giovedì 30 luglio 2015



In tema (nuovamente) di annullamento della trascrizione del matrimonio same-sex [Tar Veneto (vs Tar Friuli Venezia Giulia)]


Tar Veneto xx luglio 2015, n. xx


Nel quadro normativo vigente, sussistono, in capo al prefetto, quale organo territoriale del Governo, i poteri di annullamento d’ufficio in via gerarchica e di intervento sostitutivo in relazione agli atti adottati dal sindaco quale incaricato ex lege della tenuta dei registri dello stato civile.

venerdì 24 luglio 2015





Diritto di accesso e rifiuto di atti d’ufficio

Cass. pen. xx 2015 (ud. xx 2015), n. xx


Tra le norme che disciplinano l'attività dei pubblici ufficiali rientra il disposto dell'art. 25 della l. 241/1990, che, stabilendo che il diritto di accesso si esercita mediante l'esame e l'estrazione di copia dei documenti amministrativi, costituisce, in capo ai pubblici ufficiali, il dovere di consentire sia l'uno che l'altra. L'ignoranza del contenuto precettivo della suddetta norma si risolve in ignoranza della legge penale, alla quale non può in alcun modo annettersi efficacia esimente, non trattandosi certamente, in considerazione della chiarezza della norma e della qualificazione tecnico-professionale di un pubblico ufficiale, per di più con funzioni dirigenziali, di una disposizione la cui ignoranza possa essere considerata inevitabile.

mercoledì 22 luglio 2015





Corte europea dei diritti dell’Uomo (sez. IV) sent. 21 luglio 2012, Oliari e altri c. Italia

Non avendo riconosciuto né tutelato, almeno mediante l’istituto delle unioni civili o partnership registrate, le coppie omosessuali, l’Italia ha violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare, ai sensi dell’art. 8 C.E.D.U.

lunedì 20 luglio 2015





Transessualismo e atti dello stato civile


Cass. 20 luglio 2015, n. 15138

L’interesse pubblico alla definizione certa dei generi non richiede il sacrificio del diritto alla conservazione della propria integrità psico fisica sotto lo specifico profilo dell’obbligo dell’intervento chirurgico inteso come segmento non eludibile dell’avvicinamento del soma alla psiche. L’acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell’approdo finale sia accertata, ove necessario, mediante rigoroso accertamenti tecnici in sede giudiziale


Qui la sentenza

venerdì 17 luglio 2015






Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 16 luglio 2015, n. 65, Istanza di interpello ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 212 del 2000. Accordi di negoziazione assistita ex art. 6, comma 1, del DL 12 settembre 2014, n. 132. Esenzione dall'imposta di registro ai sensi dell'articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74




Con l'interpello specificato in oggetto, concernente la tassazione, ai fini dell'imposta di registro, di una convenzione di negoziazione assistita di separazione personale, è stato esposto il seguente
Quesito
L'avvocato TIZIO rappresenta che i coniugi signori CAIO e SEMPRONIA intendono separarsi.
Gli accordi in corso di perfezionamento prevedono anche la cessione da parte della moglie al marito della piena proprietà di un immobile sito nel Comune di … , e la costituzione di usufrutto da parte del marito in favore della moglie su immobile sito nel Comune di… .
L'istante fa presente che i coniugi vorrebbero addivenire al perfezionamento delle predette operazioni immobiliari utilizzando il nuovo strumento giuridico della 'convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per le soluzioni consensuali di separazione personale', introdotto dall'articolo 6 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162.
Tanto premesso, l'avvocato interpellante intende conoscere se possa trovare applicazione, anche per il caso di specie, l'agevolazione di cui all'articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, che prevede l'esenzione dall'imposta di registro, di bollo e da ogni altra tassa per "tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio".
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
A parere dell'avvocato interpellante, anche nel caso rappresentato può trovare applicazione la norma agevolativa recata dal citato articolo 19.
La norma in esame, infatti, nel prevedere che tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa, non circoscrive l'esenzione ai soli procedimenti che si concludano con provvedimenti giudiziali.
Tale conclusione deriva, a parere dell'istante, dal tenore letterale della disposizione esentativa, caratterizzata dall'uso di sostantivi generici come 'atto' e, ancor di più, 'documento', ma anche dall'omissione di qualsivoglia specifica menzione di provvedimenti del giudice, quali la sentenza o l'omologa.
L'istante rileva, inoltre, che l'Agenzia delle entrate, con circolare n. 2 del 21 febbraio 2014, ha specificato, riferendosi alla norma di esenzione in esame, che tale disposizione di favore si riferisce a tutti gli atti, documenti e provvedimenti che i coniugi pongono in essere nell'intento di regolare i rapporti giuridici ed economici relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso.
Peraltro, rappresenta l'istante, il comma 3 dell'articolo 6 del decreto legge n. 132 del 12 settembre 2014, prevede espressamente che "l'accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio", con ciò equiparando l'accordo ai predetti provvedimenti.
In conclusione, rileva l'interpellante, da un esame congiunto degli interventi interpretativi dell'Agenzia, della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, risulta un evidente orientamento dell'ordinamento volto a garantire l'esenzione di qualsiasi operazione immobiliare che, trovando causa (in senso tecnico-giuridico), o comunque 'origine', nella necessità di riorganizzare l'assetto patrimoniale familiare a seguito di separazione o divorzio, si sottrae alla tradizionale area di applicazione del concetto di 'onerosità'.
Nell'ipotesi in cui non fosse riconosciuta l'esenzione predetta anche per gli accordi di natura patrimoniale, adottati nell'ambito della convenzione di negoziazione assistita per le soluzioni consensuali di separazione personale, si realizzerebbe, a parere dell'avvocato interpellante, un grave impedimento all'attuazione del nuovo istituto ed al raggiungimento dello scopo dallo stesso perseguito, ovvero la 'degiurisdizionalizzazione', cioè l'alleggerimento del carico giudiziario, attraverso la 'privatizzazione' di alcuni procedimenti.
Parere dell'Agenzia delle Entrate
L'articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 dispone che "tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa".
Le agevolazioni di cui al citato articolo 19 si riferiscono, dunque, a tutti gli atti, documenti e provvedimenti che i coniugi pongono in essere nell'intento di regolare i rapporti giuridici ed economici 'relativi' al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso.
Come precisato dalla Corte Costituzionale, con sentenza 11 giugno 2003, n. 202, l'esigenza di agevolare l'accesso alla tutela giurisdizionale, che giustifica il beneficio fiscale con riferimento agli atti del giudizio divorzile, è altresì presente nel giudizio di separazione, in quanto finalizzato ad agevolare e promuovere, in breve tempo, una soluzione idonea a garantire l'adempimento delle obbligazioni che gravano sul coniuge non affidatario della prole.
Così come precisato con la circolare del 29 maggio 2013, n. 18, l'esenzione recata dal citato articolo 19 della legge n. 74 del 1987 deve ritenersi applicabile, oltre che agli accordi di natura patrimoniale riferibili direttamente ai coniugi (quali gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all'uno o all'altro coniuge - cfr. Cass. 17 febbraio 2001, n. 2347), anche ad accordi aventi ad oggetto disposizioni negoziali in favore dei figli, a condizione che il testo dell'accordo omologato dal tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto, preveda esplicitamente che l'accordo patrimoniale a beneficio dei figli, contenuto nello stesso, sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale.
Con riferimento al quesito proposto, si rileva che con il decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 (rubricato 'Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione di arretrato in materia di processo civile) convertito in Legge 10 novembre 2014, n. 162, sono state introdotte nell'ordinamento disposizioni idonee a consentire la riduzione del contenzioso civile, prevedendo, da un lato, la possibilità di trasferire in sede arbitrale procedimenti pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria, d'altro lato, la promozione, in sede stragiudiziale, di procedure alternative alla ordinaria risoluzione delle controversie nel processo. In particolare, la risoluzione dei conflitti e delle controversie in via stragiudiziale viene favorita dall'introduzione di un nuovo istituto, ovvero la procedura di negoziazione assistita da un avvocato.
Ai sensi dell'articolo 2 del citato decreto "La convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati iscritti all'albo...".
Ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del decreto legge n. 132 del 2014, poi, "La convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio...".
L'accordo concluso tra i coniugi a seguito della convenzione deve essere trasmesso al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente che, qualora non ravvisi irregolarità, concede il nulla osta per procedere agli adempimenti di competenza ovvero, in presenza di figli minori, incapaci, portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti, rilascia apposita autorizzazione quando ritiene che l'accordo risponda all'interesse dei figli.
Il comma 3 dello stesso articolo 6 prevede, inoltre, che "l'accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio...".
L'accordo concluso secondo le descritte modalità produce, dunque, i medesimi effetti dei provvedimenti giudiziari che concludono i procedimenti di separazione e divorzio; come evidenziato, infatti, in base a detti accordi, se ritenuti regolari dal Procuratore della Repubblica, possono essere effettuate le dovute annotazioni negli atti dello stato civile riguardanti i coniugi.
Data la parificazione degli effetti dell'accordo concluso a seguito di convenzione di negoziazione assistita di cui al citato articolo 6 del decreto legge n. 132 del 2014 ai provvedimenti giudiziali di separazione e di divorzio, deve ritenersi applicabile anche a detto accordo l'esenzione disposta dall'articolo 19 della legge n. 74 del 1987, sempreché dal testo dell'accordo medesimo, la cui regolarità è stata vagliata dal Procuratore della Repubblica, emerga che le disposizioni patrimoniali, contenute nello stesso, siano funzionali e indispensabili ai fini della risoluzione della crisi coniugale.
Detta interpretazione è coerente con le considerazioni espresse, in sede referente, dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati (resoconto della seduta del 27 ottobre 2014) che, in sede di esame delle misure introdotte con il citato decreto legge n. 132 del 2014, ha precisato che l'agevolazione fiscale di cui all'articolo 19 delle Legge 6 marzo 1987, n. 74 "...trova applicazione anche per il nuovo procedimento, essendo questo una parte del procedimento di separazione e divorzio al quale il regime di favore viene applicato".
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Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente risoluzione vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.




Sentenza della Corte di Giustizia sulla Direttiva 2004/38/CE

Corte di Giustizia UE xx luglio 2015, n. xx

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a) – Diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione – Matrimonio tra un cittadino dell’Unione e un cittadino di un paese terzo – Mantenimento del diritto di soggiorno del cittadino di un paese terzo in seguito alla partenza del cittadino dell’Unione dallo Stato membro ospitante, seguita da un divorzio – Articolo 7, paragrafo 1, lettera b) – Risorse economiche sufficienti – Considerazione delle risorse economiche del coniuge cittadino di un paese terzo – Diritto dei cittadini di paesi terzi di lavorare nello Stato membro ospitante per contribuire all’ottenimento di risorse economiche sufficienti»




1)      L’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che un cittadino di un paese terzo, divorziato da un cittadino dell’Unione, il cui matrimonio sia durato almeno tre anni, di cui almeno uno nello Stato membro ospitante, prima dell’inizio del procedimento giudiziario di divorzio, non può fruire del mantenimento del diritto di soggiorno in tale Stato membro in base a tale disposizione, qualora l’inizio del procedimento giudiziario di divorzio sia preceduto dalla partenza del coniuge cittadino dell’Unione dal detto Stato membro.

2)      L’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che il cittadino dell’Unione dispone, per se stesso e per i suoi familiari, di risorse economiche sufficienti per non divenire un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno anche se tali risorse provengono in parte da quelle del suo coniuge, che è un cittadino di un paese terzo.






Dal sito http://curia.europa.eu

giovedì 16 luglio 2015





Libertà di espatrio, ai sensi della Direttiva 2004/38, e limitazioni al diritto, ex l. 1185/1967


Cons. di Stato, III, xx luglio 2015, n. xx

L’elencazione delle ipotesi di deroga alla libertà di circolazione, ex art. 27 della direttiva 2004/38/CE, non è esaustiva né tassativa, ma solo esemplificativa.

Nel sistema delineato dall’art. 3, lett. d), della l. 1185/1967, il divieto di espatrio – imposto ope legis e non a discrezione dell’autorità amministrativa - è manifestamente preordinato alla esecuzione della condanna penale e specificamente ha lo scopo di garantire che il condannato non sfugga all’esecuzione della pena recandosi in luoghi sottratti alla sovranità dello Stato italiano. L’esigenza di assicurare l’effettività dell’esecuzione della pena riveste per lo Stato un interesse di grado certamente non minore di quello alla generica prevenzione di illeciti con misure rimesse alla discrezionalità di organi amministrativi.

FATTO e DIRITTO
1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, ha subìto una condanna penale ad un anno di reclusione, con sentenza del Tribunale xx, confermata dalla Corte d’Appello xx e ulteriormente confermata e resa definitiva dalla Corte di Cassazione il xx
Il 2 agosto 2013 il P.M. competente ha emesso l’ordine di esecuzione della pena e contestualmente ne ha disposta la sospensione ai sensi dell’art. 656, comma 5, c.p.p., per dar modo all’interessato di presentare una istanza per la concessione di una delle misure alternative alla detenzione.
Lo stesso giorno 2 agosto 2013 la Questura di Roma, luogo di residenza dell’interessato, ha provveduto al ritiro del suo passaporto ed all’apposizione sulla sua carta d’identità della dicitura «documento non valido per l’espatrio». Ciò è stato fatto con l’intento di applicare il disposto della legge n. 1185/1967, art. 3, lettera (d) a norma del quale «non possono ottenere il passaporto (....) coloro che debbano espiare una pena restrittiva della libertà personale o soddisfare una multa o ammenda (...)».
2. Il 28 febbraio 2014, mentre l’esecuzione della pena era ancora sospesa in attesa delle decisioni del Tribunale di Sorveglianza circa la concessione delle misure alternative alla detenzione, l’interessato ha fatto istanza alla Questura di Roma chiedendo che sulla sua carta d’identità l’annotazione «documento non valido per l’espatrio» venisse integrata con la specificazione che tale restrizione della validità del documento opera solo per i Paesi extra-Schengen, ovvero non membri dell’Unione Europea.
La richiesta era argomentata in punto di diritto – e corroborata da allegati pareri legali – con la tesi che nel vigente diritto dell’Unione Europea, in forza dei princìpi di “libertà di circolazione” e di “cittadinanza europea”, gli Stati membri non possono porre limiti alla circolazione dei propri cittadini all’interno dell’Unione.
Con atto del xx, prot. xx, la Questura di Roma ha comunicato la sua argomentata risposta negativa.
3. L’interessato ha impugnato l’atto della Questura davanti al T.A.R. del Lazio (xx) ampiamente sviluppando le tesi giuridiche già esposte nella sua istanza.
Con sentenza n. 8015/2014, pubblicata il 23 luglio 2014, il T.A.R. ha rigettato il ricorso. In sintesi, ha affermato che il diritto della U.E. non impedisce agli Stati membri di porre limitazioni alla libertà di circolazione dei rispettivi cittadini per adeguate ragioni di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, e in questa luce si debbono ritenere consentite anche le limitazioni intese a garantire che le condanne penali siano effettivamente eseguite.
4. L’interessato ha proposto appello a questo Consiglio, ulteriormente sviluppando le proprie tesi. Resiste l’Amministrazione dell’Interno con memorie dell’Avvocatura dello Stato.
L’appello (insieme al quale non era stata proposta domanda cautelare) è stato discusso alla udienza odierna; in tale occasione il difensore dell’appellante ha chiarito che sussiste ancora l’interesse alla decisione, benché nel frattempo il divieto di espatrio sia cessato.
L’appello viene pertanto in decisione.
5. La controversia si concentra essenzialmente intorno all’interpretazione della direttiva 29 aprile 2004, n. 2004/38 CE sulla libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione.
Vengono in rilievo le seguenti disposizioni:
(a) l’art. 4 il quale fra l’altro dispone: «ogni cittadino dell'Unione munito di una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità ... [ha] il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro»;
(b) l’art. 5 il quale fra l’altro dispone «gli Stati membri ammettono nel loro territorio il cittadino dell'Unione munito di una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità»;
(c) l’art. 27 il quale fra l’altro dispone: «1. ... gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell'Unione ... per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici. - 2. I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti. - Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione.»
6. Nel caso in esame, la Questura di Roma ha apposto sulla carta d’identità dell’interessato la dicitura «documento non valido per l’espatrio» con la manifesta intenzione di renderla non utilizzabile ai sensi degli artt. 4 e 5 della direttiva n. 38 e così impedire, di fatto, all’interessato di recarsi in qualsiasi altro Paese dell’Unione Europea sino a che durasse l’impedimento.
Che quell’annotazione sulla carta d’identità produca tale effetto non dovrebbe essere controverso, se è vero che l’interessato ha chiesto che venisse rettificata, e, avuto un diniego, si è rivolto alla giustizia amministrativa. Proprio questa impugnativa sottintende che in questo contesto la parola “espatrio” indichi l’uscita dal territorio nazionale italiano verso uno Stato estero, appartenente o meno alla UE (e non l’uscita dalla UE verso uno Stato non membro). Gli ulteriori scritti della difesa dell’appellante sembrano sostenere il contrario, ma queste prospettazioni sono in contraddizione logica con l’impostazione iniziale della controversia.
Peraltro la Corte di cassazione penale, con sentenza del xx, su ricorso dell’attuale appellante relativamente all’incidente di esecuzione da lui sollevato con riferimento alle stesse questioni di cui al presente contenzioso, ha confermato che la legge n. 1185/1967 comporta un divieto assoluto di espatrio intendendosi per tale ogni uscita dallo Stato italiano, anche se in direzione di altro Stato membro della UE.
Forse si potrebbe discutere se e fino a che punto la dicitura «documento non valido per l’espatrio» sia vincolante nei confronti dello Stato estero cui l’interessato si rivolga per accedervi (ed invero, per principio generale ciascuno Stato, ove lo ritenga, è libero di ammettere nel proprio territorio uno straniero anche contro la volontà dello Stato di provenienza), ma si tratta di questione estranea alla materia del contendere nel presente giudizio e comunque non rilevante. Per quanto qui interessa è sufficiente prendere atto che l’annotazione «documento non valido per l’espatrio» è lesiva se non altro perché fa venire meno per gli altri Stati della UE l’obbligo di ammissione derivante dall’art. 5 della direttiva.
7. Ugualmente non pare controverso che l’interessato, in quanto condannato con sentenza definitiva alla pena della reclusione, fosse soggetto al divieto di espatrio previsto dalla legge n. 1185/1967, art. 3, lettera (d), ancorché l’esecuzione della pena fosse temporaneamente sospesa in applicazione dell’art. 656, comma 5, c.p.p.. Sull’applicazione del divieto di espatrio in una simile situazione di fatto questa Sezione si è pronunciata con sentenza n. 3348/2012 e lo stesso appellante se ne mostra persuaso, avendo cura di sottolineare che la tesi da lui ora sostenuta è diversa: e cioè che la direttiva n. 38, a suo dire, fa prevalere sul divieto la libertà di circolazione all’interno della UE.
8. Ciò premesso, si passa ora al merito della questione se il principio della libertà di circolazione dei cittadini della UE all’interno della stessa Unione prevalga sul divieto di espatrio di cui alla legge n. 1185/1987.
Si è visto sopra che l’art. 27 della direttiva n. 38 consente alcune deroghe, prevedendo che uno Stato membro possa limitare la libertà di circolazione di un cittadino della UE «per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica».
Ci si chiede se questa disposizione sia astrattamente riferibile al caso in esame, e, in caso affermativo, se nella fattispecie sussistessero in concreto le condizioni ivi stabilite.
9. Ad avviso del Collegio, l’art. 27 non è pertinente alla fattispecie (anche se non del tutto irrilevante, come si vedrà appresso).
Esso infatti si riferisce alla potestà discrezionale della p. A. di uno Stato membro, di disporre limiti alla libertà di circolazione tra un Paese e l’altro della U.E. con un provvedimento amministrativo ad hoc e ad personam, in funzione preventiva, per ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Quindi nell’art. 27 le prescrizioni limitative della discrezionalità sono chiaramente riferite a questo genere di provvedimenti: è questo il caso delle disposizioni per cui «la sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti» e «il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società».
Né l’art. 27, né altre disposizioni della direttiva, menzionano le restrizioni alla libertà personale inerenti o preordinate all’esecuzione di una condanna penale passata in giudicato. Ma il fatto che non siano menzionate non può essere interpretato come espressione della volontà di renderle recessive rispetto al principio della libertà di circolazione nella UE.
Vale in proposito il criterio logico dell’ “argumentum a fortiori”. Se il principio della libertà di circolazione può essere sacrificato a giudizio discrezionale di un’autorità amministrativa allo scopo di tutelare preventivamente la pubblica sicurezza, a maggior ragione la deroga si deve ritenere consentita se si presenta come una implicazione naturale – ovvero imposta ope legis - dell’esecuzione di una condanna penale, passata in giudicato, a una pena limitativa della libertà personale.
Mentre l’art. 27 conferma che il principio della libertà di circolazione non ha un valore assoluto, ed è invece suscettibile di deroghe per giustificate ragioni, le considerazioni ora svolte dimostrano che l’elencazione delle ipotesi di deroga non è esaustiva né tassativa, ma solo esemplificativa.
10. Nel sistema della legge n. 1185/1967, art. 3, lettera (d), il divieto di espatrio – imposto ope legis e non a discrezione dell’autorità amministrativa - è manifestamente preordinato alla esecuzione della condanna penale e specificamente ha lo scopo di garantire che il condannato non sfugga all’esecuzione della pena recandosi in luoghi sottratti alla sovranità dello Stato italiano. L’esigenza di assicurare l’effettività dell’esecuzione della pena riveste per lo Stato un interesse di grado certamente non minore di quello alla generica prevenzione di illeciti con misure rimesse alla discrezionalità di organi amministrativi.
Su questo punto si può richiamare una decisione della Corte Europea dei Diritti Umani, n. 41199/06 del 26 aprile-26 luglio 2011 (M. contro Svizzera).
11. In conclusione, l’appello deve essere respinto.
La singolarità del caso giustifica la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) rigetta l’appello. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi dell’appellante manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati

lunedì 13 luglio 2015





Accesso alle e-mail dei dipendenti

Tar Sicilia, Catania, 10 luglio 2015, n. 1891

In tema di accesso ai documenti amministrativi, è legittimo il diniego opposto dall' amministrazione alla richiesta di visionare ed estrarre copia delle e-mail intercorse fra il personale, trattandosi di corrispondenza privata o "chiusa", intesa cioè come inaccessibile dall'esterno o accessibile dall'interno solo se in possesso della specifica password, a nulla rilevando di converso che possa comunque qualificarsi come corrispondenza aziendale, e perché oggetto del diritto di accesso possono essere tutti i documenti già "formati" e utilizzati dall' amministrazione e non mere "bozze" o simili non confluiti in documentazione certa e individuata

venerdì 10 luglio 2015





Corte di Giustizia UE 9 luglio 2015, n. C-153/14

Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2003/86/CE – Articolo 7, paragrafo 2 – Ricongiungimento familiare – Misure di integrazione – Normativa nazionale che impone ai familiari di un cittadino di un paese terzo che soggiorna legalmente nello Stato membro interessato l’obbligo di superare un esame di integrazione civica per poter entrare sul territorio di detto Stato membro – Costi di un tale esame – Compatibilità





L’articolo 7, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri possono esigere dai cittadini di paesi terzi che essi superino un esame di integrazione civica, come quello di cui ai procedimenti principali, che comprende la valutazione della conoscenza elementare sia della lingua che della società dello Stato membro interessato e che comporta il pagamento di diverse spese, prima di autorizzare l’ingresso e il soggiorno dei suddetti cittadini sul proprio territorio ai fini del ricongiungimento familiare, se le condizioni di applicazione di un tale obbligo non rendono impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare. In circostanze come quelle dei procedimenti principali, tali condizioni, nei limiti in cui non consentono di prendere in considerazione le circostanze particolari che impediscono oggettivamente agli interessati di poter superare tale esame e fissano l’importo delle spese relative a tale esame ad un livello troppo elevato, rendono impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare.








Dal sito http://curia.europa.eu

giovedì 9 luglio 2015


Ratifica convenzione sui minori  (Aja 19 ottobre 1996)



Legge 18 giugno 2015, n. 101, Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla competenza,  la  legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione  e  la  cooperazione  in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione  dei minori, fatta all'Aja il 19 ottobre 1996 (G.U. 9 luglio 2015, n. 157)




PANOZZO, Il computo dei termini (nel codice civile e di procedura civile) – Massimario (minimo) delle Corti superiori

lunedì 6 luglio 2015




Circolare Ministero dell’Interno e Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali 3 luglio 2015, n. 3841, Regime transitorio per l’accesso dei cittadini croati al lavoro subordinato in Italia




http://www.integrazionemigranti.gov.it/Attualita/News/Documents/0circolare_croazia.pdf

PANOZZO Rober,
La decadenza del consigliere comunale per mancata partecipazione alle sedute – Massimario minimo,

 http://www.diritto.it/docs/37067-la-decadenza-del-consigliere-comunale-per-mancata-partecipazione-alle-sedute-massimario-minimo

sabato 4 luglio 2015



PANOZZO Rober, Spigolature sulla nozione di collegio perfetto


http://www.diritto.it/docs/37041-spigolature-sulla-nozione-di-collegio-perfetto

venerdì 3 luglio 2015



PANOZZO Rober, Sull’obbligo di indicare il motivo di esenzione dall’imposta di bollo

 http://www.diritto.it/docs/37084-sull-obbligo-di-indicare-il-motivo-di-esenzionedall-imposta-di-bollo

giovedì 2 luglio 2015



Tar Toscana xx giugno 2015, n. xx

Documentazione amministrativa – Accesso (diritto di) – Modalità






E’ illegittimo il diniego di accesso motivato dal mancato utilizzo della (apposita) modulistica predisposta dall’Ente [osserva il Collegio che “nessuna norma autorizza l’Amministrazione a pretendere l’utilizzo di modulistica dalla stessa predisposta a pena di inammissibilità della pretesa ostensiva; quindi se l’Amministrazione deve certo pretendere che l’istante presenti una domanda avente il contenuto previsto dalla legge (indicante quindi l’atto cui si chiede di accedere, l’interesse che sorregge la pretesa ostensiva, l’esatta indicazione del soggetto richiedente ecc.) al contrario essa non può esigere che le indicazioni stesse siano fornite attraverso l’uso della “modulistica dedicata” predisposta dall’Amministrazione medesima dovendo valutarsi la funzione della stessa come ausilio offerto ai privati e non come condizione di ammissibilità o procedibilità della procedura di accesso”]


Cons. di Stato xx giugno 2015, n. xx

In tema di  procedura aperta per l'affidamento del servizio di prelievo e di trasporto delle salme al civico deposito di osservazione o all'obitorio comunale, la scelta del prezzo più basso quale criterio di aggiudicazione dell’appalto non è palesemente illogica od irrazionale