 (Mémorial A 2013, pag. 3214) (in prosieguo: la «legge del 22 giugno 2000 modificata»).
13      La legge del 19 luglio 2013, che è stata adottata per dare seguito alla sentenza del 20 giugno 2013, Giersch e a. (C‑20/12, EU:C:2013:411), e che ha modificato la legge del 22 giugno solo per quanto riguarda l’anno accademico 2013/2014, ha inserito un articolo 2 bis in suddetta legge.
14      L’articolo 2 bis della legge del 22 giugno 2000 modificata era così formulato:
«Uno studente non residente nel Granducato di Lussemburgo può parimenti beneficiare del sussidio economico per studi superiori a condizione che egli sia figlio di un lavoratore subordinato o autonomo cittadino lussemburghese o cittadino dell’Unione europea o di un altro Stato aderente all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo [del 2 maggio 1992 (GU 1992. L 1, pag. 3)] o della Confederazione svizzera occupato o esercente la propria attività in Lussemburgo, e detto lavoratore sia stato occupato o abbia esercitato la propria attività in Lussemburgo per un periodo ininterrotto di almeno cinque anni al momento in cui lo studente presenta la domanda di sussidio economico per studi superiori. La durata dell’occupazione in Lussemburgo deve essere almeno pari alla metà della normale durata dell’orario di lavoro applicabile nell’impresa ai sensi della legge o, eventualmente, del contratto collettivo di lavoro in vigore. Il lavoratore autonomo deve essere iscritto obbligatoriamente e in maniera continua [alla previdenza sociale] del Granducato del Lussemburgo ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, del Codice della previdenza sociale durante i cinque anni precedenti la domanda di sussidio economico per studi superiori».
15      La legge del 22 giugno 2000 modificata, è stata abrogata dalla legge del 24 luglio 2014 concernente il sussidio economico dello Stato per studi superiori (loi du 24 juillet 2014 concernant l’aide financière de l’État pour études supérieures; Mémorial A 2014, pag. 2188).
16      L’articolo 3 della citata legge prevede quanto segue:
«Possono beneficiare del sussidio economico dello Stato per studi superiori gli studenti e gli allievi definiti all’articolo 2, indicati in prosieguo con il termine “lo studente”, e che soddisfino una delle seguenti condizioni:
(...)
5)      per gli studenti non residenti nel Granducato del Lussemburgo:
(...)
b)      essere figlio di un lavoratore cittadino lussemburghese o cittadino dell’Unione europea o di un altro Stato aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo o della Confederazione elvetica che sia occupato o eserciti la propria attività nel Granducato del Lussemburgo al momento in cui lo studente presenta la domanda di sussidio economico per studi superiori, a condizione che il lavoratore in questione continui a contribuire al mantenimento dello studente e che sia stato occupato o abbia esercitato la propria attività nel Granducato del Lussemburgo per un periodo di almeno cinque anni al momento in cui lo studente presenta la domanda di sussidio economico per studi superiori durante un periodo di riferimento di sette anni da calcolarsi retroattivamente a decorrere dalla data della domanda di sussidio economico per studi superiori o che, in via di deroga, la persona che conserva lo status di lavoratore abbia soddisfatto il suindicato criterio dei cinque anni su sette al momento della cessazione dell’attività.
(...)».
 Procedimenti principali e questione pregiudiziale
18      Conformemente a detta legge, tali sussidi economici sono concessi agli studenti che non risiedono in Lussemburgo a condizione, da un lato, che essi siano figli di un lavoratore subordinato o autonomo, cittadino lussemburghese o cittadino dell’Unione, e dall’altro, che il lavoratore in questione sia stato occupato o abbia esercitato la propria attività in Lussemburgo per un periodo ininterrotto di almeno cinque anni al momento della domanda di sussidio.
19      È pacifico che la sig.ra Depesme e il sig. Kauffmann, cittadini francesi residenti in Francia, e il sig. Lefort, cittadino belga residente in Belgio, hanno richiesto alle autorità lussemburghesi, per l’anno accademico 2013/2014, un sussidio economico al fine di compiere studi superiori in Francia, per quanto riguarda i primi, e in Belgio, per il secondo.
20      Con lettere, rispettivamente, del 26 settembre, del 17 ottobre e del 12 novembre 2013 il ministro ha respinto tali domande sulla base del rilievo che la sig.ra Depesme e i sigg. Kauffmann e Lefort non soddisfacevano i requisiti previsti dalla legge del 22 giugno 2000 modificata.
21      Dalle tre decisioni di rinvio emerge che gli studenti di cui trattasi hanno presentato, ciascuno, una domanda di sussidio facendo valere a tale proposito unicamente la qualità di lavoratore subordinato in Lussemburgo del loro padre acquisito. Il ministro ha pertanto considerato che la sig.ra Depesme e i sigg. Kauffmann e Lefort non potevano essere qualificati «figli» di un lavoratore frontaliero, conformemente al requisito di cui all’articolo 2 bis della legge del 22 giugno modificata, poiché solo i loro padri acquisiti lavoravano in Lussemburgo.
22      Il 20 dicembre 2013 la sig.ra Depesme ha proposto un ricorso dinanzi al tribunal administratif de Luxembourg (tribunale amministrativo di Lussemburgo) per chiedere l’annullamento della decisione di diniego che la riguardava. Il sig. Kerrou, suo padre acquisito, facendo valere la sua qualità di lavoratore dipendente in Lussemburgo e sostenendo di provvedere al mantenimento della sig.ra Depesme, è intervenuto volontariamente nella controversia da essa avviata.
23      Il 29 gennaio e il 25 aprile 2014 i sigg. Lefort e Kauffmann hanno presentato dinanzi a tale giudice, ciascuno, un ricorso analogo avverso le decisioni di diniego che li riguardavano.
24      Con sentenze del 5 gennaio 2015 il tribunal administratif de Luxembourg (tribunale amministrativo di Lussemburgo) ha dichiarato i ricorsi della sig.ra Depesme e del sig. Kerrou, nonché dei sigg. Kauffmann e Lefort ricevibili, ma non fondati.
25      La sig.ra Depesme e il sig. Kerrou, nonché i sigg. Kauffmann e Lefort hanno impugnato le suindicate sentenze dinanzi al giudice del rinvio.
26      La sig.ra Depesme e il sig. Kerrou sostengono segnatamente che quest’ultimo, lavoratore frontaliero in Lussemburgo da quattordici anni, il 24 maggio 2006, ha contratto matrimonio con la madre della sig.ra Depesme e che da quel momento, costituiscono tutti e tre una sola famiglia. Il sig. Kerrou contribuirebbe al mantenimento della figlia della propria coniuge, anche per quanto riguarda gli studi superiori e avrebbe percepito assegni familiari lussemburghesi per la figlia acquisita, prima che la stessa iniziasse gli studi superiori.
27      Il sig. Kauffmann adduce che i suoi genitori sono separati dal 2003 e hanno divorziato il 20 giugno 2005, e che l’affidamento dei figli è stato attribuito in via esclusiva alla madre. Indica che, il 10 marzo 2007, sua madre ha sposato il sig. Kiefer, lavoratore frontaliero in Lussemburgo, con il quale da tale momento il sig. Kaufmann condividerebbe la medesima abitazione. Il sig. Kiefer avrebbe provveduto al mantenimento e all’istruzione del sig. Kauffmann e avrebbe percepito assegni familiari lussemburghesi per quest’ultimo.
28      Il sig. Lefort fa presente che suo padre è deceduto e che sua madre si è risposata con il sig. Terwoigne, lavoratore frontaliero in Lussemburgo, da oltre cinque anni e che, dalla data di tale matrimonio, forma una famiglia con la madre e il padre acquisito. Il sig. Terwoigne contribuirebbe alle spese della famiglia e provvederebbe anche alle spese per gli studi superiori del sig. Lefort.
29      Lo Stato lussemburghese chiede, da parte sua, che siano confermate le decisioni del tribunal administratif (tribunale amministrativo) del 5 gennaio 2015 e fa valere che la sig.ra Depesme e i sigg. Kauffmann e Lefort non sono figli dei loro padri acquisiti nel senso giuridico del termine.
30      La Cour adminstrative (Corte amministrativa, Lussemburgo) sottolinea che il requisito della filiazione di cui all’articolo 2 bis della legge del 22 giugno modificata, è stato istituito per tenere conto della sentenza del 20 giugno 2013, Giersch e a. (C‑20/12, EU:C:2013:411).
31      Secondo il giudice del rinvio, la soluzione delle tre controversie pendenti dinanzi ad esso dipende dall’interpretazione della nozione di «figlio» di un lavoratore frontaliero, ai sensi dell’articolo 2 bis della legge del 22 giugno modificata, in considerazione di tale sentenza e del rispetto del principio di non discriminazione previsto dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011. Detto giudice espone, infatti, che «il criterio rilevante enunciato da [tale sentenza] è quello del reale grado di collegamento di uno studente non residente, che richiede al Granducato di Lussemburgo un sussidio economico per studi superiori, con la società e il mercato del lavoro del Lussemburgo». Nell’ipotesi in cui siffatto collegamento provenga non direttamente dallo studente, sulla base del rilievo che lo stesso non è residente, ma dal lavoratore frontaliero di riferimento, esso s’interroga sul concetto, se con un’accezione strettamente giuridica oppure piuttosto in chiave economica, da considerare per quanto riguarda il legame di filiazione tra lo studente che richiede la concessione di un sussidio economico allo Stato per gli studi superiori e il lavoratore frontaliero. A suo avviso, entrambi i concetti sono in linea di principio ipotizzabili. Nell’ipotesi in cui la nozione di «figlio», ai sensi della legge del 22 giugno modificata, rinviasse a quella di figlio a carico, si porrebbe quindi la questione dell’eventuale incidenza dell’entità della presa a carico dello studente da parte del lavoratore frontaliero. La Cour administrative (Corte amministrativa) precisa che tale questione riguarda il confronto tra l’entità della presa in carico dello studente da parte del lavoratore frontaliero, da un lato, e dal suo o dai suoi genitori, dall’altro. In ultimo, esso s’interroga sulla portata dell’intensità del legame del lavoratore frontaliero con uno dei genitori dello studente.
32      In tale contesto, la Cour administrative (Corte amministrativa) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la questione pregiudiziale seguente, redatta in termini identici nelle cause da C‑401/15 a C‑403/15, fatta salva un’aggiunta nella causa C‑403/15, citata tra parentesi quadre:
«Al fine di soddisfare debitamente i requisiti di non discriminazione dettati dalle disposizioni dell’articolo 7, paragrafo 2, del [regolamento n. 492/2011], in combinato disposto con l’articolo 45, paragrafo 2, TFUE, [causa C‑403/15: “tenendo presente l’articolo 33, paragrafo 1, della Carta, in combinato disposto, se del caso, con il suo articolo 7”], nell’ambito della considerazione del reale grado di collegamento di uno studente non residente, che richiede un sussidio economico per studi superiori, con la società e il mercato del lavoro del Lussemburgo, Stato membro nel quale un lavoratore frontaliero è stato occupato o ha esercitato la sua attività alle condizioni di cui all’articolo 2 bis della [legge del 22 giugno 2000 modificata], in quanto conseguenza diretta della sentenza della Corte del 20 giugno 2013, [Giersch e a. (C‑20/12, EU:C:2013:411)],
–        se occorra qualificare la condizione posta a detto studente di essere il “figlio” del lavoratore frontaliero in parola come equivalente ad essere suo “discendente in linea diretta e in primo grado, la cui filiazione sia giuridicamente stabilita in rapporto al suo autore” ponendo l’accento sul legame di filiazione stabilito tra lo studente e il lavoratore frontaliero, che si presume sotteso al collegamento previsto, oppure
–        se occorra porre l’accento sul fatto che il lavoratore frontaliero “continua a provvedere al mantenimento dello studente”, senza che un legame giuridico di filiazione necessariamente lo unisca allo studente, segnatamente ravvisando un legame sufficiente nella comunione di vita, di natura tale da unirlo ad uno dei genitori dello studente rispetto al quale è giuridicamente stabilito un legame di filiazione.
In questa seconda ipotesi, se il contributo, ipoteticamente non obbligatorio, del lavoratore frontaliero, nel caso in cui esso non sia esclusivo, ma parallelo a quello di uno o dei genitori uniti da un legame giuridico di filiazione allo studente e tenuti pertanto in linea di principio ad un obbligo legale di mantenimento nei suoi confronti, debba rispondere a taluni criteri di entità».
 Sulla questione pregiudiziale
33      Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 45 TFUE e l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 debbano essere interpretati nel senso che per figlio di un lavoratore frontaliero che può beneficiare indirettamente dei vantaggi sociali di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, quale il finanziamento degli studi concesso da un Stato membro ai figli dei lavoratori che esercitano o hanno esercitato la propria attività in detto Stato, occorra intendersi solo il figlio che ha un legame di filiazione con il lavoratore in parola o altresì il figlio del coniuge o del partner registrato del lavoratore suddetto. In quest’ultima ipotesi, il giudice del rinvio s’interroga, in sostanza, sull’incidenza della rilevanza dell’onere contributivo del lavoratore frontaliero al mantenimento di tale figlio sul suo diritto di percepire un sussidio economico per compiere studi superiori, come quello di cui al procedimento principale.
34      Va rilevato, in limine, che l’articolo 45, paragrafo 2, TFUE dispone che la libera circolazione dei lavoratori implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro (sentenza del 20 giugno 2013, Giersch e a., C‑20/12, EU:C:2013:411, punto 34).
35      La Corte ha dichiarato che l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68, il cui testo è stato ripreso dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, costituisce l’espressione particolare, nel campo specifico della concessione di vantaggi sociali, della regola della parità di trattamento sancita dall’articolo 45, paragrafo 2, TFUE e deve essere interpretato allo stesso modo di quest’ultima disposizione (v. sentenze del 23 febbraio 2016 Commissione/Spagna, C‑205/04, non pubblicata, EU:C:2006:137, punto 15; dell’11 settembre 2007, Hendrix, C‑287/05, EU:C:2007:494, punto 53, nonché del 20 giugno 2013, Giersch e a., C‑20/12, EU:C:2013:411, punto 35).
36      A norma dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68 e dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, il lavoratore cittadino di uno Stato membro gode, sul territorio degli altri Stati membri, degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali.
37      La Corte ha ripetutamente considerato, per quanto riguarda l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68, che tale disposizione opera a favore, indifferentemente, tanto dei lavoratori migranti residenti in uno Stato membro ospitante quanto dei lavoratori frontalieri i quali, pur esercitando attività di lavoro dipendente nello Stato membro medesimo, risiedono in un altro Stato membro (v. sentenze del 18 luglio 2007, Geven, C‑213/05, C‑213/05, EU:C:2007:438, punto 15, del 14 giugno 2012, Commissione/Paesi Bassi, C‑542/09, EU:C:2012:346, punto 33; del 20 giugno 2013, Giersch e a., C‑20/12, EU:C:2013:411, punto 37, e del 14 dicembre 2016, Bragança Linares Verruga e a., C‑238/15, EU:C:2016:949 punto 39).
38      Inoltre, secondo costante giurisprudenza, un sussidio concesso per il mantenimento e la formazione, per il compimento di studi universitari sanciti da un titolo abilitante all’esercizio di un’attività professionale, costituisce un vantaggio sociale ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68 (sentenze del 20 giugno 2013, Giersch e a., C‑20/12, EU:C:2013:411, punto 38, e del 14 dicembre 2016, Bragança Linares Verruga e a., C‑238/15, EU:C:2016:949 punto 40 e giurisprudenza ivi citata).
39      La Corte ha del pari dichiarato che il finanziamento degli studi concesso da uno Stato membro ai figli dei lavoratori costituisce, per il lavoratore migrante, un vantaggio sociale ai sensi di detto articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68, quando questi continui a provvedere al mantenimento del figlio (sentenza del 20 giugno 2013, Giersch e a., C‑20/12, EU:C:2013:411, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).
40      Peraltro, ai sensi della giurisprudenza della Corte, i familiari del lavoratore migrante sono beneficiari indiretti della parità di trattamento riconosciuta a detto lavoratore dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68. Poiché la concessione del finanziamento degli studi al figlio di un lavoratore migrante costituisce, per il lavoratore migrante, un vantaggio sociale, tale figlio può, in prima persona, avvalersi di detta disposizione per ottenere tale finanziamento qualora, in forza del diritto nazionale, esso sia concesso direttamente allo studente (sentenza del 20 giugno 2013, Giersch e a., C‑20/12, EU:C:2013:411, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).
41      Nei procedimenti principali il giudice del rinvio è adito di alcuni ricorsi presentati da studenti non residenti in Lussemburgo, proposti in seguito al diniego dello Stato membro in parola di attribuire loro il sussidio economico per gli studi superiori. Tali studenti ritengono di poter beneficiare del menzionato sussidio sulla base del loro legame con un lavoratore frontaliero, il quale, pur non essendo il loro padre, è diventato il coniuge della madre dopo il divorzio dei loro genitori o, nel caso del sig. Lefort, dopo il decesso del padre di quest’ultimo.
42      Occorre, pertanto, esaminare se i termini «figlio di un lavoratore migrante», nel senso in cui essi sono usati nella giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento 1612/68, che è applicabile all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, e in particolare nella sentenza del 20 giugno 2013, Giersch e a. (C‑20/12, EU:C:2013:411), ricomprendono i figli del coniuge o del partner riconosciuto dal diritto nazionale di tale lavoratore.
43      A tale proposito, va rilevato che l’articolo 10, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1612/68, abrogato dalla direttiva 2004/38, prevedeva che il coniuge di un lavoratore cittadino di uno Stato membro «e i loro discendenti minori di ventuno anni o a carico» avevano il diritto di stabilirsi con il lavoratore sul territorio di un altro Stato membro, a prescindere dalla loro cittadinanza.
44      La Corte ha interpretato la succitata disposizione nel senso che il diritto di stabilirsi con tale lavoratore spetta tanto ai discendenti del lavoratore quanto a quelli del coniuge. Difatti, interpretare restrittivamente tale disposizione nel senso che unicamente i figli in comune del lavoratore migrante e del coniuge avrebbero avuto il diritto di stabilirsi con i medesimi si porrebbe in contrasto con l’obiettivo del regolamento n. 1612/68 (v., in tal senso, sentenza del 17 settembre 2002, Baumbast e R, C‑413/99, EU:C:2002:493, punto 57).
45      Inoltre, la Corte ha già avuto l’occasione di rilevare che i familiari di un lavoratore che beneficiano indirettamente della parità di trattamento riconosciuta al lavoratori migranti dall’articolo 7 del regolamento n. 1612/68, erano i familiari di cui all’articolo 10 del regolamento n. 1613/68 (v., in tal senso, sentenza del 18 giugno1987, Lebon, 316/85, EU:C:1987:302, punto 12).
46      Va constatato che l’articolo 10 del regolamento n. 1612/68 è stato abrogato dalla direttiva 2004/38, perché il legislatore dell’Unione ha inteso codificare, in un solo testo legislativo, il diritto al ricongiungimento familiare dei lavoratori subordinati, lavoratori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare tale diritto.
47      Nell’ambito di siffatta riforma, il legislatore ha ripreso, all’articolo 2, punto 2, lettera c), della menzionata direttiva, la nozione di «familiare», come definita dalla Corte a proposito del regolamento n. 1612/68, precisando che in essa vanno inclusi i discendenti diretti di tale cittadino di età inferiore a ventuno anni o a carico e «quelli del coniuge o del partner» riconosciuto dal diritto nazionale.
48      Come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 43 delle sue conclusioni, è in tale contesto giurisprudenziale e legislativo, esposto ai punti da 42 a 47 della presente sentenza, che sono da collocare la sentenza del 20 giugno 2013, Giersch e a. (C‑20/12, EU:C:2013:411) e il termine «figlio» in essa utilizzato.
49      Risulta, quindi, che i termini «figlio di un lavoratore migrante», nel senso in cui essi sono usati nella giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento 1612/68, devono essere interpretati come comprensivi dei figli del coniuge di tale lavoratore o del suo partner riconosciuto dal diritto nazionale.
50      L’argomento del governo lussemburghese secondo il quale la direttiva 2004/38 verterebbe unicamente sul diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri e non sul diritto dei lavoratori frontalieri di beneficiare degli stessi vantaggi sociali dei lavoratori nazionali, previsto all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, non è idoneo a infirmare questa interpretazione.
51      Dall’evoluzione della legislazione dell’Unione evocata ai punti 46 e 47 della presente sentenza, e dalla circostanza che l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 si è limitato a riprendere senza modifiche l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68, emerge infatti che i familiari che possono beneficiare indirettamente della parità di trattamento ai sensi del regolamento n. 492/2011 sono i familiari ai sensi della direttiva 2004/38. Nessun elemento lascia supporre che il legislatore dell’Unione abbia voluto stabilire, per quanto riguarda i familiari, una distinzione netta fra i rispettivi ambiti di applicazione della direttiva 2004/38 e del regolamento n. 492/2011, secondo la quale i membri della famiglia di un cittadino dell’Unione ai sensi della direttiva 2004/38 non sarebbero necessariamente le stesse persone dei familiari di tale cittadino ove questi venga considerato nella sua qualità di lavoratore.
52      Peraltro, la circostanza che i termini «figlio di un lavoratore frontaliero», idoneo a beneficiare indirettamente del principio di parità sancito dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, vadano interpretati alla luce della nozione di «familiare», come definita dalla giurisprudenza della Corte relativa al regolamento n. 1612/68 e ripresa in seguito dall’articolo 2 della direttiva 2004/38, è avvalorata dalla direttiva 2014/54, il cui termine di trasposizione è scaduto il 21 maggio 2016.
53      Infatti, dal considerando 1 della direttiva 2014/54, ai sensi del quale la libera circolazione dei lavoratori «trova ulteriore applicazione nel diritto dell’Unione mirante a garantire il pieno esercizio dei diritti conferiti ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari», deriva che l’espressione «“loro familiari” dovrebbe avere lo stesso significato del termine definito all’articolo 2, punto 2, della direttiva [2004/38], che si applica anche ai familiari di lavoratori frontalieri».
54      Orbene, secondo l’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2014/54, il suo ambito di applicazione è identico a quello del regolamento n. 492/2011. Ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 2014/54, l’oggetto della stessa consiste nell’agevolare l’uniforme applicazione e attuazione pratica dei diritti conferiti dall’articolo 45 TFUE e dagli articoli da 1 a 10 del regolamento n. 492/2011.
55      Purché rientrino nella definizione di «familiari», ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera c) della direttiva 2004/38, di un lavoratore frontaliero avente egli stesso legami sufficienti con la società dello Stato membro di accoglienza, risulta che i figli del coniuge o del partner riconosciuto da detto Stato membro di accoglienza di tale lavoratore frontaliero possono essere considerati come figli dello stesso al fine di poter beneficiare del diritto di percepire un sussidio economico per il compimento dei loro studi superiori considerato come un vantaggio sociale ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011.
56      Il giudice del rinvio s’interroga altresì, in sostanza, sull’incidenza della rilevanza della partecipazione del lavoratore frontaliero al mantenimento del figlio del coniuge sul diritto di tale figlio di percepire un sussidio economico, come quello di cui al procedimento principale.
57      A tale proposito, emerge dalla giurisprudenza rammentata al punto 39 della presente sentenza, che è nell’ipotesi in cui il lavoratore migrante continui a provvedere al mantenimento del figlio che il finanziamento degli studi concesso da uno Stato membro a detto figlio costituisce per il lavoratore un vantaggio sociale ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68. Va, inoltre, rilevato che l’articolo 10, del regolamento n. 1612/68, abrogato dalla direttiva 2004/38, prevedeva che avevano il diritto di stabilirsi con il lavoratore sul territorio di un altro Stato membro, a prescindere dalla loro cittadinanza, «il coniuge e i loro discendenti minori di ventuno anni o a carico». Con la direttiva 2004/38 il legislatore dell’Unione considera altresì che devono essere considerati «familiari» ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera c), della stessa, i «i discendenti diretti [del cittadino dell’Unione] di età inferiore a ventuno anni o a carico e quelli del coniuge o del partner [riconosciuto]».
58      La Corte ha dichiarato che la qualità di familiare a carico, ai sensi dell’articolo 10 del regolamento n. 1612/68, non presuppone un diritto agli alimenti. Se così fosse, il ricongiungimento delle famiglie previsto da tali disposizioni verrebbe a dipendere dalle normative nazionali, che cambiano da uno Stato all’altro, il che condurrebbe ad un’applicazione non uniforme del diritto dell’Unione. La Corte ha quindi interpretato l’articolo 10, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 1612/68 nel senso che la qualità di familiare a carico risulta da una situazione di fatto. Si tratta di un familiare il cui sostegno è fornito dal lavoratore, senza che sia necessario determinarne i motivi, né chiedersi se l’interessato sia in grado di provvedere a se stesso esercitando un’attività retribuita. Tale interpretazione è imposta dal principio secondo il quale le disposizioni che sanciscono la libera circolazione dei lavoratori, che costituisce uno dei fondamenti dell’Unione, devono essere interpretate estensivamente (v., in tal senso, sentenza del 18 giugno 1987, Lebon, 316/85, EU:C:1987:302, punti da 21 a 23).
59      Orbene, come ha constatato l’avvocato generale al paragrafo 67 delle sue conclusioni, un’interpretazione del genere ai applica anche qualora si tratti della partecipazione di un lavoratore frontaliero al mantenimento dei figli del coniuge o del suo partner riconosciuto.
60      Si deve, quindi, considerare nella presente fattispecie, che la qualità di familiare a carico risulta da una situazione di fatto che spetta allo Stato membro e, se del caso, ai giudici nazionali, valutare. La qualità di familiare di un lavoratore frontaliero che è a carico di quest’ultimo può quindi risultare, allorché riguarda la situazione del figlio del coniuge o del partner riconosciuto di tale lavoratore, da elementi oggettivi come la sussistenza di un domicilio comune tra il lavoratore e lo studente, senza che sia necessario determinare le ragioni della partecipazione del lavoratore frontaliero al mantenimento dello studente, né di quantificarne la precisa entità.
61      Il governo lussemburghese, tuttavia, fa valere che sarebbe difficile richiedere all’amministrazione competente che essa verifichi, in ciascun caso, se e in che misura il lavoratore frontaliero, padre acquisito di un figlio che richiede la concessione del sussidio economico di cui ai procedimenti principali, contribuisca al mantenimento di tale studente.
62      Orbene, occorre constatare, da un lato che il legislatore dell’Unione considera che si presume che i figli siano, in ogni caso, a carico fino al compimento del ventunesimo anno di età, come risulta in particolare dall’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38.
63      Dall’altro lato, dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che il legislatore lussemburghese stesso ha subordinato la concessione del sussidio economico dello Stato per gli studi superiori, in applicazione dell’articolo 3 della legge del 24 luglio 2014, applicabile dall’anno accademico 2014/2015, al requisito che il lavoratore «continui a contribuire al mantenimento dello studente». Il governo lussemburghese non può, quindi, validamente sostenere che un requisito di partecipazione al mantenimento dello studente non può essere verificato dall’amministrazione.
64      Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla questione posta dichiarando che l’articolo 45 TFUE e l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 vanno interpretati nel senso che deve intendersi per figlio di un lavoratore frontaliero che può beneficiare indirettamente dei vantaggi sociali di cui a quest’ultima disposizione, quali il finanziamento degli studi concesso da uno Stato membro ai figli dei lavoratori che esercitano o hanno esercitato la propria attività in tale Stato, non solo il figlio che ha un legame di filiazione con il lavoratore in parola, ma altresì il figlio del coniuge o del partner registrato del lavoratore suddetto, laddove quest’ultimo provveda al mantenimento di tale figlio. Quest’ultimo requisito risulta da una situazione di fatto, che spetta all’amministrazione e, se del caso, ai giudici nazionali, verificare senza che gli stessi siano tenuti a stabilire le ragioni di detto sostegno né a quantificarne l’entità in modo preciso.
 Sulle spese
65      Nei confronti delle parti nei procedimenti principali la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
L’articolo 45 TFUE e l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, vanno interpretati nel senso che deve intendersi per figlio di un lavoratore frontaliero che può beneficiare indirettamente dei vantaggi sociali di cui a quest’ultima disposizione, quali il finanziamento degli studi concesso da uno Stato membro ai figli dei lavoratori che esercitano o hanno esercitato la propria attività in tale Stato, non solo il figlio che ha un legame di filiazione con il lavoratore in parola, ma altresì il figlio del coniuge o del partner registrato del lavoratore suddetto, laddove quest’ultimo provveda al mantenimento di tale figlio. Quest’ultimo requisito risulta da una situazione di fatto che spetta all’amministrazione e, se del caso, ai giudici nazionali, verificare senza che gli stessi siano tenuti a stabilire le ragioni di detto sostegno né a quantificarne l’entità in modo preciso.
Dal sito http://curia.europa.eu