venerdì 27 settembre 2019



Ministero dell’Interno, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, Raccolta pareri, pubblicazione on line, 12 agosto 2019, Accesso agli atti da parte di un consigliere comunale

Accesso agli atti da parte di un consigliere comunale. Il diritto ad ottenere dall’ente tutte le informazioni utili all’espletamento del mandato non incontra alcuna limitazione derivante dalla loro eventuale natura riservata, in quanto il consigliere, a cui è ostensibile anche documentazione che per ragioni di riservatezza non sarebbe ordinariamente ostensibile ad altri richiedenti, è vincolato al segreto d’ufficio (T.A.R. Lombardia – Milano – sent. n.2363 del 23.09.2014 e citato C.d.S., Sez. V, 5 settembre 2014, n.4525). Il Consiglio di Stato, Sez. V, con decisione 4/5/2004, n.2716, riguardo alla normativa prevista dal d.P.C.M. n.200 del 26.1.1996, recante il regolamento per la categoria di documenti dell’Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso, ha rilevato che le limitazioni ivi previste “non possono applicarsi, in via analogica, ai consiglieri comunali, i quali, nella loro veste di componenti del massimo organo di governo del Comune, hanno titolo ad accedere anche agli atti concernenti le vertenze nelle quali il Comune è coinvolto nonché ai pareri legali richiesti dall’Amministrazione comunale, onde prenderne conoscenza e poter intervenire al riguardo”.

E’ stato posto un quesito in materia di accesso agli atti.
Premesso che dalla consultazione del protocollo informatico da parte di un consigliere è emerso un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale presentato dal revisore unico dei conti contro il Comune, il Consigliere richiedente ha chiesto un parere in ordine alla correttezza del rifiuto al rilascio di copia di tale atto da parte dell’Amministrazione, motivato dalla necessità di acquisire l’autorizzazione da parte dell’interessato ricorrente.
Al riguardo, come noto, l'esercizio del diritto di accesso, esercitabile dai consiglieri comunali ai sensi dell’art.43, comma 2, del decreto legislativo n.267/00, è definito dal Consiglio di Stato (sentenza n.4471/2005) "diritto soggettivo pubblico funzionalizzato", finalizzato al controllo politico-amministrativo sull'ente, nell'interesse della collettività (cfr. C.d.S. V, 5/09/2014, n.4525, cit. da Commissione per l’Accesso ai documenti amministrativi del 29 novembre 2018); si tratta, all’evidenza, di un diritto dai confini più ampi del diritto di accesso riconosciuto al cittadino nei confronti del Comune di residenza (art.10 T.U. Enti locali) o, più in generale, nei confronti della P.A., disciplinato dalla legge n.241 del 1990 (cfr. parere della Commissione per l’Accesso ai documenti amministrativi del 28 ottobre 2014 e il richiamato del 29 novembre 2018).
Il diritto ad ottenere dall’ente tutte le informazioni utili all’espletamento del mandato non incontra alcuna limitazione derivante dalla loro eventuale natura riservata, in quanto il consigliere, a cui è ostensibile anche documentazione che per ragioni di riservatezza non sarebbe ordinariamente ostensibile ad altri richiedenti, è vincolato al segreto d’ufficio (T.A.R. Lombardia – Milano – sent. n.2363 del 23.09.2014 e citato C.d.S., Sez. V, 5 settembre 2014, n.4525).
Peraltro, in fattispecie simili alla presente, il Consiglio di Stato, Sez. V, con decisione 4/5/2004, n.2716, riguardo alla normativa prevista dal d.P.C.M. n.200 del 26.1.1996, recante il regolamento per la categoria di documenti dell’Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso, ha rilevato che le limitazioni ivi previste “non possono applicarsi, in via analogica, ai consiglieri comunali, i quali, nella loro veste di componenti del massimo organo di governo del Comune, hanno titolo ad accedere anche agli atti concernenti le vertenze nelle quali il Comune è coinvolto nonché ai pareri legali richiesti dall’Amministrazione comunale, onde prenderne conoscenza e poter intervenire al riguardo”.
In particolare, si rileva che il predetto d.P.C.M. pone un limite solo agli atti defensionali, (art.2, comma 2, lett.b) a cui comunque i consiglieri comunali potrebbero accedere essendo tenuti al segreto; nel caso in oggetto, trattandosi, invece, del testo di un ricorso già presentato all’organo competente, non pare peraltro sussistere alcuna lesione dell’interessato (che in relazione alla richiesta del consigliere comunale assume la veste di “controinteressato”). Infatti, anche in virtù della definizione di cui all’art.22, comma 1, lett.c) della legge n.241/1990, dall'esercizio dell'accesso il ricorrente non vedrebbe compromesso il proprio diritto alla riservatezza dato che l’atto è già noto alla controparte (il Comune) che può diffonderlo all’interno dei propri uffici anche al fine della preparazione delle memorie di parte.
In merito ai tempi di rilascio degli atti, ferma restando la necessità di una regolamentazione della materia dell’accesso, si ritiene che la stessa deve tendere a garantire l’esercizio del diritto, con la previsione di termini ragionevoli compatibili con le esigenze tecniche degli uffici addetti alla loro consegna.

https://dait.interno.gov.it/pareri/97767

Residenza dello straniero e decreto sicurezza – Anche il tribunale di Ferrara solleva questione di legittimità costituzionale

Trib. Ferrara 24 settembre 2019 (ord.)


E’ rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento gli artt. 2 Cost., 3 Cost., 117 Cost. in riferimento all’art. 2 del IV Protocollo addizionale alla CEDU e all’art. 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 comma 1 lett. a) n. 2) d.l. 113/2018 convertito dalla l. 132/2018 [da rilevare che il tribunale ha ordinato al Comune l’iscrizione dello straniero in anagrafe, in via provvisoria, “riservando all’esito dell’incidente di costituzionalità la decisione definitiva in ordine alla domanda cautelare”]

giovedì 26 settembre 2019


Ministero dell’Interno, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, Raccolta pareri, pubblicazione on line, 17 agosto 2019, Accesso da remoto con credenziali al protocollo del Comune da parte di un consigliere comunale

Accesso da remoto con credenziali al protocollo del Comune da parte di un consigliere comunale. il T.A.R. Campania, con la decisione n.545 del 4.04.2019, ha confermato il diritto del consigliere comunale all’accesso anche da remoto al protocollo informatico dell’Ente. Il predetto Tribunale ha ritenuto che tale esercizio non dovrebbe tuttavia essere esteso al contenuto della documentazione in arrivo o in uscita dall’Amministrazione - soggetta, invece, alle ordinarie regole in materia di accesso, tra le quali la necessità di richiesta specifica -, ma ai soli dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo (numero di registrazione al protocollo, data, mittente, destinatario, modalità di acquisizione, oggetto). Il T.A.R. Campania con la citata decisione n. 545/2019 ha accolto il ricorso imponendo all’Amministrazione comunale resistente di apprestare, entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione della medesima decisione “le modalità organizzative per il rilascio di password per l’accesso da remoto al protocollo informatico al consigliere comunale ricorrente”. La disciplina regolamentare si pone anche come strumento di previsione delle misure tecniche necessarie per l’effettivo esercizio del diritto in parola in capo al consigliere comunale. Tale strumento, necessario al fine di porre i competenti uffici comunali nelle condizioni di operare correttamente, dovrebbe, dunque, essere obbligatoriamente adottato dall’Ente in tempi ragionevoli ben potendo prendersi a parametro i termini individuati dal sopra citato T.A.R. della Campania o termini più brevi favorevoli ai consiglieri comunali.
Testo 
E’ stato chiesto se, in assenza di previsione regolamentare, possa accordarsi ad un consigliere comunale l’accesso da remoto sul server comunale al protocollo dell’Ente.
Al riguardo, come noto, l'esercizio del diritto di accesso, esercitabile dai consiglieri comunali ai sensi dell’art.43, comma 2, del decreto legislativo n.267/00, è definito dal Consiglio di Stato (sentenza n.4471/2005) "diritto soggettivo pubblico funzionalizzato", finalizzato al controllo politico-amministrativo sull'ente, nell'interesse della collettività (cfr. C.d.S. V, 5/09/2014, n.4525, cit. da Commissione per l’Accesso ai documenti amministrativi del 29 novembre 2018); si tratta di un diritto dai confini più ampi del diritto di accesso riconosciuto al cittadino nei confronti del Comune di residenza (art.10 T.U.O.E.L.) o, più in generale, nei confronti della P.A., disciplinato dalla legge n.241 del 1990 (cfr. parere della Commissione per l’Accesso ai documenti amministrativi del 28 ottobre 2014 e il richiamato del 29 novembre 2018).
Per i comuni della Regione Sicilia si applica l’art. 217 del Testo coordinato delle leggi regionali relative all’ordinamento degli enti locali (Art.199, Ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione siciliana approvato con legge regionale n.16/1963 (art.20, legge regionale n.1/1976 e art.56, legge regionale n.9/1986)), il quale prevede, analogamente, che “I consiglieri comunali …, per l'effettivo esercizio della loro funzione, hanno diritto di prendere visione dei provvedimenti adottati dall'ente e degli atti preparatori in essi richiamati nonché di avere tutte le informazioni necessarie all'esercizio del mandato e di ottenere, senza spesa, copia degli atti deliberativi. Copia dell'elenco delle delibere adottate dalla giunta è trasmessa al domicilio dei consiglieri e depositata presso la segreteria a disposizione di chiunque ne faccia richiesta”.
Il protocollo informatico, come noto, è stato introdotto dall’art.50 del d.P.R. n.445/2000, il quale, al comma 3, richiede la realizzazione  o la revisione dei sistemi informativi automatizzati in conformità anche alle disposizioni di legge sulla riservatezza dei dati personali; gli articoli 53 e 55 del citato d.P.R. n. 445 prevedono, rispettivamente, la “registrazione di protocollo” e la “segnatura di protocollo” che contengono una serie di dati che consentono la rintracciabilità dei documenti.
La citata Commissione per l’accesso, già con il parere del 16 marzo 2010 stabiliva che “l’accesso diretto tramite utilizzo di apposita password al sistema informatico dell’Ente, ove operante, è uno strumento di accesso certamente consentito al consigliere comunale che favorirebbe la tempestiva acquisizione delle informazioni richieste senza aggravare l’ordinaria attività amministrativa. Ovviamente il consigliere comunale rimane responsabile della segretezza della password di cui è stato messo a conoscenza a tali fini (art.43, comma 2, T.U.O.E.L.)”.
Anche il Garante per la protezione dei dati personali (v. relazione del 2004, pag.19 e 20) aveva specificato che “nell’ipotesi in cui l’accesso da parte dei consiglieri comunali riguardi dati sensibili, l’esercizio di tale diritto, ai sensi dell’art.65, comma 4, lett.b), del Codice, è consentito se indispensabile per lo svolgimento della funzione di controllo, di indirizzo politico, di sindacato ispettivo e di altre forme di accesso a documenti riconosciute dalla legge e dai regolamenti degli organi interessati per consentire l’espletamento di un mandato elettivo. Resta ferma la necessità, … che i dati così acquisiti siano utilizzati per le sole finalità connesse all’esercizio del mandato, rispettando in particolare il divieto di divulgazione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute. Spetta quindi all’amministrazione destinataria della richiesta accertare l’ampia e qualificata posizione di pretesa all’informazione ratione officii del consigliere comunale”.
Già il T.A.R. Sardegna con la sentenza n.29/2007 ha affermato, tra l’altro, che è consentito prendere visione del protocollo generale senza alcuna esclusione di oggetti e notizie riservate e di materie coperte da segreto, posto che i consiglieri comunali sono comunque tenuti al segreto ai sensi dell’art.43 del decreto legislativo n.267/00, mentre il T.A.R. Lombardia, Brescia, 1° marzo 2004 n.163, ha ritenuto non ammissibile imporre ai consiglieri l’onere di specificare in anticipo l’oggetto degli atti che intendono visionare, giacché trattasi di informazioni di cui gli stessi possono disporre solo in conseguenza dell’accesso.
Sempre il T.A.R. Sardegna, approfondendo la tematica, con la sentenza n.531/2018, ha specificato che il “possesso delle chiavi di accesso telematico, rappresenta una condizione preliminare, ma nondimeno necessaria, per l’esercizio consapevole del diritto di accesso, in modo che questo si svolga non attraverso una apprensione generalizzata e indiscriminata degli atti dell’amministrazione comunale.., ma mediante una selezione degli oggetti degli atti di cui si chiede l’esibizione. Peraltro, una delle modalità essenziali per poter operare in tal senso è rappresentata proprio dalla possibilità di accedere (non direttamente al contenuto della documentazione in arrivo o in uscita dall’amministrazione, ma) ai dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo”.
Anche il T.A.R. Campania (Sezione staccata di Salerno), con la recentissima decisione n.545 del 4.04.2019 ha confermato il diritto del consigliere comunale all’accesso anche da remoto al protocollo informatico dell’Ente. Il predetto Tribunale, ribadendo sostanzialmente quanto stabilito dal T.A.R. Sardegna con la richiamata sentenza 531/2018, ha ritenuto che tale esercizio non dovrebbe tuttavia essere esteso al contenuto della documentazione in arrivo o in uscita dall’Amministrazione - soggetta, invece, alle ordinarie regole in materia di accesso, tra le quali la necessità di richiesta specifica -, ma ai soli dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo (numero di registrazione al protocollo, data, mittente, destinatario, modalità di acquisizione, oggetto).
Il T.A.R. Campania con la citata decisione n.545/2019 ha accolto il ricorso imponendo all’Amministrazione comunale resistente di apprestare, entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione della medesima decisione “le modalità organizzative per il rilascio di password per l’accesso da remoto al protocollo informatico al consigliere comunale ricorrente”.
Ciò premesso, relativamente alla presente fattispecie, si osserva che la disciplina regolamentare si pone anche come strumento di previsione delle misure tecniche necessarie per l’effettivo esercizio del diritto in parola in capo al consigliere comunale.
Tale strumento, necessario al fine di porre i competenti uffici comunali nelle condizioni di operare correttamente, dovrebbe, dunque, essere obbligatoriamente adottato dall’Ente in tempi ragionevoli ben potendo prendersi a parametro i termini individuati dal sopra citato T.A.R. della Campania o termini più brevi favorevoli ai consiglieri comunali.
https://dait.interno.gov.it/pareri/97761

Agenzia delle Entrate 30 agosto 2019, n. 360 (risposta ad interpello),  Mancata corresponsione imposta di bollo – richiesta parere – D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 – Articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212




Con l’interpello specificato in oggetto è stato esposto il seguente
QUESITO
L’interpellante riferisce che, a seguito di un’ispezione amministrativo-contabile, è stata rilevata la mancata corresponsione dell’imposta di bollo da parte delle ditte con le quali erano stati stipulati contratti attraverso il mercato elettronico CONSIP.
In conseguenza di ciò, l’istante ha chiesto di “… attivare la procedura per il recupero delle marche da bollo non applicate, in azione di regresso a carico delle società contraenti (…) o, se del caso, a carico dei soggetti in iure responsabili ex artt. 81, 82 e seguenti del r.d. 2440/1923”.
Poiché l’interpellante riferisce che gli atti negoziali non in regola ai fini dell’imposta di bollo sono relativi agli esercizi finanziari 2014 e 2015, chiede se l’intervenuto termine di decadenza da parte dell’amministrazione finanziaria per procedere all’accertamento possa far sì che nulla venga richiesto ai soggetti responsabili dell’omissione dell’imposta di bollo “…e agli agenti amministrativi pro tempore responsabili”.
SOLUZIONE PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
In merito al quesito posto, l’istante ritiene che “…ai sensi di quanto previsto dall’articolo 37 del DPR 26 ottobre 1972, n. 642, per gli atti negoziali relativi agli E.F 2014 e 2015 (che peraltro hanno ormai esaurito i loro effetti giuridici), sui quali non è stata applicata la marca da bollo, essendo intervenuto il termine di decadenza di tre anni, nulla può essere chiesto alle società all’epoca contraenti con la P.A. e agli agenti amministrativi pro tempore responsabili”.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Preliminarmente si osserva che l’imposta di bollo è disciplinata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 il quale, all’articolo 1, dispone che “Sono soggetti all’imposta (…) gli atti, documenti e registri indicati nell’annessa tariffa”.
L’articolo 2, al comma 1 stabilisce che “L’imposta di bollo è dovuta fin dall’origine per gli atti, i documenti e i registri indicati nella parte prima della tariffa, se formati nello Stato, ed in caso d’uso per quelli indicati nella parte seconda”.
A tale riguardo, l’articolo 2 della tariffa allegata al sopra citato DPR n. 642/1972 dispone il pagamento dell’imposta di bollo fin dall’origine per le “scritture private” e, ai sensi di detto articolo, avrebbero dovuto scontare l’imposta di bollo gli atti negoziali stipulati tra l’interpellante e le ditte contraenti attraverso il mercato elettronico della CONSIP.
Vale la pena osservare che ai sensi dell’articolo 22 del DPR n. 642 del 1972 “Sono obbligati in solido per il pagamento dell’imposta e delle eventuali sanzioni amministrative :
1) tutte le parti che sottoscrivono, accettano o negoziano atti, documenti o registri non in regola con le disposizioni del presente decreto ovvero li enunciano o li allegano ad altri atti o documenti;
2) tutti coloro che fanno uso, ai sensi dell’articolo 2, di un atto, documento o registro non soggetto al bollo fin dall’origine senza prima farlo munire del bollo prescritto”.

E’ il caso di precisare, tuttavia, che l’articolo 8 del medesimo DPR dispone che “Nei rapporti con lo Stato l’imposta di bollo, quando dovuta, è a carico dell’altra parte, nonostante qualunque patto contrario”.
A tale riguardo, si osserva che, ai sensi dell’articolo 25, primo comma, del citato DPR “Chi non corrisponde, in tutto o in parte, l’imposta di bollo dovuta sin dall’origine è soggetto, oltre al pagamento del tributo, ad una sanzione amministrativa dal cento al cinquecento per cento dell’imposta o della maggiore imposta”.
Ai sensi dell’articolo 37 del DPR n. 642 del 1972, primo comma, “L’Amministrazione finanziaria può procedere all’accertamento delle violazioni alle norme del presente decreto entro il termine di decadenza di tre anni a decorrere dal giorno in cui è stata commessa la violazione”.
Nel caso in esame, assume rilievo la duplice circostanza che i contratti oggetto del quesito sono stati sottoscritti negli esercizi finanziari del 2014 e del 2015 ed inoltre hanno esaurito i loro effetti giuridici.
Infatti, condividendo la soluzione prospetta dall’istante, si ritiene che ai sensi del citato art. 37, essendo decorso il termine di decadenza triennale, l’imposta di bollo e relative sanzioni non possono essere più richieste da parte di questa Agenzia ai soggetti obbligati al pagamento dell’imposta di bollo.
Tuttavia, si rammenta che ai sensi del secondo comma del sopra citato articolo 37 del decreto del bollo “L’intervenuta decadenza non autorizza l’uso degli atti, documenti e registri (…) senza pagamento dell’imposta nella misura dovuta al momento dell’uso”.
Infine, per quanto concerne la responsabilità dei “… soggetti in iure responsabili ex artt. 81, 82 e seguenti del r.d. 2440/1923…” si osserva che l’interpretazione di tali ultime disposizioni esula dalla competenza della scrivente

IL DIRETTORE CENTRALE
(firmato digitalmente)

venerdì 20 settembre 2019




Referendum per la suddivisione del Comune di Venezia nei due Comuni autonomi di Venezia e Mestre


Enti locali - Comuni - Comune di Venezia - Suddivisione nei due Comuni autonomi di Venezia e Mestre - referendum - Legittimità.
         E' legittimo il referendum consultivo sulla proposta di legge regionale di iniziativa popolare sulla suddivisione del Comune di Venezia nei due Comuni autonomi di Venezia e Mestre (1).
(1) Ha chiarito la Sezione che non sussistono illegittimità o inammissibilità del procedimento referendario.
La valutazione di opportunità del distacco appartiene alla responsabilità delle competenti istanze politiche e normative e non può essere svolta dal giudice, il quale deve lasciare le scelte politiche ai soggetti politicamente responsabili, incluse le popolazioni interessate, perché al giudice spetta solo di valutare se il procedimento seguito presenta i vizi di legittimità che gli sono denunciati.
Il Consiglio di Stato ha, quindi, accertato che non sussistono illegittimità o inammissibilità del procedimento referendario. In particolare, dall'eventuale esito favorevole del referendum non discende automaticamente che il capoluogo della Città metropolitana divenga Mestre per il maggior numero di abitanti e che a causa di questo effetto il referendum sia inammissibile, spiega una nota.
 Negando il referendum, del resto, si avrebbe una discriminazione dei cittadini interessati, che verrebbero privati del diritto costituzionale di esprimersi sul cambiamento dei loro assetti comunali. Quale poi sarà il Capoluogo - se la proposta passerà -, sarà deciso da una separata e autonoma valutazione di opportunità nelle sedi competenti e comunque, la legge n. 56 del 2014  "nomina 'Venezia' la città metropolitana, così intendendo quale sia il conseguente comune capoluogo".
https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/-/referendum-per-la-suddivisione-del-comune-di-venezia-nei-due-comuni-autonomi-di-venezia-e-mestre

giovedì 19 settembre 2019



Ministero dell’Interno, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, Raccolta pareri, pubblicazione on line, 17 agosto 2019, Accesso da remoto con credenziali al protocollo del Comune da parte di un consigliere comunale

Accesso da remoto con credenziali al protocollo del Comune da parte di un consigliere comunale. il T.A.R. Campania, con la decisione n.545 del 4.04.2019, ha confermato il diritto del consigliere comunale all’accesso anche da remoto al protocollo informatico dell’Ente. Il predetto Tribunale ha ritenuto che tale esercizio non dovrebbe tuttavia essere esteso al contenuto della documentazione in arrivo o in uscita dall’Amministrazione - soggetta, invece, alle ordinarie regole in materia di accesso, tra le quali la necessità di richiesta specifica -, ma ai soli dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo (numero di registrazione al protocollo, data, mittente, destinatario, modalità di acquisizione, oggetto). Il T.A.R. Campania con la citata decisione n. 545/2019 ha accolto il ricorso imponendo all’Amministrazione comunale resistente di apprestare, entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione della medesima decisione “le modalità organizzative per il rilascio di password per l’accesso da remoto al protocollo informatico al consigliere comunale ricorrente”. La disciplina regolamentare si pone anche come strumento di previsione delle misure tecniche necessarie per l’effettivo esercizio del diritto in parola in capo al consigliere comunale. Tale strumento, necessario al fine di porre i competenti uffici comunali nelle condizioni di operare correttamente, dovrebbe, dunque, essere obbligatoriamente adottato dall’Ente in tempi ragionevoli ben potendo prendersi a parametro i termini individuati dal sopra citato T.A.R. della Campania o termini più brevi favorevoli ai consiglieri comunali.
Testo 
E’ stato chiesto se, in assenza di previsione regolamentare, possa accordarsi ad un consigliere comunale l’accesso da remoto sul server comunale al protocollo dell’Ente.
Al riguardo, come noto, l'esercizio del diritto di accesso, esercitabile dai consiglieri comunali ai sensi dell’art.43, comma 2, del decreto legislativo n.267/00, è definito dal Consiglio di Stato (sentenza n.4471/2005) "diritto soggettivo pubblico funzionalizzato", finalizzato al controllo politico-amministrativo sull'ente, nell'interesse della collettività (cfr. C.d.S. V, 5/09/2014, n.4525, cit. da Commissione per l’Accesso ai documenti amministrativi del 29 novembre 2018); si tratta di un diritto dai confini più ampi del diritto di accesso riconosciuto al cittadino nei confronti del Comune di residenza (art.10 T.U.O.E.L.) o, più in generale, nei confronti della P.A., disciplinato dalla legge n.241 del 1990 (cfr. parere della Commissione per l’Accesso ai documenti amministrativi del 28 ottobre 2014 e il richiamato del 29 novembre 2018).
Per i comuni della Regione Sicilia si applica l’art. 217 del Testo coordinato delle leggi regionali relative all’ordinamento degli enti locali (Art.199, Ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione siciliana approvato con legge regionale n.16/1963 (art.20, legge regionale n.1/1976 e art.56, legge regionale n.9/1986)), il quale prevede, analogamente, che “I consiglieri comunali …, per l'effettivo esercizio della loro funzione, hanno diritto di prendere visione dei provvedimenti adottati dall'ente e degli atti preparatori in essi richiamati nonché di avere tutte le informazioni necessarie all'esercizio del mandato e di ottenere, senza spesa, copia degli atti deliberativi. Copia dell'elenco delle delibere adottate dalla giunta è trasmessa al domicilio dei consiglieri e depositata presso la segreteria a disposizione di chiunque ne faccia richiesta”.
Il protocollo informatico, come noto, è stato introdotto dall’art.50 del d.P.R. n.445/2000, il quale, al comma 3, richiede la realizzazione  o la revisione dei sistemi informativi automatizzati in conformità anche alle disposizioni di legge sulla riservatezza dei dati personali; gli articoli 53 e 55 del citato d.P.R. n. 445 prevedono, rispettivamente, la “registrazione di protocollo” e la “segnatura di protocollo” che contengono una serie di dati che consentono la rintracciabilità dei documenti.
La citata Commissione per l’accesso, già con il parere del 16 marzo 2010 stabiliva che “l’accesso diretto tramite utilizzo di apposita password al sistema informatico dell’Ente, ove operante, è uno strumento di accesso certamente consentito al consigliere comunale che favorirebbe la tempestiva acquisizione delle informazioni richieste senza aggravare l’ordinaria attività amministrativa. Ovviamente il consigliere comunale rimane responsabile della segretezza della password di cui è stato messo a conoscenza a tali fini (art.43, comma 2, T.U.O.E.L.)”.
Anche il Garante per la protezione dei dati personali (v. relazione del 2004, pag.19 e 20) aveva specificato che “nell’ipotesi in cui l’accesso da parte dei consiglieri comunali riguardi dati sensibili, l’esercizio di tale diritto, ai sensi dell’art.65, comma 4, lett.b), del Codice, è consentito se indispensabile per lo svolgimento della funzione di controllo, di indirizzo politico, di sindacato ispettivo e di altre forme di accesso a documenti riconosciute dalla legge e dai regolamenti degli organi interessati per consentire l’espletamento di un mandato elettivo. Resta ferma la necessità, … che i dati così acquisiti siano utilizzati per le sole finalità connesse all’esercizio del mandato, rispettando in particolare il divieto di divulgazione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute. Spetta quindi all’amministrazione destinataria della richiesta accertare l’ampia e qualificata posizione di pretesa all’informazione ratione officii del consigliere comunale”.
Già il T.A.R. Sardegna con la sentenza n.29/2007 ha affermato, tra l’altro, che è consentito prendere visione del protocollo generale senza alcuna esclusione di oggetti e notizie riservate e di materie coperte da segreto, posto che i consiglieri comunali sono comunque tenuti al segreto ai sensi dell’art.43 del decreto legislativo n.267/00, mentre il T.A.R. Lombardia, Brescia, 1° marzo 2004 n.163, ha ritenuto non ammissibile imporre ai consiglieri l’onere di specificare in anticipo l’oggetto degli atti che intendono visionare, giacché trattasi di informazioni di cui gli stessi possono disporre solo in conseguenza dell’accesso.
Sempre il T.A.R. Sardegna, approfondendo la tematica, con la sentenza n.531/2018, ha specificato che il “possesso delle chiavi di accesso telematico, rappresenta una condizione preliminare, ma nondimeno necessaria, per l’esercizio consapevole del diritto di accesso, in modo che questo si svolga non attraverso una apprensione generalizzata e indiscriminata degli atti dell’amministrazione comunale.., ma mediante una selezione degli oggetti degli atti di cui si chiede l’esibizione. Peraltro, una delle modalità essenziali per poter operare in tal senso è rappresentata proprio dalla possibilità di accedere (non direttamente al contenuto della documentazione in arrivo o in uscita dall’amministrazione, ma) ai dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo”.
Anche il T.A.R. Campania (Sezione staccata di Salerno), con la recentissima decisione n.545 del 4.04.2019 ha confermato il diritto del consigliere comunale all’accesso anche da remoto al protocollo informatico dell’Ente. Il predetto Tribunale, ribadendo sostanzialmente quanto stabilito dal T.A.R. Sardegna con la richiamata sentenza 531/2018, ha ritenuto che tale esercizio non dovrebbe tuttavia essere esteso al contenuto della documentazione in arrivo o in uscita dall’Amministrazione - soggetta, invece, alle ordinarie regole in materia di accesso, tra le quali la necessità di richiesta specifica -, ma ai soli dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo (numero di registrazione al protocollo, data, mittente, destinatario, modalità di acquisizione, oggetto).
Il T.A.R. Campania con la citata decisione n.545/2019 ha accolto il ricorso imponendo all’Amministrazione comunale resistente di apprestare, entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione della medesima decisione “le modalità organizzative per il rilascio di password per l’accesso da remoto al protocollo informatico al consigliere comunale ricorrente”.
Ciò premesso, relativamente alla presente fattispecie, si osserva che la disciplina regolamentare si pone anche come strumento di previsione delle misure tecniche necessarie per l’effettivo esercizio del diritto in parola in capo al consigliere comunale.
Tale strumento, necessario al fine di porre i competenti uffici comunali nelle condizioni di operare correttamente, dovrebbe, dunque, essere obbligatoriamente adottato dall’Ente in tempi ragionevoli ben potendo prendersi a parametro i termini individuati dal sopra citato T.A.R. della Campania o termini più brevi favorevoli ai consiglieri comunali.
https://dait.interno.gov.it/pareri/97761

venerdì 6 settembre 2019


Acquisto della cittadinanza italiana (da parte ) del figlio minorenne

Ordinanza  Tribunale 2019

Il significato dell’art. 14 della l. 91/1992, nella parte in cui richiede, ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana da parte del minore, la convivenza con il genitore naturalizzato italiano, consiste nella volontà di tutelare il cittadino nel mantenimento dei rapporti di filiazione esistenti al momento dell'acquisto della cittadinanza italiana, attestati dalla convivenza, al fine di rendere omogenei i rapporti giuridici e sociali tra il minore ed il genitore divenuto cittadino. Tuttavia,  un'interpretazione costituzionalmente orientata impone che la tutela degli interessi del nucleo familiare -in quanto deve sussistere il legame di filiazione- non possa essere inteso in senso formale, bensì che esso vada inteso in senso sostanziale, e la convivenza non possa essere riducibile alla mera coabitazione di fatto, caratterizzandosi, invece, il legame familiare in quel complesso di rapporti che attengono alla condivisione, all'aiuto materiale ed al sostegno morale.

giovedì 5 settembre 2019






Accesso civico generalizzato allo stato di attuazione del Memorandum d’Intesa Italia – Libia sottoscritto in data 2 febbraio 2017


Accesso ai documenti – Accesso generalizzato – Prova dell’esistenza degli atti richiesti – Necessità.
Accesso ai documenti – Accesso generalizzato – Stato di attuazione del Memorandum d’Intesa Italia – Libia sottoscritto in data 2 febbraio 2017 – Diniego – Legittimità.
          Ancorché l’accesso civico generalizzato non implichi astrattamente l’obbligo della parte di indicare i documenti di cui chiede l’ostensione, al fine di ottenere dal giudice amministrativo un ordine di esibizione o una ispezione è onere dell’interessato, ricorrente ex art. 116 c.p.a., indicare i documenti di cui chiede l’ostensione, non essendo rinvenibili, nel codice o nel d.lgs. n. 33 del 2013, disposizioni che consentano al giudice di ordinare l’ispezione di uffici e locali di una pubblica amministrazione al solo fine di cercare documenti di cui si sospetta l’esistenza (1).
          E’ legittimo il diniego di accesso civico alla documentazione relativo allo stato di attuazione del Memorandum d’Intesa Italia – Libia sottoscritto in data 2 febbraio 2017, opposto sul rilievo che la diffusione e pubblicazione degli atti di cooperazione espletata in esecuzione di impegni internazionali, pertinenti ad attività dell’amministrazione della pubblica sicurezza, è suscettibile di ingenerare concretamente situazioni pregiudizievoli in grado di vanificare le misure preventive poste in essere a tutela dell’insieme delle azioni portate avanti (2).

(1) Ha ricordato la Sezione che il processo amministrativo è retto dal principio dispositivo, sia pure “temperato” dal metodo acquisitivo, in ossequio al quale sul ricorrente grava comunque un onere probatorio che, relativamente alla acquisizione di documenti, deve tradursi quantomeno nella deduzione della effettiva esistenza dei documenti di cui si chiede l’acquisizione in giudizio, che devono anche essere specificamente indicati. Questo principio si estende all’accesso civico generalizzato, con la conseguenza che chi agisce in giudizio avverso il diniego opposto alla relativa istanza deve dimostrare l’esistenza degli atti richiesti.
Ha aggiunto la Sezione che il d.lgs. n. 33 del 2013 prevede meccanismi di controllo e monitoraggio dell’osservanza dell’obbligo di trasparenza da parte delle pubbliche amministrazioni, nonché (agli artt. 45 e 46) sanzioni per le eventuali violazioni, il cui perseguimento spetta in prima battuta all’Anac, alla quale sono attribuiti anche poteri ispettivi, ed eventualmente alla amministrazione datrice di lavoro, relativamente agli aspetti di responsabilità dirigenziale ed erariale. Il giudice amministrativo conosce quindi delle violazioni all’obbligo di trasparenza nei limiti in cui siano già state accertate e sanzionate dall’Anac, e non a prescindere dall’intervento di detta Autorità.

(2) La Sezione ha condiviso le ragioni del diniego, legate all’opportunità di assicurare, sia nel momento del confronto con le Autorità libiche, finalizzato a concertare le attività ed a monitorare il loro svolgimento, sia nelle fasi direttamente operative, la riservatezza necessaria ad assicurarne l’efficacia. Peraltro, già la considerazione dei contenuti delle attività materiali che sarebbero state effettuate in attuazione del Memorandum, dimostra come si tratti di aspetti del potenziamento delle capacità di intervento delle Autorità libiche, riguardo ai quali è agevole comprendere come la non preventiva conoscenza da parte dei terzi (in primis, le organizzazioni e i soggetti la cui attività di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina il Memorandum è rivolto a contrastare – senza arrivare a considerare le stesse divisioni interne tra le fazioni che si contendono il potere in Libia) risulti importante, se non decisiva, per impedire contromosse idonee a ridurne o vanificarne l’efficacia.
Le ragioni del diniego di accesso sono dunque, ad avviso della Sezione, difficilmente confutabili, se solo si tiene conto del difficile contesto territoriale ed istituzionale in cui l’azione di contrasto dell’immigrazione clandestina è destinata ad operare (ed al riguardo, alla luce della cronaca degli ultimi anni, può invocarsi addirittura il fatto notorio).
Dal sito: https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/-/accesso-civico-generalizzato-allo-stato-di-attuazione-del-memorandum-d-intesa-italia-libia-sottoscritto-in-data-2-febbraio-2017