martedì 24 aprile 2018


Trib. Venezia 2017

In tema di negoziazione assistita, la certificazione di autenticità delle sottoscrizioni, effettuata dagli avvocati dei coniugi, è strumentale non già alla trascrizione dell'accordo di negoziazione assistita nei registri immobiliari, ma alla trascrizione del medesimo nell'archivio dello stato civile.

Il contenuto tipico dell'accordo di negoziazione assistita, preordinato alla separazione consensuale o al divorzio, è quello dei provvedimenti tipici in tali materie; id est:  la sussistenza dei presupposti per l'applicazione di tali istituti, l'addebitabilità della separazione, l'assegno di mantenimento o divorzile, il regime di affidamento e di visita dei figli, l'assegnazione della casa coniugale e l'assegno di mantenimento dei figli. Qualora i coniugi intendano aggiungere delle pattuizioni che esulano da tale contenuto tipico – come ad es. trasferimenti immobiliari o la regolamentazione dei rapporti derivanti dallo scioglimento della comunione legale –, è necessario rispettare le forme prescritte per tali negozi dalla normativa civilistica, sia ad substantiam, sia ai fini della trascrizione, con la conseguenza che si dovrà applicare  quanto previsto dall'art. 5 del d.l. 132/2014, che detta una normativa generale rivolta a tutti gli accordi di negoziazione assistita, e quindi anche a quelli preordinati alla separazione o al divorzio dei coniugi.

lunedì 23 aprile 2018


Revoca dell’assenso al rilascio del passaporto

Cons. di Stato, III, 2018


Non è lo status coniugale a limitare la libertà di espatrio, ma l'esigenza di tutela dell'interesse dei figli minori; da ciò deriva che l'autorizzazione del giudice tutelare o, in sua sostituzione, l'assenso dell'altro genitore non hanno il carattere della definitività, ma possono essere revocati e nuovamente accordati, in ragione della mutevolezza dei rapporti tra i genitori con riguardo ai reciproci obblighi nei confronti dei figli minori.

Il  ritiro del passaporto e l'annotazione dell'invalidità per l'espatrio sulla carta d'identità sono provvedimenti a carattere vincolato, in merito alla cui adozione non residua alcuna discrezionalità all'autorità amministrativa, che è invece tenuta ad adottarli sul solo rilievo della mancanza dell'autorizzazione del giudice tutelare o, in sua sostituzione, dell'assenso dell'altro coniuge. Né l’Amministrazione è tenuta ad indagare sulle ragioni per le quali uno dei genitori abbia ritirato il suo consenso all’espatrio: per il ritiro è sufficiente il solo fatto storico costituito dal sopravvenuto mancato assenso da parte dell’altro coniuge, il che comporta l’infondatezza delle doglianze dirette a sostenere l’inconferenza delle ragioni addotte dalla ex consorte per il ritiro del proprio assenso o il difetto di motivazione dell’atto; essendo stato rilasciato sulla base di un presupposto che è venuto meno, il passaporto non può che essere ritirato, venendo altrimenti frustrate le finalità di tutela dei figli minori perseguite dalla legge: ove così non fosse, il titolare del passaporto potrebbe allontanarsi dall’Italia nonostante il mancato assenso del coniuge e la mancata autorizzazione del giudice tutelare [“venuto meno l'assenso dell'altro genitore”, aggiunge il Collegio, “ l’interessato non viene privato in via assoluta del suo diritto all’espatrio, ma è solo tenuto a richiedere l'autorizzazione necessaria mediante ricorso al giudice tutelare, al quale appunto, e non all'autorità amministrativa, sono rimesse dalla legge le valutazioni in ordine alle esigenze di tutela dell'interesse dei figli minori, che operano quale limite alla libertà di espatrio dei genitori”]

domenica 22 aprile 2018


Corte di Giustizia UE 17 aprile 2018, (cause riunite) nn. C-316/16 e 424/16

Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione europea – Diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 28, paragrafo 3, lettera a) – Protezione rafforzata contro l’allontanamento – Presupposti – Diritto di soggiorno permanente – Soggiorno nello Stato membro ospitante nei dieci anni precedenti la decisione di allontanamento dal territorio dello Stato membro interessato – Periodo di detenzione – Conseguenze sulla continuità del soggiorno di dieci anni – Rapporto con la valutazione complessiva di un legame di integrazione – Momento in cui avviene detta valutazione e criteri da prendere in considerazione in tale sede










1)      L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che il beneficio della protezione contro l’allontanamento dal territorio prevista in detta disposizione è subordinato alla condizione che l’interessato disponga di un diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 16 e dell’articolo 28, paragrafo 2, della stessa direttiva.

2)      L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che, nel caso di un cittadino dell’Unione che sconta una pena privativa della libertà e nei cui confronti è stata adottata una decisione di allontanamento, la condizione di aver «soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni», sancita in tale disposizione, può essere soddisfatta purché una valutazione complessiva della situazione dell’interessato, che tenga conto di tutti gli aspetti rilevanti, induca a concludere che, nonostante detta detenzione, i legami di integrazione che uniscono l’interessato allo Stato membro ospitante non siano stati rotti. Tra questi aspetti si annoverano, in particolare, la forza dei legami di integrazione creati con lo Stato membro ospitante prima che l’interessato fosse posto in stato di detenzione, la natura del reato che ha giustificato il periodo di detenzione scontato e le circostanze in cui è stato commesso nonché la condotta dell’interessato durante il periodo di detenzione.

3)      L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che la questione se una persona soddisfi la condizione di aver «soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni», ai sensi della suddetta disposizione, deve essere valutata alla data in cui viene adottata la decisione iniziale di allontanamento.













Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
17 aprile 2018
Nelle cause riunite C‑316/16 e C‑424/16,
aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg, Germania) e dalla Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito), con decisioni, rispettivamente, del 27 aprile e del 27 luglio 2016, pervenute in cancelleria, rispettivamente, il 3 giugno e il 1° agosto 2016, nei procedimenti
B
contro
Land Baden-Württemberg (C‑316/16),
e
Secretary of State for the Home Department
contro
Franco Vomero (C‑424/16),
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, A. Tizzano, vicepresidente, R. Silva de Lapuerta, M. Ilešič, J.L. da Cruz Vilaça, A. Rosas e C.G. Fernlund, presidenti di sezione, E. Juhász, C. Toader, M. Safjan, D. Šváby, A. Prechal (relatore) e E. Jarašiūnas, giudici,
avvocato generale: M. Szpunar
cancelliere: L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 luglio 2017,
considerate le osservazioni presentate:
–        per B, da R. Kugler, Rechtsanwalt;
–        per F. Vomero, da R. Husain, QC, P. Tridimas e N. Armstrong, barristers, nonché da J. Luqmani, solicitor;
–        per il governo tedesco, da T. Henze e J. Möller, in qualità di agenti;
–        per il governo del Regno Unito, da C. Crane, C. Brodie e S. Brandon, in qualità di agenti, assistiti da R. Palmer, barrister;
–        per il governo danese, da M. Wolff, C. Thorning e M.N. Lyshøj in qualità di agenti;
–        per l’Irlanda, da L. Williams, K. Skelly, E. Creedon e A. Joyce, in qualità di agenti, assistiti da K. Mooney e E. Farrell, BL;
–        per il governo ellenico, da T. Papadopoulou, in qualità di agente;
–        per il governo dei Paesi Bassi, da M. Bulterman e B. Koopman, in qualità di agenti;
–        per la Commissione europea, da E. Montaguti, M. Heller e M. Wilderspin, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 24 ottobre 2017,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifiche GU 2004, L 229, pag. 35, GU 2007, L 204, pag. 28 e GU 2014, L 305 pag. 116).
2        Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie che contrappongono, da un lato, B, un cittadino greco, al Land Baden-Württemberg (Land BadenWürttemberg, Germania) e, dall’altro, il sig. Franco Vomero, un cittadino italiano, al Secretary of State for the Home Department (Ministro degli Interni, Regno Unito), in merito a decisioni di allontanamento di cui sono stati rispettivamente oggetto B e il sig. Vomero.
 Contesto normativo
 Diritto dell’Unione
3        I considerando 17, 18, 23 e 24 della direttiva 2004/38 recitano:
«(17)            Un diritto di un soggiorno permanente per i cittadini dell’Unione che hanno scelto di trasferirsi a tempo indeterminato nello Stato membro ospitante rafforzerebbe il senso di appartenenza alla cittadinanza dell’Unione e costituisce un essenziale elemento di promozione della coesione sociale, che è uno degli obiettivi fondamentali dell’Unione. Occorre quindi istituire un diritto di soggiorno permanente per tutti i cittadini dell’Unione ed i loro familiari che abbiano soggiornato nello Stato membro ospitante per un periodo ininterrotto di cinque anni conformemente alle condizioni previste dalla presente direttiva e senza diventare oggetto di una misura di allontanamento.
(18)      Per costituire un autentico mezzo di integrazione nella società dello Stato membro ospitante in cui il cittadino dell’Unione soggiorna, il diritto di soggiorno permanente non dovrebbe, una volta ottenuto, essere sottoposto ad alcuna condizione.
(...)
(23)      L’allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per motivi d’ordine pubblico o di pubblica sicurezza costituisce una misura che può nuocere gravemente alle persone che, essendosi avvalse dei diritti e delle libertà loro conferite dal trattato, si siano effettivamente integrate nello Stato membro ospitante. Occorre pertanto limitare la portata di tali misure conformemente al principio di proporzionalità, in considerazione del grado d’integrazione della persona interessata, della durata del soggiorno nello Stato membro ospitante, dell’età, delle condizioni di salute, della situazione familiare ed economica e dei legami col paese di origine.
(24)      Pertanto, quanto più forte è l’integrazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari nello Stato membro ospitante, tanto più elevata dovrebbe essere la protezione contro l’allontanamento. Soltanto in circostanze eccezionali, qualora vi siano motivi imperativi di pubblica sicurezza, dovrebbe essere presa una misura di allontanamento nei confronti di cittadini dell’Unione che hanno soggiornato per molti anni nel territorio dello Stato membro ospitante, in particolare qualora vi siano nati e vi abbiano soggiornato per tutta la vita. Inoltre, dette circostanze eccezionali dovrebbero valere anche per le misure di allontanamento prese nei confronti di minorenni, al fine di tutelare i loro legami con la famiglia, conformemente alla Convenzione sui diritti del fanciullo delle Nazioni Unite, del 20 novembre 1989».
4        Nel capo III della direttiva 2004/38, intitolato «Diritto di soggiorno», gli articoli 6 e 7 della direttiva in parola, rispettivamente intitolati «Diritto di soggiorno sino a tre mesi» e «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», precisano le condizioni alle quali i cittadini dell’Unione e i loro familiari godono di siffatti diritti di soggiorno in uno Stato membro diverso da quello di cui essi hanno la cittadinanza.
5        Contenuto nel capo IV della direttiva 2004/38, intitolato «Diritto di soggiorno permanente», l’articolo 16 della medesima recita:
«1.      Il cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. Tale diritto non è subordinato alle condizioni di cui al capo III.
(...)
3.      La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all’anno né da assenze di durata superiore per l’assolvimento degli obblighi militari né da un’assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti, quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o il distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo.
4.      Una volta acquisito, il diritto di soggiorno permanente si perde soltanto a seguito di assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi».
6        Il capo VI della direttiva 2004/38, intitolato «Limitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica», comprende gli articoli da 27 a 33 di tale direttiva.
7        Sotto il titolo «Principi generali», l’articolo 27 della direttiva 2004/38, ai suoi paragrafi 1 e 2, così dispone:
«1.       Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.
2.      I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.
Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione».
8        In forza dell’articolo 28 della medesima direttiva, intitolato «Protezione contro l’allontanamento»:
«1.      Prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante tiene conto di elementi quali la durata del soggiorno dell’interessato nel suo territorio, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante e importanza dei suoi legami con il paese d’origine.
2.      Lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell’Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
3.      Il cittadino dell’Unione non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo se la decisione è adottata per motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro, qualora:
a)      abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni; o
b)      sia minorenne, salvo qualora l’allontanamento sia necessario nell’interesse del bambino, secondo quanto contemplato dalla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989».
9        L’articolo 33 della direttiva 2004/38, intitolato «Allontanamento a titolo di pena o misura accessoria», prevede quanto segue:
«1.      Lo Stato membro ospitante può validamente adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio a titolo di pena o di misura accessoria ad una pena detentiva soltanto nel rispetto dei requisiti di cui agli articoli 27, 28 e 29.
2.      Se il provvedimento di allontanamento di cui al paragrafo 1 è eseguito a oltre due anni di distanza dalla sua adozione, lo Stato membro verifica che la minaccia che l’interessato costituisce per l’ordine pubblico o per la pubblica sicurezza sia attuale e reale, e valuta l’eventuale mutamento obiettivo delle circostanze intervenuto successivamente all’adozione del provvedimento di allontanamento».
 Diritto tedesco
10      Sotto il titolo «Perdita del diritto di ingresso e di soggiorno», l’articolo 6 del Gesetz über die allgemeine Freizügigkeit von Unionsbürgern (legge sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione), del 30 luglio 2004 (in prosieguo: il «FreizügG/EU»), che mira segnatamente a recepire l’articolo 28 della direttiva 2004/38, così dispone:
«(1)      [S]olo per motivi di ordine pubblico, sicurezza pubblica e sanità pubblica (articoli 45, paragrafo 3, e 52, paragrafo 1, [TFUE]), può essere dichiarata la perdita del diritto di cui all’articolo 2, paragrafo 1, può essere ritirata l’attestazione relativa al diritto di soggiorno permanente e può essere revocata la carta di soggiorno o di soggiorno permanente. L’ingresso nel territorio può essere parimenti negato per i motivi menzionati nella prima frase. (...)
(2)      Una condanna penale, di per sé, non è sufficiente per giustificare le decisioni o le misure menzionate al paragrafo 1. Possono essere prese in considerazione solo le condanne penali non ancora cancellate dal casellario centrale, e soltanto nei limiti in cui le circostanze ad esse relative denotino un comportamento personale che rappresenta una minaccia reale per l’ordine pubblico. Deve trattarsi di una minaccia effettiva e sufficientemente grave, riguardante un interesse fondamentale della società.
(3)      Ai fini di una decisione in applicazione del paragrafo 1 occorre, in particolare, tenere conto della durata del soggiorno dell’interessato in Germania, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare ed economica, della sua integrazione sociale e culturale in Germania, nonché dell’intensità dei suoi legami con il paese d’origine.
(4)      Una volta acquisito il diritto di soggiorno permanente, una dichiarazione in applicazione del paragrafo 1 può essere effettuata soltanto per motivi gravi.
(5)      Per quanto concerne i cittadini dell’Unione e i loro familiari che hanno soggiornato nel territorio federale negli ultimi dieci anni e per quanto riguarda i minori, la dichiarazione di cui al paragrafo 1 può essere effettuata solo per motivi imperativi di pubblica sicurezza. Tale regola non si applica ai minori qualora la perdita del diritto di soggiorno sia necessaria nell’interesse del bambino. Motivi imperativi di pubblica sicurezza possono sussistere solo qualora l’interessato sia stato condannato per uno o più reati dolosi, con sentenza passata in giudicato, ad una pena privativa della libertà o ad una pena rieducativa per minori di almeno cinque anni o qualora siano state disposte misure di custodia cautelare in occasione dell’ultima condanna definitiva, nel caso in cui venga messa in causa la sicurezza della Repubblica federale di Germania o l’interessato costituisca una minaccia terroristica.
(...)».
 Diritto del Regno Unito
11      La regola 21 delle Immigration (European Economic Area) Regulations 2006 [regolamento del 2006 sull’immigrazione (Spazio economico europeo)] (SI 2006/1003) mira a dare attuazione agli articoli 27 e 28 della direttiva 2004/38.
 Procedimenti principali e questioni pregiudiziali
 Causa C‑316/16
12      B è un cittadino greco nato in Grecia nell’ottobre 1989. Dopo la separazione dei genitori, nel 1993 si è trasferito con la madre in Germania, dove i nonni materni risiedevano già dal 1989 come lavoratori dipendenti. Sua madre, da allora, ha lavorato in tale Stato membro, di cui ora possiede la cittadinanza mantenendo al contempo quella greca.
13      A parte un periodo di due mesi in cui è stato portato in Grecia da suo padre e qualche breve periodo di vacanza, dal 1993 B ha soggiornato ininterrottamente in Germania. Ha frequentato le scuole in tale Stato membro, ha ivi conseguito il diploma di licenza media (Hauptschulabschluss) e padroneggia la lingua tedesca. Il suo livello di conoscenza della lingua greca gli consente invece di farsi capire in tale lingua solo oralmente e in modo rudimentale.
14      Fino ad oggi, B non è riuscito a portare a termine una formazione professionale segnatamente a causa di disturbi psichici che l’hanno peraltro costretto a sottoporsi a trattamenti terapeutici e psichiatrici. B ha lavorato nei mesi di novembre e dicembre 2012 e, in seguito, è rimasto disoccupato.
15      In Germania B gode di un diritto di soggiorno permanente a norma dell’articolo 16 della direttiva 2004/38.
16      Il 7 novembre 2012, l’Amtsgericht Pforzheim (Tribunale distrettuale di Pforzheim, Germania) ha emesso un’ordinanza nell’ambito di un procedimento penale semplificato (Strafbefehl) e ha inflitto a B una pena pecuniaria corrispondente a 90 giorni di detenzione per sottrazione fraudolenta di un telefono cellulare, estorsione, tentato ricatto e detenzione illegale dolosa di un’arma vietata.
17      Il 10 aprile 2013, B ha assalito una sala giochi, armato di una pistola con proiettili di gomma, segnatamente al fine di procurarsi il denaro necessario per il pagamento di detta ammenda e ha estorto la somma di EUR 4 200. In seguito a tale reato, il 9 dicembre 2013, il Landgericht Karlsruhe (Tribunale regionale di Karlsruhe, Germania), ha condannato B a una pena privativa della libertà di cinque anni e otto mesi. Dal 12 aprile 2013, B è stato detenuto ininterrottamente, prima in stato di custodia cautelare, poi in stato di reclusione.
18      Dopo aver sentito B, il Regierungspräsidium Karlsruhe (prefettura di Karlsruhe, Germania) con decisione del 25 novembre 2014 adottata in base all’articolo 6, paragrafo 5, del FreizügG/EU in combinato disposto con l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, ha dichiarato la perdita del diritto di ingresso e di soggiorno di quest’ultimo in Germania. Nei confronti di B è stato quindi emesso un ordine di lasciare il territorio di tale Stato membro entro un termine di un mese a decorrere dall’entrata in vigore di siffatta dichiarazione, ove, in caso di mancata ottemperanza, sarebbe stato espulso in Grecia. La durata del divieto di ingresso e di soggiorno in Germania è stata fissata a 7 anni a decorrere dalla data in cui B avrà effettivamente lasciato il territorio tedesco.
19      B ha proposto ricorso avverso siffatta decisione dinanzi al Verwaltungsgericht Karlsruhe (Tribunale amministrativo di Karlsruhe, Germania), il quale ha annullato quest’ultima con sentenza del 10 settembre 2015. Il Land Baden-Württemberg ha interposto appello avverso detta sentenza dinanzi al Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg).
20      In via preliminare, detto giudice esclude che le circostanze del procedimento principale abbiano potuto far sorgere motivi imperativi di pubblica sicurezza, a norma dell’articolo 6, paragrafo 5, del FreizügG/EU e dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38. Esso indica, di conseguenza, che, qualora B possa beneficiare della protezione rafforzata contro l’allontanamento derivante dalle suddette disposizioni, lo stesso giudice sarebbe tenuto a confermare l’annullamento della decisione controversa.
21      A tal proposito, il giudice a quo ritiene, in primo luogo, che, tenuto conto delle circostanze menzionate ai punti 12 e 13 della presente sentenza e del radicamento profondo di B in Germania, che ne emerge, il legame di integrazione che lo unisce a tale Stato membro ospitante non può essere stato rotto dalla pena detentiva inflittagli, sicché l’interessato non può essere privato della protezione rafforzata contro l’allontanamento prevista dall’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.
22      In secondo luogo, detto giudice è del parere che la pena privativa della libertà inflitta per la commissione del reato che costituisce il motivo di allontanamento dal territorio dello Stato membro ospitante, ad ogni modo, non dovrebbe poter essere presa in considerazione al fine di determinare se si sia verificata una rottura del legame di integrazione che provoca un’interruzione della continuità del soggiorno nel territorio di cui trattasi, ai sensi del citato articolo 28, paragrafo 3, lettera a). In caso contrario, infatti, ne deriverebbe che non potrebbe mai beneficiare della protezione rafforzata prevista da detta disposizione la persona condannata a una pena superiore a cinque anni di reclusione la quale, in forza delle norme di diritto tedesco applicabili, in linea di principio, sarà ancora in stato di detenzione al momento in cui interviene la decisione amministrativa che dichiara la perdita del diritto di ingresso e di soggiorno.
23      Inoltre, negli Stati membri in cui l’allontanamento viene disposto quale pena accessoria a una pena detentiva e, pertanto, prima dell’incarcerazione, non sarebbe invece mai possibile tener conto di detta pena detentiva al fine di valutare un’eventuale rottura del legame di integrazione e quindi un’interruzione della continuità del soggiorno. Ne conseguirebbe una disparità di trattamento tra i cittadini dell’Unione per quanto riguarda la protezione rafforzata derivante dall’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.
24      In terzo luogo, il giudice del rinvio considera che, per quanto riguarda la valutazione complessiva destinata a verificare se i legami di integrazione con lo Stato membro ospitante sono stati rotti, con conseguente perdita della suddetta protezione rafforzata, occorrerebbe, in una controversia come quella in esame nel procedimento principale, prendere in considerazione elementi inerenti alla detenzione stessa. Infatti, non sarebbe il reato in quanto tale, bensì la detenzione, a costituire il motivo dell’interruzione della continuità del soggiorno. A tal riguardo, ad avviso del giudice del rinvio, occorre tener conto della durata della detenzione ma anche di altri criteri, quali le modalità di esecuzione della pena, il comportamento generale dell’interessato durante la detenzione e, in particolare, la sua riflessione sul reato commesso, l’accettazione e l’applicazione di indicazioni terapeutiche convalidate dall’istituto penitenziario, la partecipazione dell’interessato a programmi di formazione scolastica o professionale continuativa, la sua partecipazione al piano di esecuzione della pena e il conseguimento degli obiettivi di quest’ultimo, nonché il mantenimento di legami personali e familiari nello Stato membro ospitante.
25      In quarto luogo, dopo aver ricordato che, al punto 35 della sentenza del 16 gennaio 2014, G. (C‑400/12, EU:C:2014:9), la Corte ha statuito che, al fine di determinare in quale misura la discontinuità del soggiorno a causa dell’incarcerazione impedisca all’interessato di beneficiare della protezione prevista dall’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, la valutazione complessiva della situazione dell’interessato doveva avvenire nel preciso momento in cui si pone la questione del suo allontanamento, il giudice del rinvio intende chiarire se esistono disposizioni vincolanti del diritto dell’Unione che consentono di determinare siffatto momento.
26      Secondo detto giudice, una determinazione del genere dovrebbe essere oggetto di una soluzione armonizzata nell’Unione al fine di evitare che il livello di protezione derivante dall’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 possa variare da uno Stato membro all’altro a seconda, in particolare, che la decisione di allontanamento sia adottata quale pena accessoria all’irrogazione della pena detentiva o, al contrario, con decisione amministrativa adottata nel corso o al termine della detenzione. A tal riguardo, il giudice del rinvio ritiene che occorrerebbe valutare la questione se i legami di integrazione siano stati rotti o meno con lo Stato membro ospitante alla data in cui il giudice del merito si pronuncia sulla legittimità della decisione di allontanamento.
27      Ciò premesso, il Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni:
«1)      Se sia escluso a priori che la comminazione e la successiva esecuzione di una pena detentiva possano condurre a ritenere interrotti i legami di integrazione di un cittadino dell’Unione entrato nello Stato membro ospitante all’età di tre anni con la conseguenza che non sussiste un soggiorno continuativo di dieci anni ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 e non debba pertanto essere garantita la protezione contro l’allontanamento ai sensi della suddetta disposizione, nel caso in cui il cittadino dell’Unione, dopo il suo ingresso in detto Stato membro ospitante all’età di tre anni, abbia ivi trascorso tutta la sua vita, non abbia più alcun legame con lo Stato membro di cui possiede la cittadinanza e il reato che ha portato alla comminazione e all’esecuzione della pena detentiva sia stato commesso solo dopo un soggiorno di vent’anni.
2)      In caso di risposta negativa alla prima questione: se nello stabilire se l’esecuzione di una pena detentiva conduca all’interruzione dei legami di integrazione occorra non tener conto della pena detentiva comminata per il reato su cui si basa l’allontanamento.
3)      In caso di risposta negativa alla prima e alla seconda questione: in base a quali criteri occorre stabilire se il cittadino dell’Unione interessato, in un caso del genere, benefici comunque della protezione contro l’allontanamento ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.
4)      In caso di risposta negativa alla prima e alla seconda questione: se vi siano prescrizioni vincolanti di diritto dell’Unione in merito alla determinazione del “preciso momento in cui si pone il problema dell’allontanamento” e rispetto al quale deve essere compiuta una valutazione complessiva della situazione del cittadino dell’Unione interessato per verificare in che misura la discontinuità del soggiorno negli ultimi dieci anni prima del suo allontanamento gli impediscano di beneficiare della protezione rafforzata contro l’allontanamento».
 Causa C‑424/16
28      Il sig. Vomero è un cittadino italiano nato il 18 dicembre 1957. Il 3 marzo 1985, il sig. Vomero si è trasferito nel Regno Unito con la futura moglie, di cittadinanza britannica, incontrata nel 1983. Essi si sono sposati in tale Stato membro il 3 agosto 1985 e vi hanno avuto cinque figli di cui si è occupato il sig. Vomero in aggiunta alla sua attività lavorativa occasionale, poiché la moglie lavorava a tempo pieno.
29      Tra il 1987 e il 1999, il sig. Vomero ha riportato in Italia e nel Regno Unito varie condanne penali che non hanno comportato un’incarcerazione. Nel 1998, è terminato il rapporto coniugale. Il sig. Vomero ha lasciato il domicilio coniugale e si è trasferito in un altro alloggio con il sig. M.
30      Il 1° marzo 2001, il sig. Vomero ha ucciso il sig. M. La giuria ha ridotto l’accusa da omicidio doloso a omicidio colposo a motivo della provocazione della vittima. Il 2 maggio 2002, il sig. Vomero è stato condannato a otto anni di reclusione ed è stato rilasciato all’inizio del luglio 2006.
31      Con decisione del 23 marzo 2007, confermata il 17 maggio 2007, il Ministro degli Interni ha ordinato l’allontanamento del sig. Vomero in forza della regola 21 del regolamento del 2006 sull’immigrazione (Spazio economico europeo).
32      Il sig. Vomero ha contestato tale decisione dinanzi all’Asylum and Immigration Tribunal (Tribunale per l’asilo e l’immigrazione, Regno Unito). Contro la sentenza emessa da tale giudice è stato interposto appello dinanzi alla Court of Appeal (England & Wales) [Corte d’appello (Inghilterra e Galles), Regno Unito] la cui sentenza, pronunciata il 14 settembre 2012, ha dato luogo ad un’impugnazione attualmente pendente dinanzi alla Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito). Tale procedimento è stato sospeso due volte in attesa dell’esito di altre cause, segnatamente quelle all’origine dei rinvii pregiudiziali sfociati nelle sentenze del 16 gennaio 2014, Onuekwere (C‑378/12, EU:C:2014:13), e del 16 gennaio 2014, G. (C‑400/12, EU:C:2014:9).
33      Il sig. Vomero è rimasto in stato di detenzione in vista del suo allontanamento fino al dicembre 2007. Da allora, nel gennaio 2012, nei suoi confronti è stato avviato un procedimento penale per detenzione di un’arma da taglio e percosse, sfociato nella sua condanna a una pena detentiva di 16 settimane. Un altro procedimento, avviato nel luglio 2012, per furto con scasso e furto semplice ha condotto ad un’altra condanna a una pena detentiva supplementare di 12 settimane.
34      A sostegno della summenzionata decisione di allontanamento, il Ministro degli Interni ha segnatamente fatto valere che, essendo stato incarcerato per omicidio tra gli anni 2001 e 2006, il sig. Vomero non ha acquisito il diritto di soggiorno permanente nel Regno Unito e, di conseguenza, non può beneficiare della protezione rafforzata di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.
35      Rinviando alle sentenze del 7 ottobre 2010, Lassal (C‑162/09, EU:C:2010:592), del 21 luglio 2011, Dias (C‑325/09, EU:C:2011:498), e del 16 gennaio 2014, Onuekwere (C‑378/12, EU:C:2014:13), e giacché un diritto di soggiorno permanente giuridicamente non può essere stato acquisito prima del 30 aprile 2006, data di scadenza del termine di recepimento della direttiva 2004/38, ed è peraltro pacifico che, in tale data, il sig. Vomero era detenuto tra oltre cinque anni, che dopo tale data è rimasto in carcere per due mesi supplementari e che era stato rilasciato solo da nove mesi quando è stata adottata la decisione che ordina il suo allontanamento, la Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito) ritiene che, alla data di adozione di predetta decisione, l’interessato non avesse acquisito un diritto di soggiorno permanente in applicazione dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva in esame.
36      Detto giudice evidenzia che, atteso quanto precede, la questione essenziale che gli si presenta è se un diritto di soggiorno permanente, ai sensi dell’articolo 16 e dell’articolo 28, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, sia un presupposto per la concessione della protezione rafforzata prevista dall’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della medesima.
37      Ammettendo che non sia così, il giudice del rinvio rileva peraltro che il periodo di dieci anni di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, precedente la decisione di allontanamento, secondo la giurisprudenza della Corte, dovrebbe essere continuativo soltanto «in linea di principio» (sentenza del 16 gennaio 2014, G., C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 34). Pertanto, esso osserva che tale periodo potrebbe anche essere discontinuativo quando, per esempio, è interrotto da un periodo di assenza dal territorio o di detenzione. Ciò premesso, il modo in cui il periodo di dieci anni menzionato in tale disposizione deve essere calcolato, e segnatamente il fatto di includere o meno nel computo siffatti periodi di assenza dal territorio o di detenzione non emergerebbe ancora con chiarezza.
38      Quanto alla circostanza che il legame di integrazione con lo Stato membro ospitante debba essere oggetto di una valutazione complessiva per stabilire, in detto contesto, se esso esiste o se è stato rotto (sentenza del 16 gennaio 2014, G., C‑400/12, EU:C:2014:9, punti 36 e 37), il giudice del rinvio ritiene che neppure la portata di tale valutazione e i suoi effetti siano stati sufficientemente precisati. Detto giudice si interroga, in particolare, sui fattori suscettibili di dover essere esaminati al fine di determinare se, alla data di adozione della decisione di allontanamento nel 2007, i legami d’integrazione del sig. Vomero con il Regno Unito fossero tali da conferirgli diritto alla protezione rafforzata in base al suo soggiorno in predetto Stato membro nei dieci anni precedenti.
39      In tale contesto, la Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se la protezione rafforzata di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), [della direttiva 2004/38] dipenda dal possesso di un diritto di soggiorno permanente ai sensi [dell’articolo] 16 e [dell’articolo] 28, paragrafo 2[, di tale direttiva].
2)      In caso di risposta negativa [alla prima questione]:
se il periodo di soggiorno per i precedenti dieci anni, cui fa riferimento l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), [della direttiva 2004/38] sia
a)      un semplice periodo di calendario calcolando a ritroso dalla data rilevante (nella fattispecie quella della decisione di allontanamento), che comprende qualsiasi periodo di assenza o di detenzione,
b)      un periodo potenzialmente non continuativo, ottenuto calcolando a ritroso dalla data rilevante e sommando tra loro i periodi in cui la persona di cui trattasi non era assente o in prigione, per arrivare, se possibile ad un totale di dieci anni di soggiorno precedente;
3)      [In caso di risposta negativa alla prima questione], quale sia il rapporto tra il criterio del periodo di soggiorno di dieci anni, cui si riferisce l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), [della direttiva 2004/38] e la valutazione complessiva di un legame di integrazione».
 Sulle questioni pregiudiziali
 Sulla prima questione nella causa C424/16
40      Con la sua prima questione, la Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito) chiede, in sostanza, se l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che il beneficio della protezione contro l’allontanamento dal territorio previsto in detta disposizione è subordinato alla condizione che l’interessato goda di un diritto di soggiorno permanente, a norma dell’articolo 16 e dell’articolo 28, paragrafo 2, della direttiva in esame.
41      In via preliminare, va osservato che tale questione poggia sull’assunto secondo cui il sig. Vomero non sarebbe titolare di un siffatto diritto di soggiorno permanente nel Regno Unito.
42      Non disponendo la Corte di tutti gli elementi richiesti per valutare la fondatezza di tale assunto, occorre rispondere alla questione posta in base al medesimo.
43      A tal riguardo, va ricordato che, al considerando 23 della direttiva 2004/38 viene sottolineato che l’allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per motivi d’ordine pubblico o di pubblica sicurezza può nuocere gravemente alle persone che, essendosi avvalse dei diritti e delle libertà conferiti dal Trattato, si siano effettivamente integrate nello Stato membro ospitante.
44      È questa la ragione per cui, come risulta dal considerando 24 della direttiva 2004/38, essa istituisce un regime di protezione contro i provvedimenti di allontanamento, fondato sul grado d’integrazione degli interessati nello Stato membro ospitante, di modo che quanto più forte è l’integrazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari in tale Stato membro, tanto maggiori sono le garanzie di cui essi godono contro l’allontanamento (v., in tal senso, sentenze del 23 novembre 2010, Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 25 e dell’8 dicembre 2011, Ziebell, C‑371/08, EU:C:2011:809, punto 70).
45      In tale prospettiva, l’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 stabilisce anzitutto, in termini generali, che, prima di adottare una decisione di allontanamento dal territorio «per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza», lo Stato membro ospitante tiene conto, segnatamente, della durata del soggiorno dell’interessato nel suo territorio, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare ed economica, della sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante e dell’intensità dei suoi legami con il proprio paese d’origine (sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 26).
46      Secondo il paragrafo 2 di tale articolo, poi, un cittadino dell’Unione o i suoi familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, che abbiano acquisito un diritto di soggiorno permanente nel territorio dello Stato membro ospitante in applicazione dell’articolo 16 della stessa direttiva, non possono essere oggetto di una decisione di allontanamento dal territorio «se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza».
47      Infine, per quanto attiene ai cittadini dell’Unione che abbiano soggiornato nello Stato membro ospitante nei dieci anni precedenti, l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 rafforza notevolmente la protezione contro i provvedimenti di allontanamento stabilendo che un provvedimento siffatto non può essere adottato, a meno che la decisione non sia fondata su «motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro» (sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 28).
48      Risulta infatti dal tenore letterale e dal sistema generale dell’articolo 28 della direttiva 2004/38 che la protezione contro l’allontanamento ivi prevista è oggetto di un rafforzamento graduale legato al grado di integrazione raggiunto dal cittadino dell’Unione interessato nello Stato membro ospitante.
49      Ciò posto e sebbene una precisazione del genere non venga formulata nelle disposizioni di cui trattasi, un cittadino dell’Unione può beneficiare del livello di protezione rafforzato garantito dall’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 solo qualora soddisfi preventivamente la condizione per la concessione del beneficio della protezione di cui all’articolo 28, paragrafo 2, della suddetta direttiva, ossia quella di disporre di un diritto di soggiorno permanente in forza dell’articolo 16 della direttiva in parola.
50      Un’interpretazione siffatta dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 è inoltre corroborata dal contesto nel quale tale disposizione si inserisce.
51      In primo luogo, va ricordato che la direttiva 2004/38 ha previsto un sistema graduale per quanto riguarda il diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante, che, riprendendo sostanzialmente le fasi e le condizioni previste nei diversi strumenti del diritto dell’Unione e nella giurisprudenza anteriori a tale direttiva, sfocia nel diritto di soggiorno permanente (sentenza del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja, C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 38).
52      In primo luogo, infatti, per i soggiorni fino a tre mesi, l’articolo 6 della direttiva 2004/38 limita le condizioni o le formalità del diritto di soggiorno al requisito del possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e l’articolo 14, paragrafo 1, di detta direttiva mantiene fermo tale diritto finché il cittadino dell’Unione e i suoi familiari non divengano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante (sentenza del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja, C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 39).
53      In secondo luogo, per un soggiorno di durata superiore a tre mesi, il beneficio del diritto di soggiorno è subordinato alle condizioni di cui all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 e, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, di essa, tale diritto viene mantenuto soltanto nei limiti in cui il cittadino dell’Unione e i suoi familiari soddisfino tali condizioni. Dal considerando 10 della direttiva in esame risulta, in particolare, che dette condizioni sono dirette, segnatamente, ad evitare che le persone di cui trattasi divengano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante (sentenza del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja, C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 40).
54      In terzo luogo, dall’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 risulta che i cittadini dell’Unione acquisiscono il diritto di soggiorno permanente dopo aver soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nel territorio dello Stato membro ospitante e che tale diritto non è soggetto alle condizioni menzionate al punto precedente. Come rilevato al considerando 18 della direttiva in parola, il diritto di soggiorno permanente, una volta ottenuto, non deve essere sottoposto ad alcun’altra condizione, e ciò affinché esso possa costituire un autentico mezzo di integrazione nella società di detto Stato (sentenza del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja, C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 41).
55      Da quanto precede deriva quindi che, a differenza del cittadino dell’Unione che abbia acquisito un diritto di soggiorno permanente, il quale può essere allontanato dal territorio dello Stato membro ospitante solo per i motivi specificati all’articolo 28, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, il cittadino che non abbia acquisito siffatto diritto può essere eventualmente allontanato dal territorio di cui trattasi, come risulta dal capo III della direttiva in parola, quando diviene un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale del suddetto Stato membro.
56      Orbene, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 57 e 58 delle sue conclusioni, un cittadino dell’Unione che, non disponendo di un diritto di soggiorno permanente, può essere oggetto di provvedimenti di allontanamento se diviene un siffatto onere eccessivo, allo stesso tempo, non può beneficiare della protezione notevolmente rafforzata prevista dall’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva in esame, in forza del quale il suo allontanamento può essere autorizzato solo per «motivi imperativi» di pubblica sicurezza, i quali rinviano a «circostanze eccezionali», come indicato al considerando 24 della direttiva in parola (v., in tal senso, sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 40).
57      In secondo luogo, si deve altresì ricordare che, come sottolineato dal considerando 17 della direttiva 2004/38, il diritto di soggiorno permanente costituisce un elemento essenziale di promozione della coesione sociale ed è stato previsto da tale direttiva per rafforzare il senso di appartenenza alla cittadinanza dell’Unione, sicché il legislatore dell’Unione ha subordinato l’ottenimento del diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 all’integrazione del cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante (sentenza del 16 gennaio 2014, Onuekwere, C‑378/12, EU:C:2014:13, punto 24 e la giurisprudenza ivi citata).
58      Come già statuito dalla Corte, l’integrazione, sottesa all’acquisizione del diritto di soggiorno permanente previsto dall’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, è fondata non solo su elementi spaziali e temporali, ma anche su elementi qualitativi, relativi al grado di integrazione nello Stato membro ospitante (v. sentenza del 16 gennaio 2014, Onuekwere, C‑378/12, EU:C:2014:13, punto 25 e la giurisprudenza ivi citata).
59      Per quanto attiene alla nozione di «soggiorno legale» sottesa ai termini «che abbia soggiornato legalmente», di cui all’articolo 16, paragrafo 1, essa deve pertanto intendersi come corrispondente ad un soggiorno conforme alle condizioni previste da detta direttiva e, segnatamente, quelle previste all’articolo 7, paragrafo 1, della stessa (sentenza del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja, C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 46).
60      Orbene, un cittadino dell’Unione che non abbia acquisito il diritto di soggiornare in via permanente nello Stato membro ospitante in quanto non ha soddisfatto dette condizioni e che, per tale motivo, non può avvalersi del livello di protezione contro l’allontanamento garantito dall’articolo 28, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, a fortiori non può beneficiare del livello di protezione notevolmente rafforzato contro l’allontanamento previsto dall’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva in parola.
61      Tenuto conto di quanto precede, occorre rispondere alla prima questione nella causa C‑424/16 dichiarando che l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che il beneficio della protezione contro l’allontanamento dal territorio prevista in tale disposizione è subordinato alla condizione che l’interessato disponga di un diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 16 e dell’articolo 28, paragrafo 2, della stessa direttiva.
 Sulle questioni seconda e terza nella causa C424/16
62      Poiché le questioni seconda e terza sono state poste dalla Supreme Court of the United Kingdom (Corte Suprema del Regno Unito) solo nell’eventualità di una risposta negativa alla sua prima questione, non occorre esaminarle.
 Sulle questioni prima, seconda e terza nella causa C316/16
63      Con le sue questioni prima, seconda e terza, che occorre esaminare congiuntamente, il Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg) mira sostanzialmente a chiarire se il requisito di aver «soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni» sancito dall’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che esso può essere soddisfatto, e eventualmente a quali condizioni, da un cittadino dell’Unione che, in tenera età, si sia trasferito in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza e abbia ivi vissuto per vent’anni prima di esservi condannato a una pena privativa della libertà, la quale è in corso di esecuzione al momento in cui viene adottata nei suoi confronti una decisione di allontanamento.
64      A tal riguardo, in primo luogo, va ricordato che, sebbene certamente i considerando 23 e 24 della direttiva 2004/38 sanciscano una protezione particolare per le persone realmente integrate nello Stato membro ospitante, segnatamente quando vi sono nate e vi hanno soggiornato tutta la vita, rimane nondimeno il fatto che il criterio determinante ai fini della concessione della protezione rafforzata garantita dall’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, risiede nella questione se il cittadino dell’Unione che nello Stato membro ospitante dispone di un diritto di soggiorno permanente, ai sensi dell’articolo 16 e dell’articolo 28, paragrafo 2, della direttiva in parola, abbia, come richiesto dal suddetto articolo 28, paragrafo 3, soggiornato in tale Stato membro nei dieci anni precedenti la decisione di allontanamento (v., in tal senso, sentenze del 23 novembre 2010, Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 31, e del 16 gennaio 2014, G., C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 23).
65      Ne consegue, in particolare, che il periodo di soggiorno di dieci anni richiesto per la concessione della protezione rafforzata prevista dall’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 deve essere calcolato a ritroso, a partire dalla data della decisione di allontanamento di tale persona (sentenza del 16 gennaio 2014, G., C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 24).
66      In secondo luogo, dalla giurisprudenza della Corte si evince che un siffatto periodo di soggiorno di dieci anni, in linea di principio, deve essere continuativo (v., in tal senso, sentenza del 16 gennaio 2014, G., C‑400/12, EU:C:2014:9, punto 27).
67      A tal riguardo, occorre tuttavia anche ricordare che, pur subordinando in tal modo il beneficio della protezione rafforzata contro l’allontanamento, da esso previsto, alla presenza dell’interessato nel territorio dello Stato membro di cui trattasi per un periodo di dieci anni precedente il provvedimento di allontanamento, l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 tace in ordine alle circostanze che possono comportare l’interruzione del suddetto periodo di soggiorno di dieci anni ai fini dell’acquisizione del diritto a tale protezione rafforzata (sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 29).
68      La Corte ha pertanto statuito che, per quanto riguarda la questione della misura in cui le assenze dal territorio dello Stato membro ospitante nel periodo di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 impediscano all’interessato di beneficiare di tale protezione rafforzata, occorre effettuare una valutazione complessiva della situazione dell’interessato ogni volta nel momento preciso in cui si pone la questione dell’allontanamento (sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 32).
69      Per procedere in tal modo, le autorità nazionali preposte all’applicazione dell’articolo 28, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 sono tenute a prendere in considerazione tutti gli aspetti rilevanti in ciascun caso di specie, in particolare la durata di ciascuna delle assenze dell’interessato dallo Stato membro ospitante, la durata cumulata e la frequenza di tali assenze, nonché le ragioni che hanno indotto l’interessato a lasciare detto Stato membro. Occorre infatti verificare se le assenze in questione comportino lo spostamento verso un altro Stato del centro degli interessi personali, familiari o professionali dell’interessato (v., in tal senso, sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 33).
70      Per quanto riguarda la questione se periodi di detenzione possano, in quanto tali e indipendentemente da periodi di assenza dal territorio dello Stato membro ospitante, anche condurre eventualmente ad una rottura del legame con tale Stato e ad una discontinuità del soggiorno in quest’ultimo, la Corte ha statuito che sebbene, certamente, siffatti periodi, in linea di principio, interrompano la continuità del soggiorno, a norma dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, al fine di determinare se essi abbiano pertanto comportato una rottura dei legami di integrazione precedentemente creati con lo Stato membro ospitante tale da privare l’interessato del beneficio della protezione rafforzata garantita dalla disposizione citata, occorre tuttavia effettuare una valutazione complessiva della situazione di tale persona nel momento preciso in cui si pone la questione dell’allontanamento. Nell’ambito di tale valutazione complessiva, i periodi di detenzione devono essere presi in considerazione, unitamente a tutti gli altri elementi che rappresentano la totalità degli aspetti rilevanti in ogni caso di specie, tra cui si annovera eventualmente la circostanza che l’interessato abbia soggiornato nello Stato membro ospitante nei dieci anni precedenti la sua incarcerazione (v., in tal senso, sentenza del 16 gennaio 2014, G., C‑400/12, EU:C:2014:9, punti da 33 a 38).
71      Infatti, specie in presenza di un cittadino dell’Unione che, in passato e prima ancora di aver commesso un atto delittuoso che ha giustificato la sua incarcerazione, si sia già trovato in condizione di soddisfare il requisito di un soggiorno continuativo di dieci anni nello Stato membro ospitante, il fatto che l’interessato sia stato posto in stato di detenzione dalle autorità dello Stato in questione, non può essere considerato atto a rompere automaticamente i legami di integrazione che detta persona ha precedentemente creato con detto Stato e la continuità del suo soggiorno nel territorio di quest’ultimo, ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, e, pertanto, a privarlo della protezione rafforzata contro l’allontanamento garantita dalla disposizione in esame. Un’interpretazione del genere avrebbe d’altronde come conseguenza di privare detta disposizione del nucleo essenziale del suo effetto utile in quanto un provvedimento di allontanamento, il più delle volte, viene proprio adottato a causa del comportamento dell’interessato che ha portato alla sua condanna e a una privazione della libertà.
72      Nell’ambito della valutazione complessiva, ricordata al punto 70 della presente sentenza, che, nel caso di specie, spetterà al giudice del rinvio effettuare, esso dovrà, in relazione ai legami di integrazione creati da B con lo Stato membro ospitante nel periodo di soggiorno anteriore alla sua incarcerazione, tenere conto del fatto che tanto più solidi saranno siffatti legami di integrazione con il suddetto Stato, segnatamente sul piano sociale, culturale e familiare, al punto, per esempio, da condurre ad un vero radicamento nella società di tale Stato, come quello riscontrato dal giudice del rinvio nel procedimento principale, quanto più ridotta sarà la probabilità che un periodo di detenzione abbia potuto condurre ad una rottura dei medesimi e pertanto alla discontinuità del periodo di soggiorno di dieci anni di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.
73      Quanto agli altri elementi rilevanti ai fini di una valutazione complessiva di tal genere, essi possono includere, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 123 a 125 delle sue conclusioni, da un lato, la natura del reato che ha giustificato il periodo di detenzione in esame e le condizioni in cui tale reato è stato commesso e, dall’altro, tutti gli elementi rilevanti attinenti alla condotta dell’interessato durante il periodo di incarcerazione.
74      Infatti, quando la natura del reato e le circostanze in cui esso è stato commesso consentono di determinare in che misura l’interessato si sia eventualmente allontanato dalla società dello Stato membro ospitante, l’atteggiamento dell’interessato durante la sua detenzione, dal canto suo, può contribuire a rafforzare un siffatto allontanamento o, al contrario, a mantenere o a ripristinare legami di integrazione precedentemente creati da quest’ultimo con detto Stato membro al fine del suo prossimo reinserimento sociale in quest’ultimo.
75      A quest’ultimo proposito, occorre d’altronde tener conto del fatto che, come già rilevato dalla Corte, il reinserimento sociale del cittadino dell’Unione nello Stato membro in cui è realmente integrato è nell’interesse non soltanto di quest’ultimo ma anche dell’Unione europea in generale (sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis, C‑145/09, EU:C:2010:708, punto 50).
76      Per quanto riguarda i quesiti del giudice del rinvio attinenti alla circostanza che la presa in considerazione del periodo di detenzione, al fine di determinare se esso abbia interrotto la continuità del soggiorno di dieci anni nello Stato membro ospitante precedente il provvedimento di allontanamento, potrebbe condurre a risultati arbitrari o diseguali a seconda del momento in cui viene adottato tale provvedimento, occorre precisare quanto segue.
77      Certamente, in determinati Stati membri, un provvedimento di allontanamento può essere emanato – la possibilità è espressamente prevista dall’articolo 33, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 –, a titolo di pena o di provvedimento accessorio a una pena detentiva. In una simile ipotesi, la futura pena alla reclusione, per definizione, non potrà essere presa in considerazione al fine di valutare l’esistenza o meno di un soggiorno continuativo del cittadino nello Stato membro ospitante nei dieci anni precedenti l’adozione di detto provvedimento di allontanamento.
78      Di conseguenza, può derivarne, per esempio, che benefici della protezione rafforzata contro l’allontanamento prevista dall’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, il cittadino dell’Unione che sia già in grado di dimostrare dieci anni di soggiorno continuativo nello Stato membro ospitante alla data in cui è stato oggetto di una misura privativa della libertà unitamente ad un provvedimento di allontanamento o alla pena dell’allontanamento.
79      Per contro, per quanto riguarda il cittadino nei cui confronti sia stato adottato un provvedimento di allontanamento, come nell’ambito del procedimento principale, dopo essere stato posto in stato di detenzione, si porrà la questione se detta detenzione abbia prodotto o meno l’effetto di interrompere la continuità del soggiorno di quest’ultimo nello Stato membro ospitante e di fargli perdere il beneficio di tale protezione rafforzata.
80      Tuttavia, a tal riguardo va sottolineato che, in presenza di un cittadino dell’Unione che sia già in grado di dimostrare un periodo di dieci anni di soggiorno nello Stato membro ospitante al momento in cui inizia la sua detenzione, la circostanza che il provvedimento di allontanamento sia adottato nel corso o al termine di detto periodo di detenzione e il fatto che tale periodo s’inserisca quindi nel periodo di dieci anni precedenti l’adozione di tale provvedimento non hanno come conseguenza automatica una discontinuità di tale periodo di dieci anni a causa della quale l’interessato si troverebbe privato della protezione rafforzata di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.
81      Infatti, come emerge dai punti da 66 a 75 della presente sentenza, quando la decisione di allontanamento è adottata nel corso o al termine del periodo di detenzione, rimane il fatto che la situazione del cittadino interessato dovrà, nelle condizioni enunciate ai suddetti punti, essere oggetto di una valutazione complessiva al fine di determinare se egli possa o meno beneficiare di tale protezione rafforzata.
82      Nelle fattispecie citate ai punti da 77 a 81 della presente sentenza, la concessione o meno della protezione rafforzata di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 rimane quindi dipendente dalla durata del soggiorno e dal grado di integrazione del cittadino interessato nello Stato membro ospitante.
83      Atteso quanto precede, occorre rispondere alle questioni prima, seconda e terza nella causa C‑316/16 dichiarando che l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che, nel caso di un cittadino dell’Unione che sconta una pena privativa della libertà e nei cui confronti è stata adottata una decisione di allontanamento, la condizione di aver «soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni», sancita in tale disposizione, può essere soddisfatta purché una valutazione complessiva della situazione dell’interessato, che tenga conto di tutti gli aspetti rilevanti, induca a concludere che, nonostante detta detenzione, i legami di integrazione che uniscono l’interessato allo Stato membro ospitante non siano stati rotti. Tra questi aspetti si annoverano, in particolare, la forza dei legami di integrazione creati con lo Stato membro ospitante prima che l’interessato fosse posto in stato di detenzione, la natura del reato che ha giustificato il periodo di detenzione scontato e le circostanze in cui è stato commesso nonché la condotta dell’interessato durante il periodo di detenzione.
 Sulla quarta questione nella causa C316/16
84      Con la sua quarta questione, il Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg) intende chiarire, in sostanza, in quale momento debba essere valutato il rispetto della condizione consistente nell’aver «soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni» a norma dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.
85      Ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, un cittadino dell’Unione che abbia soggiornato nello Stato membro ospitante «i precedenti dieci anni», «può essere oggetto di una decisione di allontanamento» solo per motivi imperativi di pubblica sicurezza.
86      Da tale formulazione emerge che, per «i precedenti dieci anni», occorre intendere i dieci anni che precedono detta decisione di allontanamento, sicché è alla data di adozione della medesima che tale condizione inerente a un soggiorno continuativo di dieci anni deve essere verificata.
87      Come ricordato al punto 65 della presente sentenza, la Corte ha d’altronde già precisato che il periodo di soggiorno di dieci anni cui è subordinata la concessione della protezione rafforzata prevista dall’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 deve essere calcolato a ritroso, a partire dalla data di adozione della decisione di allontanamento dell’interessato.
88      Da quanto precede discende che deve essere valutata alla data in cui viene inizialmente adottata la decisione di allontanamento la questione se una persona soddisfi o meno la condizione di aver soggiornato nello Stato membro ospitante nei dieci anni che precedono la decisione di allontanamento e, pertanto, sia o meno in grado di beneficiare della protezione rafforzata di cui all’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.
89      Va tuttavia precisato che tale interpretazione lascia impregiudicata la questione, distinta, relativa al momento in cui debba essere valutata l’esistenza effettiva di «motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza», a norma dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, o di «gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza», di cui all’articolo 28, paragrafo 2, di tale direttiva o anche di «motivi imperativi di pubblica sicurezza», ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, della direttiva in parola, idonei a giustificare un allontanamento.
90      A tal proposito, incombe certamente all’autorità che adotta inizialmente la decisione di allontanamento procedere a detta valutazione, al momento stesso di tale adozione, e ciò nel rispetto delle regole sostanziali sancite dalle disposizioni degli articoli 27 e 28 della direttiva 2004/38.
91      Tuttavia, ciò non esclude che, quando l’esecuzione concreta di detta decisione è rinviata per un determinato lasso di tempo, può risultare necessario procedere ad una nuova valutazione aggiornata della persistenza, a seconda dei casi, di «motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza», di «gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza» o «di motivi imperativi di pubblica sicurezza».
92      Infatti, occorre rammentare, segnatamente, che l’articolo 27, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2004/38, in via generale, subordina qualsiasi provvedimento di allontanamento alla circostanza che il comportamento della persona di cui trattasi rappresenti una minaccia reale e attuale per un interesse fondamentale della società o dello Stato membro ospitante (v., in tal senso, sentenze del 22 maggio 2012, I, C‑348/09, EU:C:2012:300, punto 30, e del 13 luglio 2017, E, C‑193/16, EU:C:2017:542, punto 23).
93      Occorre d’altronde rilevare che, quando un provvedimento di allontanamento dal territorio è adottato a titolo di pena o di misura accessoria ad una pena detentiva, ma è eseguito a oltre due anni di distanza dalla sua adozione, l’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 impone espressamente agli Stati membri di verificare che la minaccia che l’interessato costituisce per l’ordine pubblico o per la pubblica sicurezza sia attuale e reale, e di valutare l’eventuale mutamento obiettivo delle circostanze intervenuto successivamente all’adozione della decisione di allontanamento (sentenza del 22 maggio 2012, I, C‑348/09, EU:C:2012:300, punto 31).
94      Peraltro, emerge più generalmente dalla giurisprudenza della Corte che, in sede di verifica della legittimità di un provvedimento di allontanamento ordinato nei confronti di un cittadino di un altro Stato membro, i giudici di uno Stato membro devono prendere in considerazione gli elementi di fatto successivi all’ultima decisione delle autorità competenti atti a comportare il venir meno o una rilevante attenuazione della minaccia attuale che il comportamento del soggetto interessato costituirebbe per l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica. Ciò avviene soprattutto qualora tra la data della decisione di allontanamento, da un lato, e quella della sua valutazione da parte del giudice competente, dall’altro, sia trascorso molto tempo (v., per analogia, sentenze del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri, C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punto 82, nonché dell’8 dicembre 2011, Ziebell, C‑371/08, EU:C:2011:809, punto 84).
95      In considerazione di quanto precede, occorre rispondere alla quarta questione nella causa C‑316/16 dichiarando che l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che la questione se una persona soddisfi la condizione di aver «soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni», ai sensi della suddetta disposizione, deve essere valutata alla data in cui viene adottata la decisione iniziale di allontanamento.
 Sulle spese
96      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1)      L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che il beneficio della protezione contro l’allontanamento dal territorio prevista in detta disposizione è subordinato alla condizione che l’interessato disponga di un diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 16 e dell’articolo 28, paragrafo 2, della stessa direttiva.
2)      L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che, nel caso di un cittadino dell’Unione che sconta una pena privativa della libertà e nei cui confronti è stata adottata una decisione di allontanamento, la condizione di aver «soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni», sancita in tale disposizione, può essere soddisfatta purché una valutazione complessiva della situazione dell’interessato, che tenga conto di tutti gli aspetti rilevanti, induca a concludere che, nonostante detta detenzione, i legami di integrazione che uniscono l’interessato allo Stato membro ospitante non siano stati rotti. Tra questi aspetti si annoverano, in particolare, la forza dei legami di integrazione creati con lo Stato membro ospitante prima che l’interessato fosse posto in stato di detenzione, la natura del reato che ha giustificato il periodo di detenzione scontato e le circostanze in cui è stato commesso nonché la condotta dell’interessato durante il periodo di detenzione.
3)      L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che la questione se una persona soddisfi la condizione di aver «soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni», ai sensi della suddetta disposizione, deve essere valutata alla data in cui viene adottata la decisione iniziale di allontanamento.
Dal sito http://curia.europa.eu

sabato 14 aprile 2018


Corte di Giustizia UE 12 aprile 2018, n. C-550/16

Rinvio pregiudiziale – Diritto al ricongiungimento familiare – Direttiva 2003/86/CE – Articolo 2, parte iniziale e lettera f) – Nozione di “minore non accompagnato” – Articolo 10, paragrafo 3, lettera a) – Diritto di un rifugiato al ricongiungimento familiare con i suoi genitori – Rifugiato di età inferiore ai diciotto anni al momento del suo ingresso nel territorio dello Stato membro e del deposito della sua domanda di asilo, ma maggiorenne al momento in cui è adottata la decisione con la quale gli viene concesso l’asilo e in cui presenta la sua domanda di ricongiungimento familiare – Data determinante per valutare lo status di “minore” dell’interessato








Il combinato disposto degli articoli 2, parte iniziale e lettera f), e 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, va interpretato nel senso che deve essere qualificato come «minore», ai sensi della prima di tali disposizioni, un cittadino di paesi terzi o un apolide che aveva un’età inferiore ai diciotto anni al momento del suo ingresso nel territorio di uno Stato membro e della presentazione della sua domanda di asilo in tale Stato, ma che, nel corso della procedura di asilo, raggiunge la maggiore età e ottiene in seguito il riconoscimento dello status di rifugiato.













SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
12 aprile 2018
Nella causa C‑550/16,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia, Paesi Bassi), con decisione del 26 ottobre 2016, pervenuta in cancelleria il 31 ottobre 2016, nel procedimento
A,
S
contro
Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta da M. Ilešič (relatore), presidente di sezione, A. Rosas, C. Toader, A. Prechal ed E. Jarašiūnas, giudici,
avvocato generale: Y. Bot
cancelliere: M. Ferreira, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 14 settembre 2017,
considerate le osservazioni presentate:
–        per A e S, da N.C. Blomjous e S. Wierink, advocaten;
–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman, M.A.M. de Ree e M.H.S. Gijzen, in qualità di agenti;
–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;
–        per la Commissione europea, da C. Cattabriga e G. Wils, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 26 ottobre 2017,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, A e S, cittadini eritrei, e, dall’altro, lo staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (Segretario di Stato alla Sicurezza e alla Giustizia, Paesi Bassi) (in prosieguo: il «Segretario di Stato»), in merito al rifiuto di quest’ultimo di accordare ad A e S nonché ai loro tre figli minorenni un’autorizzazione di soggiorno temporanea a fini di ricongiungimento familiare con la loro figlia maggiore.
 Contesto normativo
 Diritto dell’Unione
 Direttiva 2003/86
3        La direttiva 2003/86 fissa le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri.
4        I considerando 2, 4, 6 e da 8 e 10 della direttiva 2003/86 sono così formulati:
«(2)      Le misure in materia di ricongiungimento familiare dovrebbero essere adottate in conformità con l’obbligo di protezione della famiglia e di rispetto della vita familiare che è consacrato in numerosi strumenti di diritto internazionale. La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali ed i principi riconosciuti in particolare nell’articolo 8 della [convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950] e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
(...)
(4)      Il ricongiungimento familiare è uno strumento necessario per permettere la vita familiare. Esso contribuisce a creare una stabilità socioculturale che facilita l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri, permettendo d’altra parte di promuovere la coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale della Comunità, enunciato nel trattato.
(...)
(6)      Al fine di assicurare la protezione della famiglia ed il mantenimento o la creazione della vita familiare è opportuno fissare, sulla base di criteri comuni, le condizioni materiali per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare.
(...)
(8)      La situazione dei rifugiati richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare. In considerazione di ciò, occorre prevedere condizioni più favorevoli per l’esercizio del loro diritto al ricongiungimento familiare.
(9)      Il ricongiungimento familiare dovrebbe riguardare in ogni caso i membri della famiglia nucleare, cioè il coniuge e i figli minorenni.
(10)      Dipende dagli Stati membri decidere se autorizzare la riunificazione familiare per parenti in linea diretta ascendente, figli maggiorenni non coniugati, (...)».
5        L’articolo 2 della direttiva 2003/86 così dispone:
«Ai fini della presente direttiva, si intende per:
a)      “cittadino di un paese terzo”: chiunque non sia cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del trattato;
b)      “rifugiato”: il cittadino di un paese terzo o l’apolide cui sia riconosciuto lo status di rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 28 luglio 1951, modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967;
c)      “soggiornante”: il cittadino di un paese terzo legalmente soggiornante in uno Stato membro che chiede o i cui familiari chiedono il ricongiungimento familiare;
d)      “ricongiungimento familiare”: l’ingresso e il soggiorno in uno Stato membro dei familiari di un cittadino di un paese terzo che soggiorna legalmente in tale Stato membro, al fine di conservare l’unità familiare, indipendentemente dal fatto che il legame familiare sia anteriore;
(...)
f)      “minore non accompagnato”: il cittadino di paesi terzi o l’apolide d’età inferiore ai diciotto anni che giunga nel territorio dello Stato membro senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile in base alla legge o agli usi, fino a quando non sia effettivamente affidato ad un tale adulto, o il minore che viene abbandonato dopo essere entrato nel territorio degli Stati membri».
6        L’articolo 3 della direttiva 2003/86 prevede quanto segue:
«1.      La presente direttiva si applica quando il soggiornante è titolare di un permesso di soggiorno rilasciato da tale Stato membro per un periodo di validità pari o superiore a un anno, e ha una fondata prospettiva di ottenere il diritto di soggiornare in modo stabile, se i membri della sua famiglia sono cittadini di paesi terzi, indipendentemente dal loro status giuridico.
2.      La presente direttiva non si applica quando il soggiornante:
a)      chiede il riconoscimento dello status di rifugiato e la sua domanda non è ancora stata oggetto di una decisione definitiva;
b)      è autorizzato a soggiornare in uno Stato membro in virtù di una protezione temporanea o ha chiesto l’autorizzazione a soggiornare per questo stesso motivo ed è in attesa di una decisione sul suo status;
c)      è autorizzato a soggiornare in uno Stato membro in virtù di forme sussidiarie di protezione, conformemente agli obblighi internazionali, alle legislazioni nazionali o alle prassi degli Stati membri, o abbia richiesto l’autorizzazione a soggiornare per lo stesso motivo ed è in attesa di una decisione sul suo status.
(...)
5.      La presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di adottare o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli».
7        L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 dispone quanto segue:
«In virtù della presente direttiva e fatto salvo il rispetto delle condizioni stabilite al capo IV, gli Stati membri possono, per via legislativa o regolamentare, autorizzare l’ingresso e il soggiorno dei seguenti familiari:
a)      gli ascendenti diretti di primo grado del soggiornante o del suo coniuge, quando sono a carico di questi ultimi e non dispongono di un adeguato sostegno familiare nel paese d’origine;
(...)».
8        L’articolo 5 della direttiva 2003/86 così recita:
«1.      Gli Stati membri determinano se, per esercitare il diritto al ricongiungimento familiare, la domanda di ingresso e di soggiorno debba essere presentata alle autorità competenti dello Stato membro interessato dal soggiornante o dal familiare o dai familiari.
(...)
4.      Non appena possibile e comunque entro nove mesi dalla data di presentazione della domanda le autorità competenti dello Stato membro comunicano per iscritto alla persona che ha presentato la domanda la loro decisione.
In circostanze eccezionali dovute alla complessità della domanda da esaminare, il termine di cui al comma precedente può essere prorogato.
La decisione di rifiuto della domanda è debitamente motivata. Eventuali conseguenze della mancata decisione allo scadere del termine di cui al primo comma sono disciplinate dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato.
5.      Nell’esame della domanda, gli Stati membri tengono nella dovuta considerazione l’interesse superiore dei minori».
9        L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/86 prevede che gli Stati membri possono chiedere alla persona che presenta la domanda di ricongiungimento familiare di dimostrare che il soggiornante dispone di un alloggio, di un’assicurazione contro le malattie e di risorse che soddisfino i requisiti elencati dalla suddetta disposizione.
10      Il capo V della direttiva 2003/86, intitolato «Ricongiungimento familiare dei rifugiati», contiene gli articoli da 9 a 12. L’articolo 9, paragrafi 1 e 2, della direttiva in parola stabilisce quanto segue:
«1.      Le disposizioni del presente capo si applicano al ricongiungimento familiare dei rifugiati riconosciuti dagli Stati membri.
2.      Gli Stati membri possono limitare l’applicazione delle disposizioni del presente capo ai rifugiati i cui vincoli familiari siano anteriori al loro ingresso».
11      L’articolo 10 della direttiva 2003/86 così recita:
«1.      L’articolo 4 si applica alla definizione di familiari con l’eccezione del terzo comma del paragrafo 1 di tale articolo che non si applica ai figli dei rifugiati.
2.      Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento di altri familiari non previsti all’articolo 4, qualora essi siano a carico del rifugiato.
3.      Se il rifugiato è un minore non accompagnato, gli Stati membri:
a)      autorizzano l’ingresso e il soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare degli ascendenti diretti di primo grado, senza applicare le condizioni previste all’articolo 4, paragrafo 2, lettera a);
b)      possono autorizzare l’ingresso e il soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare del suo tutore legale o di altro familiare, quando il rifugiato non abbia ascendenti diretti o sia impossibile rintracciarli».
12      L’articolo 11 della direttiva 2003/86 è così formulato:
«1.      Per quanto concerne la presentazione e l’esame delle domande si applicano le disposizioni dell’articolo 5, fatto salvo il paragrafo 2 del presente articolo.
2.      Qualora un rifugiato non possa fornire documenti ufficiali che provino i suoi vincoli familiari, gli Stati membri tengono conto anche di altri mezzi idonei a provare l’esistenza di tali vincoli, da valutare conformemente alla legislazione nazionale. Il rigetto della domanda non può essere motivato unicamente dall’assenza di documenti probatori».
13      L’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2003/86 dispone quanto segue:
«In deroga all’articolo 7, gli Stati membri non chiedono al rifugiato, ad un suo familiare o ai suoi familiari di fornire, in merito alle domande relative ai familiari di cui all’articolo 4, paragrafo 1, la prova che il rifugiato soddisfa le condizioni stabilite nell’articolo 7.
Fatti salvi gli obblighi internazionali, se il ricongiungimento familiare è possibile in un paese terzo con il quale il soggiornante/familiare ha legami particolari, gli Stati membri possono chiedere la prova di cui al primo comma.
Gli Stati membri possono chiedere che il rifugiato soddisfi le condizioni di cui all’articolo 7, paragrafo 1, se la domanda di ricongiungimento familiare non è presentata entro tre mesi dalla concessione dello status di rifugiato».
 Direttiva 2011/95/UE
14      Ai sensi dei considerando 18, 19 e 21 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9):
«(18)      Nell’applicare la presente direttiva gli Stati membri dovrebbero attribuire fondamentale importanza all’“interesse superiore del minore”, in linea con la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989. Nel valutare l’interesse superiore del minore gli Stati membri dovrebbero tenere debitamente presenti, in particolare, il principio dell’unità del nucleo familiare, il benessere e lo sviluppo sociale del minore, le considerazioni attinenti alla sua incolumità e sicurezza, nonché il parere del minore in funzione dell’età o della maturità del medesimo.
(19)      È necessario ampliare la nozione di “familiari” tenendo conto delle diverse situazioni particolari di dipendenza e della speciale attenzione da prestare all’interesse superiore del minore.
(...)
(21)      Il riconoscimento dello status di rifugiato è un atto declaratorio».
15      L’articolo 2 della direttiva 2011/95 così recita:
«Ai fini della presente direttiva, si intende per:
(...)
d)      “rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12;
e)      “status di rifugiato”: il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale rifugiato;
(...)».
16      L’articolo 13 della direttiva 2011/95, intitolato «Riconoscimento dello status di rifugiato», dispone che «[g]li Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all’apolide aventi titolo al riconoscimento dello status di rifugiato in conformità dei capi II e III». Tali capi riguardano, rispettivamente, la valutazione delle domande di protezione internazionale e i requisiti per essere considerato rifugiato.
 Direttiva 2013/32/UE
17      Il considerando 33 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), è così formulato:
«L’interesse superiore del minore dovrebbe costituire una considerazione preminente degli Stati membri nell’applicazione della presente direttiva, conformemente alla [Carta dei diritti fondamentali] e [alla] convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989. Nella valutazione dell’interesse superiore del minore, gli Stati membri dovrebbero in particolare tenere debitamente conto del benessere e dello sviluppo sociale del minore, compreso il suo passato».
18      L’articolo 31 della direttiva 2013/32, intitolato «Procedura di esame», al paragrafo 7 prevede quanto segue:
«Gli Stati membri possono esaminare in via prioritaria una domanda di protezione internazionale conformemente ai principi fondamentali e alle garanzie di cui al capo II, in particolare:
a)      qualora la domanda sia verosimilmente fondata;
b)      qualora il richiedente sia vulnerabile ai sensi dell’articolo 22 della direttiva 2013/33/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96)], o necessiti di garanzie procedurali particolari, specialmente se si tratta di un minore non accompagnato».
 Diritto dei Paesi Bassi
19      In forza dell’articolo 29, paragrafo 2, parte iniziale e lettera c), della Vreemdelingenwet 2000 (legge del 2000 sugli stranieri), ai genitori di un cittadino straniero, il quale sia un minore non accompagnato ai sensi dell’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86, può essere concesso un permesso di soggiorno temporaneo a titolo di asilo, ai sensi dell’articolo 28 di detta legge, se, al momento dell’ingresso del cittadino straniero in parola, essi facevano parte della sua famiglia nucleare e se sono arrivati nei Paesi Bassi contemporaneamente a tale cittadino o lo hanno raggiunto entro i tre mesi successivi al rilascio, a favore di quest’ultimo, di un permesso di soggiorno temporaneo ai sensi di tale articolo 28.
 Procedimento principale e questione pregiudiziale
20      La figlia di A e di S è arrivata nei Paesi Bassi, non accompagnata, quando era ancora minorenne. Il 26 febbraio 2014, ha presentato domanda di asilo e il 2 giugno 2014 ha raggiunto la maggiore età.
21      Con decisione del 21 ottobre 2014, il Segretario di Stato ha concesso all’interessata un permesso di soggiorno a titolo di asilo valido per cinque anni, a decorrere dalla data di presentazione della domanda di asilo.
22      Il 23 dicembre 2014, l’organizzazione VluchtelingenWerk Midden-Nederland ha presentato in nome della figlia di A e di S una domanda di permesso di soggiorno temporaneo per i genitori di quest’ultima nonché per i suoi tre fratelli minorenni, ai fini del ricongiungimento familiare.
23      Con decisione del 27 maggio 2015, il Segretario di Stato ha respinto tale domanda con la motivazione che, alla data di presentazione della stessa, la figlia di A e di S era maggiorenne. Il reclamo proposto avverso tale decisione è stato dichiarato infondato con decisione del 13 agosto 2015.
24      Il 3 settembre 2015, A e S hanno proposto ricorso avverso tale rigetto dinanzi al rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia, Paesi Bassi).
25      A sostegno del loro ricorso, A e S adducono che dall’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86 si ricava che, al fine di stabilire se una persona possa essere qualificata come «minore non accompagnato», ai sensi di tale disposizione, a essere decisiva è la data di ingresso dell’interessato nello Stato membro in questione. Il Segretario di Stato ritiene, invece, che a essere determinante sotto tale profilo sia la data di presentazione della domanda di ricongiungimento familiare.
26      Il giudice del rinvio rileva che il Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) ha dichiarato, con due sentenze del 23 novembre 2015, che il fatto che un cittadino straniero abbia raggiunto la maggiore età dopo il suo arrivo nei Paesi Bassi può essere preso in considerazione al fine di stabilire se egli rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86.
27      Il giudice del rinvio ritiene, a tale proposito, che dall’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86 emerga che, di norma, lo status di minore non accompagnato debba essere valutato in riferimento al momento dell’ingresso della persona interessata nel territorio dello Stato membro. È vero che tale disposizione prevederebbe due eccezioni a tale principio, ossia quella del minore inizialmente accompagnato che viene in seguito abbandonato e quella del minore non accompagnato al suo arrivo e che viene in seguito affidato a un adulto che ne sia responsabile. Tuttavia, le circostanze del caso di specie non rientrerebbero in nessuna di queste due eccezioni e nulla nel testo della suddetta disposizione lascerebbe intendere che essa consenta altre eccezioni a detto principio.
28      In tale contesto, il rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se, in caso di ricongiungimento familiare dei rifugiati, per “minore non accompagnato”, ai sensi dell’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva [2003/86], si debba intendere anche un cittadino di un paese terzo o un apolide, d’età inferiore ai diciotto anni, che arrivi nel territorio di uno Stato membro senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile per legge o in base agli usi e che:
–        faccia domanda di asilo,
–        in pendenza della procedura d’asilo nel territorio dello Stato membro raggiunga l’età di diciotto anni,
–        riceva asilo con efficacia retroattiva dalla data della domanda e
–        chieda successivamente il ricongiungimento familiare».
 Sulla questione pregiudiziale
29      Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86 debba essere interpretato nel senso che deve essere qualificato come «minore», ai sensi di tale disposizione, un cittadino di paesi terzi o un apolide che aveva un’età inferiore ai diciotto anni al momento del suo ingresso nel territorio di uno Stato membro e della presentazione della sua domanda di asilo in tale Stato, ma che, nel corso della procedura di asilo, raggiunge la maggiore età e a cui viene, in seguito, concesso l’asilo con effetto retroattivo alla data della sua domanda.
30      A e S ritengono che a tale questione si debba rispondere in senso affermativo, mentre i governi dei Paesi Bassi e polacco nonché la Commissione europea sostengono la tesi opposta. Più precisamente, il governo dei Paesi Bassi adduce che spetta agli Stati membri determinare quale sia il momento rilevante per stabilire se un rifugiato debba essere considerato un minore accompagnato, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2003/86. Il governo polacco e la Commissione, invece, ritengono che tale momento possa essere individuato sulla base di detta direttiva. Secondo la Commissione, tale momento è quello della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare, mentre per il governo polacco è quello in cui viene adottata la decisione su tale domanda.
31      Occorre ricordare che lo scopo della direttiva 2003/86, a termini del suo articolo 1, è quello di fissare le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri.
32      A tale riguardo, dal considerando 8 di tale direttiva risulta che essa prevede per i rifugiati condizioni più favorevoli per l’esercizio di tale diritto al ricongiungimento familiare, giacché la loro situazione richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare.
33      Una di tali condizioni più favorevoli riguarda il ricongiungimento familiare con gli ascendenti diretti di primo grado del rifugiato.
34      Mentre, infatti, in forza dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86, la possibilità di un simile ricongiungimento è, di norma, lasciata alla discrezionalità di ciascuno Stato membro e sottoposta in particolare alla condizione che gli ascendenti diretti di primo grado siano a carico del soggiornante e che non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel paese d’origine, l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva prevede, in deroga a tale principio, per i rifugiati minori non accompagnati, un diritto a un tale ricongiungimento, il quale non è sottoposto né a un margine di discrezionalità da parte degli Stati membri né alle condizioni stabilite al suddetto articolo 4, paragrafo 2, lettera a).
35      La nozione di «minore non accompagnato», che, nell’ambito della direttiva 2003/86, è utilizzata solo a tale articolo 10, paragrafo 3, lettera a), è definita all’articolo 2, parte iniziale e lettera f), di tale direttiva.
36      Secondo quest’ultima disposizione, per «minore non accompagnato», ai fini della direttiva 2003/86, si intende «il cittadino di paesi terzi o l’apolide d’età inferiore ai diciotto anni che giunga nel territorio dello Stato membro senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile in base alla legge o agli usi, fino a quando non sia effettivamente affidato ad un tale adulto, o il minore che viene abbandonato dopo essere entrato nel territorio degli Stati membri».
37      Tale disposizione prevede quindi due condizioni, ossia che l’interessato sia «minore» e che sia «non accompagnato».
38      Sebbene, per quanto riguarda questa seconda condizione, la suddetta disposizione si riferisca al momento dell’ingresso dell’interessato nel territorio dello Stato membro in questione, da questa stessa disposizione si ricava tuttavia che devono essere prese in considerazione anche circostanze successive, e ciò in due ipotesi. In tal senso, un minore non accompagnato al momento del suo ingresso, il quale venga successivamente affidato a un adulto che ne sia responsabile in base alla legge o agli usi, non soddisfa questa seconda condizione, mentre un minore inizialmente accompagnato, il quale venga in seguito abbandonato, è considerato non accompagnato e pertanto la soddisfa.
39      Per quanto concerne la prima di queste due condizioni illustrate al punto 37 della presente sentenza, l’unica in esame nel procedimento principale, l’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86 si limita a indicare che l’interessato deve essere «d’età inferiore ai diciotto anni», senza precisare in quale momento tale condizione debba essere soddisfatta.
40      Tuttavia, da quest’ultima circostanza non discende affatto che spetti a ciascuno Stato membro decidere di quale momento tener conto per valutare se detta condizione sia soddisfatta.
41      Si deve infatti ricordare che, conformemente alla necessità di garantire tanto l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto il principio di uguaglianza, una disposizione di tale diritto, la quale non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del suo senso e della sua portata, deve di norma essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme, da effettuarsi tenendo conto, in particolare, del contesto della disposizione stessa e della finalità perseguita dalla normativa in questione (sentenza del 26 luglio 2017, Ouhrami, C‑225/16, EU:C:2017:590, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).
42      A tale proposito, occorre rilevare, anzitutto, che né l’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86 né l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della medesima contengono un richiamo al diritto nazionale o agli Stati membri, a differenza di altre disposizioni di questa stessa direttiva, quali l’articolo 5, paragrafo 1, e l’articolo 11, paragrafo 2, il che suggerisce che, se il legislatore dell’Unione avesse inteso rimettere alla discrezionalità di ogni Stato membro la determinazione del momento fino al quale l’interessato deve essere minore per poter beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare con i suoi genitori, avrebbe previsto un simile rinvio anche in tale contesto.
43      Inoltre, l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 impone agli Stati membri un obbligo positivo preciso, cui corrisponde un diritto chiaramente definito. Essi sono obbligati, nell’ipotesi prevista da tale disposizione, ad autorizzare il ricongiungimento familiare degli ascendenti diretti di primo grado del soggiornante senza disporre di un margine di discrezionalità.
44      Infine, non solo la direttiva 2003/86 persegue, in generale, l’obiettivo di favorire il ricongiungimento familiare e di concedere una protezione ai cittadini di paesi terzi, in particolare ai minori (v., in tal senso, sentenza del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 69), ma l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della medesima mira nello specifico a garantire una protezione rafforzata a favore dei rifugiati che hanno lo status di minori non accompagnati.
45      Premesso ciò, se è pur vero che la direttiva 2003/86 non indica espressamente fino a quale momento un rifugiato debba essere minore per poter beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare di cui all’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della medesima, dalla finalità di tale disposizione e dal fatto che essa non lasci alcun margine di manovra agli Stati membri, nonché dall’assenza di qualsiasi rinvio al diritto nazionale a tale riguardo, risulta tuttavia che la determinazione di tale momento non può essere rimessa alla discrezionalità di ciascuno Stato membro.
46      Occorre altresì aggiungere che la situazione di cui al procedimento principale non è, su tale punto, paragonabile a quella, invocata dal governo dei Paesi Bassi, che ha dato luogo alla sentenza del 17 luglio 2014, Noorzia (C‑338/13, EU:C:2014:2092), e nella quale era in discussione l’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2003/86, il quale prevede che «[p]er assicurare una migliore integrazione ed evitare i matrimoni forzati gli Stati membri possono imporre un limite minimo di età per il soggiornante e il coniuge, che può essere al massimo pari a ventuno anni, perché il ricongiungimento familiare possa aver luogo».
47      A differenza dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86, infatti, l’articolo 4, paragrafo 5, della medesima ha carattere facoltativo e lascia inoltre espressamente agli Stati membri un margine di manovra per stabilire l’età minima del soggiornante e del suo coniuge che essi intendono, eventualmente, prescrivere allo scopo legittimo di assicurare una migliore integrazione e di evitare matrimoni forzati. Pertanto, le disparità derivanti dal fatto che ogni singolo Stato membro è libero di individuare la data cui le sue autorità devono fare riferimento al fine di stabilire se la condizione relativa all’età sia soddisfatta sono perfettamente conciliabili con la natura e l’obiettivo dell’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2003/86, contrariamente a quanto avviene per l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della medesima.
48      Per quanto riguarda più in particolare la questione di quale sia, in definitiva, il momento con riferimento al quale deve essere valutata l’età di un rifugiato affinché quest’ultimo possa essere considerato minore, potendo così beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare di cui all’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86, detta questione deve essere risolta alla luce del tenore letterale, della sistematica e dell’obiettivo di tale direttiva, tenendo conto del contesto normativo nel quale essa si inserisce nonché dei principi generali del diritto dell’Unione.
49      A tale proposito, dai punti 38 e 39 della presente sentenza si evince che né il tenore letterale dell’articolo 2, parte iniziale e lettera f), della direttiva 2003/86 né quello dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della stessa consentono da soli di fornire una risposta alla suddetta questione.
50      Quanto alla sistematica della direttiva 2003/86, occorre rilevare che essa, in forza del suo articolo 3, paragrafo 2, lettera a), non si applica quando il soggiornante è un cittadino di paesi terzi che chiede il riconoscimento dello status di rifugiato e la sua domanda non è ancora stata oggetto di una decisione definitiva. L’articolo 9, paragrafo 1, di tale direttiva precisa, da parte sua, che il capo V della medesima, di cui fa parte l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), si applica al ricongiungimento familiare dei rifugiati riconosciuti dagli Stati membri.
51      Sebbene la possibilità per un richiedente asilo di presentare una domanda di ricongiungimento familiare sulla base della direttiva 2003/86 sia quindi soggetta alla condizione che la sua domanda di asilo sia già stata oggetto di una decisione definitiva positiva, occorre tuttavia constatare che la ratio di tale condizione risiede chiaramente nel fatto che, prima dell’adozione di una tale decisione, è impossibile sapere con certezza se l’interessato soddisfi le condizioni perché gli sia riconosciuto lo status di rifugiato, dal quale a sua volta dipende il diritto di ottenere un ricongiungimento familiare.
52      A tale proposito, si deve rammentare che lo status di rifugiato dev’essere riconosciuto a una persona che soddisfi i requisiti minimi stabiliti dal diritto dell’Unione. In forza dell’articolo 13 della direttiva 2011/95, gli Stati membri riconoscono tale status al cittadino di un paese terzo o all’apolide aventi titolo al riconoscimento dello status di rifugiato in conformità dei capi II e III di tale direttiva, senza disporre di un potere discrezionale al riguardo (v., in tal senso, sentenza del 24 giugno 2015, H.T., C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 63).
53      Il considerando 21 della direttiva 2011/95 precisa, inoltre, che il riconoscimento dello status di rifugiato è un atto ricognitivo.
54      Pertanto, dopo la presentazione di una domanda di protezione internazionale conformemente al capo II della direttiva 2011/95, qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide che soddisfa i requisiti sostanziali previsti dal capo III di tale direttiva beneficia di un diritto soggettivo a che gli sia riconosciuto lo status di rifugiato, e ciò ancora prima che sia stata adottata una decisione formale al riguardo.
55      Ciò considerato, far dipendere il diritto al ricongiungimento familiare di cui all’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 dal momento in cui l’autorità nazionale competente adotta formalmente la decisione con cui si riconosce lo status di rifugiato alla persona interessata e, dunque, dalla maggiore o minore celerità nel trattamento della domanda di protezione internazionale da parte di tale autorità comprometterebbe l’effetto utile di tale disposizione e contrasterebbe non solo con l’obiettivo della direttiva in parola, che è quello di favorire il ricongiungimento familiare e di concedere, a tale riguardo, una protezione particolare ai rifugiati, segnatamente ai minori non accompagnati, ma anche con i principi di parità di trattamento e di certezza del diritto.
56      Una simile interpretazione, infatti, comporterebbe che due rifugiati minori non accompagnati di pari età che hanno presentato nello stesso momento una domanda di protezione internazionale potrebbero, per quanto attiene al diritto al ricongiungimento familiare, essere trattati diversamente a seconda della durata di trattamento di tali domande, sulla quale essi generalmente non hanno alcuna influenza e la quale, al di là della complessità delle situazioni in questione, può dipendere sia dal carico di lavoro delle autorità competenti sia dalle scelte politiche effettuate dagli Stati membri per quanto concerne l’organico messo a disposizione di tali autorità e i casi da trattare con priorità.
57      Inoltre, tenuto conto del fatto che la durata di una procedura di asilo può essere considerevole e che, segnatamente in periodi di grande affluenza di richiedenti protezione internazionale, i termini appositamente previsti dal diritto dell’Unione sono spesso superati, far dipendere il diritto al ricongiungimento familiare dal momento in cui tale procedura è conclusa potrebbe privare un parte consistente dei rifugiati che hanno presentato la loro domanda di protezione internazionale in quanto minori non accompagnati del beneficio di tale diritto e della protezione che l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 dovrebbe conferire loro.
58      D’altronde, anziché incitare le autorità nazionali a trattare in via prioritaria le domande di protezione internazionale presentate da minori non accompagnati al fine di tener conto della loro particolare vulnerabilità, possibilità adesso espressamente prevista dall’articolo 31, paragrafo 7, lettera b), della direttiva 2013/32, una simile interpretazione potrebbe avere l’effetto contrario, contrastando con l’obiettivo perseguito sia da tale direttiva sia dalle direttive 2003/86 e 2011/95 di garantire che, conformemente all’articolo 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, l’interesse superiore del minore sia effettivamente considerato preminente dagli Stati membri al momento dell’applicazione di tali direttive.
59      Peraltro, detta interpretazione renderebbe del tutto imprevedibile per un minore non accompagnato che ha presentato una domanda di protezione internazionale la possibilità di beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare con i suoi genitori, il che potrebbe pregiudicare la certezza del diritto.
60      Per contro, considerare la data di presentazione della domanda di protezione internazionale come data di riferimento per valutare l’età di un rifugiato ai fini dell’applicazione dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 consente di garantire un trattamento identico e prevedibile a tutti i richiedenti che si trovano cronologicamente nella stessa situazione, assicurando che il buon esito della domanda di ricongiungimento familiare dipenda principalmente da circostanze imputabili al richiedente e non all’amministrazione, quali la durata di trattamento della domanda di protezione internazionale o della domanda di ricongiungimento familiare (v., per analogia, sentenza del 17 luglio 2014, Noorzia, C‑338/13, EU:C:2014:2092, punto 17).
61      Posto che, come sostenuto dal governo dei Paesi Bassi e dalla Commissione, sarebbe incompatibile con l’obiettivo dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 che un rifugiato che aveva lo status di minore non accompagnato al momento della sua domanda ma che è diventato maggiorenne nel corso della procedura possa invocare il beneficio di tale disposizione senza alcun limite temporale al fine di ottenere un ricongiungimento familiare, la sua domanda per ottenerlo deve senz’altro essere presentata entro un termine ragionevole. Per determinare un tale termine ragionevole, la soluzione adottata dal legislatore dell’Unione nel contesto analogo dell’articolo 12, paragrafo 1, terzo comma, di tale direttiva ha valore indicativo, cosicché occorre ritenere che la domanda di ricongiungimento familiare formulata sulla base dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della suddetta direttiva debba, in linea di principio, in una situazione di tal genere, essere presentata entro un termine di tre mesi a decorrere dal giorno in cui al minore interessato è stato riconosciuto lo status di rifugiato.
62      Quanto alle altre date proposte nell’ambito del presente procedimento al fine di valutare se un rifugiato possa essere considerato minore, occorre constatare, da un lato, che la data di ingresso nel territorio di uno Stato membro non può, in linea di principio, essere ritenuta determinante in tal senso, stante il nesso intrinseco sussistente tra il diritto al ricongiungimento familiare previsto all’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 e lo status di rifugiato, il cui riconoscimento dipende dalla presentazione di una domanda di protezione internazionale da parte dell’interessato.
63      Per quanto riguarda, dall’altro lato, la data di presentazione della domanda di ricongiungimento familiare e la data della relativa decisione, è sufficiente ricordare che risulta, in particolare, dal punto 55 della presente sentenza che il diritto al ricongiungimento familiare previsto all’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 non può dipendere dal momento in cui l’autorità nazionale competente adotta formalmente la decisione che riconosce lo status di rifugiato al soggiornante. Orbene, questo è appunto quanto si verificherebbe se fosse ritenuta decisiva una di tali date, giacché, come rilevato ai punti 50 e 51 della presente sentenza, il soggiornante può presentare una domanda di ricongiungimento familiare solo dopo l’adozione della decisione con cui gli si riconosce lo status di rifugiato.
64      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sottoposta dichiarando che il combinato disposto degli articoli 2, parte iniziale e lettera f), e 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 va interpretato nel senso che deve essere qualificato come «minore», ai sensi della prima di tali disposizioni, un cittadino di paesi terzi o un apolide che aveva un’età inferiore ai diciotto anni al momento del suo ingresso nel territorio di uno Stato membro e della presentazione della sua domanda di asilo in tale Stato, ma che, nel corso della procedura di asilo, raggiunge la maggiore età e ottiene in seguito il riconoscimento dello status di rifugiato.
 Sulle spese
65      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
Il combinato disposto degli articoli 2, parte iniziale e lettera f), e 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, va interpretato nel senso che deve essere qualificato come «minore», ai sensi della prima di tali disposizioni, un cittadino di paesi terzi o un apolide che aveva un’età inferiore ai diciotto anni al momento del suo ingresso nel territorio di uno Stato membro e della presentazione della sua domanda di asilo in tale Stato, ma che, nel corso della procedura di asilo, raggiunge la maggiore età e ottiene in seguito il riconoscimento dello status di rifugiato.
Dal sito http://curia.europa.eu