Corte cost. 10 marzo 2017, n. 56
Non è fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2, quinto comma, della legge 23 aprile
1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle
cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale, e
in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale),
sollevata, in riferimento all’art. 51 della Costituzione, dalla Corte d’appello
di Catanzaro, con ordinanza in data 10 febbraio 2016
SENTENZA N. 56
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Alessandro
CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS,
Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma quinto, della
legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed
incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e
circoscrizionale, e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio
sanitario nazionale), promosso dalla Corte d’appello di Catanzaro nel
procedimento vertente tra G. G. e G. G., con ordinanza del 10 febbraio 2016,
iscritta al n. 68 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti gli atti di costituzione di G. G., fuori termine, e di G. G., nonché
l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 21 febbraio 2017 il Giudice relatore Daria
de Pretis;
uditi gli avvocati Oreste Morcavallo e Francesco Paolo Gallo per G. G. e
l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 10 febbraio 2016, la Corte d’appello di Catanzaro ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, quinto comma, della legge
23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità
alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e
circoscrizionale, e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio
sanitario nazionale), in riferimento all’art. 51 della Costituzione.
La questione è sorta nel corso del giudizio d’appello avverso l’ordinanza
con la quale il Tribunale ordinario di Catanzaro, in accoglimento di un ricorso
presentato ai sensi dell’art. 22 del decreto legislativo 1 settembre 2011, n.
150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di
riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi
dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), ha dichiarato la decadenza
dalla carica di un consigliere regionale della Calabria, per la sussistenza di
una causa di ineleggibilità al momento della presentazione della candidatura, e
lo ha sostituito con il ricorrente, primo dei non eletti nella medesima lista.
1.1.– La causa di ineleggibilità accertata dal provvedimento impugnato nel
giudizio principale è prevista dall’art. 2, primo comma, numero 2), della legge
n. 154 del 1981, secondo cui non sono eleggibili a consigliere regionale «(…)
nel territorio, nel quale esercitano le loro funzioni, (…) i funzionari di
pubblica sicurezza». L’interessato vi ricadrebbe nella qualità di «Primo
Dirigente, Vice Comandante Regionale e Capo dell’Ufficio Ispettivo Centro Nord
della Calabria del Corpo Forestale dello Stato».
Il secondo comma dell’art. 2 della legge censurata prevede che tale causa di
ineleggibilità non ha effetto se l’interessato cessa dalle funzioni per
collocamento in aspettativa (oppure per dimissioni, trasferimento, revoca dell’incarico
o del comando) non oltre il giorno fissato per la presentazione delle
candidature. A sua volta il quinto comma dispone che, entro cinque giorni dalla
richiesta, la pubblica amministrazione deve adottare i provvedimenti relativi e
che, in mancanza, la domanda di aspettativa (o di dimissioni) accompagnata
dalla effettiva cessazione dalle funzioni ha effetto dal quinto giorno
successivo alla sua presentazione.
Secondo il giudice a quo tale disciplina ha carattere di specialità, sicché
non potrebbe derogarvi, come invece sostiene l’appellante nel processo
principale, il disposto dell’art. 81 della legge 1 aprile 1981, n. 121 (Nuovo
ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza), secondo il quale
gli appartenenti alle forze di polizia candidati a elezioni politiche o
amministrative sono posti in aspettativa dal momento dell’accettazione della
candidatura.
Ciò premesso, il rimettente afferma che l’interessato ha presentato la
domanda di aspettativa per motivi elettorali il 25 ottobre 2014, ultimo giorno
utile per la presentazione delle candidature, e che la pubblica amministrazione
non ha provveduto entro cinque giorni dalla richiesta. La domanda, pertanto, ha
prodotto effetti dal quinto giorno successivo alla sua presentazione, oltre il
termine previsto per rimuovere la causa di ineleggibilità, con la conseguenza
dell’invalidità della successiva elezione alla carica di consigliere regionale.
Ad avviso del rimettente, tuttavia, l’art. 2, quinto comma, della legge n.
154 del 1981 contrasta con l’art. 51 Cost. nella parte in cui prevede che gli
effetti dell’aspettativa per motivi elettorali, accompagnata dall’effettiva
cessazione delle funzioni, decorrono dal provvedimento dell’amministrazione o,
in mancanza, dal quinto giorno successivo alla presentazione della domanda di
collocamento in aspettativa, anziché dalla data di presentazione della domanda
stessa.
1.2.– La rilevanza della questione sarebbe evidente, dal momento che in caso
di suo accoglimento la domanda di aspettativa per motivi elettorali presentata
dall’appellante nel giudizio principale risulterebbe pervenuta
all’amministrazione in tempo utile a rimuovere la causa di ineleggibilità.
1.3.– La norma censurata violerebbe l’art. 51 Cost., in quanto, per avere la
certezza che la causa di ineleggibilità alla carica di consigliere regionale
venga rimossa in tempo utile, l’interessato dovrebbe anticipare la domanda di
collocamento in aspettativa almeno al sesto giorno che precede il termine per
la presentazione delle candidature, ponendosi così in una situazione di
«quiescenza» ancora prima di avere la certezza della presentazione della sua
candidatura, «laddove l’art. 51 della Costituzione garantisce l’accesso di
tutti i cittadini alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, senza
limitazioni di alcun tipo».
Il diritto fondamentale di elettorato passivo, al quale è funzionale il
diritto potestativo a essere collocato in aspettativa per motivi elettorali,
sarebbe «fortemente» sacrificato nel caso di inerzia dell’amministrazione, che
potrebbe vanificare anche la scelta dell’interessato di accettare la
candidatura negli ultimi cinque giorni utili.
Ad avviso del rimettente, sarebbe evidentemente discriminatoria
l’attribuzione al mero arbitrio dell’amministrazione della scelta dei tempi di
adozione del provvedimento di accettazione della domanda di aspettativa per
motivi elettorali, che si sostanzia in una mera presa d’atto, priva di
discrezionalità.
Il giudice a quo mostra di non ignorare che la Corte, con la sentenza n.
309 del 1991, ha respinto un’analoga questione attinente alla medesima norma,
ma ritiene che quella pronuncia, riferendosi alla diversa ipotesi della domanda
di dimissioni, non sia conferente al caso in esame. L’istituto delle
dimissioni, invero, non sarebbe direttamente preordinato alla rimozione delle
cause di ineleggibilità, pur consentendo di pervenire indirettamente al
medesimo risultato. L’aspettativa per motivi elettorali, al contrario, sarebbe
funzionalmente ed esclusivamente finalizzata alla rimozione della causa di
ineleggibilità, a garanzia del diritto di elettorato passivo anche di coloro
che versano in una tale situazione.
2.– Con atto depositato il 22 aprile 2016 si è tempestivamente costituita
nel giudizio costituzionale la parte appellata del processo principale
(ricorrente in primo grado), chiedendo che la questione sia dichiarata
preliminarmente inammissibile e comunque non fondata nel merito.
La parte eccepisce l’inammissibilità della questione sotto diversi profili:
per carenza di motivazione sulla portata e sulla ratio della norma contestata,
che conterrebbe in realtà disposizioni di favore per il candidato a garanzia
del principio fissato dall’art. 51 Cost.; per difetto di rilevanza, in quanto
dalla motivazione dell’ordinanza di rimessione e dalla documentazione allegata
all’atto di costituzione si evincerebbe che la domanda di aspettativa è stata
presentata dall’interessato dopo la scadenza del termine per la presentazione
delle candidature, sicché la causa di ineleggibilità non risulterebbe efficacemente
rimossa neppure se la domanda di aspettativa producesse i suoi effetti al
momento della presentazione; infine, per difetto del presupposto della non
manifesta infondatezza, in quanto la tesi del rimettente sarebbe già stata
respinta dalla Corte con la sentenza n. 309 del 1991.
Nel merito, la parte osserva che l’art. 2, secondo comma, della legge n. 154
del 1981 equipara le varie modalità di rimozione delle cause di ineleggibilità,
tra le quali figurano le dimissioni e il collocamento in aspettativa. La
completa assimilazione fra queste due ipotesi sarebbe conseguita all’intervento
della Corte, che con le sentenze n. 388 del 1991 e n. 111 del 1994 ha
dichiarato incostituzionale la citata disposizione nella parte in cui non
prevedeva – per talune categorie di soggetti – che la causa di ineleggibilità
potesse cessare, oltre che per dimissioni, anche per collocamento in
aspettativa.
Dalla sostanziale equiparazione tra dimissioni e collocamento in
aspettativa, quali modalità di rimozione delle cause di ineleggibilità,
deriverebbe l’infondatezza delle ragioni addotte dal giudice a quo per
sostenere l’inconferenza al caso in esame della sentenza n. 309 del 1991, con
la quale la Corte,
in riferimento alla domanda di dimissioni, ha escluso che la previsione del
termine di cinque giorni prescritto dal quinto comma dell’art. 2 per adottare
il provvedimento di accettazione, in mancanza del quale le dimissioni hanno
effetto dal quinto giorno successivo alla presentazione della domanda, comporti
la violazione dell’art. 51 Cost.
Varrebbe pertanto anche per il caso del collocamento in aspettativa quanto
osservato nella citata sentenza sull’insussistenza della compromissione del
diritto di elettorato passivo. Il rischio prospettato dal giudice a quo per
l’eventualità che il candidato sia collocato in aspettativa prima di avere la
certezza del proprio inserimento in lista sarebbe infatti analogo a quello – di
rinuncia preventiva alla carica per dimissioni – già esaminato dalla Corte e da
essa ritenuto in re ipsa, dovendo l’interessato rimuovere la causa di
ineleggibilità prima della presentazione della lista dei candidati, che non
potrebbe essere effettuata dal candidato stesso, ma soltanto da chi è a ciò
abilitato dalle leggi sul procedimento elettorale. Varrebbero altresì le
considerazioni, svolte nella stessa decisione con il richiamo alla sentenza n.
46 del 1969, sul legittimo esercizio della discrezionalità del legislatore nel
determinare, purché secondo criteri razionali, la data entro la quale deve
verificarsi la cessazione della causa di ineleggibilità, data che in nessun
caso può essere successiva a quella prescritta per l’accettazione della
candidatura, che rappresenta il primo atto di esercizio del diritto elettorale
passivo.
3.– Con atto depositato il 26 aprile 2016 è intervenuto nel giudizio
costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità e
comunque per la manifesta infondatezza della questione.
La questione sarebbe in primo luogo inammissibile per la natura non
necessitata dell’intervento additivo richiesto alla Corte, in quanto
rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore disciplinare, quanto a
modalità ed effetti, la cessazione delle funzioni alla quale è collegata la
rimozione delle cause di ineleggibilità.
Nel merito, anche l’interveniente richiama la sentenza n. 309 del 1991 e
osserva che non vi sarebbero ragioni per discostarsi da essa. Per un verso
infatti i profili di incostituzionalità articolati nelle due ordinanze di
rimessione sostanzialmente coinciderebbero e, per altro verso, gli argomenti
addotti dal giudice a quo per affermare che essa non è conferente nel caso in
esame non sarebbero condivisibili, giacché sia le dimissioni che l’aspettativa
per motivi elettorali costituiscono modalità di rimozione delle cause di
ineleggibilità. Vengono altresì richiamate, a sostegno della conclusione di
manifesta infondatezza, le sentenze n. 46 del 1969 e n. 438 del 1994.
4.– In una memoria depositata nell’imminenza dell’udienza, la parte privata
ribadisce quanto già esposto sull’inammissibilità e la non fondatezza nel
merito della questione, osservando inoltre che alla Corte sarebbe richiesto un
inammissibile intervento additivo, in contrasto con il principio che riserva in
via esclusiva al legislatore la determinazione dei limiti e delle modalità di
accesso alle cariche elettive.
5.– Con atto depositato il 31 gennaio 2017 si è costituita in giudizio anche
la parte appellante del processo principale (resistente in primo grado), che ha
aderito alle ragioni esposte nell’ordinanza di rimessione, chiedendo che la
questione sia accolta.
Considerato in diritto
1.– La Corte
d’appello di Catanzaro dubita della legittimità costituzionale dell’art. 2,
quinto comma, della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di
ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale,
provinciale, comunale e circoscrizionale, e in materia di incompatibilità degli
addetti al Servizio sanitario nazionale), in riferimento all’art. 51 della
Costituzione.
Il primo comma del citato art. 2 elenca, raggruppandole sotto dodici numeri,
una serie di cause di ineleggibilità a consigliere regionale, concernenti
soggetti che ricoprono cariche elettive, uffici, impieghi o funzioni diverse
amministrative e dirigenziali.
Il secondo comma dell’art. 2 prevede che le cause di ineleggibilità non
hanno effetto se l’interessato cessa dalle funzioni «per dimissioni,
trasferimento, revoca dell’incarico o del comando, collocamento in aspettativa
non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature».
A sua volta, il quinto comma dispone che la pubblica amministrazione è
tenuta ad adottare i provvedimenti relativi entro cinque giorni dalla
richiesta, e che, in mancanza, «la domanda di dimissioni o aspettativa
accompagnata dalla effettiva cessazione dalle funzioni ha effetto dal quinto
giorno successivo alla presentazione».
La questione è sorta nel corso del giudizio d’appello avverso l’ordinanza
con la quale il Tribunale ordinario di Catanzaro ha dichiarato la decadenza
dalla carica di un consigliere regionale della Calabria, per la sussistenza di
una causa di ineleggibilità al momento della presentazione della candidatura, e
lo ha sostituito con il primo dei non eletti nella medesima lista.
Nel giudizio principale è stata impugnata l’elezione
di un soggetto che riveste la qualità di «Primo Dirigente, Vice Comandante
Regionale e Capo dell’Ufficio Ispettivo Centro Nord della Calabria del Corpo
Forestale dello Stato», come tale ricadente nella causa di ineleggibilità
prevista dal numero 2) del richiamato primo comma dell’art. 2, secondo cui non
sono eleggibili «(…) nel territorio, nel quale esercitano le loro funzioni, (…)
i funzionari di pubblica sicurezza».
Il giudice a quo afferma che l’interessato ha
presentato la domanda di aspettativa per motivi elettorali l’ultimo giorno
utile per la presentazione delle candidature e che la pubblica amministrazione
non ha provveduto entro cinque giorni dalla richiesta. La domanda, pertanto,
avrebbe prodotto effetti dal quinto giorno successivo alla sua presentazione,
oltre il termine per rimuovere la causa di ineleggibilità previsto dal secondo
comma dell’art. 2. Ne conseguirebbe l’invalidità dell’elezione dell’interessato
alla carica di consigliere regionale, come in effetti ha concluso il giudice di
primo grado.
Ad avviso della Corte d’appello rimettente,
tuttavia, l’art. 2, quinto comma, della legge n. 154 del 1981 contrasterebbe
con l’art. 51 Cost. nella parte in cui prevede che gli effetti dell’aspettativa
per motivi elettorali, accompagnata dall’effettiva cessazione delle funzioni,
decorrano dal provvedimento dell’amministrazione o, in mancanza, dal quinto
giorno successivo alla presentazione della domanda di collocamento in
aspettativa, anziché dalla data di presentazione della domanda stessa. La
violazione del diritto di elettorato passivo deriverebbe dal fatto che il
soggetto interessato, per essere certo che la causa di ineleggibilità sia
tempestivamente rimossa, dovrebbe anticipare la domanda di collocamento in
aspettativa almeno al sesto giorno che precede il termine per la presentazione
delle candidature, ponendosi così in una situazione di «quiescenza» ancora
prima di avere la certezza della presentazione della sua candidatura. Sarebbe
pertanto discriminatorio attribuire al mero arbitrio dell’amministrazione la
scelta dei tempi di adozione del provvedimento di accettazione della domanda di
aspettativa per motivi elettorali, tanto più che essa si sostanzia in una mera
presa d’atto, priva di discrezionalità.
2.– Il consigliere regionale dichiarato decaduto e appellante nel processo
principale si è costituito nel giudizio costituzionale con atto depositato il
31 gennaio 2017, oltre il termine di venti giorni dalla pubblicazione
dell’ordinanza di rimessione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima
serie speciale, n. 14 del 6 aprile 2016, fissato dall’art. 3 delle Norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, tale termine ha natura
perentoria e dalla sua violazione consegue, in via preliminare e assorbente,
l’inammissibilità degli atti di costituzione depositati oltre la sua scadenza
(ex plurimis, sentenze n. 248, n. 219 e n. 187 del 2016, n. 236 e 27 del 2015,
n. 364 e n. 303 del 2010, n. 263 e n. 215 del 2009; ordinanze n. 11 del 2010,
n. 100 del 2009 e n. 124 del 2008).
La costituzione è dunque inammissibile.
3.– La parte appellata nel giudizio a quo, costituitasi tempestivamente nel
giudizio costituzionale, ha eccepito l’inammissibilità della questione sotto
diversi profili: per carenza di motivazione sulla portata e sulla ratio della
norma contestata, che conterrebbe in realtà disposizioni di favore per il
candidato, a garanzia del principio fissato dall’art. 51 Cost.; per difetto di
rilevanza, in quanto dalla motivazione dell’ordinanza di rimessione e dalla
documentazione allegata all’atto di costituzione si evincerebbe che la domanda
di aspettativa è stata presentata dall’interessato dopo la scadenza del termine
per la presentazione delle candidature, sicché la causa di ineleggibilità non
risulterebbe efficacemente rimossa neppure nel caso in cui gli effetti della
domanda di aspettativa dovessero ritenersi prodotti al momento della sua presentazione;
per difetto del presupposto della non manifesta infondatezza, in quanto la tesi
del rimettente sarebbe già stata respinta dalla Corte con la sentenza n. 309
del 1991; infine, perché l’intervento additivo richiesto alla Corte,
comportante l’automatismo della domanda di aspettativa senza spatium
deliberandi in capo all’amministrazione, contrasterebbe con il principio che
riserva in via esclusiva al legislatore la determinazione dei limiti e delle
modalità di accesso alle cariche elettive.
Le eccezioni non sono fondate.
Quanto alla prima, si osserva che l’ordinanza di rimessione solleva il
dubbio di costituzionalità muovendo dalla pacifica interpretazione letterale
della norma censurata, in base alla quale la domanda di aspettativa per motivi
elettorali non rimuove la causa di ineleggibilità immediatamente, ma a
decorrere dal provvedimento di presa d’atto dell’amministrazione, se assunto
entro cinque giorni dalla presentazione della domanda, o in mancanza dal quinto
giorno successivo alla presentazione. Il giudice a quo ne desume che la norma
pregiudichi il diritto di elettorato passivo dell’interessato, che subirebbe un
trattamento discriminatorio, in quanto, per essere sicuro che la causa di
ineleggibilità sia rimossa, dovrebbe presentare la domanda di aspettativa con
congruo anticipo rispetto al termine di presentazione delle candidature, senza
avere la certezza di essere incluso nella lista. La plausibilità
dell’interpretazione offerta dal giudice a quo esclude la prospettata carenza
di motivazione, rimanendo riservato all’esame del merito ogni profilo
concernente la portata lesiva della norma.
Quanto all’eccezione relativa alla rilevanza, il giudice a quo afferma che
la domanda di aspettativa è stata presentata l’ultimo giorno fissato per la
presentazione delle candidature, dunque in tempo utile per rimuovere la causa
di ineleggibilità se venisse pronunciata l’illegittimità costituzionale della
norma contestata. La motivazione è idonea a dare conto del requisito della
rilevanza, e non è sufficiente a escluderlo il generico richiamo a non meglio
precisati documenti.
Sulla dedotta mancanza del requisito della non manifesta infondatezza, è
sufficiente rilevare che l’eventuale contrasto della tesi del rimettente con
una sentenza di questa Corte non è di per sé motivo idoneo a produrre
l’inammissibilità della questione, riguardando semmai il suo merito.
L’ultima eccezione, sull’inammissibilità dell’intervento additivo richiesto,
può essere esaminata insieme a quella sollevata dal Presidente del Consiglio
dei ministri, per la sostanziale identità delle ragioni addotte a suo sostegno.
Secondo l’Avvocatura dello Stato, invero, la questione sarebbe inammissibile
per il carattere non necessitato dell’intervento additivo auspicato dal giudice
a quo. La disciplina delle modalità e degli effetti della cessazione delle
funzioni, alla quale è collegata la rimozione delle cause di ineleggibilità,
apparterebbe infatti all’esclusiva discrezionalità del legislatore.
Nemmeno queste eccezioni sono fondate. Ciò che il rimettente chiede al fine
di superare il vulnus costituzionale prospettato, ossia che l’ineleggibilità
sia rimossa con la mera presentazione della domanda di aspettativa entro il
termine per la presentazione delle candidature, può essere ottenuto unicamente eliminando
la previsione normativa di un termine per l’accettazione o la presa d’atto
della domanda.
4.–
Sotto il profilo della rilevanza, va altresì
precisato che la legge n. 154 del 1981 è stata abrogata dall’art. 274, comma 1,
lettera l), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle
leggi sull’ordinamento degli enti locali), «(…) fatte salve», tuttavia, «le
disposizioni previste per i consiglieri regionali».
La norma censurata, pertanto, è applicabile nel
giudizio a quo.
5.–
Nel merito, si rileva che la stessa norma è già
stata sottoposta allo scrutinio di questa Corte, anche con riferimento al
parametro dell’art. 51 Cost., per ragioni del tutto analoghe a quelle
illustrate dal rimettente.
La sentenza n. 309 del 1991 ha dichiarato non
fondata la questione di legittimità costituzionale della disposizione
risultante dal combinato disposto del secondo e del quinto comma dell’art. 2,
nella parte in cui prevede che le dimissioni di chi sia in rapporto di servizio
con la pubblica amministrazione abbiano effetto, se non prima accettate
dall’amministrazione, dal quinto giorno successivo alla presentazione (sempre
che esse siano accompagnate dall’effettiva cessazione dalle funzioni), anziché
immediatamente.
In quell’occasione era stata impugnata l’elezione a consigliere comunale di
un componente della commissione amministratrice di un’azienda dipendente dal
comune, ipotesi rientrante nelle cause di ineleggibilità previste dall’art. 2,
primo comma, numero 11). Le disposizioni censurate avrebbero violato l’art. 3
Cost. per l’ingiustificata disparità di trattamento da esse creata fra chi
versa in una ipotesi di ineleggibilità che viene meno solo in seguito a
provvedimento della pubblica amministrazione, o comunque dopo il decorso di
cinque giorni dalle sue dimissioni o dalla sua richiesta di aspettativa, e chi,
trovandosi in una condizione di ineleggibilità che non ha rapporti con la
pubblica amministrazione, può farla cessare con effetto immediato all’atto
della presentazione delle dimissioni. Sarebbe stato altresì violato l’art. 51
Cost., in quanto il diritto di elettorato passivo sarebbe obiettivamente
compromesso dalla necessità che la causa di ineleggibilità sia rimossa con
congruo anticipo rispetto alla presentazione delle liste dei candidati, ciò
che, secondo l’ordinanza di rimessione, avrebbe potuto «(…) realmente esporre
l’interessato (…) all’evenienza della rinuncia alla propria carica ancor prima
di acquisire la certezza dell’inserimento nella lista da lui prescelta».
Questa Corte ha tuttavia escluso la rilevanza del rischio paventato dal
rimettente, osservando che esso «è per così dire, in re ipsa», giacché «il
candidato deve comunque rimuovere la causa dell’ineleggibilità prima della
presentazione della lista dei candidati, che – come è noto –, non può essere
effettuata dal candidato stesso, ma soltanto da chi è a ciò abilitato dalle
vigenti leggi sul procedimento elettorale» (sentenza n. 309 del 1991).
Questa Corte ha altresì ritenuto che il legislatore abbia usato del proprio
potere in modo costituzionalmente corretto, essendosi conformato ai principi
esposti nella sentenza n. 46 del 1969. In essa si afferma, per un verso, che «è
manifestamente ultroneo richiedere, per far cessare l’ineleggibilità, che le
dimissioni di chi aspiri alla candidatura siano state accettate, senza
d’altronde che alcun termine sia prescritto per l’accettazione», in quanto, in
tali ipotesi, la eleggibilità finirebbe «per dipendere da una estranea volontà,
per giunta discrezionale almeno in ordine al quando»; e, per altro verso, che
il legislatore, nella sua discrezionalità, «può variamente determinare, purché
secondo criteri razionali, la data entro la quale deve verificarsi la
cessazione della causa di ineleggibilità», che, in nessun caso, «può essere
successiva a quella prescritta per l’accettazione della candidatura, che
rappresenta il primo atto di esercizio del diritto elettorale passivo».
«Alla luce di tali principi» – conclude la sentenza n. 309 del 1991 – «si
deve riconoscere che il legislatore, prescrivendo alla pubblica amministrazione
il termine di cinque giorni per adottare il provvedimento di accettazione e
prevedendo espressamente che in mancanza di tale provvedimento le dimissioni
hanno effetto dopo cinque giorni dalla presentazione, non è incorso in alcuna
violazione dell’art. 51 della Costituzione».
Questa Corte ha confermato in altre occasioni tale
orientamento, osservando che «[l]a norma contenuta nell’art. 2, quinto
comma, della legge n. 154 del 1981 (secondo cui la pubblica amministrazione è
tenuta a provvedere sulla domanda di dimissioni o di collocamento in
aspettativa entro cinque giorni dalla richiesta e, se ciò non avvenga, la
domanda ha comunque effetto dal quinto giorno successivo alla sua
presentazione) mira a contemperare la regola generale in base alla quale per la
cessazione da cariche o uffici pubblici è richiesta la presa d’atto ovvero
l’accettazione da parte dell’amministrazione con l’esigenza, costituzionalmente
garantita, che il soggetto interessato sia posto in condizioni di rimuovere la
causa di ineleggibilità con atti e comportamenti propri, senza che questi
possano essere resi inefficaci da inerzia o ritardi della pubblica
amministrazione (cfr. sentt. nn. 309 e 388 del 1991)» (sentenza n. 438 del
1994).
5.1.–
Pur essendo riferite all’ipotesi delle
dimissioni, le ragioni esposte nella sentenza n. 309 del 1991, più volte
richiamata, devono ritenersi ugualmente valide per l’ipotesi dell’aspettativa,
che la norma censurata sottopone alla stessa disciplina.
Il giudice a quo mostra di non ignorare la citata
pronuncia e ripropone, anche letteralmente, le considerazioni in essa già
esaminate, riferendole all’ipotesi dell’aspettativa. A suo avviso, tuttavia, le
conclusioni cui la pronuncia perviene non sarebbero pertinenti nel caso dell’aspettativa,
in ragione delle sua diversità rispetto all’istituto delle dimissioni in
relazione agli effetti di rimozione delle cause di ineleggibilità. Mentre
infatti le dimissioni non sarebbero direttamente preordinate a produrre tali
effetti, e solo indirettamente consentirebbero di pervenire anche a questo
risultato, l’aspettativa per motivi elettorali sarebbe funzionalmente ed
esclusivamente finalizzata a rimuovere la causa di ineleggibilità a garanzia
del diritto di elettorato passivo di coloro che versano in una tale situazione.
L’argomento non è condivisibile.
Richiamando le distinte finalità delle dimissioni e
dell’aspettativa, il rimettente evoca in sostanza la diversità degli effetti
che i due istituti producono sul rapporto di lavoro alle dipendenze della
pubblica amministrazione, vale a dire la sua risoluzione nel primo caso e la
sua conservazione, anche se in stato di quiescenza, nel secondo. Questa
diversità, tuttavia, non rileva ai fini che si prefigge la disciplina sulla
rimozione delle cause di ineleggibilità, qualora esse derivino da pubblici
uffici che presuppongono l’esistenza di tale rapporto. Le dimissioni e il
collocamento in aspettativa, invero, sono ragionevolmente considerati dal
legislatore quali strumenti entrambi idonei a scongiurare, mediante la
cessazione definitiva o temporanea dalle funzioni, il pericolo di inquinamento
del voto derivante da potenziali indebite pressioni sul corpo elettorale e,
comunque, da condizionamenti del suffragio impliciti in eventuali candidature di
pubblici funzionari. La loro piena assimilazione come strumenti di rimozione
delle situazioni di ineleggibilità si è compiuta con le sentenze n. 388 del
1991 e n. 111 del 1994, che hanno esteso anche ai dipendenti regionali,
provinciali e comunali la possibilità di rimuovere con il collocamento in
aspettativa, e non solo con le dimissioni, l’ineleggibilità ai rispettivi
consigli derivante dal rapporto d’impiego. L’equiparazione, a tali effetti,
giustifica l’omogeneità del trattamento che la norma contestata riserva ai due
istituti e autorizza a ritenere riferibili anche al collocamento in aspettativa
le conclusioni alle quali questa Corte è pervenuta sulla legittimità del
termine fissato dalla legge per le dimissioni.
Queste conclusioni non sono scalfite dalle considerazioni del giudice a quo
sulla mancanza di discrezionalità dell’amministrazione nel disporre il
collocamento in aspettativa per motivi elettorali.
Il quinto comma dell’art. 2 della legge n. 154 del 1981 detta una disciplina
intesa a garantire in modo rigoroso l’operatività sia delle dimissioni che del
collocamento in aspettativa mediante la previsione di un termine brevissimo,
allo scadere del quale, se la pubblica amministrazione non ha adottato l’atto
di sua competenza, si produce ugualmente l’effetto del venir meno della causa
di ineleggibilità.
Il carattere non discrezionale – e doveroso – del provvedimento di presa
d’atto non rende irragionevole la disposizione censurata.
La ratio del termine che essa prevede, infatti, non trova la
sua ragione giustificativa nell’opportunità di offrire all’amministrazione un
lasso di tempo per decidere sulla domanda di aspettativa, ma nella diversa
esigenza di garantire il buon funzionamento dell’amministrazione. L’immediata
cessazione della funzione o della carica, per dimissioni o collocamento in
aspettativa, comporterebbe infatti, in assenza di un minimo preavviso che
consenta all’amministrazione di organizzarsi altrimenti, il completo sacrificio
delle esigenze di buon andamento dell’amministrazione alle quali la previsione
normativa di un lasso di tempo, sia pure molto breve, è funzionale. Il termine
di cinque giorni riconosciuto all’amministrazione per prendere atto della
domanda di aspettativa risponde dunque alla stessa logica di contemperamento degli
opposti interessi, di tutela dell’elettorato passivo del lavoratore dipendente
e di garanzia dei poteri di organizzazione del datore di lavoro, rinvenibile,
sia pure nel quadro di una diversa regolamentazione e ovviamente in assenza
della previsione della necessità di accettazione o di presa d’atto, anche nella
disciplina comune sul preavviso in caso di recesso del lavoratore (art. 2118
del codice civile).
In questo contesto si deve ancora osservare che la
soluzione auspicata dal rimettente si presterebbe, all’evidenza, a una censura
di irragionevolezza, in quanto produrrebbe un trattamento ingiustificatamente
differenziato dell’ipotesi dell’aspettativa rispetto all’ipotesi delle
dimissioni, e più precisamente meno favorevole per questa seconda, che resterebbe
soggetta al termine previsto dal quinto comma dell’art. 2. E ciò sebbene le
dimissioni comportino, per chi le renda, la più gravosa conseguenza della
definitiva cessazione del rapporto con l’amministrazione ostativo
all’eleggibilità.
6.– In conclusione, la questione deve essere dichiarata non fondata, non
essendo ravvisabili ragioni per discostarsi, per il caso dell’aspettativa, da
quanto già deciso con la sentenza n. 309 del 1991 per il caso delle dimissioni.
per questi motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2,
quinto comma, della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di
ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale,
provinciale, comunale e circoscrizionale, e in materia di incompatibilità degli
addetti al Servizio sanitario nazionale), sollevata, in riferimento all’art. 51
della Costituzione, dalla Corte d’appello di Catanzaro, con l’ordinanza
indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 22 febbraio 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2017.
Il Direttore della Cancelleria