Il parere del Consiglio di Stato (richiesto dalla Regione Veneto) sugli
obblighi vaccinali
Cons. di Stato, Commissione
Speciale, 26 settembre 2017, n. 2065/2017 (adunanza del 20 settembre 2017, n.
1614/2017), Regione Veneto. Richiesta di parere del Presidente della Regione
Veneto sull’interpretazione degli articoli 3 e 3-bis della legge 31 luglio
2017, n. 119, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 7 giugno
2017, n. 73, in ordine all’applicazione delle sanzioni a carico dei genitori,
dei tutori o comunque delle figure esercenti la potestà parentale dei bambini
che frequentano le scuole d’infanzia o che ricevono servizi educativi per
l’infanzia, ivi inclusi quelli privati non paritari, e con particolare riguardo
alle determinazioni conseguenti alla mancata presentazione della documentazione
che dimostri l’adempimento agli obblighi vaccinali per i minori da zero a
sedici anni di età previsto dalla predetta legge.
Già a decorrere dall’anno scolastico
2017/2018 (in corso), si applica, anche nella Regione Veneto, la norma,
ricavabile dal combinato disposto degli articoli 3, comma 1, e 5, comma 1, del
decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge
31 luglio 2017, n. 119, secondo cui la presentazione della documentazione
attestante l’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale costituisce requisito
di accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia
LA
SEZIONE
Vista la nota dell’8 settembre
2017, con la quale il Presidente della Regione Veneto ha chiesto il parere del
Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il
relatore, consigliere Gabriele Carlotti;
PREMESSO E CONSIDERATO
Sommario: I.) La richiesta di parere (quesito). – II.) La vicenda e il
contesto normativo di riferimento. - II.A) Il decreto-legge n. 73/2017. - II.B)
La circolare congiunta dei Ministeri del 1° settembre 2017. - II.C) Il decreto
n. 111 del 4 settembre 2017 del Direttore generale – Area sanità e sociale –
della Regione Veneto. - II.D) La lettera delle Ministre della salute e
dell’istruzione, dell’università e della ricerca al Presidente della Regione
Veneto del 6 settembre 2017; il decreto n. 114 del 6 settembre 2017 del
Direttore generale – Area sanità e sociale – della Regione Veneto del Direttore
e la lettera del Presidente della Regione Veneto del 7 settembre 2017. - III.)
La funzione consultiva del Consiglio di Stato. - IV.) La risposta al quesito.
I.) La richiesta di parere
(quesito).
1.) Con nota dell’8 settembre 2017
il Presidente della Regione Veneto ha indirizzato alla Seconda Sezione
consultiva di questo Consiglio la richiesta di parere in oggetto.
Il Presidente ha riferito di un
recente contrasto interpretativo, insorto tra la Regione e i Ministeri
della salute e dell’istruzione, dell’università e della ricerca (d’ora in poi:
i Ministeri), in ordine all’applicazione degli articoli 3, comma 3, e 3-bis, comma
5, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73 (Disposizioni urgenti in materia di
prevenzione vaccinale, di malattie infettive e di controversie relative alla somministrazione
di farmaci), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2017, n. 119.
In particolare, il Presidente ritiene che le previsioni sopra richiamate non si
prestino a un’esegesi univoca e che occorra un chiarimento in merito alle conseguenze
della mancata presentazione della documentazione che dimostri l'avvenuto
adempimento agli obblighi vaccinali. Più in dettaglio, il Presidente ha chiesto
a questo Consiglio di precisare, sulla base dell’interpretazione del plesso normativo
sopra richiamato, se già con decorrenza dall'anno scolastico corrente, ossia
dall’anno scolastico 2017/2018, si debba ritenere preclusa la frequenza scolastica
ai minori i cui rappresentanti legali, ancorché tenuti a dimostrare nei modi e
nei tempi stabiliti dalla fonte primaria l’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale,
non abbiano presentato la documentazione occorrente.
Il dubbio ermeneutico oggetto del
quesito poggia sulla considerazione che i Ministeri, con circolare congiunta
del 1° settembre 2017, hanno diramato indicazioni operative per l’attuazione
del citato decreto-legge n. 73/2017 con le quali si è previsto che i minori, i
cui genitori (o tutori o affidatari) non abbiano presentato entro l’11
settembre 2017 la documentazione prescritta, non possano frequentare i servizi
educativi per l'infanzia né le scuole dell'infanzia, pur rimanendo comunque
iscritti, con possibilità di essere nuovamente ammessi ai servizi stessi, una
volta assolto l’obbligo di presentare la ridetta documentazione. In difformità
rispetto a quanto stabilito con la predetta circolare congiunta, nella Regione
Veneto si è disposto, invece, con atto amministrativo a carattere generale (v.
infra), che nell’anno scolastico 2017/2018, ai bambini già iscritti si applichi
un “regime transitorio”, senza preclusione della frequenza fino all’anno
scolastico 2019/2020 anche in mancanza di prova documentale dell’avvenuto
adempimento dell’obbligo vaccinale. Secondo tale ricostruzione, il comma 5
dell’articolo 3-bis prevedrebbe la decadenza dall’iscrizione, quale conseguenza
della mancata presentazione della surricordata documentazione, soltanto a
decorrere dall’anno scolastico 2019/2020.
Sostiene il Presidente della
Regione Veneto che la riferita interpretazione applicativa del combinato
disposto degli articoli 3 e 3-bis del decreto-legge n. 73/2017 sia quella
corretta dal momento che, diversamente opinando, si determinerebbe l’esito
paradossale di impedire la frequenza a bambini già iscritti e considerati tali
(ossia, come iscritti) ai fini dell'erogazione dei servizi e della programmazione
scolastica.
Sulla base di tali argomentazioni
il Presidente della Regione Veneto ha formulato il seguente quesito: “La disposizione di cui al comma 5 dell'art.
3-bis della Legge 31 luglio 2017, n. 119, deve intendersi che la mancata
presentazione della documentazione di cui al comma 3 dello stesso articolo nei
termini previsti comporta la decadenza dall'iscrizione alle scuole
dell'infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, e ai servizi educativi
per l'infanzia e con decorrenza dall'anno scolastico 2019/2020, come previsto
dallo stesso articolo o con decorrenza dall'anno scolastico 2017/2018, come
deducibile dal contenuto del comma 3 dell'art. 3 che dichiara che la
presentazione della documentazione che dimostra il soddisfacimento dell'obbligo
vaccinale di cui al comma 1 dello stesso art. 3 costituisce requisito di
accesso, fino al punto di non consentire la frequenza, agli stessi servizi
educativi per l'infanzia e scuole dell'infanzia?".
La richiesta del Presidente della
Regione Veneto – alla quale è stata allegata una scheda di approfondimento
giuridico, proveniente dall’Avvocatura regionale veneta – si conclude con la
raccomandazione di una celere espressione del parere a tutela delle esigenze di
garanzia della corretta e completa erogazione delle prestazioni scolastiche e
del loro contemperamento con il diritto alla salute, nonché nell’interesse
degli alunni, delle famiglie, degli istituti e degli operatori scolastici, stante
il recente avvio della frequenza presso le scuole dell'infanzia e i servizi educativi
per l'infanzia.
2.) Con il decreto indicato nelle
premesse, il Presidente del Consiglio di Stato, stante la rilevanza del quesito
e la portata generale delle questioni giuridiche sollevate, ha stabilito di
affidare l’esame della richiesta di parere a questa Commissione Speciale, come
consentito dall’articolo 22 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Testo
unico delle leggi sul Consiglio di Stato).
3.) In vista dell’adunanza della
Commissione Speciale, fissata per il giorno 20 settembre 2017, la Ministra della salute e la Ministra dell’istruzione
dell’università e della ricerca hanno fatto pervenire una nota, a firma
congiunta, del 18 settembre 2017, recante in allegato una relazione -
sottoscritta dai rispettivi Capi di Gabinetto - sul tema investito dal quesito.
Nella citata relazione sono stati dedotti argomenti giuridici contrari
all’interpretazione del dettato legislativo, siccome patrocinata dal Presidente
della Regione Veneto. Con la predetta nota le Ministre si sono comunque rimesse
alle valutazioni che, in merito al quesito, saranno espresse da questo
Consiglio, facendo così propria la richiesta di un parere dell’Istituto. 4.)
Nell’adunanza del 20 settembre 2017 la Commissione Speciale
si è riunita e ha deliberato sul quesito, esprimendo il presente parere. Si
anticipa fin d’ora che la risposta al quesito – sorretta dalle motivazioni che
seguono - si rinviene nel susseguente dispositivo.
OMISSIS
IV.) La risposta al quesito.
30.) Muovendo dal quadro di
principi sopra delineato è ora possibile rispondere all’interrogativo,
sollevato dal Presidente della Regione Veneto, interrogativo che, come
chiarito, attiene all’esatta interpretazione di disposizioni di una legge dello
Stato.
Occorre in primo luogo osservare
che la richiesta di parere si sofferma, essenzialmente, sul tema della
frequenza dei servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia, ivi
incluse quelle private non paritarie e, quindi, riguarda il primo periodo del
comma 3 dell’articolo 3 e il primo periodo del comma 5 dell’articolo 3-bis del
decreto-legge n. 73/2017. Difatti i successivi commi 2 di entrambe le
richiamate disposizioni, per gli altri gradi di istruzione e per i centri di
formazione professionale regionale, prevedono, rispettivamente, che la
presentazione della documentazione non costituisca requisito di accesso alla
scuola, al centro o agli esami e che la mancata presentazione della medesima
documentazione nei termini non determini, a decorrere dall’anno scolastico
2019/2020, la decadenza dall’iscrizione né impedisca la partecipazione agli
esami.
La ragione di siffatta disciplina
differenziata riposa sulla considerazione che i rischi di contagio più elevati
si registrano tra i bambini che frequentano, per l’appunto, i servizi educativi
per l’infanzia e le scuole dell’infanzia (anche private non paritarie) o che
comunque frequentino luoghi in cui vi sia la presenza contemporanea di bambini
di più famiglie. Si tratta, pertanto, dei minori compresi nella fascia di età
da 0 a 6 anni.
31.) Riducendo il quesito
all’essenziale, la
Regione Veneto chiede se già a decorrere dall’anno scolastico
2017/2018 (ossia quello da poco iniziato) si applichi la regola, stabilita dal
comma 3 dell’articolo 3 del decreto-legge, secondo cui la mancata presentazione
della documentazione relativa all’adempimento degli obblighi vaccinali preclude
l’accesso alla scuola. Questa è, infatti, la posizione espressa dai Ministeri.
32.) La diversa tesi propugnata
dalla Regione Veneto (v. la scheda proveniente dall’Avvocatura regionale) si
basa invece sulla considerazione che soltanto il comma 5 dell’articolo 3-bis
del medesimo decreto-legge, che si applica a decorrere dall’anno scolastico
2019/2020, configura la mancata presentazione della documentazione come causa
di decadenza dall’iscrizione, sicché – così la conclusione della Regione Veneto
– per l’anno 2017/2018, almeno nei casi in cui l’iscrizione sia avvenuta prima
dell’entrata in vigore della legge n. 119/2017, non sarebbe prevista alcuna
interdizione dell’accesso ai servizi e alle scuole dell’infanzia, anche in
assenza della prova dell’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale.
33.) Tale esegesi del dato
positivo, posta a supporto motivazionale del decreto del Direttore generale n.
111/2017, sarebbe ulteriormente corroborata, ad avviso dell’Avvocatura
regionale veneta, dai seguenti argomenti:
a.) nella Regione Veneto, la DGR (delibera di Giunta
regionale) n. 1935/2016 avrebbe già consentito di conseguire l’obiettivo di
garantire la c.d. “immunità di gregge”, altrimenti detta herd immunity (v.
infra), ossia una copertura vaccinale in misura non inferiore al 95%
(quest’ultima circostanza è, però, contestata dai Ministeri; v. a pag. 3,
penultimo paragrafo, della relazione allegata alla nota del 18 settembre 2017,
ove si afferma che nel Veneto non sarebbe stata raggiunta la herd immunity),
vigendo il divieto di costituire classi per le quale tale soglia percentuale
non sia assicurata;
b.) premesso che nella Regione
Veneto i servizi scolastici all’infanzia sono in larga parte erogati da
strutture private, l’esegesi applicativa sostenuta dai Ministeri condurrebbe a
negative conseguenze, ritenute paradossali, per i genitori di bambini già
iscritti alle scuole dell’infanzia; costoro, infatti, rimarrebbero obbligati
civilmente a pagare le rette delle scuole private (permanendo negli anni
scolastici 2017/2018 e 2018/2019 l’iscrizione ai servizi) pur non potendo far
accedere i propri figli ai servizi educativi offerti dalle stesse scuole.
Inoltre una soluzione del genere condurrebbe anche al blocco delle graduatorie
di accesso.
34.) La Commissione Speciale
ritiene che le perplessità esternate dal Presidente della Regione Veneto non
possano essere condivise. La trama prescrittiva del decreto-legge n. 73/2017 è
chiaramente riconoscibile, intrinsecamente coerente e agevolmente
interpretabile. I dubbi nutriti dalla Regione Veneto originano, apparentemente,
nella mancata considerazione dell’articolo 5 del decreto-legge. Ed invero,
un’esegesi che consideri sinotticamente le tre disposizioni (articolo 3,
articolo 3-bis e articolo 5) consente di cogliere appieno il senso del
complessivo intervento del Legislatore statale.
In sintesi, il plesso normativo
testé richiamato stabilisce tre differenti regimi, rispettivamente, per gli
anni scolastici 2017/2018, 2018/2019 e 2019/2020 (quest’ultimo regime varrà
anche per gli anni scolastici successivi).
Nell’anno scolastico 2017/2018 si
applicano gli articoli 3 e 5 del decreto-legge, sicché vale già nel corrente
anno scolastico il divieto di accesso nel caso di mancata presentazione della
documentazione idonea a comprovare l’adempimento dell’obbligo vaccinale.
L’unica particolarità è che il decreto-legge n. 73/2017 è intervenuto a
procedure di iscrizione già perfezionatesi, sicché si è reso necessario
stabilire uno specifico regime transitorio, regolato dal sunnominato articolo
5, relativo ai termini (differenti da quelli fissati dall’articolo 3, comma 1)
per la presentazione della documentazione sopra richiamata. Nel caso della
mancata prova dell’adempimento dell’obbligo vaccinale, le iscrizioni - già
avvenute – rimarranno pertanto efficaci, ma al minore sarà interdetto l’accesso
ai servizi; a detti servizi il minore potrà essere nuovamente ammesso soltanto
successivamente alla presentazione della documentazione da parte dei soggetti a
ciò tenuti.
Nell’anno scolastico 2018/2019 si
applicherà unicamente l’articolo 3 e, quindi, i genitori (e le figure a questi
equiparate) dovranno produrre la prescritta documentazione all’atto
dell’iscrizione del minore (ossia entro il termine di scadenza dell’iscrizione
o entro il successivo 10 luglio, qualora si opti per l’iniziale presentazione
di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio), fermo restando la regola del
divieto di accesso nell’ipotesi in cui la suddetta documentazione non sia
tempestivamente prodotta.
Infine, nell’anno scolastico
2019/2020 e nei successivi anni scolastici, si applicherà soltanto l’articolo
3-bis, recante il meccanismo semplificato e informatizzato del quale si è dato
sopra conto, con la conseguenza che, qualora dal controllo effettuato sulle
banche di dati delle aziende sanitarie locali risulti l’inadempimento
dell’obbligo vaccinale, si produrrà l’effetto automatico della decadenza
dall’iscrizione dell’alunno e, quindi, a maggior ragione varrà anche il divieto
dell’accesso ai servizi scolastici.
La diversità dei regimi
giuridici, sopra succintamente ricostruiti, spiega dunque la ragione dell’uso,
unicamente nell’articolo 3-bis, del termine “decadenza”. La disciplina recata
da tale articolo non indica dunque alcun termine finale di una pretesa fase
transitoria destinata a durare fino all’anno scolastico 2019/2020, come opinato
dalla Regione Veneto, ma più semplicemente individua la futura regolamentazione
a valere dall’anno scolastico 2019/2020 e per gli anni scolastici successivi.
35.) Non conducono a differenti
conclusioni i due argomenti spesi dall’Avvocatura regionale sopra riferiti. Si
tratta, in realtà, di argomenti che non attengono in senso stretto
all’interpretazione del raccordo normativo tra i predetti articoli; piuttosto
sono diretti contro le scelte compiute dal Legislatore statale e, in
particolare, contro la decisione di percorrere la via della “imposizione” (per
legge) delle vaccinazioni in luogo del “metodo della persuasione”, al quale si
sarebbe conformata l’azione della Regione Veneto.
Nondimeno, fermo restando quello
che sarà il giudizio della Corte costituzionale e tenuto conto di quanto sopra
osservato sulla funzione consultiva del Consiglio di Stato, questa Commissione,
ai fini della risposta al quesito, ben può prendere posizione su detti
argomenti.
36.) In primo luogo la
circostanza che la
Regione Veneto abbia intrapreso un percorso normativo e
amministrativo, basato sul consenso informatico e sull’alleanza terapeutica, in
grado di assicurare il prodursi dell’effetto di “immunità di gregge” (effetto
derivante dal raggiungimento di una soglia critica di soggetti vaccinati tale
da mettere al sicuro anche i bambini che non possano essere vaccinati perché
immunodepressi, affetti da gravi patologie croniche o da tumori) è un elemento
che – ove confermato dai dati epidemiologici ufficiali - certamente va a merito
del Governo regionale. Nondimeno il raggiungimento di tale risultato non
esonera la Regione
Veneto dal rispetto di una legge dello Stato (almeno fino a
quando tale legge non venga abrogata o dichiarata incostituzionale) che si
proponga l’obiettivo di rendere omogenee su tutto il territorio nazionale le
condizioni di sicurezza epidemiologica, anche in termini di copertura
vaccinale. Se lo scopo è l’omogeneità, allora inevitabilmente le previsioni del
decreto-legge n. 73/2017 debbono riguardare la popolazione italiana nella sua
interezza, sia essa stanziata in Regioni virtuose (come afferma di essere la Regione Veneto) o
in altre (v., infra, le considerazioni sulla competenza legislativa dello Stato
e delle Regioni in materia di tutela della salute).
37.) Un profilo di specifico
interesse della Regione Veneto si coglie invece nel secondo argomento. È
certamente ragionevole e comprensibile che il Presidente di una Regione i cui
servizi educativi per l’infanzia siano prevalentemente gestiti da scuole private
si preoccupi delle conseguenze di un provvedimento legislativo che, ove male
interpretato, interferisca sulla gestione dei rapporti tra utenti e istituzioni
scolastiche.
Tale argomento, che colora uno
specifico profilo del diritto all’istruzione, apre, tuttavia, ad alcune
considerazioni di ordine giuridico in ordine alla prevalenza, o no, della
preoccupazione manifestata dalla Regione Veneto rispetto a contrapposti
interessi-valori.
38.) Il tema della copertura
vaccinale nella scuola dell’infanzia presenta, invero, profili di particolare
delicatezza che intercettano plurimi e fondamentali valori costituzionali
quali, tra i principali, il diritto alla salute (articolo 32 della
Costituzione), l’universalità dell’accesso scolastico (articolo 34 della Costituzione)
e il principio autonomistico regionale (articolo 117 della Costituzione).
Ancor prima, tuttavia, il tema
delle vaccinazioni obbligatorie va riguardato attraverso la lente di valori
giuridici che si collocano nei Principi Fondamentali della Carta costituzionale
e, in particolare, nell’articolo 2, là dove è scritto che la Repubblica, oltre a
riconoscere i diritti inviolabili dell’uomo, richiede al contempo l’adempimento
dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economia e sociale, e nell’articolo
3, il cui comma secondo assegna alla Repubblica il compito di rimuovere tutti
“gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà
e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione
politica, economica e sociale del Paese”.
Orbene, ad avviso di questa
Commissione Speciale, le vicende della copertura vaccinale vanno esaminate
proprio sul versante della loro dimensione solidaristica e di fattore primario
di eguaglianza sostanziale.
Ritiene, invero, questa
Commissione Speciale che la previsione della copertura vaccinale sia funzionale
all’adempimento di un generale dovere di solidarietà che pervade e innerva
tutti i rapporti sociali e giuridici. Senza entrare in valutazioni di carattere
epidemiologico che dovrebbe essere riservate agli esperti (e che certamente non
spettano ai giuristi), risulta infatti evidente - sulla base delle acquisizioni
della migliore scienza medica e delle raccomandazioni delle organizzazioni
internazionali - che soltanto la più ampia vaccinazione dei bambini costituisca
misura idonea e proporzionata a garantire la salute di altri bambini e che solo
la vaccinazione permetta di proteggere, proprio grazie al raggiungimento
dell’obiettivo dell’”immunità di gregge”, la salute delle fasce più deboli,
ossia di coloro che, per particolari ragioni di ordine sanitario, non possano
vaccinarsi. Porre ostacoli di qualunque genere alla vaccinazione (la cui “appropriatezza”
sia riconosciuta dalla più accreditata scienza medico-legale e dalle autorità
pubbliche, legislative o amministrative, a ciò deputate) può risolversi in un
pregiudizio per il singolo individuo non vaccinato, ma soprattutto vulnera
immediatamente l’interesse collettivo, giacché rischia di ledere, talora
irreparabilmente, la salute di altri soggetti deboli.
Del resto lo stesso articolo 32
della Costituzione enfatizza la dimensione solidaristica del diritto alla
salute e il tema del possibile conflitto tra diritto individuale e interesse
collettivo nell’ambito delle vaccinazioni obbligatorie è stato approfondito
autorevolmente dalla Corte costituzionale (tra l’altro, nelle sentenze del 22
giugno 1990, n. 307, del 23 giugno 1994, n. 258 e del 18 aprile 1996, n. 118).
Si è infatti affermato (nella sentenza n. 258 del 23 giugno 1994, sopra
menzionata) che: “…la norma del citato
art. 32 Cost. postul[a] il necessario contemperamento del diritto alla salute
del singolo (anche nel suo contenuto negativo di non assoggettabilità a
trattamenti sanitari non richiesti od accettati) con il coesistente e reciproco
diritto di ciascun individuo (sent. n. 218 del 1994) e con la salute della
collettività (sent. n. 307 del 1990); nonché, nel caso in particolare di vaccinazioni
obbligatorie, "con l'interesse del bambino", che esige "tutela
anche nei confronti dei genitori che non adempiono ai compiti inerenti alla
cura del minore" (sent. n. 132 del 1992). Su questa linea si è
ulteriormente precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non
è incompatibile con l'art. 32 Cost.:
a) "se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a
preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare
lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo,
attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la
compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di
ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale (cfr. sent. n. 307 del 1990);
b) se vi sia "la previsione che esso non incida negativamente
sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole
conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di
ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili" (ivi);
c) se nell'ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto
sottoposto al trattamento obbligatorio - ivi compresa la malattia contratta per
contagio causato da vaccinazione profilattica - sia prevista comunque la
corresponsione di una "equa indennità" in favore del danneggiato
(cfr. sent. n. 307 del 1992 cit. e v. … legge n. 210 del 1992). E ciò a
prescindere dalla parallela tutela risarcitoria, la quale "trova
applicazione tutte le volte che le concrete forme di attuazione della legge
impositiva del trattamento o di esecuzione materiale di esso non siano
accompagnate dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle
conoscenze scientifiche e l'arte prescrivono in relazione alla sua natura"
(sulla base dei titoli soggettivi di imputazione e con gli effetti risarcitori
pieni previsti dall'art. 2043 c.c.: sent. n. 307 del 1990 cit.”.
La Costituzione, dunque,
contrariamente a quanto divisato dai sostenitori di alcune interpretazioni
riduzionistiche del diritto alla salute, non riconosce un’incondizionata e
assoluta libertà di non curarsi o di non essere sottoposti trattamenti sanitari
obbligatori (anche in relazione a terapie preventive quali sono i vaccini), per
la semplice ragione che, soprattutto nelle patologie ad alta diffusività, una
cura sbagliata o la decisione individuale di non curarsi può danneggiare la
salute di molti altri esseri umani e, in particolare, la salute dei più deboli,
ossia dei bambini e di chi è già ammalato.
L’articolo 32 – è bene ricordarlo
– recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto
dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli
indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se
non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti
imposti dal rispetto della persona umana.”.
Alla stregua della riferita
disposizione la salute non è solo oggetto di un diritto (variamente declinabile
come diritto alla cura e diritto di non curarsi e comunque ad esprimere un
consenso informato alla cura), ma è anche un interesse della collettività;
sicché, come ricordato dalla Corte costituzionale nella sentenza del 2 giugno
1994, n. 218, la tutela della salute implica anche il "dovere dell'individuo di non ledere né porre
a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del
principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel
reciproco riconoscimento e nell'eguale protezione del coesistente diritto degli
altri”; il tutto nel rispetto del limite della normale tollerabilità
(limite la cui individuazione è rimessa alla discrezionalità del Legislatore
statale; v. infra) delle conseguenze per chi sia soggetto a “determinati” trattamenti sanitari
imposti per legge (e solo per legge, stante la relativa riserva) e sulla base
di un rapporto di proporzionalità con le esigenze di tutela della salute
altrui.
Invero, tali simmetriche
posizioni di diritto e dovere “… dei
singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della
comunità, che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti
sanitari obbligatori, posti in essere anche nell'interesse della persona
stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari. Situazioni di
questo tipo sono evidenti nel caso delle malattie infettive e contagiose …
Salvaguardata in ogni caso la dignità della persona, …, l'art. 32 della
Costituzione prevede un contemperamento del coesistente diritto alla salute di
ciascun individuo; implica inoltre il bilanciamento di tale diritto con il
dovere di tutelare il diritto dei terzi che vengono in necessario contatto con
la persona per attività che comportino un serio rischio, non volontariamente
assunto, di contagio.” (così la succitata sentenza n. 218/1994).
Sulla base del riferito disposto
costituzionale, dunque, la copertura vaccinale può non essere oggetto
dell’interesse di un singolo individuo, ma sicuramente è d’interesse primario
della collettività e la sua obbligatorietà – funzionale all’attuazione del
fondamentale dovere di solidarietà rispetto alla tutela dell’altrui integrità
fisica – può essere imposta ai cittadini dalla legge, con sanzioni
proporzionate e forme di coazione indiretta variamente configurate, fermo
restando il dovere della Repubblica (anch’esso fondato sul dovere di
solidarietà) di indennizzare adeguatamente i pochi soggetti che dovessero
essere danneggiati dalla somministrazione del vaccino (e a ciò provvede la
legge 25 febbraio 1992, n. 210) e di risarcire i medesimi soggetti, qualora il
pregiudizio a costoro cagionato dipenda da colpa dell’amministrazione.
La mancata considerazione di
siffatto dovere di solidarietà rischierebbe, peraltro, di minare alla base
anche l’eguaglianza sostanziale tra i cittadini sulla quale poggia la stessa
democrazia repubblicana, atteso che i bambini costretti a frequentare classi in
cui sia bassa l’immunità di gregge potrebbero essere esposti a pericoli per la
loro salute, rischi ai quali invece non andrebbero incontro bambini appartenenti
a famiglie stanziate in altre parti del territorio nazionale. La
discriminazione tra bambini e bambini, tra cittadini sani e cittadini deboli,
non potrebbe essere più eclatante. Il servizio sanitario e il servizio
scolastico, da chiunque gestiti, debbono quindi garantire alti e omogenei
livelli di copertura vaccinale in tutto il Paese, dal momento che la stessa
ragion d’essere di tali servizi è quella di rendere effettivi, all’insegna del
buon andamento amministrativo e della leale collaborazione tra i vari livelli
di governo, i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione e, tra questi,
in primo luogo il diritto alla vita e alla salute, quali indefettibili
precondizioni per un pieno sviluppo della persona umana, pure in quella
particolare formazione sociale che è la scuola.
39.) Si è sopra riferito che
l’articolo 32 della Costituzione assegna alla Repubblica il compito, da attuare
in via legislativa e amministrativa, di tutelare la salute. Ove letta la
previsione sia letta insieme ad altre disposizioni dello stesso testo
costituzionale, si evince che tale compito è essenzialmente ripartito tra lo
Stato e le Regioni, posto che la “tutela
della salute” rientra nell’elenco di materie che l’articolo 117, terzo
comma, della Costituzione assegna alla potestà legislativa concorrente delle
Regioni, conservando tuttavia allo Stato la fissazione dei principi
fondamentali. Inoltre il medesimo compito di tutela è altresì riconducibile,
per taluni aspetti, alla sola potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi
dello stesso articolo 117, secondo comma, lettere m) e q), allorquando si
tratti di assicurare la “determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” o di disporre in
tema di “profilassi internazionale”.
Orbene, prescindendo in questa
sede dalle competenze esclusive dello Stato in materia di ambiente (di cui
all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione) che pure
interferiscono con quelle in tema di tutela della salute (sotto il profilo
dell’esistenza di diritto a un ambiente salubre), la Commissione ritiene,
sulla base di quanto sopra osservato, che le norme di legge sulle vaccinazioni
obbligatorie (e, comunque, quelle relative all’individuazione di tali
vaccinazioni) siano ascrivibili al novero dei principi fondamentali alla cui
osservanza è tenuta la legislazione regionale concorrente sia, soprattutto,
all’ambito della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni socio-sanitarie
che, per le elementari esigenze di uguaglianza prima ricordate, debbono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale, nel rispetto degli obblighi
internazionali relativi alla profilassi (anch’essi poggianti sulla solidarietà
tra gli Stati e le popolazioni di altri Paesi).
40.) Non confligge con il quadro
appena delineato - e, anzi, lo rafforza - il principio di precauzione applicato
al settore della salute. Non ignora difatti questa Commissione che in talune
argomentazioni giuridiche dirette contro l’obbligo vaccinale ricorra sovente
l’invocazione del suddetto principio. Di esso però è offerta un’interpretazione
secondo la quale, in sintesi, lo Stato dovrebbe astenersi dall’imporre
l’obbligo vaccinale giacché le vaccinazioni implicherebbero un inevitabile
rischio di reazioni avverse o di più gravi pregiudizi dell’integrità fisica dei
soggetti vaccinati; in altri termini, sarebbe assente una condizione di c.d.
“rischio zero”. Ebbene, premesso che a nessuna condotta umana si correla un
“rischio zero”, appare evidente che la riferita concezione del principio di
precauzione impedirebbe in radice qualunque sviluppo delle scienze
medicochirurgiche (e di qualunque altra scienza). Inoltre le tesi, testé
richiamate, tendono travisare il senso e il finalismo del principio di
precauzione la cui dinamica applicativa, lungi dal fondarsi su un pregiudizio
antiscientifico, postula più di qualunque altro principio del diritto una
solida base scientifica.
Il principio di precauzione non
vive, infatti, in una dimensione prevalentemente assiologica (esso cioè non
presuppone una precisa scelta di valori-fine) né opera in un’unica direzione
(segnatamente, in quella dell’interdizione delle decisioni pubbliche
“rischiose”). Al contrario, il principio di precauzione vige in una dimensione
essenzialmente metodologica ed è bidirezionale. Non a caso è stato sostenuto in
dottrina che il principio di precauzione non offra “regole per decidere”, ma
soltanto “regole per procedere”, poiché permette di individuare il percorso di
procedimentalizzazione delle decisioni delle autorità pubbliche in situazioni
di incertezza, consentendo una gestione collettiva del rischio. In altri
termini, il principio di precauzione non obbliga affatto alla scelta del
“rischio zero”, semmai impone al decisore pubblico (legislatore o
amministratore), in contesti determinati, di prediligere, tra le plurime
ipotizzabili, la soluzione che renda possibile il bilanciamento tra la
minimizzazione dei rischi e la massimizzazione dei vantaggi, attraverso l’individuazione,
sulla base di un test di proporzionalità, di una soglia di pericolo
accettabile; la selezione di tale soglia, tuttavia, può compiersi unicamente
sulla base di una conoscenza completa e, soprattutto, accreditata dalla
migliore scienza disponibile. Sicché il principio di precauzione può, talora,
condurre le autorità pubbliche a non agire oppure, in altri casi, può spingerle
ad attivarsi, adottando misure proporzionate al livello di protezione prescelto
(cioè adeguate rispetto alla soglia di pericolo accettabile). Che questa sia
l’interpretazione corretta del principio di precauzione è confermato dalla
giurisprudenza amministrativa nazionale che si è occupata del tema (tra i molti
precedenti, si richiama la sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa
della Regione siciliana 3 settembre 2015, n. 581) e, specialmente, dalla
comunicazione interpretativa della Commissione europea del 2 febbraio 2000 -
COM/2000/01 def. (va ricordato infatti che il principio di precauzione è di
origine internazionale e sovranazionale), nella quale si è chiarito che “(l)'attuazione di una strategia basata sul
principio di precauzione dovrebbe iniziare con una valutazione scientifica,
quanto più possibile completa, identificando, ove possibile, in ciascuna fase
il grado d'incertezza scientifica.”.
41.) La base scientifica del
principio di precauzione rappresenta anche un presidio di garanzia della
ragionevolezza delle scelte pubbliche e rafforza conseguentemente la compliance
delle regole positive (su di esso fondate) che impongano obblighi di
comportamento per i consociati. La consapevolezza, invero, che il decisore
pubblico sia tenuto a seguire una strategia valutativa (di problem solving)
poggiante sulle verificabili e verificate acquisizioni della miglior scienza
del momento (e sul rigore del relativo metodo) concorre ad escludere il
sospetto di arbitrarietà inevitabilmente connesso a ogni epifania
dell’autoritatività, specialmente quando quest’ultima si manifesti sotto forma
di biopotere (ossia di esercizio della politicità, in questo caso
estrinsecantesi in cogenza normativa, nella gestione del corpo umano).
42.) A quello di precauzione si
accompagna poi il principio di prevenzione, atteso che la massima efficacia
della minimizzazione del rischio, nei sensi sopra indicati, si ottiene, in
genere, attraverso un intervento sulle cause della possibile insorgenza del
pericolo. Ebbene, non vi è dubbio che il sistema della vaccinazioni
obbligatorie sia informato anche a questo principio giuridico, complementare a quello
di precauzione e altrettanto rilevante.
43.) Le precedenti considerazioni
portano a concludere che, al cospetto dei profili costituzionali sopra
esaminati, si presentino inconferenti e non assumano rilievo, perché recessivi
rispetto alla tutela della salute pubblica, gli argomenti di natura
“civilistica” volti a valorizzare l’interesse economico dei genitori dei
bambini non vaccinati a non sostenere inutilmente l’onere economico di rette
scolastiche e pure l’interesse a far frequentare ai propri figli un determinato
istituto scolastico privato.
P.Q.M.
In risposta al quesito formulato
dal Presidente della Regione Veneto, si esprime il parere che, in base al
diritto vigente, già a decorrere dall’anno scolastico 2017/2018 (in corso), si
applichi, anche nella Regione Veneto, la norma, ricavabile dal combinato
disposto degli articoli 3, comma 1, e 5, comma 1, del decreto-legge 7 giugno
2017, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2017, n. 119,
secondo cui la presentazione della documentazione attestante l’avvenuto
adempimento dell’obbligo vaccinale costituisce requisito di accesso ai servizi
educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia.