martedì 30 agosto 2016




Corte Dei Conti – Sezione di controllo per il Trentino Alto Adige – Sede di Trento 16 marzo 2016, n. 6, Ripartizione spese funerarie


FATTO
Il Presidente della Provincia autonoma di Trento, con la nota in epigrafe indicata, ha trasmesso una richiesta di parere per conto del Sindaco del Comune di M. ai sensi dell’art. 6, c. 3-ter, del D.P.R. 15 luglio 1988, n. 305.
Il quesito sottoposto dall’Amministrazione comunale, per il tramite della Provincia autonoma, riguarda i criteri di ripartizione delle spese funerarie tra il Comune di ultima residenza e il Comune presso il quale si verifica il decesso di persona indigente (in caso di ricovero in struttura sanitaria assistenziale sovracomunale), ovvero appartenente a famiglia bisognosa o per la quale vi sia disinteresse da parte dei famigliari (art. 1, c. 7-bis, della Legge n. 26/2001).

DIRITTO
OMISSIS
3. Il Collegio può pertanto procedere all’esame nel merito della questione interpretativa rappresentata nell’istanza consultiva.
In via preliminare si rileva che il quesito formulato dall’Organo rappresentativo della Provincia autonoma non appare del tutto coincidente con quello proposto dal Comune di M., siccome riportato nella nota trasmessa a questa Corte.
Invero, la Provincia formula la problematica in questi termini:
“In particolare, si tratta di chiarire se, in caso di decessi di persone residenti in altri Comuni, il Comune dove si è verificato il decesso sia tenuto a sostenere gli oneri finanziari derivanti dai servizi di onoranze funebri, o se questi spettino al Comune di residenza del defunto” (secondo periodo della nota della Provincia).
Diversamente, il Comune di M., pare essere interessato alla soluzione della seguente questione (penultimo periodo dell’istanza consultiva):
“Sulla base di dette ultime disposizioni, il Comune sostiene che gli oneri delle spese funerarie nel caso di decesso di persona indigente, o appartenente a famiglia bisognosa o per la quale vi sia disinteresse da parte dei familiari spetterebbero al Comune di residenza in vita o a quello di residenza prima dell’entrata in strutture residenziali, in quanto gli adempimenti relativi alla sepoltura rappresentano, a parere del Comune, la naturale conclusione di un percorso di assistenza posto in carico allo stesso dalla L. n. 328/2000”.
Pertanto, mentre la Provincia fa riferimento, per la ripartizione delle spese funerarie, ai decessi avvenuti in Comuni diversi da quello di residenza del defunto, il Comune di M., invece, ipotizza l’addebito di tali spese al Comune di residenza in vita o a quello di residenza prima dell’entrata in strutture residenziali, dando perciò per scontata la residenza nella struttura assistenziale (rectius, nel Comune ove è ubicata la struttura) al momento del decesso (verosimilmente nei casi di lungodegenza), per cui Comune di decesso e Comune di ultima residenza, nella prospettazione dell’ente locale, sarebbero i medesimi.
Tenuto conto che in base alla citata norma di attuazione dello Statuto speciale di autonomia (art. 6, c. 3-ter, del D.P.R. 15 luglio 1988, n. 305) la Provincia autonoma di Trento svolge, in sostanza, la medesima funzione che a livello nazionale è propria del Consiglio delle Autonomie locali (cfr. deliberazione di questa Sezione n. 9/2015/PAR), il Collegio ritiene che la questione a cui si debba formulare una soluzione interpretativa sia, in ultima analisi, quella sottoposta dal Comune di M..
Il quesito presuppone, quindi, la verifica del corretto criterio di ripartizione delle spese funerarie tra il Comune di ultima residenza e quello di precedente residenza (prima dell’ingresso nella struttura assistenziale).
In proposito, il Comune istante, al fine di avallare la propria tesi, richiama l’art. 6, comma 4, della Legge n. 328/2000, che dispone quanto segue: “Per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il Comune nel quale essi hanno residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica”.
Rileva la Sezione che tale disposizione, interpretata in modo letterale e sistematico, riguarda, evidentemente, le sole spese inerenti al ricovero nelle strutture assistenziali (per l’eventuale integrazione economica), configurandosi quindi come un’eccezione alla generale regola per cui il Comune di residenza si occupa di tutte le funzioni di assistenza alla persona nei confronti dei propri cittadini (cfr. art. 13, c. 1, del Tuel – Testo unico enti locali – e art. 2, c. 1, del Tullrroc – Testo unico leggi regionali ordinamento dei comuni). Non appare quindi fondatamente sostenibile la tesi – promossa dal Comune istante – per cui le spese funerarie costituirebbero null’altro che “la naturale conclusione di un percorso di assistenza” posto in carico – ex art. 6, c. 4, della citata L. n. 328/2000 – al Comune di precedente residenza (prima del ricovero). Può altresì aggiungersi, ad ulteriore conferma, che se il legislatore avesse voluto raggiungere il risultato ipotizzato dal Comune di M. lo avrebbe manifestato in modo esplicito, mentre ha fatto (intenzionalmente) riferimento solo agli “obblighi connessi all’eventuale integrazione economica” delle spese assistenziali sostenute dalle strutture residenziali di ricovero (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit).
Per quanto attiene, invece, alle spese funerarie l’art. 1, c. 7-bis, della Legge n. 26/2001, interpretando in modo autentico il comma 4 dell'articolo 12 del Legge n. 440/1987, dispone che “la gratuità del servizio di cremazione dei cadaveri umani di cui al capo XVI del regolamento di polizia mortuaria, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285, nonché del servizio di inumazione in campo comune, è limitata alle operazioni di cremazione, inumazione ed esumazione ordinaria nel caso di salma di persona indigente, o appartenente a famiglia bisognosa o per la quale vi sia disinteresse da parte dei familiari. I predetti servizi sono a pagamento negli altri casi.”.
Inoltre, in base a quanto prescritto dall’art. 5, c. 1, della Legge n. 130/2001 “Nei casi di indigenza accertata del defunto, gli oneri e le spese derivanti dalla cremazione e dagli adempimenti cimiteriali ad essa connessi possono essere sostenuti, nei limiti delle ordinarie disponibilità di bilancio, dal comune di ultima residenza del defunto, indipendentemente dal luogo nel quale avviene la cremazione…”.
I servizi funerari elencati dalle citate disposizioni rivestono, quindi, carattere di gratuità esclusivamente nei casi tipizzati dalla citata normativa (decesso di persona indigente o appartenente a famiglia bisognosa o per la quale vi sia disinteresse da parte dei familiari). Pertanto, qualora venga accertata la ricorrenza di tali presupposti, gli oneri di cui trattasi graveranno necessariamente sul bilancio del Comune di residenza al momento del decesso, che può individuarsi nel Comune dove è ubicata la casa di cura, qualora il deceduto abbia ivi trasferito la propria iscrizione anagrafica, trattandosi in tale ipotesi del “Comune di ultima residenza”, ovvero del “Comune di residenza in vita”.
P.Q.M.
Nelle considerazioni esposte è il parere della Sezione.
Si dispone che copia della presente deliberazione sia trasmessa, a cura del servizio di supporto della Sezione, al Presidente della Provincia autonoma di Trento.


giovedì 25 agosto 2016







Elezioni (dei membri) del Parlamento europeo (spettanti all’Italia). Rimessa alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale della soglia d sbarramento


Cons. di Stato, V, 23 agosto 2016, n. 3673

E’ rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli articoli 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, della Costituzione la questione di legittimità costituzionale degli artt. 21, primo comma, n. 1-bis) e n. 2) e 22, primo comma della legge 24 gennaio 1979, n. 18 (nel testo introdotto dall’articolo 1 della legge 20 febbraio 2009, n. 10) nella parte in cui prevede: a)che l'Ufficio elettorale nazionale, ricevuti gli estratti dei verbali da tutti gli uffici elettorali circoscrizionali di cui al n. 2) dell’articolo 20 e dopo aver determinato la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista, individua le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi; b) che il riparto dei seggi fra le liste avviene in favore delle sole liste che abbiano superato sul piano nazionale la richiamata soglia di sbarramento del 4 per cento dei voti validamente espressi; c) che l'ufficio elettorale circoscrizionale, ricevute da parte dell'Ufficio elettorale nazionale le comunicazioni di cui al penultimo comma del precedente articolo, proclama eletti i candidati in applicazione delle previsioni di cui al precedente articolo 21 (e quindi, con applicazione della richiamata soglia di sbarramento).

FATTO
IL CONTESTO NORMATIVO NAZIONALE RILEVANTE AI FINI DELLA DECISIONE.
La presente ordinanza di rimessione ha ad oggetto la legittimità costituzionale della normativa vigente relativa all’elezione della delegazione italiana al Parlamento europeo, cioè la legge 24 gennaio 1979, n. 18, così come modificata dalla legge 20 febbraio 2009, n. 10 - “Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia” -, nella parte in cui stabilisce che l’Ufficio elettorale nazionale “individua le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi” (articolo 21, comma 1, n. 1-bis) della legge 24 gennaio 1979, n. 18) e “procede al riparto dei seggi tra le liste di cui al numero 1-bis) in base alla cifra elettorale nazionale di ciascuna lista […]” (articolo 21, comma 1, n. 2 della medesima legge n. 18 del 1979).
Il sistema introdotto dalla legge italiana consegue all’esercizio della facoltà, prevista per gli Stati membri dell’Unione europea nell’Atto di Bruxelles (Allegato alla decisione del Consiglio 76/787/CECA, CEE, Euratom del 20 settembre 1976, nel testo risultante a seguito della decisione del Consiglio 2002/772/CE, Euratom del 25 giugno 2002 e del 23 settembre 2002), di introdurre soglie di sbarramento nella misura massima del cinque per cento all’interno delle rispettive legislazioni nazionali per l’elezione dei membri del Parlamento europeo.
I FATTI ALL’ORIGINE DELLA CONTROVERSIA E I MOTIVI
Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio e iscritto al n. 9609 dell’anno 2014, gli odierni appellanti, premesso di aver rivestito la qualità di candidati per la lista Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale alle elezioni del Parlamento europeo svoltesi il 25 maggio 2014, nonché di elettori, hanno impugnato l’atto di proclamazione dei candidati eletti, non avendo lo stesso assegnato alcun seggio alla propria lista, che pure era riuscita a conseguire a livello nazionale 1.006.513 voti, pari al 3,66 per cento, così ripartiti:
- I circoscrizione Italia nord occidentale: 254.453 (3,19%);
- II circoscrizione Italia nord orientale: 174.770 (3,07%);
- III circoscrizione Italia centrale: 260.792 (4,58%);
- IV circoscrizione Italia meridionale: 238.993 (4,15%);
- V circoscrizione Italia insulare: 75.029 (3,30%).
Gli appellanti hanno lamentato che tale esito fosse gravemente lesivo del loro diritto di elettorato attivo e passivo, invocando a supporto plurime disposizioni costituzionali e previsioni sancite a livello europeo e hanno chiesto al giudice adito l’annullamento del suddetto provvedimento di proclamazione degli eletti ed una nuova ripartizione dei seggi, senza fare applicazione della soglia di sbarramento al quattro per cento prevista dall’articolo 21, comma 1, n. 1-bis della legge n. 18 del 1979, previa rimessione della questione alla Corte costituzionale o alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
All’interno dell’unico motivo contenuto nel ricorso sono stati evidenziati molteplici profili di incostituzionalità, connessi all’assunto per cui la legge elettorale italiana per il Parlamento europeo, introducendo una soglia di sbarramento, lederebbe l’uguaglianza e le libertà del diritto di elettorato attivo e passivo dei cittadini italiani con conseguente distorsione della rappresentanza in sede europea: verrebbe vanificata la preferenza espressa da più di un milione di elettori per la lista Fratelli d’Italia – Alleanza nazionale in occasione delle elezioni del 25 maggio 2014.
Quest’ultima, infatti, in mancanza di detta soglia di sbarramento e stando ai risultati delle elezioni avrebbe ottenuto almeno tre seggi presso il Parlamento europeo ed il vulnus si sarebbe ripetuto anche con l’applicazione del criterio dei resti, registrando una cifra elettorale superiore ai resti delle altre liste che hanno raggiunto il 4 per cento.
Passando all’esame delle singole argomentazioni sviluppate:
- per quanto riguarda l’ordinamento costituzionale italiano, è stata sottolineata la violazione del principio di partecipazione democratica (articoli 1, 2 e 49 della Costituzione), del principio di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione) e del principio fissato dall’articolo 48 della Costituzione, secondo cui “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto”;
- per quanto riguarda l’ordinamento dell’Unione europea, l’accento è stato posto sugli articoli 10 e 11 della Costituzione e sui Trattati, in particolare, l’articolo 9 del Trattato sull’Unione europea, per il quale “La cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale”, e l’articolo 10, comma 3 del medesimo Trattato, che conferisce a chi ne sia titolare “il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione”.
Principi questi ritenuti non compatibili con la facoltà riconosciuta agli Stati membri dall’Atto di Bruxelles di introdurre soglie di sbarramento nelle legislazioni nazionali per l’elezione dei parlamentari europei, alla luce, oltretutto, delle innovazioni apportate dal Trattato di Lisbona entrato in vigore il giorno 1 dicembre 2007.
A sostegno della discriminatorietà delle soglie elettorali, verso cui ha optato il legislatore italiano, è intervenuta una duplice considerazione.
Da un lato, rileverebbe l’assegnazione di seggi parlamentari a stati con popolazioni di modeste dimensioni, tra cui basti citare Malta (416.000 abitanti), Lussemburgo (508.000 abitanti) e Cipro (840.000 abitanti), sulla base di un numero di voti inferiore a quello ottenuto in Italia dalla lista Fratelli d’Italia – Alleanza nazionale.
Dall’altro, rileverebbe il trattamento riservato ad alcune minoranze linguistiche, che hanno una garanzia di elezione con un numero di voti inferiore a quello di liste sotto soglia ai sensi dell’articolo 12, commi 8 e 9 della l. 18 del 1979 (in base alle disposizioni appena richiamate “8. Ciascuna delle liste di candidati eventualmente presentate da partiti o gruppi politici espressi dalla minoranza di lingua francese della Valle d’Aosta, di lingua tedesca della provincia di Bolzano e di lingua slovena del Friuli-Venezia Giulia può collegarsi, agli effetti dell’assegnazione dei seggi prevista dai successivi articoli 21 e 22, con altra lista della stessa circoscrizione presentata da partito o gruppo politico presente in tutte le circoscrizioni con lo stesso contrassegno. 9. A tale scopo, nella dichiarazione di presentazione della lista, deve essere indicata la lista con la quale si intende effettuare il collegamento. Le dichiarazioni di collegamento fra le liste debbono essere reciproche”).
Ai medesimi fini rileverebbe altresì la previsione dell’articolo 22, commi 2 e 3 della medesima legge n. 18 del 1979 (in base alle disposizioni appena richiamate, “2. Quando in una circoscrizione sia costituito un gruppo di liste con le modalità indicate nell’articolo 12, ai fini della assegnazione dei seggi alle singole liste che compongono il gruppo l’ufficio elettorale circoscrizionale provvede a disporre in un’unica graduatoria, secondo le rispettive cifre individuali, i candidati delle liste collegate. Proclama quindi eletti, nei limiti dei posti ai quali il gruppo di liste ha diritto, i candidati che hanno ottenuto le cifre individuali più elevate. 3. Qualora nessuno dei candidati della lista di minoranza linguistica collegata sia compreso nella graduatoria dei posti ai quali il gruppo di liste ha diritto, l’ultimo posto spetta a quel candidato di minoranza linguistica che abbia ottenuto la maggiore cifra individuale, purché non inferiore a 50.000”).
Veniva, altresì, confutata l’obiezione che, proiettando le dinamiche nazionali nel contesto europeo, insisteva sull’esigenza di evitare un’eccessiva frammentazione partitica in nome della governabilità e stabilità.
A tal proposito si è osservato che l’organismo assembleare europeo non è legato da alcun rapporto fiduciario con il potere esecutivo.
Inoltre, all’interno del Parlamento europeo i parlamentari sono suddivisi per gruppi politici e non nazionali. Non a caso, la stessa legge 24 gennaio 1979, n. 18 fa espresso riferimento ai membri spettanti all’Italia e non ai rappresentanti l’Italia.
Una conferma degli spiegati rilievi è stata rintracciata nelle pronunce della Corte costituzionale tedesca, la quale, dapprima, in data 9 novembre 2011, aveva accolto due distinti ricorsi volti a contestare la legittimità costituzionale della clausola di sbarramento del 5 per cento e del sistema delle liste bloccate, che disciplinavano l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti alla Germania, e successivamente, in data 26 febbraio 2014, aveva ribadito l’illegittimità costituzionale della soglia di sbarramento, che il legislatore nazionale aveva reintrodotto nella misura del 3 per cento.
In entrambi i casi, quella Corte ha affermato che la limitazione della rappresentanza violai principi di uguaglianza del voto e della pari opportunità tra i partiti politici.
All’udienza del 27 maggio 2015 il Tribunale amministrativo del Lazio, con ordinanza n. 7613/2015, sospendeva il giudizio “nelle more della decisione della Corte Costituzionale che ha trattenuto in decisione la questione di legittimità costituzionale degli art. 21, comma 1, n. 1 bis) e 2) della legge n. 18 del 1979, nella parte in cui introducono nelle consultazioni del Parlamento Europeo una soglia di sbarramento per le liste che non abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi, analoga a quella sollevata dai ricorrenti in questa sede e rimessa dal Tribunale di Venezia con ordinanza 9 maggio 2014”.
Con sentenza n. 110 del 15 giugno 2015, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la suddetta questione.
Con la sentenza n. 13214/2015 (qui impugnata in appello) il Tribunale amministrativo del Lazio ha, infine, respinto il ricorso e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.
Con il ricorso in appello sono state riproposte le medesime contestazioni avverso la previsione del limite percentuale di cui all’articolo 21, comma 1, n. 1-bis) della legge 24 gennaio 1979, n. 18 necessario per accedere alla ripartizione dei seggi nel Parlamento europeo.
Le contestazioni e gli argomenti in parola sono stati affidati a un unico, complesso motivo di doglianza.
Si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministro dell’Interno e l’Ufficio elettorale nazionale presso la Corte di cassazione i quali hanno concluso nel senso della inammissibilità e/o dell’infondatezza dell’appello.
Si è costituito in giudizio il Movimento politico ‘Forza Italia’, nonché i signori Alberto Cirio, Remo Sernagiotto, Alessandra Mussolini, Barbara Matera e Salvatore Cicu i quali hanno a propria volta concluso nel senso della inammissibilità e/o dell’infondatezza dell’appello.
Si sono costituiti in giudizio i dottori Nicola Caputo e Lorenzo Fontana i quali ha anch’essi concluso nel senso della inammissibilità e/o dell’infondatezza dell’appello.
Si sono poi costituiti in giudizio il NCD (Nuovo Centrodestra), il PD (partito Democratico) e l’U.D.C. (Unione di Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), nonché l’onorevole Lorenzo Cesa i quali hanno anch’essi concluso nel senso della inammissibilità e/o dell’infondatezza dell’appello.
Alla pubblica udienza del 12 maggio 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
ASPETTI GENERALI DELLA QUESTIONE
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da Giorgia Meloni in qualità di candidata all’elezione dei membri del Parlamento europeo tenutasi il 25 maggio 2014, nonché di elettrice nell’ambito della medesima tornata elettorale (e da altri candidati all’elezione dei membri del Parlamento europeo per la lista ‘Fratelli d’Italia – AN’, nonché da altri elettori) avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio con cui è stato respinto il ricorso avverso gli atti di proclamazione degli eletti adottati all’esito della richiamata tornata elettorale (secondo gli appellanti, in particolare, la normativa nazionale che disciplina le elezioni al Parlamento europeo risulterebbe sotto diversi aspetti lesiva del pertinente paradigma normativo eurounitario e costituzionale in particolare laddove fissa una soglia di sbarramento al 4 per cento dei voti validamente espressi).
Il Collegio ritiene che la questione sottoposta al suo giudizio non possa essere risolta se non previa sottoposizione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale (rilevante e non manifestamente infondata) in ordine ad alcune disposizioni primarie rilevanti ai fini della risoluzione della res controversa.
In particolare, per le ragioni che di seguito si esporranno, viene fatto di dubitare, in riferimento agli articoli 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 21, primo comma, numeri 1-bis) e 2), della legge 24 gennaio 1979, n. 18, (‘Elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia’), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 20 febbraio 2009, n. 10 (‘Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia’), nonché del successivo articolo 22, primo comma per la parte in cui prevedono, per l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, una soglia di sbarramento per le liste le quali non abbiano conseguito, sul piano nazionale, almeno il quattro per cento dei voti validamente espressi.
CIRCA LA RILEVANZA E CIRCA I DEDOTTI PROFILI
DI INAMMISSIBILITA’ DELLA QUESTIONE
2. Il Collegio osserva in primo luogo che la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni dinanzi richiamate sub 1 sia rilevante ai fini della definizione del giudizio atteso:
- che gli appellanti hanno allegato (e sul punto non vi è contestazione) che la lista ‘Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale’ ha riportato, all’esito della tornata elettorale per cui è causa, nelle cinque circoscrizioni nazionali, un totale di 1.006.513 voti validi, pari al 3,66 per cento circa dei voti validamente espressi;
- che la lista in questione si è quindi attestata nel suo complesso al di sotto della soglia di sbarramento introdotta dalla legge n. 10 del 2009, in tal modo non conseguendo alcun seggio al Parlamento europeo;
- che tuttavia, in assenza delle previsioni di cui alla richiamata legge n. 10 del 2009 (i.e.: laddove la tornata elettorale si fosse svolta sulla base delle previgenti disposizioni di cui alla l. 18 del 1979), la lista in questione avrebbe ottenuto l’attribuzione – sulla base dei voti conseguiti – di alcuni seggi;
- che in particolare (e alla luce delle deduzioni svolte alle pagine da 17 a 19 dell’atto di appello e che non risultano contestate in atti), laddove si fosse fatta applicazione nel caso di specie del sistema dei quozienti interi e dei più alti resti (e senza applicazione delle soglie di sbarramento della cui legittimità qui si discute), la lista elettorale ‘Fratelli d’Italia – Alleanza nazionale’ si sarebbe vista attribuire tre dei settantatre seggi complessivamente spettanti all’Italia nell’ambito del Parlamento UE;
- che, pertanto, la vicenda per cui è causa non può essere definita indipendentemente dalla risoluzione delle questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di legge la cui applicazione ha in concreto impedito alla lista elettorale ‘Fratelli d’Italia – Alleanza nazionale’ di ottenere l’attribuzione di seggi.
2.1. Sempre per ciò che riguarda la rilevanza della questione di legittimità costituzionale che qui viene in rilievo (nonché per ciò che riguarda gli altri presupposti e condizioni per la proposizione della questione), il Collegio osserva che la Corte costituzionale è stata già investita per due volte dello scrutinio di costituzionalità delle disposizioni di cui qui si discute.
Tuttavia nessuna delle due pronunce (ambedue di inammissibilità) che hanno definito i relativi giudizi sembrano recare preclusioni alla proposizione della questione che qui viene sollevata.
2.1.1. Per quanto riguarda, in primo luogo, il caso deciso con la sentenza (di inammissibilità) della Corte costituzionale n. 271 del 2010, si osserva che il caso in questione risulta oggettivamente diverso da quello che qui viene in rilievo e che le statuizioni rese dalla Corte costituzionale con tale pronuncia non incidono sulla rilevanza della questione che qui viene sollevata.
Si osserva al riguardo:
- che, nell’ambito del giudizio definito con la sentenza n. 271 del 2010, non solo non veniva in rilievo la questione in se della legittimità costituzionale dell’introduzione della soglia di sbarramento di cui alla l. n. 10 del 2009, ma addirittura il presupposto stesso per la sottoposizione alla Corte della questione di legittimità costituzionale del riformulato articolo 21 della l. n. 18 del 1979 era appunto rappresentato dalla ritenuta (e qui non condivisa) manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame per la parte in cui la stessa introduce(va) la più volte richiamata soglia di sbarramento;
- che, nell’ambito del giudizio definito con la sentenza n. 271 del 2010, si faceva invero questione della controversa legittimità costituzionale del richiamato articolo 21 nella parte in cui non consente anche alle liste escluse dalla soglia nazionale di sbarramento di partecipare all'assegnazione dei seggi attribuiti con il meccanismo dei resti (si tratta di una questione evidentemente diversa da quella che qui rileva, la quale involge in radice la legittimità costituzionale dell’introduzione di una soglia di sbarramento in quanto tale).
2.1.2. Per quanto riguarda, poi, il caso deciso con la sentenza (anch’essa di inammissibilità) della Corte costituzionale n. 110 del 2015, si osserva che il caso in questione risulta del pari oggettivamente diverso da quello che qui viene in rilievo e che, parimenti, le statuizioni rese dalla Corte costituzionale con tale pronuncia non incidono sulla rilevanza della questione che qui viene sollevata.
Si osserva al riguardo:
- che la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale (ordinario) di Venezia per difetto di motivazione sulla rilevanza della questione. Al riguardo la Corte costituzionale ha osservato che il mero riferimento operato dal giudice rimettente all’interesse all’accertamento della pienezza del diritto di voto con riguardo alle future consultazioni per l'elezione del Parlamento Europeo, senza alcun’altra specifica indicazione, non può essere considerato motivazione sufficiente né plausibile dell'esistenza dell'interesse ad agire, idonea ai fini dell’ammissibilità dell'azione di legittimità costituzionale. Al riguardo la Corte costituzionale ha sottolineato che le vicende elettorali relative all’elezione dei membri italiani del Parlamento europeo possono (e debbono) essere sottoposte agli ordinari rimedi giurisdizionali (e, segnatamente, quelli previsti dagli articoli 130 e 132 Cod. proc. amm.), nel cui ambito può svolgersi ogni accertamento relativo alla tutela del diritto di voto nonché sollevarsi incidentalmente questione di costituzionalità delle norme che lo disciplinano;
- che il caso definito con la richiamata sentenza n. 110 del 2015 è evidentemente diverso da quello che qui rileva. Nel caso in esame, infatti, non solo la questione è stata sollevata nell’ambito di un giudizio proposto dai candidati direttamente e concretamente lesi dall’applicazione delle disposizioni della cui legittimità si discute; ma – per di più – la questione è stata sollevata nell’ambito di un giudizio ritualmente proposto dinanzi al giudice munito di giurisdizione e piena potestas decidendi in relazione alle posizioni giuridiche e alle pretese che vengono fatte valere.
2.2. Ancora per quanto riguarda la rilevanza ai fini del decidere della richiamata questione di legittimità costituzionale, il Collegio osserva che non può in alcun modo aderirsi alla lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 21 della l. 18 del 1979 proposta dagli appellanti.
Essi suggeriscono un’interpretazione della disposizione da ultimo richiamata secondo cui occorrerebbe comunque ammettere al riparto dei seggi le liste che (al pari di quella espressa dagli appellanti) non abbiano raggiunto la soglia di sbarramento del 4 per cento, ma che abbiano comunque riportato i maggiori resti.
Al riguardo ci si limita ad osservare che la proposta interpretazione collide in modo insanabile con la lettera del più volte richiamato articolo 21, comma 1, n. 2) della l. 18 del 1979 il quale limita in modo testuale ed espresso (e insuscettibile di interpretazioni di sorta) il riparto dei seggi alle sole liste di cui al precedente n. 1-bis) (i.e.: alle sole liste che abbiano superato la più volte richiamata soglia di sbarramento).
Pertanto, l’ipotizzata lettura costituzionalmente orientata della disposizione non può essere condivisa e la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni dinanzi richiamate resta rilevante ai fini del decidere.
2.3. Il Collegio osserva altresì che si può qui prescindere dai motivi di appello rivolti avverso l’ordinanza del primo giudice n. 12581 del 2014 con la quale era stata ordinata l’integrazione del contraddittorio (così come delle eccezioni di inammissibilità e di infondatezza sollevate in relazione a tali motivi).
Al riguardo (e rinviando alla decisione di merito ogni ulteriore statuizione sul punto) ci si limita ad osservare che gli odierni appellanti – i quali avevano contestato già in primo grado la legittimità della richiamata ordinanza – hanno comunque proceduto ad integrare il contraddittorio entro il termine a tal fine fissato del 21 febbraio 2015 (in tal senso la documentazione versata agli atti del primo grado in data 4 marzo 2015).
2.4. Il Collegio osserva poi che si può qui prescindere dai motivi di appello con i quali si è censurato di fatto il comportamento del primo giudice il quale avrebbe impiegato un tempo eccessivo per definire il primo grado del presente giudizio, con conseguente violazione dei principi di concentrazione e celerità che necessariamente devono ispirare il rito elettorale.
Al riguardo (e rinviando anche in tal caso alla decisione di merito ogni ulteriore statuizione sul punto) ci si limita ad osservare che il motivo in questione – di cui è in ogni caso dubbia la stessa ammissibilità – non incide sul merito della res controversa.
2.5. Ancora per ciò che riguarda l’ammissibilità della dedotta questione di legittimità costituzionale, deve escludersi – contrariamente a quanto osservato dal Movimento politico ‘Forza Italia’ che tale questione (e con essa il ricorso in appello) sia inammissibile per carenza del requisito di incidentalità per avere nella sostanza gli appellanti introdotto una c.d. ‘lis ficta’.
Al riguardo ci si limita ad osservare che, pur risultando la dedotta questione di costituzionalità del tutto centrale ai fini della definizione della res controversa, non può tuttavia affermarsi che l’eventuale sentenza di accoglimento della Corte costituzionale sia idonea ad esaurire la tutela richiesta (in tal modo violando il generale divieto del ricorso diretto di costituzionalità).
Si osserva sotto tale aspetto:
- che vi è un’apprezzabile diversità nei petita e nelle causae petendi del ricorso principale (nel cui ambito si fa questione della legittimità dei verbali delle operazioni dell’Ufficio elettorale centrale nazionale e degli atti di proclamazione degli eletti) e del richiesto giudizio di costituzionalità (nel cui ambito si fa questione della conformità a Costituzione della disposizione di legge che ha introdotto una soglia di sbarramento del 4 per cento nell’ambito del procedimento per l’elezione dei membri italiani del Parlamento europeo);
- che, se (per un verso) è vero che per gli appellanti qualificatisi quali cittadini elettori l’eventuale vantaggio connesso all’invocata declaratoria di incostituzionalità si limiterebbe alla sola rimozione delle disposizioni censurate dall’ordinamento, per altro verso è ben diversa la posizione vantata dagli appellanti qualificatisi come candidati alla tornata elettorale per cui è causa. E’ evidente infatti che tali appellanti aspirino a conseguire un’utilità di carattere mediato (la proclamazione quali eletti e il conseguimento del seggio, previa verifica degli ulteriori presupposti e condizioni) che è ulteriore e diversa rispetto a quella – di carattere immediato e diretto - connessa all’invocata rimozione delle disposizioni sospette di incostituzionalità.
2.6. Ancora, non può essere condivisa l’eccezione sollevata dal dottor Nicola Caputo e dal dottor Lorenzo Fontana i quali ipotizzano l’inammissibilità della dedotta questione di legittimità costituzionale per carenza di un interesse concreto ed attuale alla sua proposizione.
I dottori Caputo e Fontana (i quali richiamano le statuizioni rese dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1 del 2014) osservano che le elezioni che si sono svolte in applicazione delle disposizioni della cui legittimità qui si discute rappresenterebbero un ‘fatto concluso’, ragione per cui gli appellanti non potrebbero aspirare – neppure in caso di accoglimento della dedotta questione di legittimità costituzionale - a un diverso esito della medesima consultazione. Il che paleserebbe la carenza di interesse in capo a loro di dedurre la richiamata questione di legittimità costituzionale.
L’eccezione non può essere condivisa: i) sia perché gli appellanti aspirano a un atto di proclamazione degli eletti di diverso contenuto; ii) sia perché gli appellanti che sono cittadini elettori mirano a conseguire l’utilità di esprimere il proprio voto per le elezioni dei membri italiani del Parlamento europeo con modalità pienamente espressive del principio di legittimazione democratica; iii) sia – infine – perché se si accedesse alla tesi prospettata dai dottori Caputo e Fontana si perverrebbe all’effetto (invero paradossale) per cui le disposizioni che regolano i procedimenti elettorali non potrebbero mai costituire oggetto di questione di costituzionalità in via incidentale (e ciò, in quanto una siffatta questione non potrebbe che essere dedotta nella vigenza del mandato dei candidati eletti nella vigenza delle disposizioni della cui legittimità si discute, il che comporterebbe la permanente carenza di un interesse diretto ed attuale a sollevare una siffatta questione).
2.7. Sempre per quanto riguarda l’ammissibilità della dedotta questione di costituzionalità, il Collegio osserva che la sua articolazione non implica la paventata invasione degli spazi decisionali riservati all’interpositio legislatoris, né postula una pronuncia di carattere additivo da parte della Corte costituzionale.
Al riguardo ci si limita ad osservare che, laddove venissero espunte dall’ordinamento le parti della novella del 2010 oggetto di censura, il meccanismo elettorale per le elezioni dei membri spettanti all’Italia del Parlamento europeo tornerebbe ad essere governato dalle disposizioni di cui alla l. n. 18 del 1979 nella sua originaria formulazione (i.e.: da un corpus normativo completo ed autoesecutivo), senza determinare lacune legislative di sorta che abbisognino di un (naturalmente, pur sempre possibile) ulteriore intervento del legislatore.
2.8. Il dottor Lorenzo Fontana ha poi eccepito l’inammissibilità dell’appello per omessa notifica nei propri confronti del ricorso di primo grado.
L’eccezione in questione appare prima facienon fondata in quanto l’integrazione del contraddittorio processuale nei confronti del dottor Fontana (nella sua qualità di candidato eletto per il Parlamento europeo) sembra essere stata correttamente operata dai ricorrenti in primo grado in attuazione dell’ordinanza del Tribunale amministrativo regionale n. 12581/2014 (la quale aveva disposto tale integrazione – anche con il mezzo dei pubblici proclami – in favore “di tutti gli eletti che non risultano essere stati ritualmente chiamati in giudizio con il ricorso introduttivo”).
2.9. Il Nuovo Centrodestra ha eccepito l’inammissibilità dell’appello in quanto gli appellanti si sarebbero inammissibilmente limitati a riproporre i medesimi motivi di diritto già sollevati in primo grado con l’articolazione di censure generiche e lesive del principio di specificità dei motivi di censura.
Il motivo non può essere condiviso in quanto l’esame dei motivi articolati dagli odierni appellanti in entrambi i gradi del giudizio palesa che essi risultino caratterizzati da u sufficiente grado di specificità.
I motivi in questione, pur nella loro linearità, non difettano del requisito della specificità: ed infatti, nell’articolare tali motivi gli odierni appellanti hanno sic et simpliciter lamentato che le elezioni del 2014 per i membri italiani del Parlamento europeo si siano svolte sulla base di una disciplina primaria che sembra viziata sotto numerosi profili di incostituzionalità.
2.10. Neppure può essere condivisa l’eccezione sollevata dal Nuovo Centrodestra secondo cui l’appello in epigrafe sarebbe inammissibile per violazione del divieto di bis in idem, stante la sentenza di questo Consiglio di Stato n. 926 del 2015 che ha dichiarato inammissibile l’appello n. 232/2015 proposto avverso l’ordinanza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 12581 del 2014 che aveva disposto l’integrazione del contraddittorio processuale di primo grado.
Il Collegio si limita ad osservare al riguardo che la richiamata sentenza di questo Consiglio di Stato n. 926 del 2015 non ha definito in modo integrale il giudizio di primo grado, ma ha deciso sulla sola questione relativa alla diretta impugnabilità in giudizio dell’ordinanza con cui il primo giudice aveva disposto l’integrazione del contraddittorio processuale.
CIRCA LA NON MANIFESTA INFONDATEZZA
3. Nel merito, il Collegio ritiene in primo luogo che le disposizioni di cui agli articoli 21, comma primo, n. 1-bis) e 2) (per come risultanti dalla novella di cui alla l. 10 del 2009) e 22, comma primo della l. 18 del 1979 risultino lesivi del generale principio del fondamento democratico delle istituzioni rappresentative (articolo 1, secondo comma della Costituzione), del generale principio di ragionevolezza (tradizionalmente ricondotto all’ambito applicativo dell’articolo 3 della Costituzione), nonché del principio di adeguata rappresentatività del voto di cui all’articolo 48 della Costituzione.
Con la presente ordinanza di rimessione si darà invero per acquisita la conformità della scelta operata dal legislatore del 2010 con il pertinente paradigma disciplinare UE (e, in particolare, con il richiamato ‘Atto di Bruxelles’ del 1976 e successive modifiche).
Il Collegio ritiene quindi che possa essere rinviato al merito l’esame degli argomenti con cui gli appellanti dubitano della stessa conformità del richiamato ‘Atto di Bruxelles’ con i sopravvenuti principi e disposizioni di cui al Trattato di Lisbona (ratificato in Italia con la legge 2 agosto 2008, n. 130).
3.1. Non sfugge al Collegio il consolidato orientamento della Corte costituzionale secondo cui l’articolo 48 della Costituzione sancisce in primo luogo la salvaguardia delle prerogative del voto, non incidendo in modo diretto sulla disciplina dei sistemi elettorali, la quale resta demandata all’interpositio legislatoris e la cui disciplina non può ordinariamente costituire oggetto di scrutinio di costituzionalità, se non in caso di palese irragionevolezza.
Al riguardo il primo giudice ha correttamente richiamato l’orientamento secondo cui la determinazione delle formule e dei sistemi elettorali rappresenta un ambito nel quale si esprime con un massimo grado di evidenza “la politicità della scelta legislativa”, la quale può pertanto essere ritenuta censurabile in sede di giudizio di costituzionalità solo quando risulti manifestamente irragionevole (sul punto –ex multis -_ Corte cost., ord. 260 del 2002).
Il Collegio ritiene tuttavia che le disposizioni censurate comportino una compressione dei principi di piena democraticità e pluralismo del sistema rappresentativo che non rinvengono un’adeguata ratio giustificatrice nel perseguimento di concomitanti finalità di interesse generale e che, quindi, sembrano travalicare i limiti propri del ragionevole esercizio dell’interpositio legislatoris.
3.2. La questione è stata affrontata (e risolta in senso diverso da quello qui proposto) dalla sentenza di questo Consiglio n. 4786/2011.
Qui di seguito si richiameranno le ragioni che avevano indotto questo Consiglio a dichiarare la manifesta infondatezza della questione (in quanto esaustivamente rappresentative delle ragioni a sostegno della legittimità costituzionale delle disposizioni introduttive della richiamata soglia di sbarramento) e, in seguito, le ragioni che inducono invece il Collegio a propendere per l’opposta soluzione.
3.2.1. Con la richiamata decisione del 2011 questo Giudice di appello aveva affermato
- che l’introduzione ad opera della l. 10 del 2009 della più volte richiamata clausola di sbarramento non colliderebbe con le coordinate costituzionali “in quanto persegue la ragionevole finalità di evitare un'eccessiva frammentazione della rappresentanza parlamentare attraverso l'esclusione delle forze politiche che non dimostrino sul campo il possesso di un'adeguata rappresentatività”;
- che il richiamato meccanismo rinviene un puntuale fondamento nella decisione del Consiglio 76/787 CECA/CEE/EURATOM, come modificata dalla decisione 25 giugno 2002 e 23 settembre 2002, 2002/772/CE la quale, appunto, riconosce la possibilità ai Paesi membri di introdurre una soglia minima di sbarramento per l'attribuzione dei seggi, entro il limite del cinque per cento dei suffragi validamente espressi, senza prevedere alcun tipo di correttivo a beneficio delle forze politiche che non la raggiungano;
- che la normativa comunitaria, lungi dal considerare il principio di proporzionalità incompatibile con la fissazione di una clausola di sbarramento, considererebbe l'introduzione del quorum quale correttivo utile onde accrescere la stabilità degli organi elettivi;
- che non condurrebbe ad un diverso esito la sottolineatura dei principi di libertà, pluralismo e rappresentatività democratica sanciti dal Trattati di Nizza e di Lisbona, “posto che detti cardini ordinamentali non toccano in modo specifico la materiale elettorale e, comunque, non ostano ad una scelta normativa tesa a razionalizzare la rappresentanza parlamentare con l'introduzione di un correttivo al principio di proporzionalità teso a scongiurare il rischio di dispersione del voto e di frammentazione delle forze politiche nazionali”;
- che la democraticità e il pluralismo del sistema rappresentativo non sarebbero lesi dalla previsione di quorum elettorali o di limitazioni alla rappresentanza delle forze politiche concorrenti in una competizione elettorale. Ciò, in quanto “il sistema della proporzionalità pura [è] uno dei possibili sistemi utilizzabili dal legislatore, suscettibile di deroga mediante temperamenti alla fedele traduzione in seggi dei consensi che favoriscano la governabilità e la razionalizzazione del consenso”;
- che la scelta di prevedere detta soglia di sbarramento nella misura del 4 per cento non inficerebbe poi l'eguaglianza del diritto di voto di cui è menzione all’articolo 48 della Costituzione e non innescherebbe una disparità di trattamento dei candidati in contrasto con l'articolo 51 della Costituzione. Ciò, in quanto “la differenziazione operata tra i candidati e le liste di appartenenza non è, infatti, frutto di una discriminazione legislativa aprioristica ma rappresenta la conseguenza fisiologica dell'espressione della volontà sovrana degli elettori”;
- che, in definitiva, “la scelta di fissare una soglia di rappresentatività mir[erebbe] al ragionevole scopo di assicurare la presenza in Parlamento europeo di forze politiche che abbiano un ruolo adeguato nel sistema politico nazionale e che, come tali, siano idonee a concorrere in modo adeguato al processo di formazione delle scelte politiche in ambito europeo”.
3.2.1. Ad avviso del Collegio gli argomenti dinanzi richiamati (i quali, si ripete, espongono in modo analitico ed esaustivo le ragioni che militerebbero per la legittimità costituzionale delle rinovellate disposizioni di cui agli articoli 21, comma primo, numeri 1-bis) e 2) e 22, comma primo della l. 18 del 1979) non sono condivisibili.
3.3. E’ vero che il più volte richiamato ‘Atto di Bruxelles’ (nella sua formulazione attuale) sembra legittimare – a talune condizioni – l’introduzione nell’ambito delle leggi elettorali nazionali per le elezioni al Parlamento europeo di soglie di sbarramento, ma ciò non vuol dire che siffatte previsioni siano sempre e comunque legittime, in specie quando risultino compressive dei principi costituzionali in tema di rappresentatività democratica senza che a ciò corrisponda lo scopo di perseguire in modo effettivo valori di pari rilievo.
Si osserva, in particolare, che la richiamata compressione (che comunque viene realizzata da disposizioni che privano larghe fasce dell’elettorato di adeguata rappresentanza – si tratta del ben 6,08 per cento dei voti validamente espressi nella tornata elettorale per cui è causa -) non può dirsi realmente giustificata dall’obiettivo di limitare la frammentazione delle forze politiche e quindi di garantire una maggiore stabilità agli organi elettivi.
E ciò per almeno due ragioni.
3.3.1. In primo luogo – come è stato condivisibilmente osservato dagli appellanti – il predicato obiettivo di garantire la stabilità degli organi elettivi non si attaglia al caso delle elezioni dei rappresentanti nazionali al Parlamento europeo, stante l’assenza di un vincolo propriamente fiduciario che caratterizza i rapporti fra il Parlamento e la Commissione europea.
Ed infatti, nonostante l’evoluzione degli ultimi decenni abbia rafforzato il ruolo del Parlamento europeo nella nomina della Commissione, non può individuarsi fra tali Istituzioni la sussistenza di un vincolo propriamente fiduciario (né il voto di approvazione di cui all’articolo 17 paragrafo 7 del TUE è in alcun modo assimilabile al voto di fiducia tipicamente riscontrabile nell’ambito delle forme di governo parlamentari).
Ne consegue che l’addotta giustificazione appare inconferente e comunque incongrua rispetto alla forma di governo delle Istituzioni europee e perciò che le disposizioni della cui legittimità costituzionale si discute sembrano recare una compressione ingiustificata e la sostanziale esclusione dalla rappresentanza politica di ampie fasce dell’elettorato senza che ciò risulti giustificato – e, in qualche misura, ‘controbilanciato’ - dalla predicata finalità di accrescere per tale via la stabilità degli organi elettivi legati da un vincolo fiduciario all’istituzione parlamentare (la fascia di elettorato coinvolta è pari al 6,08 per cento dei voti espressi nella tornata elettorale del 2014 [per un totale di 1.673.780] e al 13,22 dei voti espressi nella tornata elettorale del 2009 [per un totale di 4.037.31 voti – in tal senso la narrativa della sentenza della Corte costituzionale n. 110 del 2015 -]).
3.3.2. Non è inoltre irrilevante notare che la Corte costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht – BVerfG) ha per ben due volte fra il novembre del 2011 e il febbraio del 2014 dichiarato la contrarietà a Costituzione delle disposizioni nazionali che introducevano una soglia di sbarramento (dapprima nella misura del 5 per cento e successivamente nella più ridotta misura del 3 per cento) per le elezioni al Parlamento europeo.
Il BVerfG ha affermato al riguardo che l’introduzione di una siffatta soglia di sbarramento si pone in contrasto con il generale principio di uguaglianza e rappresenta un ostacolo a un'equa rappresentanza popolare nell’elezione del Parlamento UE (nell’ambito di un sistema che, secondo la stessa Corte costituzionale tedesca, non presenta invero il rischio di un “eccessivo pluralismo”).
Naturalmente, la pronuncia delBVerfG non rappresenta di per sé un indice univoco dell’illegittimità costituzionale nel diritto interno delle disposizioni qui oggetto di censura, ma in ogni caso essa reca importanti e analoghi argomenti in favore della tesi - qui condivisa - secondo cui la compressione del principio di rappresentanza popolare – il quale rinviene nella piena valorizzazione del voto un suo tipico corollario - non può essere ammessa, in Paesi di simile concezione della democrazia rappresentativa e comunque delle Istituzioni europee, se non in presenza di valide ragioni giustificatrici (tale non essendo il perseguimento del preteso obiettivo di stabilità degli organi elettivi in ambito UE).
3.3.3. Vi è una seconda ragione per cui alla compressione dei principi costituzionali in tema di rappresentatività democratica realizzata dalle disposizioni della cui legittimità si discute (disposizioni che introducono una soglia di sbarramento particolarmente elevata) non corrisponde lo scopo di perseguire valori di pari rilievo costituzionale (fra cui quello di perseguire la migliore governabilità in ambito UE).
La ragione in parola può essere agevolmente colta partendo dal dato della diversità in ambito UE dei sistemi elettorali per l’elezione dei membri del Parlamento europeo e dal dato di fatto rappresentato dalla scelta (operata da numerosi Stati membri) di non avvalersi della possibilità da ultimo riconosciuta dalla decisione del Consiglio del 2002 di modifica della precedente decisione del Consiglio 76/787/CECA, CEE, Euratom.
In particolare, sussistendo un panorama normativo comparativamente variegato in ambito UE, la scelta del legislatore nazionale di introdurre una soglia di sbarramento in misura particolarmente elevata (pari al 4 per cento)
- per un verso risulta comprimere in modo immediato e diretto il più volte richiamato principio della piena rappresentatività democratica del voto
- ma per altro verso non consente di raggiungere, nell’ambito nazionale, il predicato obiettivo della migliore governabilità (i.e.: il concomitante obiettivo che solitamente viene richiamato quale ragionevole contraltare dell’integrale affermazione del principio della piena rappresentatività). E ciò in quanto la scelta sul punto operata dal legislatore italiano (per così dire, in senso ‘monadologico’) non risulta comunque idonea a conseguire il richiamato obiettivo, ostandovi le concomitanti legislazioni degli altri stati membri i quali – decidendo di non introdurre una siffatta clausola – finiscono per emulsionare e per rendere inefficace la scelta in tal senso compiuta dal legislatore nazionale.
L’orientamento – che qui non è condiviso – il quale giustifica la richiamata compressione in ragione del conseguimento di una migliore governabilità sembra muovere dal non condivisibile intento di traslare sul piano UE ragioni, principi e metodiche che possono avere una ragione giustificatrice nella scala nazionale e in rapporto alla forma di governo interna, ma che la perdono del tutto se ricondotte sulla scala dell’Unione,che è a ventotto Stati.
4. Non può essere infine condiviso l’argomento del Movimento politico Forza Italia secondo cui sussisterebbe una insanabile contraddizione fra (da un lato) la negazione della centralità del Parlamento UE nell’ambito del procedimento legislativo eurounitario e (dall’altro) la censurata, mancata valorizzazione della volontà dell’elettorato nella sua composizione.
In senso contrario, è nota l’evoluzione dell’ordinamento UE che muove nella sempre maggiore valorizzazione sia del ruolo del Parlamento nel processo normativo UE (in tal senso la generalizzazione della c.d. ‘procedura di codecisione’ che oggi assurge al rango di procedura decisionale ordinaria ai sensi degli articoli 289 294 del TFUE), sia della piena democraticità e legittimazione democratica che deve caratterizzarlo (in tal senso l’articolo 14, paragrafo 2 del TUE, secondo cui il Parlamento UE “il Parlamento europeo è composto di rappresentanti dei cittadini dell'Unione” e secondo cui “La rappresentanza dei cittadini è garantita in modo degressivamente proporzionale, con una soglia minima di sei membri per Stato membro
5. In definitiva, la scelta normativa tradottasi nell’adozione dei più volte richiamati articoli 21 e 22 della l. 18 del 1979 sembra porsi in contrasto
i) con l’articolo 1, comma secondo della Costituzione, per la parte in cui comporta l’introduzione di disposizioni che limitano in modo irragionevole e ingiustificato il presidio di democraticità rappresentato dalla piena valorizzazione del voto;
ii) con l’articolo 3 della Costituzione, per la parte in cui detta scelta normativa comporta un regolamento irragionevole dei diversi interessi e valori che vengono in rilievo, comportando una compressione dei principi di piena democraticità e pluralismo del sistema rappresentativo che non rinviene un’adeguata ratio giustificatrice nel perseguimento di concomitanti finalità di interesse generale.
iii) con l’articolo 48, secondo comma, della Costituzione (e segnatamente con il principio di eguaglianza del voto) per la parte in cui la ridetta scelta normativa finisce per determinare la sostanziale esclusione dalla rappresentanza politica di ampie fasce dell’elettorato senza che ciò risulti giustificato – e, in qualche misura, ‘controbilanciato’ - dalla predicata finalità di accrescere per tale via la stabilità degli organi elettivi legati da un vincolo fiduciario all’istituzione parlamentare.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli articoli 1, secondo comma, 3 e 48 secondo comma della Costituzione la questione di legittimità costituzionale degli articoli 21, primo comma, n. 1-bis) e n. 2) e 22, primo comma della legge 24 gennaio 1979, n. 18 (nel testo introdotto dall’articolo 1 della legge 20 febbraio 2009, n. 10) nella parte in cui prevede;
- - che l'Ufficio elettorale nazionale, ricevuti gli estratti dei verbali da tutti gli uffici elettorali circoscrizionali di cui al n. 2) dell’articolo 20 e dopo aver determinato la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista, individua le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi;
- che il riparto dei seggi fra le liste avviene in favore delle sole liste che abbiano superato sul piano nazionale la richiamata soglia di sbarramento del 4 per cento dei voti validamente espressi;
- che l'ufficio elettorale circoscrizionale, ricevute da parte dell'Ufficio elettorale nazionale le comunicazioni di cui al penultimo comma del precedente articolo, proclama eletti i candidati in applicazione delle previsioni di cui al precedente articolo 21 (e quindi, con applicazione della richiamata soglia di sbarramento).
Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, con gli atti e con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte nell'articolo 23 della legge dell'11 marzo1953, n. 87 (articoli 1 e 2 del regolamento della Corte Costituzionale 16 marzo 1956);
Dispone la sospensione del presente giudizio.
Spese al definitivo.




Domanda di partecipazione a concorso pubblico priva di sottoscrizione

Cons. di Stato, IV, 24 agosto 2016, n. 3685

La ratio del principio che obbliga il concorrente a presentare la domanda di partecipazione al concorso con sottoscrizione in originale non è quella di “punire” una distrazione (che tale è quella di chi dimentica di apporre una sottoscrizione alla domanda di partecipazione compilata), bensì di assicurare l’Amministrazione sulla provenienza dell’atto, e sulla riferibilità della domanda a chi ne appare l’autore (al fine di evitare il progredire di una procedura di selezione concorsuale certamente inutile, laddove la domanda non sia stata effettivamente compilata dall’apparente autore).
La sanzione espulsiva, derivante dall’omessa sottoscrizione in originale della domanda di partecipazione, può essere evitata qualora il concorrente, accortosi dell’errore, con un nuovo atto “riconosca” la riferibilità dell’istanza a se medesimo, prima che l’Amministrazione disponga l’esclusione dal concorso.



FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe impugnata il Tribunale amministrativo regionale della Calabria ha respinto il ricorso proposto dalla odierna appellante signora R.O., teso ad ottenere l’annullamento del provvedimento del Ministero della Giustizia, del 6 ottobre 1998, di esclusione dell’odierna appellante dal concorso a 51 posti di assistente giudiziario.
2. Essa - esclusa dal concorso per non aver sottoscritto la domanda di partecipazione - era insorta, prospettando articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere sostenendo che la mancata sottoscrizione non era prevista nel bando come causa di esclusione della concorrente e che al massimo poteva essere consentita la non ammissione alle prove, ma non l’esclusione.
3. Il Tar, rammentato che l’Amministrazione, costituendosi, aveva fatto presente che era espressamente prevista una riserva di esame dei requisiti previsti nel bando dopo lo svolgimento delle prove scritte, con la conseguenza che non vi era alcun affidamento creato nella originaria ricorrente né alcuna tacita ammissione della medesima al concorso, ha scrutinato il mezzo, respingendolo alla stregua del seguente iter motivo:
a) ha anzitutto richiamato l’art. 6, comma 7, del bando che prevedeva espressamente “non si terrà, altresì, conto delle domande non firmate dal candidato o presentate oltre il termine di cui al secondo comma del presente articolo”, e l ’art. 5 del bando che prevedeva che per difetto dei requisiti prescritti, l’Amministrazione può disporre in ogni momento l’esclusione dal concorso circoscrizionale con provvedimento motivato;
b) ha poi osservato che si era verificata l’ipotesi prevista nella detta disposizione, con la conseguente sussistenza di una causa di esclusione;
c) ha sostenuto che l’alternativa prospettata dalla parte originaria ricorrente tesa a distinguere cause di esclusione da cause di non ammissione non sembrava condivisibile: ciò tanto più che l’effetto non sarebbe stato differente dall’esclusione, in quanto nel primo caso sarebbe stato necessario un provvedimento espresso di esclusione, mentre nel secondo caso la partecipazione della originaria ricorrente al concorso sarebbe stata illegittima del tutto e non sarebbe stato necessario un provvedimento di esclusione espresso (la non ammissione operava fin dall’origine e non necessitava di un provvedimento espresso di esclusione);
d) ha rilevato che comunque, in entrambi i casi l’effetto era rappresentato dalla impossibilità di valutare la originaria ricorrente al fine del concorso in oggetto;
e) quanto alla asserita tacita ammissione della originaria ricorrente al concorso, vi ostava l’espressa previsione contenuta nell’art. 4 del p.d.g. del 21 maggio 1998, in base al quale “tutti i candidati si intendono ammessi alle prove scritte con riserva dell’accertamento (…)di quanto previsto dall’art. 6 del bando circa i termini per la presentazione della domanda e la sottoscrizione della stessa”: pertanto, la pubblica amministrazione si era riservata di valutare la sussistenza dei requisiti per l’esclusione e/o per la non ammissione dei concorrenti all’esito dello svolgimento delle prove scritte;
f) ha conseguentemente concluso che il provvedimento di esclusione era privo dei vizi allegati in quanto la previsione della sottoscrizione costituiva un requisito formale funzionale a diverse finalità: riferibilità della domanda al concorrente; responsabilizzazione sulla serietà della partecipazione; autodichiarazione e responsabilizzazione sulla veridicità dei contenuti della domanda di partecipazione stessa; in definitiva la previsione, della sottoscrizione non costituiva un dato meramente formale e privo di alcuna rilevanza e ne discendeva che la clausola prevista nel bando (tra l’altro non impugnato) non era affetta da illegittimità e appariva sorretta da adeguata ratio giustificativa.
4. L’ originaria parte ricorrente, rimasta soccombente, ha impugnato la detta decisione criticandola sotto ogni angolo prospettico.
Ripercorso il frastagliato contenzioso e l’iter procedimentale – anche sotto il profilo cronologico – ha commentato i passaggi salienti della decisione di primo grado ed ha sostenuto che:
a) il Tar aveva erroneamente ritenuto che il comportamento dell’amministrazione non fosse stato idoneo a determinare alcuna tacita ammissione della originaria ricorrente al concorso, sulla scorta del convincimento per cui non risultava possibile valutare la predetta alla fine del concorso sia nel caso di un provvedimento espresso di esclusione, sia nel caso di una illegittima partecipazione al concorso;
b) al contrario, le due fattispecie risultavano totalmente differenti, proprio in virtù della previsione del bando stesso di concorso (l’art. 6, comma 7, recitava espressamente: “…Non si terrà, altresì, conto delle domande non firmate dal candidato o presentate oltre il termine di cui al secondo comma del presente articolo”, l’art. 5, comma 1, prevedeva la facoltà di esclusione, “in ogni momento”, “per difetto dei requisiti prescritti”);
c) a causa della mancanza della firma, infatti, l’Amministrazione avrebbe dovuto ignorare del tutto la domanda non firmata, e quindi non avrebbe dovuto attribuire alla candidata alcuna possibilità di essere successivamente identificata e di partecipare a qualsiasi segmento della procedura concorsuale, di talché il nominativo della ricorrente non sarebbe neanche dovuto figurare nell’elenco dei candidati in possesso della Commissione in sede di prove scritte, e la candidata non avrebbe potuto partecipare alle stesse, né avrebbe potuto riportare un qualsiasi punteggio, e tanto meno l’idoneità (come invece avvenuto);
d) viceversa, l’esclusione, effettivamente riservata all’Amministrazione in ogni momento della procedura concorsuale, sarebbe stata possibile soltanto in mancanza dei requisiti prescritti, chiaramente elencati all’art. 3 del bando, e fra i quali non rientrava la sottoscrizione della domanda, sottoscrizione che non poteva qualificarsi come “requisito”, riguardando piuttosto la forma della domanda di partecipazione;
e) in ogni caso era riscontrabile una assoluta mancanza di “interesse pubblico della p.a. al ripristino della legalità violata”.
5. Alla camera di consiglio del 21 gennaio 2016, fissata per la delibazione del petitum cautelare, la Sezione con la ordinanza n.208/2016, da intendersi integralmente richiamata e trascritta nel presente elaborato, ha disposto incombenti istruttorii ed ha rinviato la camera di consiglio per la delibazione della istanza di sospensione della esecutività della gravata decisione alla camera di consiglio del 10 marzo 2016.
In particolare, nella detta ordinanza collegiale, è stata onerata l’appellata Amministrazione alla produzione di copia integrale della documentazione prodotta dall’appellante ai fini della partecipazione alla selezione, con particolare riferimento alla copia autentica della domanda di partecipazione al concorso presentata dall’appellante.
6. In data 26 febbraio 2016 il Ministero della Giustizia ha depositato la richiesta documentazione.
7. Alla camera di consiglio del 10 marzo 2016, fissata per la delibazione della domanda di sospensione della provvisoria esecutività dell’impugnata decisione, la Sezione, con l’ordinanza cautelare n. 906/2016 ha accolto il petitum cautelare alla stregua della considerazione per cui “l’appello cautelare non appare sfornito di fumus e rilevato altresì che, sotto il profilo del periculum in mora, appare di maggiore spessore l’interesse prospettato dall’appellante”.
8. In data 18 giugno 2016 l’appellante ha depositato una memoria conclusionale ribadendo le proprie difese.
9. Alla odierna udienza pubblica del 21 luglio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è fondato e va accolto, con conseguente riforma della impugnata sentenza, accoglimento del ricorso di primo grado, ed annullamento degli atti impugnati.
2. Il Collegio conosce e condivide, sotto il profilo generale, l’orientamento giurisprudenziale secondo cui (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 29 giugno 2015, n. 2179) “nei pubblici concorsi la necessità di presentare la domanda di partecipazione con sottoscrizione in originale non è solo frutto di una regola destinata a tutelare la parità tra i concorrenti alla selezione ma è anche coerente, in termini più generali, con il principio di autoresponsabilità atteso che in forza di detto principio, le conseguenze della non conformità della dichiarazione al modello fissato a pena di esclusione dall’Amministrazione ricadono inevitabilmente sul dichiarante; né in questo caso può invocarsi il soccorso istruttorio trattandosi di istituto che può operare solo in presenza di profili di incompletezza o di lacunosità della documentazione sanabili con l’attività, per così dire, di supplenza del responsabile del procedimento, ai sensi dell’art. 6, l. 7 agosto 1990 n. 241”.
Ed è altresì noto che, quale corollario del generale principio surrichiamato, si è affermato che deve quindi ritenersi che la partecipazione ad una procedura selettiva per mezzo di una domanda inoltrata in fotocopia è inficiata da irregolarità radicale e non rimediabile per mezzo del soccorso istruttorio trattandosi di deficit che autorizza a dubitare di trovarsi al cospetto di una dichiarazione di partecipazione ad una procedura selettiva della sua autenticità; in un caso del genere, ammettere la possibilità del soccorso istruttorio significa introdurre surrettiziamente la possibilità di eludere il termine perentorio di presentazione delle domande di partecipazione alla procedura selettiva con conseguenze scongiurabili sotto il profilo della imparzialità e della trasparenza dell’attività amministrativa.
2.1. Ritiene però che detto generale orientamento non sia applicabile al caso di specie, in ragione della singolarità e particolarità della fattispecie concreta.
2.2. La ratio del principio prima enunciato, invero, non è quella di “punire” una distrazione (che tale è quella di chi dimentica di apporre una sottoscrizione alla domanda di partecipazione compilata); la ratio è invece quella di assicurare l’Amministrazione sulla provenienza dell’atto, e sulla riferibilità della domanda a chi ne appare l’autore (al fine di evitare il progredire di una procedura di selezione concorsuale certamente inutile, laddove la domanda non sia stata effettivamente compilata dall’apparente autore).
2.3. Se così è, la sanzione espulsiva ben potrebbe essere evitata laddove il soggetto che presentò la domanda, ad esempio, accortosi dell’errore riposante nella omessa sottoscrizione, con un nuovo atto ne “riconosca” la riferibilità a se medesimo, prima che l’Amministrazione ne disponga l’esclusione dal concorso.
2.3.1 Ammessa la regolarizzazione postuma (su iniziativa dell’autore, prima che l’Amministrazione si determini, e senza che ciò possa costituire un “diritto” dell’istante), è evidente che l’interesse tutelato dal principio de quo, è solo quello di certezza dei rapporti giuridici, e che esula da esso qualsivoglia finalità sanzionatoria.
2.4. Nel caso di specie, sulla scorta della domanda non sottoscritta, l’odierna appellante venne ammessa alle prove, vi partecipò, e pertanto:
a) non v’era alcun dubbio sulla identità della medesima;
b) non v’era alcun dubbio sulla coincidenza tra il soggetto autore della domanda ed il soggetto che partecipò alle prove;
c) non v’era alcun dubbio sulla persistenza della volontà della autrice della domanda di partecipare alle prove.
2.5. In conclusione, tutte le esigenze generali individuate dal Tar (riferibilità della domanda al concorrente; responsabilizzazione sulla serietà della partecipazione; autodichiarazione e responsabilizzazione sulla veridicità dei contenuti della domanda di partecipazione stessa) risultavano pienamente soddisfatte.
2.6. In tale quadro, non assume rilievo preclusivo la disposizione del bando, che all’evidenza “sposta” in avanti i termini del controllo dei requisiti, ma non esclude che ciò potesse avvenire prima, e soprattutto non è direttamente e specificamente riferibile alla fattispecie in esame, per cui il ricorso di primo grado era ammissibile, ed alla stregua delle superiori considerazioni è anche fondato.
3. Conclusivamente, alla stregua delle superiori, assorbenti, precisazioni l’appello va accolto e per l’effetto, in riforma della impugnata decisione, va accolto il ricorso di primo grado con annullamento degli atti impugnati.
3.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 cod. proc. civ., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: cfr. ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).
3.2. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
4. Quanto alle spese processuali del doppio grado, esse devono essere compensate tra tutte le parti ricorrendo le condizioni di legge, tenuto conto della reciproca, parziale soccombenza, e della complessità fattuale e giuridica delle questioni esaminate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui alla motivazione e, per l’effetto, in riforma della impugnata decisione accoglie il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati.
Spese processuali del doppio grado di giudizio compensate tra tutte le parti e contributo unificato che rimane a carico delle parti che lo hanno anticipato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

mercoledì 17 agosto 2016



 

D.M. (Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale) 27 luglio 2016 (G.U. 16 agosto 2016, n. 190), Modalità di rilascio dei passaporti diplomatici e di servizio

 

 

 
                   IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI 
                 E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE 
 
  Visto l'art. 23 della legge 21 novembre 1967, n. 1185, che  prevede
l'emanazione di un  regolamento  per  disciplinare  il  rilascio  dei
passaporti diplomatici e di servizio; 
  Vista la legge  31  marzo  2005,  n.  43,  che  stabilisce  che,  a
decorrere dal 1° gennaio 2006, il passaporto su supporto cartaceo  e'
sostituito dal passaporto elettronico di cui al regolamento  (CE)  n.
2252/2004 del Consiglio; 
  Visto il regolamento del Consiglio dell'Unione europea n.  444/2009
del 28 maggio 2009, che modifica il regolamento  (CE)  2252/2004  del
Consiglio relativo alle norme sulle caratteristiche  di  sicurezza  e
sugli elementi biometrici dei passaporti e dei documenti  di  viaggio
rilasciati dagli Stati membri; 
  Vista la legge 11 agosto 2014, n. 125, recante disciplina  generale
della cooperazione internazionale allo sviluppo; 
  Vista la legge 20 maggio  2016,  n.  76,  recante  regolamentazione
delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle
convivenze; 
  Visto il decreto del Ministro degli affari esteri 29  agosto  2014,
n. 5012/435-bis, che regola il rilascio dei passaporti diplomatici  e
di servizio; 
  Considerata l'opportunita' di aggiornare la disciplina  in  materia
di rilascio dei passaporti diplomatici e di servizio; 
 
                              Decreta: 
 
                               Art. 1 
 
                Ambito di applicazione e definizioni 
 
  1. Il  presente  decreto  disciplina  il  rilascio  dei  passaporti
diplomatici e di servizio, di cui all'art. 23 della legge 21 novembre
1967, n. 1185. 
                               Art. 2 
 
                           Caratteristiche 
 
  1. I passaporti diplomatici e di servizio sono rilasciati, a  norma
del presente decreto, dal  Ministero  degli  affari  esteri  e  della
cooperazione internazionale, di seguito «Ministero». 
  2. I  libretti  dei  passaporti  diplomatico  e  di  servizio  sono
conformi  alle   caratteristiche   fisiche   e   materiali   di   cui
rispettivamente  agli  allegati  1  (passaporto  diplomatico)   e   2
(passaporto di servizio). 
                               Art. 3 
 
                  Validita' temporale e geografica 
 
  1. I passaporti diplomatici e di servizio  sono  rilasciati  per  i
periodi di validita' previsti dal presente decreto. 
  2. La validita' territoriale puo' essere discrezionalmente limitata
a determinati Paesi. 
                               Art. 4 
 
                   Norme generali per il rilascio 
 
  1. Il passaporto diplomatico non puo' essere rilasciato  a  chi  e'
detentore  di  passaporto  di  servizio  o  viceversa.  Nessuno  puo'
detenere  contemporaneamente  piu'  passaporti   diplomatici   o   di
servizio. 
  2. Il rilascio di passaporto diplomatico o di servizio non osta  al
rilascio o alla conservazione del passaporto ordinario. 
  3. Il rilascio dei passaporti diplomatici e di servizio  e'  esente
da spese e tasse. 
                               Art. 5 
 
                       Passaporto diplomatico 
 
  1. Il passaporto diplomatico  e'  rilasciato  al  Presidente  della
Repubblica per la durata del mandato. 
  2.  Il  passaporto  diplomatico  e'  rilasciato   per   la   durata
dell'incarico, se predeterminata, altrimenti per tre anni: 
    a) ai Presidenti e vice Presidenti del Senato della Repubblica  e
della Camera dei deputati; 
    b) al Presidente del Consiglio dei ministri, ai  vice  Presidenti
del Consiglio  dei  ministri,  ai  Ministri,  ai  vice  Ministri,  ai
Sottosegretari di Stato; 
    c) al presidente e ai giudici della Corte costituzionale; 
    d) al Presidente o ai vice Presidenti del Parlamento europeo,  se
di cittadinanza italiana; 
    e) al vice presidente del Consiglio superiore della magistratura; 
    f) al primo presidente della Corte di cassazione; 
    g) ai presidenti delle commissioni affari esteri del Senato della
Repubblica e della Camera dei deputati, nonche' ai  presidenti  delle
commissioni  interparlamentari  permanenti  che  abbiano  particolare
rilevanza nell'ambito delle relazioni internazionali; 
    h) al presidente del Consiglio di Stato; 
    i) al presidente della Corte dei conti; 
    l) al governatore e al direttore generale della Banca d'Italia; 
    m) all'avvocato generale dello Stato; 
    n) ai capi di stato maggiore della Difesa,  dell'Esercito,  della
Marina militare e dell'Aeronautica militare, al  segretario  generale
della Difesa; 
    o) al segretario generale della Presidenza della Repubblica e  al
segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri; 
    p) al capo della Polizia, al comandante  generale  dell'Arma  dei
Carabinieri, al comandante generale della Guardia di finanza; 
    q) al direttore generale del  DIS  e  ai  direttori  dell'AISE  e
dell'AISI; 
    r) al presidente e al direttore generale dell'ICE; 
    s) al direttore e ai vice direttori dell'Agenzia italiana per  la
cooperazione allo sviluppo (AICS). 
  3. Il passaporto diplomatico e' altresi' rilasciato, per la  durata
dell'incarico, se predeterminata, altrimenti per  la  durata  di  sei
anni: 
    a) al personale della carriera diplomatica e della dirigenza  del
Ministero; 
    b) al personale della terza area  funzionale  del  Ministero  che
deve recarsi all'estero in missione  o  e'  destinato  all'estero  ai
sensi dell'art. 34 del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  5
gennaio 1967, n. 18; 
    c) agli addetti militari e agli addetti militari aggiunti  presso
le rappresentanze diplomatiche; 
    d) agli esperti di cui all'art. 168 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, in servizio all'estero; 
    e) ai  titolari  delle  sedi  all'estero  dell'AICS,  accreditati
presso le autorita' dei Paesi in cui prestano servizio; 
    f) a cittadini italiani che ricoprano posizioni apicali in organi
e istituzioni dell'Unione europea e in  organi  delle  organizzazioni
internazionali di cui l'Italia e' membro. 
  4. Se il possesso del passaporto diplomatico  e'  condizione  posta
dalle autorita' del Paese di accreditamento per la notifica ai  sensi
delle Convenzioni di Vienna, esso e' rilasciato anche: 
    a) al  personale  della  prima  e  seconda  area  funzionale  del
Ministero, di cui  all'art.  34  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, destinato all'estero o in  missione
all'estero, per la durata di sei anni; 
    b)  al  personale  di  ruolo   dell'Agenzia   italiana   per   la
cooperazione allo sviluppo e agli esperti di cui all'art.  32,  comma
4, della legge 11 agosto 2014, n. 125, destinato all'estero ai  sensi
dell'art.  17,  comma  8,  della  legge  medesima,  per   la   durata
dell'incarico, se predeterminata, altrimenti per sei anni; 
    c) alle persone di cui al terzo comma dell'art.  31  del  decreto
del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967 n. 18, per  la  durata
dell'incarico, se predeterminata, altrimenti per sei anni. 
  5.  Il  passaporto  diplomatico   e'   mantenuto   dopo   la   fine
dell'incarico e rilasciato con validita' decennale  a  chi  e'  stato
Presidente della Repubblica, Presidente del Senato della  Repubblica,
della Camera dei deputati, del Consiglio dei Ministri o  della  Corte
costituzionale, o Ministro  degli  affari  esteri  o  Ministro  degli
affari esteri e della cooperazione internazionale. 
  6.  Il  Ministro  degli  affari   esteri   e   della   cooperazione
internazionale  puo'  disporre  che  il  passaporto  diplomatico  sia
mantenuto con validita' decennale: 
    a)  al  termine  del  servizio,  ai  funzionari  della   carriera
diplomatica che hanno raggiunto il grado di ministro plenipotenziario
o hanno svolto le funzioni di capo di rappresentanza diplomatica; 
    b) al termine del servizio, ai  dirigenti  di  prima  fascia  del
Ministero. 
                               Art. 6 
 
                       Passaporto di servizio 
 
  1. Il passaporto di servizio  e'  rilasciato,  per  la  durata  del
mandato: 
    a) ai membri del Senato  della  Repubblica  e  della  Camera  dei
deputati; 
    b) ai membri italiani del Parlamento europeo. 
  2. Il passaporto di servizio e' rilasciato per  la  durata  di  sei
anni: 
    a) al  personale  della  prima  e  seconda  area  funzionale  del
Ministero se deve recarsi  all'estero  in  missione  o  e'  destinato
all'estero ai sensi dell' art. 34 del decreto  del  Presidente  della
Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18; 
    b) al personale militare destinato all'estero ai sensi  dell'art.
34 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18,
o in missione all'estero. 
  3.  Il  passaporto  di  servizio  e'  rilasciato  per   la   durata
dell'incarico, se predeterminata, altrimenti per sei anni: 
    a) ai dirigenti dell'AICS; 
    b) al personale di ruolo dell'AICS e agli esperti di cui all'art.
32, comma 4, della legge 11 agosto 2014, n. 125, destinato all'estero
ai sensi dell'art. 17, comma 8, della medesima legge; 
    c) al personale di cui alla lettera b)  e  agli  esperti  di  cui
all'art. 32, comma 4, della legge 11 agosto 2014, n. 125,  che  hanno
optato per il  mantenimento  in  servizio  presso  il  Ministero,  in
occasione di missioni all'estero; 
    d) ai funzionari  internazionali  di  cittadinanza  italiana  che
svolgono   incarichi   direttivi   nell'Unione   europea   e    nelle
organizzazioni internazionali di cui l'Italia e' membro; 
    e) al personale dell'amministrazione dello Stato, delle autorita'
amministrative  indipendenti  e  degli  organi  costituzionali  e  di
rilevanza  costituzionale,  nonche'  agli  insegnanti  e  ai  docenti
universitari, ai magistrati ordinari o amministrativi,  al  personale
della Banca d'Italia e dell'ICE che  devono  recarsi  all'estero  per
servizio. 
  4. Su proposta della rappresentanza  diplomatica  e  previo  parere
favorevole  del  Consiglio  di  amministrazione,  il  passaporto   di
servizio puo' essere rilasciato,  per  la  durata  dell'incarico,  se
predeterminata, altrimenti per sei anni, a: 
    a)  titolari  degli  uffici  consolari  di  seconda  categoria  o
impiegati a contratto di cittadinanza italiana di cui alla parte  II,
titolo VI, del decreto del  Presidente  della  Repubblica  5  gennaio
1967, n. 18,  in  servizio  in  Paesi  nei  quali  le  condizioni  di
sicurezza  siano  precarie  e  il  passaporto  di  servizio  sia  uno
strumento necessario per svolgere le mansioni assegnate; 
    b) al personale estraneo all'amministrazione dello Stato che,  ai
sensi dell'art. 11, comma 1, lettera c), del decreto ministeriale  22
luglio 2015, n. 113, l'AICS invia in Paesi nei quali sia  esposto  ad
eccezionali disagi o a rischi concreti e particolarmente gravi per la
propria incolumita'. 
                               Art. 7 
 
             Coniuge o persona unita civilmente a carico 
 
  1. Il passaporto diplomatico e' rilasciato alle persone coniugate e
non separate oppure unite civilmente  con  funzionari  diplomatici  o
dirigenti del Ministero. 
  2. E' rilasciato  il  medesimo  tipo  di  passaporto  del  titolare
principale ai coniugati e non separati oppure agli  uniti  civilmente
con persone: 
    a) notificate o accreditate ai sensi degli articoli 31 e  34  del
decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18; 
    b) notificate o accreditate ai sensi degli articoli 35, 36  e  37
del Codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo 15
marzo 2010, n. 66; 
    c) appartenenti ai ruoli della scuola e destinate  all'estero  in
base alla parte V del  Testo  unico  delle  disposizioni  legislative
vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine
e grado di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. 
  3. Nei casi  previsti  dal  presente  articolo,  il  passaporto  e'
rilasciato per una durata pari a quella del passaporto  del  titolare
principale.  Il  coniuge  o  persona  unita  civilmente,   anche   di
cittadinanza straniera, deve essere a carico ai sensi  dell'art.  173
del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18. 
                               Art. 8 
 
                           Figli a carico 
 
  1. Nel presente articolo per  «figli»  si  intendono  i  familiari,
diversi dal coniuge e dalla parte dell'unione civile,  a  carico,  ai
sensi degli articoli 170 e  173  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, delle seguenti persone: 
    a) notificate o accreditate ai sensi degli articoli 31 e  34  del
decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18; 
    b) notificate o accreditate ai sensi degli articoli 35, 36  e  37
del Codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo 15
marzo 2010, n. 66; 
    c) appartenenti ai ruoli della scuola e destinate  all'estero  in
base alla parte V del  Testo  unico  delle  disposizioni  legislative
vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine
e grado di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. 
  2. Ai figli minorenni e' rilasciato, con  la  medesima  durata  del
passaporto del titolare principale, il passaporto di servizio  o,  se
richiesto  dalle  autorita'   del   Paese   di   accreditamento   per
l'iscrizione in lista diplomatica, il passaporto diplomatico. 
  3. Ai figli maggiorenni conviventi con il titolare  principale,  e'
rilasciato, con  la  medesima  durata  del  passaporto  del  titolare
principale, il passaporto di servizio o il passaporto diplomatico, se
il possesso di tali documenti e' richiesto dalle autorita' del  Paese
di accreditamento come condizione per il soggiorno. 
  4. Ai figli maggiorenni non conviventi con il titolare  principale,
puo' essere rilasciato il passaporto di servizio o  diplomatico,  con
la durata strettamente necessaria per la visita  presso  il  titolare
principale in sedi indicate  dal  Ministero  come  caratterizzate  da
condizioni di sicurezza precarie. 
                               Art. 9 
 
                 Conviventi di fatto e altri membri 
                      della famiglia anagrafica 
 
  1. Il passaporto diplomatico o di servizio puo' essere  rilasciato,
per una durata non superiore a quella  del  passaporto  del  titolare
principale, a coloro che, al di fuori dei casi di cui agli articoli 7
e 8, compongono da almeno un anno la famiglia anagrafica, ivi inclusi
i conviventi di fatto, delle persone: 
    a) notificate o accreditate ai sensi degli articoli 31 e  34  del
decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18; 
    b) notificate o accreditate ai sensi degli articoli 35, 36  e  37
del Codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo 15
marzo 2010, n. 66; 
    c) appartenenti ai ruoli della scuola e destinate  all'estero  in
base alla parte V del  Testo  unico  delle  disposizioni  legislative
vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine
e grado di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. 
  2. Nei casi previsti  dal  presente  articolo,  il  rilascio  e  il
mantenimento  del   passaporto   sono   subordinati   alle   seguenti
condizioni: 
    a) i familiari di cui al comma 1, per soggiornare legalmente o in
condizioni  di  sicurezza  nella  sede  di  servizio,  devono  essere
iscritti nella lista diplomatica o  del  personale  amministrativo  e
tecnico; 
    b) il possesso  del  passaporto  diplomatico  o  di  servizio  e'
condizione posta dalle autorita' del Paese di accreditamento  per  la
notifica ai sensi delle Convenzioni di Vienna; 
    c) il soggiorno del membro della famiglia nella sede di  servizio
e' effettivo e pari al periodo previsto dall' art. 2 del decreto  del
Presidente della Repubblica 3 luglio 1991, n. 306. 
                               Art. 10 
 
                          Casi eccezionali 
 
  1.  Il  Ministro  degli  affari   esteri   e   della   cooperazione
internazionale puo' disporre, anche in deroga all'art. 4, comma 1, il
rilascio del passaporto diplomatico o di servizio: 
    a) a personalita' italiane che  debbano  recarsi  all'estero,  in
rappresentanza dello Stato,  per  la  cura  di  preminenti  interessi
politici o economici nazionali, per la durata di specifici  incarichi
o per un massimo di tre anni; 
    b) ad altre persone  in  via  eccezionale,  nell'interesse  dello
Stato, per specifici incarichi all'estero, per la durata del  viaggio
o dell'incarico e previa comunicazione alla questura competente; 
    c) nei casi  eccezionali  in  cui  cio'  sia  conforme  agli  usi
internazionali, a persone anche non aventi la cittadinanza  italiana,
per un massimo di tre anni. 
                               Art. 11 
 
                          Incompatibilita' 
 
  1. Il passaporto diplomatico o di servizio  non  e'  rilasciato  ai
soggetti di cui agli articoli da 7 a  9  che  svolgono  in  Italia  o
all'estero  attivita'  professionali,  industriali,   commerciali   o
finanziarie, salvo che, in applicazione di accordi bilaterali o della
normativa   locale,   l'accreditamento   non   sia   condizione   per
l'autorizzazione  a  prestare  attivita'  lavorativa  nel  Paese   di
destinazione. 
                               Art. 12 
 
                    Domanda di rilascio e rinnovo 
 
  1. Per ottenere il passaporto diplomatico o di servizio  o  il  suo
rinnovo il titolare sottoscrive  e  consegna  il  formulario  di  cui
all'allegato 3, insieme con una fotografia  recente  e  copia  di  un
documento  di  riconoscimento  in  corso  di  validita',  o  con  una
fotografia autenticata. 
  2. All'atto della domanda, i richiedenti dichiarano di non trovarsi
nella condizione di incompatibilita' di cui all'art. 11. 
  3. In presenza di figli minori, al formulario di cui al comma 1, il
richiedente allega l'assenso dell'altro genitore, come da allegato  4
o, in mancanza, l'autorizzazione del giudice tutelare. 
  4. La domanda e' trasmessa  al  Ministero  dall'amministrazione  di
appartenenza, fatte salve le seguenti disposizioni: 
    a)  i  dipendenti   del   Ministero   e   le   persone   estranee
all'amministrazione dello Stato presentano la richiesta  direttamente
al Ministero; 
    b) per le persone che prestano servizio presso  un'organizzazione
internazionale, la domanda e' trasmessa dalla rappresentanza italiana
presso l'organizzazione  stessa  o,  in  mancanza  di  questa,  dalla
rappresentanza diplomatica o  dall'ufficio  consolare  del  luogo  di
residenza; 
    c) le persone di cui agli articoli da 7 a 9 presentano la propria
richiesta  con  le  medesime  modalita'  previste  per  il   titolare
principale. 
                               Art. 13 
 
            Uso del passaporto diplomatico o di servizio 
 
  1. Il personale notificato presso uno  Stato  estero  e  munito  di
passaporto diplomatico o di servizio ha l'obbligo di  farne  uso  nel
recarsi o nel risiedere nel predetto Stato. 
  2. L'uso del passaporto diplomatico o di servizio non e' consentito
nell'esercizio di attivita' lavorative diverse da quella per la quale
e' stato rilasciato. 
  3. Le amministrazioni  diverse  dal  Ministero  che  richiedono  il
rilascio di passaporti per i loro dipendenti sono responsabili  della
custodia dei passaporti stessi in vista del loro utilizzo. 
                               Art. 14 
 
                     Restituzione e annullamento 
 
  1. I passaporti diplomatici e di servizio, qualunque sia la residua
validita' di durata  o  scaduti,  sono  restituiti  dal  detentore  e
annullati dall'ufficio che li ha emessi, entro  trenta  giorni  dalla
cessazione  della  posizione  di  stato  o   dell'incarico   che   ne
costituiscono il titolo di rilascio. 
  2. I titolari di passaporto diplomatico  o  di  servizio  informano
senza ritardo il Ministero  del  venir  meno,  anche  determinato  da
provvedimenti  di  autorita'  straniere,  delle  condizioni  per   il
rilascio del passaporto diplomatico o di servizio ai soggetti di  cui
agli articoli da 7 a 9. 
  3. Oltre ai casi di cui all'art. 15, comma  2,  il  Ministero  puo'
disporre il ritiro dei passaporti diplomatici e di servizio per cause
inerenti alla sicurezza dello Stato o per gravi ragioni di servizio. 
                               Art. 15 
 
                    Comunicazioni con le questure 
 
  1. Il Ministero informa il Ministero dell'interno del  rilascio  di
passaporti diplomatici  o  di  servizio,  e  comunica  alle  questure
competenti il rilascio di passaporti  diplomatici  o  di  servizio  a
validita' territoriale limitata, il loro rinnovo o ritiro. 
  2. A seguito delle comunicazioni di rilascio o rinnovo  di  cui  al
comma 1, le questure informano il Ministero qualora si verifichino le
condizioni ostative di cui all'art. 3 della legge 21  novembre  1967,
n. 1185. 
  3. Nelle ipotesi di cui alle lettere d) ed  e)  dell'art.  3  della
legge 21 novembre 1967, n. 1185, le questure ritirano il passaporto e
lo restituiscono prontamente al Ministero. 
                               Art. 16 
 
                  Disposizioni transitorie e finali 
 
  1. I passaporti diplomatici o di servizio rilasciati  anteriormente
all'entrata in vigore del presente decreto rimangono validi fino alla
scadenza. 
  2. I  libretti  emessi  fino  al  23  giugno  2010  possono  essere
rinnovati  fino  alla   scadenza   decennale.   L'ufficio   consolare
territorialmente  competente  puo'  disporre   il   rinnovo,   previa
autorizzazione del Ministero. 
  3. E' abrogato il decreto del Ministro degli affari esteri e  della
cooperazione internazionale 29 agosto 2014, n. 5012/435-bis. 
  4. Il presente decreto entra in vigore il  giorno  successivo  alla
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. 
    Roma, 27 luglio 2016 
 
                                       Il Ministro: Gentiloni Silveri 
                                                           Allegato 1 
 
        Caratteristiche essenziali del passaporto diplomatico 
                    a lettura ottica elettronica 
 
    Il  libretto  di  passaporto   diplomatico   a   lettura   ottica
elettronico presenta le seguenti caratteristiche essenziali: 
A) Supporto fisico. 
    Dimensioni: le dimensioni del passaporto chiuso sono di mm 88x125
con angoli arrotondati secondo quanto previsto dalle norme ICAO. 
    Pagine: i nuovi documenti si compongono  di  48  pagine  oltre  i
risguardi di copertina. L'immagine, i dati di  personalizzazione  del
titolare ed il numero di passaporto sono riportati a pagina 2. 
    Carta: la carta e' bianca filigranata con fibrille luminescenti e
riproduce in chiaroscuro il busto  della  Ninfa  Europa,  particolare
tratto da un affresco di G.B.  Tiepolo,  e  le  leggende  «Repubblica
italiana»  ed  «Europa»  disposte,  rispettivamente,  sopra  e  sotto
l'effigie; fibrille di sicurezza: rosse visibili e fluorescenti,  blu
solo visibili, verdi invisibili e fluorescenti; la carta contiene  un
filo di sicurezza recante su di un  lato  la  microscritta  positiva,
ripetuta con continuita', «Repubblica italiana», e sull'altro lato  i
tre  colori  della  bandiera  verde,  bianco  e  rosso,  ripetuti  ed
intervallati da un tratto privo di colore.  I  tre  colori  risultano
altresi' fluorescenti sotto la lampada di Wood. 
    Stampa: tutte le pagine contengono un fondino a tre colori offset
con motivo ornamentale che reca al centro l'emblema della Repubblica. 
    I colori del fondino sono: giallo, rosa luminescente e grigio che
sfuma nel celeste con effetto di «iride».  Nelle  pagine  interne  e'
rilevabile sotto la lampada di Wood, oltre al fondino  di  sicurezza,
lo stemma della Repubblica italiana ed il numero della pagina. 
    Copertina: la copertina e' rilegata in  similpelle  (poliuretano)
di colore blu e presenta iscrizioni in oro  a  caldo  nella  sequenza
«UNIONE EUROPEA» e «Repubblica italiana»  in  alto  disposte  su  due
righe; stemma della Repubblica al centro; in basso, disposto  su  due
righe, «PASSAPORTO» «DIPLOMATICO» e, centrato in fondo  alla  pagina,
il simbolo del passaporto elettronico. 
    Custodia:  la  custodia   «tipo   bustina»   e'   in   similpelle
(poliuretano) di colore blu e  presenta  un  bordino  dorato  al  cui
interno vi sono le iscrizioni  in  oro  a  caldo  che  riprendono  la
sequenza della copertina. 
    Cucitura: la cucitura del libretto, del tipo  a  «catenella»,  e'
realizzata con filo speciale a tre capi nei colori  verde,  bianco  e
rosso fluorescenti in rosso alla lampada di Wood. 
    Numerazione:   il   numero   del    passaporto    e'    riportato
tipograficamente  con  caratteri  arabi  in  fondo  alla  pagina   1,
nell'apposito  spazio  ad  esso  riservato  sulla  pagina  2   (ICAO)
destinata alla personalizzazione del passaporto  ed  in  perforazione
dalla 3ª alla 48ª pagina. 
    Pellicola (foil olografico): un film trasparente di sicurezza  e'
applicato a caldo a protezione dei dati personali  del  titolare  del
passaporto che vengono  stampati  con  tecnica  digitale.  Tale  film
contiene immagini olografiche trasparenti, e' stampato con inchiostri
speciali e riporta in perforazione il numero di serie del passaporto.
Il foil olografico ha una forma tale da non coprire la numerazione in
caratteri arabi presente sulla pagina ICAO. 
B) Descrizione delle pagine. 
    I testi su tutte le pagine sono stampati con colore blu nelle tre
lingue italiano, francese ed inglese ad  eccezione  della  pagina  
ICAO nelle lingue italiano, inglese e  francese.  Le  singole  pagine
contengono le diciture ed i simboli grafici cosi' descritti dall'alto
verso il basso: 
    Risguardo di sinistra (seconda di copertina): riporta il testo in
francese ed inglese circa le finalita' del passaporto. 
    Pagina n. 1: contiene il logo della Repubblica  ed  il  testo  in
italiano circa le finalita' del passaporto. In fondo alla pagina,  il
numero del passaporto stampato in chiaro a caratteri arabi. 
    Pagina 2 (ICAO): contiene il numero del passaporto e le  seguenti
informazioni: 1. cognome;  2.  nome;  3.  cittadinanza;  4.  data  di
nascita; 5. sesso; 6. luogo di nascita; 7. data di rilascio; 8.  data
di scadenza; 9. autorita'; 10. firma del titolare. 
    Le indicazioni dei  campi  sono  in  testo  trilingue  (italiano,
inglese e francese) stampate in  fase  di  personalizzazione  con  la
stessa tecnica utilizzata per la scrittura  dei  dati  personali.  Lo
spazio inferiore e'  riservato  alla  scrittura  su  due  righe,  con
caratteri OCR B, dei dati destinati alla lettura  ottica  secondo  la
normativa ICAO. Nella pagina e' riservato uno spazio  destinato  alla
stampa  digitale  dell'immagine  del  titolare  del   passaporto.   A
protezione dei dati, dopo la personalizzazione,  viene  applicato  un
film  trasparente  di  sicurezza  con   elementi   olografici   (foil
olografico). 
    Pagina 3: contiene la dicitura «Pagina riservata  all'Autorita'»,
con  testo  nelle  lingue  ufficiali  dell'Unione  europea,   secondo
l'ordine alfabetico abitualmente impiegato nei testi comunitari. 
    Pagina 4: contiene la legenda dei  dati  personali  nelle  lingue
ufficiali   dell'Unione   europea,   secondo   l'ordine    alfabetico
abitualmente impiegato nei testi comunitari. 
    Pagine da 5 a 46: pagine riservate ai visti con la  dicitura,  in
alto al centro: «Visti», «Visas», «Visas». 
    Pagina n. 47: contiene le avvertenze sulla cura  e  conservazione
del passaporto nelle tre lingue (italiano, francese e inglese). 
    Pagina  48:  riproduce  lo  stemma  della  Repubblica   italiana,
contiene le indicazioni relative  all'obbligo  di  restituzione  alla
scadenza e le istruzioni in caso di smarrimento  o  ritrovamento  del
passaporto, in lingua italiana, francese ed inglese. 
    Risguardo di destra (terza di copertina):  riporta  l'indicazione
del  numero  delle  pagine  contenute  nel  libretto,  nelle   lingue
ufficiali   dell'Unione   europea,   secondo   l'ordine    alfabetico
abitualmente impiegato nei testi comunitari. 
    Nel  passaporto  e'  inserito   un   microprocessore   RF/ID   di
prossimita' (chip) nella  copertina  del  passaporto,  conforme  alla
direttiva ISO 14443, alle specifiche ICAO OS/LDS con capacita' minima
di 80Kb e di durata di almeno 10 anni. Nel chip sono memorizzate,  in
formato interoperativo, l'immagine del volto e le  impronte  digitali
del titolare. Nel chip sono  altresi'  memorizzate  le  informazioni,
gia' presenti sul supporto cartaceo, relative  al  passaporto  ed  al
titolare,  nonche'  i  codici  informatici  per  la   protezione   ed
inalterabilita' dei dati e le informazioni  necessarie  per  renderne
possibile  la  lettura  agli  organi  di  controllo.   Gli   elementi
biometrici contenuti nel chip potranno essere utilizzati solo al fine
di verificare l'autenticita' del documento e l'identita' del titolare
attraverso elementi comparativi direttamente  disponibili  quando  la
legge lo prevede. I dati biometrici raccolti ai fini del rilascio del
passaporto non saranno conservati in banche di dati. 
                                                           Allegato 2 
 
Caratteristiche essenziali  del  passaporto  di  servizio  a  lettura
  ottica elettronico, nelle  tipologie  di  passaporto  di  servizio,
  passaporto di servizio - funzionario internazionale e passaporto di
  servizio - corriere diplomatico 
 
    Il libretto di passaporto di  servizio  nelle  tre  tipologie  di
passaporto di servizio a lettura ottica  elettronico;  passaporto  di
servizio - funzionario internazionale a lettura  ottica  elettronico;
passaporto di  servizio  -  corriere  diplomatico  a  lettura  ottica
elettronico appena indicate,  presenta  le  seguenti  caratteristiche
essenziali: 
A) Supporto fisico. 
    Dimensioni: Le  dimensioni  del  passaporto  chiuso  sono  di  mm
88x125, con angoli arrotondati, secondo quanto previsto  dalle  norme
ICAO. 
    Composizione: Il nuovo documento di viaggio mantiene la  versione
del  libretto  a  48  pagine,  oltre  ai  risguardi   di   copertina.
L'immagine, i dati di personalizzazione del titolare ed il numero  di
passaporto in chiaro sono riportati in seconda pagina. 
    Copertina: In materiale speciale,  adatto  alla  laminazione  del
microprocessore contact-less incorporato di tipo RF/ID  in  posizione
protetta, di colore blu recante lo stemma della Repubblica italiana e
iscrizioni in oro a caldo. Sulla copertina sono  altresi'  riportati,
con inchiostro invisibile rilevabile alla luce UV in  colore  giallo,
la stella della Repubblica  italiana  ed  il  logo  costituito  dalla
lettera maiuscola «I» racchiusa da dodici stelline disposte lungo una
circonferenza. 
    Carta: Per i risguardi in II e III di copertina,  carta  speciale
bianca con fibrille visibili nei colori blu  e  rosso  ed  invisibili
fluorescenti alla lampada di Wood nei colori azzurro e rosso. 
    Tutte le pagine interne del passaporto sono in carta filigranata,
di colore bianco con  fibrille  rosse  visibili  e  fluorescenti,  di
colore blu solo visibili e invisibili fluorescenti  in  colore  verde
alla lampada di Wood. La  carta  riproduce  in  filigrana  la  «Ninfa
Europa» e contiene un filo di sicurezza. 
    Stampa: Risguardi: In stampa offset per il fondino di sicurezza a
piu' colori con effetto iride e fluorescenza. In seconda di copertina
sono   riportati   in   lingua   italiana,   francese   ed   inglese,
rispettivamente in alto e in basso, la, denominazione del  passaporto
e l'indicazione del numero della pagine complessive del documento. La
terza di copertina contiene l'indicazione del numero  di  pagine  del
passaporto  nelle  lingue  ufficiali  dell'Unione  europea,   secondo
l'ordine alfabetico abitualmente impiegato nei testi comunitari. 
    Pagine interne: la stampa offset delle  pagine  del  libretto  e'
realizzata a piu' colori, alcuni fusi tra di loro a  formare  effetti
di iride. Nelle pagine interne e' rilevabile,  sotto  la  lampada  di
Wood, oltre alla fondino di sicurezza,  lo  stemma  della  Repubblica
italiana ed il numero della pagina. I testi su tutte le  pagine  sono
stampati con colore  blu  nelle  tre  lingue  italiano,  francese  ed
inglese ad eccezione della pagina    ICAO  nelle  lingue  italiano,
inglese e francese. 
    Numerazione:   il   numero   del    passaporto    e'    riportato
tipograficamente  con  caratteri  arabi  in  fondo  alla  pagina   1,
nell'apposito  spazio  ad  esso  riservato  sulla  pagina  2   (ICAO)
destinata alla personalizzazione del passaporto  ed  in  perforazione
dalla 3ª alla 48ª pagina. 
    Cucitura: La cucitura del libretto, del tipo  a  «catenelle»,  e'
realizzata con filo speciale a tre capi nei colori  verde,  bianco  e
rosso fluorescenti in rosso alla lampada  di  Wood.  Pellicola  (foil
olografico): Un film trasparente di sicurezza e' applicato a caldo  a
protezione dei dati personali del titolare del passaporto che vengono
stampati  con  tecnica  digitale.   Tale   film   contiene   immagini
olografiche  trasparenti,  e'  stampato  con  inchiostri  speciali  e
riporta in perforazione il numero di serie del  passaporto.  Il  foil
olografico ha una  forma  tale  da  non  coprire  la  numerazione  in
caratteri arabi presente sulla pagina ICAO. 
B) Descrizione delle pagine. 
    Le singole pagine contengono le diciture  ed  i  simboli  grafici
cosi' descritti dall'alto verso il basso: 
    Risguardo di sinistra (seconda di copertina): contiene fondino di
sicurezza con effetto iride  e  riporta  le  leggende  relative  alla
denominazione del passaporto. 
    Pagina 1: frontespizio del passaporto  contenente  il  numero  di
registro,  lo  stemma  della  Repubblica,  la   legenda   «Repubblica
italiana» nelle  tre  lingue  italiano,  francese  ed  inglese  e  le
finalita' del documento. 
    In fondo alla pagina, il numero del passaporto stampato in chiaro
a caratteri arabi. 
    Pagina 2 (ICAO): contiene il numero del passaporto e le  seguenti
informazioni: 1. cognome;  2.  nome;  3.  cittadinanza;  4.  data  di
nascita; 5. sesso; 6. luogo di nascita; 7. data di rilascio; 8.  data
di scadenza; 9. autorita'; 10. firma del titolare. 
    Le indicazioni dei  campi  sono  in  testo  trilingue  (italiano,
inglese e francese) stampate in  fase  di  personalizzazione  con  la
stessa tecnica utilizzata per la scrittura  dei  dati  personali.  Lo
spazio inferiore e'  riservato  alla  scrittura  su  due  righe,  con
caratteri OCR B, dei dati destinati alla lettura  ottica  secondo  la
normativa ICAO. Nella pagina e' riservato uno spazio  destinato  alla
stampa  digitale  dell'immagine  del  titolare  del   passaporto.   A
protezione dei dati, dopo la personalizzazione,  vigne  applicato  un
film  trasparente  di  sicurezza  con   elementi   olografici   (foil
olografico). 
    Pagina 3: contiene la dicitura «Pagina riservata  all'Autorita'»,
con  testo  nelle  lingue  ufficiali  dell'Unione  europea,   secondo
l'ordine alfabetico abitualmente impiegato nei testi comunitari. 
    Pagina 4: contiene la legenda dei  dati  personali  nelle  lingue
ufficiali   dell'Unione   europea,   secondo   l'ordine    alfabetico
abitualmente impiegato nei testi comunitari. 
    Da pagina 5 a 46: pagine riservate ai visti con la  dicitura,  in
alto al centro, «Visti», «Visas», «Visas». 
    Pagina 47: contiene le avvertenze sulla cura e conservazione  del
passaporto nelle tre lingue (italiano, francese e inglese). 
    Pagina  48:  riproduce  lo  stemma  della  Repubblica   italiana,
contiene le indicazioni relative  all'obbligo  di  restituzione  alla
scadenza e le istruzioni in caso di smarrimento  o  ritrovamento  del
passaporto, in lingua italiana, francese ed inglese. 
    Risguardo di destra (terza di copertina):  riporta  l'indicazione
del  numero  delle  pagine  contenute  nel  libretto,  nelle   lingue
ufficiali   dell'Unione   europea,   secondo   l'ordine    alfabetico
abitualmente impiegato nei testi comunitari. 
    Nel  passaporto  e'  inserito   un   microprocessore   RF/ID   di
prossimita' (chip) nella  copertina  del  passaporto,  conforme  alla
direttiva ISO 14443, alle specifiche ICAO OS/LDS con capacita' minima
di 80Kb e di durata di almeno 10 armi. Nel chip sono memorizzate,  in
formato interoperativo, l'immagine del volto e le  impronte  digitali
del titolare. Nel chip sono  altresi'  memorizzate  le  informazioni,
gia' presenti sul supporto cartaceo, relative  al  passaporto  ed  al
titolare,  nonche'  i  codici  informatici  per  la   protezione   ed
inalterabilita' dei dati e le informazioni  necessarie  per  renderne
possibile  la  lettura  agli  organi  di  controllo.   Gli   elementi
biometrici contenuti nel chip potranno essere utilizzati solo al fine
di verificare l'autenticita' del documento e l'identita' del titolare
attraverso elementi comparativi direttamente  disponibili  quando  la
legge lo prevede. I dati biometrici raccolti ai fini del rilascio del
passaporto non saranno conservati in banche di dati. 
                                                             Allegato 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico