martedì 26 settembre 2017





Il parere del Consiglio di Stato (richiesto dalla Regione Veneto) sugli obblighi vaccinali

Cons. di Stato, Commissione Speciale, 26 settembre 2017, n. 2065/2017 (adunanza del 20 settembre 2017, n. 1614/2017), Regione Veneto. Richiesta di parere del Presidente della Regione Veneto sull’interpretazione degli articoli 3 e 3-bis della legge 31 luglio 2017, n. 119, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, in ordine all’applicazione delle sanzioni a carico dei genitori, dei tutori o comunque delle figure esercenti la potestà parentale dei bambini che frequentano le scuole d’infanzia o che ricevono servizi educativi per l’infanzia, ivi inclusi quelli privati non paritari, e con particolare riguardo alle determinazioni conseguenti alla mancata presentazione della documentazione che dimostri l’adempimento agli obblighi vaccinali per i minori da zero a sedici anni di età previsto dalla predetta legge.


Già a decorrere dall’anno scolastico 2017/2018 (in corso), si applica, anche nella Regione Veneto, la norma, ricavabile dal combinato disposto degli articoli 3, comma 1, e 5, comma 1, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2017, n. 119, secondo cui la presentazione della documentazione attestante l’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale costituisce requisito di accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia



LA SEZIONE


Vista la nota dell’8 settembre 2017, con la quale il Presidente della Regione Veneto ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Gabriele Carlotti;


PREMESSO E CONSIDERATO


Sommario: I.) La richiesta di parere (quesito). – II.) La vicenda e il contesto normativo di riferimento. - II.A) Il decreto-legge n. 73/2017. - II.B) La circolare congiunta dei Ministeri del 1° settembre 2017. - II.C) Il decreto n. 111 del 4 settembre 2017 del Direttore generale – Area sanità e sociale – della Regione Veneto. - II.D) La lettera delle Ministre della salute e dell’istruzione, dell’università e della ricerca al Presidente della Regione Veneto del 6 settembre 2017; il decreto n. 114 del 6 settembre 2017 del Direttore generale – Area sanità e sociale – della Regione Veneto del Direttore e la lettera del Presidente della Regione Veneto del 7 settembre 2017. - III.) La funzione consultiva del Consiglio di Stato. - IV.) La risposta al quesito.


I.) La richiesta di parere (quesito).

1.) Con nota dell’8 settembre 2017 il Presidente della Regione Veneto ha indirizzato alla Seconda Sezione consultiva di questo Consiglio la richiesta di parere in oggetto.

Il Presidente ha riferito di un recente contrasto interpretativo, insorto tra la Regione e i Ministeri della salute e dell’istruzione, dell’università e della ricerca (d’ora in poi: i Ministeri), in ordine all’applicazione degli articoli 3, comma 3, e 3-bis, comma 5, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73 (Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, di malattie infettive e di controversie relative alla somministrazione di farmaci), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2017, n. 119. In particolare, il Presidente ritiene che le previsioni sopra richiamate non si prestino a un’esegesi univoca e che occorra un chiarimento in merito alle conseguenze della mancata presentazione della documentazione che dimostri l'avvenuto adempimento agli obblighi vaccinali. Più in dettaglio, il Presidente ha chiesto a questo Consiglio di precisare, sulla base dell’interpretazione del plesso normativo sopra richiamato, se già con decorrenza dall'anno scolastico corrente, ossia dall’anno scolastico 2017/2018, si debba ritenere preclusa la frequenza scolastica ai minori i cui rappresentanti legali, ancorché tenuti a dimostrare nei modi e nei tempi stabiliti dalla fonte primaria l’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale, non abbiano presentato la documentazione occorrente.

Il dubbio ermeneutico oggetto del quesito poggia sulla considerazione che i Ministeri, con circolare congiunta del 1° settembre 2017, hanno diramato indicazioni operative per l’attuazione del citato decreto-legge n. 73/2017 con le quali si è previsto che i minori, i cui genitori (o tutori o affidatari) non abbiano presentato entro l’11 settembre 2017 la documentazione prescritta, non possano frequentare i servizi educativi per l'infanzia né le scuole dell'infanzia, pur rimanendo comunque iscritti, con possibilità di essere nuovamente ammessi ai servizi stessi, una volta assolto l’obbligo di presentare la ridetta documentazione. In difformità rispetto a quanto stabilito con la predetta circolare congiunta, nella Regione Veneto si è disposto, invece, con atto amministrativo a carattere generale (v. infra), che nell’anno scolastico 2017/2018, ai bambini già iscritti si applichi un “regime transitorio”, senza preclusione della frequenza fino all’anno scolastico 2019/2020 anche in mancanza di prova documentale dell’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale. Secondo tale ricostruzione, il comma 5 dell’articolo 3-bis prevedrebbe la decadenza dall’iscrizione, quale conseguenza della mancata presentazione della surricordata documentazione, soltanto a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020.

Sostiene il Presidente della Regione Veneto che la riferita interpretazione applicativa del combinato disposto degli articoli 3 e 3-bis del decreto-legge n. 73/2017 sia quella corretta dal momento che, diversamente opinando, si determinerebbe l’esito paradossale di impedire la frequenza a bambini già iscritti e considerati tali (ossia, come iscritti) ai fini dell'erogazione dei servizi e della programmazione scolastica.

Sulla base di tali argomentazioni il Presidente della Regione Veneto ha formulato il seguente quesito: “La disposizione di cui al comma 5 dell'art. 3-bis della Legge 31 luglio 2017, n. 119, deve intendersi che la mancata presentazione della documentazione di cui al comma 3 dello stesso articolo nei termini previsti comporta la decadenza dall'iscrizione alle scuole dell'infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, e ai servizi educativi per l'infanzia e con decorrenza dall'anno scolastico 2019/2020, come previsto dallo stesso articolo o con decorrenza dall'anno scolastico 2017/2018, come deducibile dal contenuto del comma 3 dell'art. 3 che dichiara che la presentazione della documentazione che dimostra il soddisfacimento dell'obbligo vaccinale di cui al comma 1 dello stesso art. 3 costituisce requisito di accesso, fino al punto di non consentire la frequenza, agli stessi servizi educativi per l'infanzia e scuole dell'infanzia?".

La richiesta del Presidente della Regione Veneto – alla quale è stata allegata una scheda di approfondimento giuridico, proveniente dall’Avvocatura regionale veneta – si conclude con la raccomandazione di una celere espressione del parere a tutela delle esigenze di garanzia della corretta e completa erogazione delle prestazioni scolastiche e del loro contemperamento con il diritto alla salute, nonché nell’interesse degli alunni, delle famiglie, degli istituti e degli operatori scolastici, stante il recente avvio della frequenza presso le scuole dell'infanzia e i servizi educativi per l'infanzia.


2.) Con il decreto indicato nelle premesse, il Presidente del Consiglio di Stato, stante la rilevanza del quesito e la portata generale delle questioni giuridiche sollevate, ha stabilito di affidare l’esame della richiesta di parere a questa Commissione Speciale, come consentito dall’articolo 22 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato).


3.) In vista dell’adunanza della Commissione Speciale, fissata per il giorno 20 settembre 2017, la Ministra della salute e la Ministra dell’istruzione dell’università e della ricerca hanno fatto pervenire una nota, a firma congiunta, del 18 settembre 2017, recante in allegato una relazione - sottoscritta dai rispettivi Capi di Gabinetto - sul tema investito dal quesito. Nella citata relazione sono stati dedotti argomenti giuridici contrari all’interpretazione del dettato legislativo, siccome patrocinata dal Presidente della Regione Veneto. Con la predetta nota le Ministre si sono comunque rimesse alle valutazioni che, in merito al quesito, saranno espresse da questo Consiglio, facendo così propria la richiesta di un parere dell’Istituto. 4.) Nell’adunanza del 20 settembre 2017 la Commissione Speciale si è riunita e ha deliberato sul quesito, esprimendo il presente parere. Si anticipa fin d’ora che la risposta al quesito – sorretta dalle motivazioni che seguono - si rinviene nel susseguente dispositivo.



OMISSIS


IV.) La risposta al quesito.

30.) Muovendo dal quadro di principi sopra delineato è ora possibile rispondere all’interrogativo, sollevato dal Presidente della Regione Veneto, interrogativo che, come chiarito, attiene all’esatta interpretazione di disposizioni di una legge dello Stato.

Occorre in primo luogo osservare che la richiesta di parere si sofferma, essenzialmente, sul tema della frequenza dei servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie e, quindi, riguarda il primo periodo del comma 3 dell’articolo 3 e il primo periodo del comma 5 dell’articolo 3-bis del decreto-legge n. 73/2017. Difatti i successivi commi 2 di entrambe le richiamate disposizioni, per gli altri gradi di istruzione e per i centri di formazione professionale regionale, prevedono, rispettivamente, che la presentazione della documentazione non costituisca requisito di accesso alla scuola, al centro o agli esami e che la mancata presentazione della medesima documentazione nei termini non determini, a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020, la decadenza dall’iscrizione né impedisca la partecipazione agli esami.

La ragione di siffatta disciplina differenziata riposa sulla considerazione che i rischi di contagio più elevati si registrano tra i bambini che frequentano, per l’appunto, i servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia (anche private non paritarie) o che comunque frequentino luoghi in cui vi sia la presenza contemporanea di bambini di più famiglie. Si tratta, pertanto, dei minori compresi nella fascia di età da 0 a 6 anni.


31.) Riducendo il quesito all’essenziale, la Regione Veneto chiede se già a decorrere dall’anno scolastico 2017/2018 (ossia quello da poco iniziato) si applichi la regola, stabilita dal comma 3 dell’articolo 3 del decreto-legge, secondo cui la mancata presentazione della documentazione relativa all’adempimento degli obblighi vaccinali preclude l’accesso alla scuola. Questa è, infatti, la posizione espressa dai Ministeri.


32.) La diversa tesi propugnata dalla Regione Veneto (v. la scheda proveniente dall’Avvocatura regionale) si basa invece sulla considerazione che soltanto il comma 5 dell’articolo 3-bis del medesimo decreto-legge, che si applica a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020, configura la mancata presentazione della documentazione come causa di decadenza dall’iscrizione, sicché – così la conclusione della Regione Veneto – per l’anno 2017/2018, almeno nei casi in cui l’iscrizione sia avvenuta prima dell’entrata in vigore della legge n. 119/2017, non sarebbe prevista alcuna interdizione dell’accesso ai servizi e alle scuole dell’infanzia, anche in assenza della prova dell’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale.


33.) Tale esegesi del dato positivo, posta a supporto motivazionale del decreto del Direttore generale n. 111/2017, sarebbe ulteriormente corroborata, ad avviso dell’Avvocatura regionale veneta, dai seguenti argomenti:

a.) nella Regione Veneto, la DGR (delibera di Giunta regionale) n. 1935/2016 avrebbe già consentito di conseguire l’obiettivo di garantire la c.d. “immunità di gregge”, altrimenti detta herd immunity (v. infra), ossia una copertura vaccinale in misura non inferiore al 95% (quest’ultima circostanza è, però, contestata dai Ministeri; v. a pag. 3, penultimo paragrafo, della relazione allegata alla nota del 18 settembre 2017, ove si afferma che nel Veneto non sarebbe stata raggiunta la herd immunity), vigendo il divieto di costituire classi per le quale tale soglia percentuale non sia assicurata;

b.) premesso che nella Regione Veneto i servizi scolastici all’infanzia sono in larga parte erogati da strutture private, l’esegesi applicativa sostenuta dai Ministeri condurrebbe a negative conseguenze, ritenute paradossali, per i genitori di bambini già iscritti alle scuole dell’infanzia; costoro, infatti, rimarrebbero obbligati civilmente a pagare le rette delle scuole private (permanendo negli anni scolastici 2017/2018 e 2018/2019 l’iscrizione ai servizi) pur non potendo far accedere i propri figli ai servizi educativi offerti dalle stesse scuole. Inoltre una soluzione del genere condurrebbe anche al blocco delle graduatorie di accesso.


34.) La Commissione Speciale ritiene che le perplessità esternate dal Presidente della Regione Veneto non possano essere condivise. La trama prescrittiva del decreto-legge n. 73/2017 è chiaramente riconoscibile, intrinsecamente coerente e agevolmente interpretabile. I dubbi nutriti dalla Regione Veneto originano, apparentemente, nella mancata considerazione dell’articolo 5 del decreto-legge. Ed invero, un’esegesi che consideri sinotticamente le tre disposizioni (articolo 3, articolo 3-bis e articolo 5) consente di cogliere appieno il senso del complessivo intervento del Legislatore statale.

In sintesi, il plesso normativo testé richiamato stabilisce tre differenti regimi, rispettivamente, per gli anni scolastici 2017/2018, 2018/2019 e 2019/2020 (quest’ultimo regime varrà anche per gli anni scolastici successivi).

Nell’anno scolastico 2017/2018 si applicano gli articoli 3 e 5 del decreto-legge, sicché vale già nel corrente anno scolastico il divieto di accesso nel caso di mancata presentazione della documentazione idonea a comprovare l’adempimento dell’obbligo vaccinale. L’unica particolarità è che il decreto-legge n. 73/2017 è intervenuto a procedure di iscrizione già perfezionatesi, sicché si è reso necessario stabilire uno specifico regime transitorio, regolato dal sunnominato articolo 5, relativo ai termini (differenti da quelli fissati dall’articolo 3, comma 1) per la presentazione della documentazione sopra richiamata. Nel caso della mancata prova dell’adempimento dell’obbligo vaccinale, le iscrizioni - già avvenute – rimarranno pertanto efficaci, ma al minore sarà interdetto l’accesso ai servizi; a detti servizi il minore potrà essere nuovamente ammesso soltanto successivamente alla presentazione della documentazione da parte dei soggetti a ciò tenuti.

Nell’anno scolastico 2018/2019 si applicherà unicamente l’articolo 3 e, quindi, i genitori (e le figure a questi equiparate) dovranno produrre la prescritta documentazione all’atto dell’iscrizione del minore (ossia entro il termine di scadenza dell’iscrizione o entro il successivo 10 luglio, qualora si opti per l’iniziale presentazione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio), fermo restando la regola del divieto di accesso nell’ipotesi in cui la suddetta documentazione non sia tempestivamente prodotta.

Infine, nell’anno scolastico 2019/2020 e nei successivi anni scolastici, si applicherà soltanto l’articolo 3-bis, recante il meccanismo semplificato e informatizzato del quale si è dato sopra conto, con la conseguenza che, qualora dal controllo effettuato sulle banche di dati delle aziende sanitarie locali risulti l’inadempimento dell’obbligo vaccinale, si produrrà l’effetto automatico della decadenza dall’iscrizione dell’alunno e, quindi, a maggior ragione varrà anche il divieto dell’accesso ai servizi scolastici.

La diversità dei regimi giuridici, sopra succintamente ricostruiti, spiega dunque la ragione dell’uso, unicamente nell’articolo 3-bis, del termine “decadenza”. La disciplina recata da tale articolo non indica dunque alcun termine finale di una pretesa fase transitoria destinata a durare fino all’anno scolastico 2019/2020, come opinato dalla Regione Veneto, ma più semplicemente individua la futura regolamentazione a valere dall’anno scolastico 2019/2020 e per gli anni scolastici successivi.


35.) Non conducono a differenti conclusioni i due argomenti spesi dall’Avvocatura regionale sopra riferiti. Si tratta, in realtà, di argomenti che non attengono in senso stretto all’interpretazione del raccordo normativo tra i predetti articoli; piuttosto sono diretti contro le scelte compiute dal Legislatore statale e, in particolare, contro la decisione di percorrere la via della “imposizione” (per legge) delle vaccinazioni in luogo del “metodo della persuasione”, al quale si sarebbe conformata l’azione della Regione Veneto.

Nondimeno, fermo restando quello che sarà il giudizio della Corte costituzionale e tenuto conto di quanto sopra osservato sulla funzione consultiva del Consiglio di Stato, questa Commissione, ai fini della risposta al quesito, ben può prendere posizione su detti argomenti.


36.) In primo luogo la circostanza che la Regione Veneto abbia intrapreso un percorso normativo e amministrativo, basato sul consenso informatico e sull’alleanza terapeutica, in grado di assicurare il prodursi dell’effetto di “immunità di gregge” (effetto derivante dal raggiungimento di una soglia critica di soggetti vaccinati tale da mettere al sicuro anche i bambini che non possano essere vaccinati perché immunodepressi, affetti da gravi patologie croniche o da tumori) è un elemento che – ove confermato dai dati epidemiologici ufficiali - certamente va a merito del Governo regionale. Nondimeno il raggiungimento di tale risultato non esonera la Regione Veneto dal rispetto di una legge dello Stato (almeno fino a quando tale legge non venga abrogata o dichiarata incostituzionale) che si proponga l’obiettivo di rendere omogenee su tutto il territorio nazionale le condizioni di sicurezza epidemiologica, anche in termini di copertura vaccinale. Se lo scopo è l’omogeneità, allora inevitabilmente le previsioni del decreto-legge n. 73/2017 debbono riguardare la popolazione italiana nella sua interezza, sia essa stanziata in Regioni virtuose (come afferma di essere la Regione Veneto) o in altre (v., infra, le considerazioni sulla competenza legislativa dello Stato e delle Regioni in materia di tutela della salute).


37.) Un profilo di specifico interesse della Regione Veneto si coglie invece nel secondo argomento. È certamente ragionevole e comprensibile che il Presidente di una Regione i cui servizi educativi per l’infanzia siano prevalentemente gestiti da scuole private si preoccupi delle conseguenze di un provvedimento legislativo che, ove male interpretato, interferisca sulla gestione dei rapporti tra utenti e istituzioni scolastiche.

Tale argomento, che colora uno specifico profilo del diritto all’istruzione, apre, tuttavia, ad alcune considerazioni di ordine giuridico in ordine alla prevalenza, o no, della preoccupazione manifestata dalla Regione Veneto rispetto a contrapposti interessi-valori.


38.) Il tema della copertura vaccinale nella scuola dell’infanzia presenta, invero, profili di particolare delicatezza che intercettano plurimi e fondamentali valori costituzionali quali, tra i principali, il diritto alla salute (articolo 32 della Costituzione), l’universalità dell’accesso scolastico (articolo 34 della Costituzione) e il principio autonomistico regionale (articolo 117 della Costituzione).

Ancor prima, tuttavia, il tema delle vaccinazioni obbligatorie va riguardato attraverso la lente di valori giuridici che si collocano nei Principi Fondamentali della Carta costituzionale e, in particolare, nell’articolo 2, là dove è scritto che la Repubblica, oltre a riconoscere i diritti inviolabili dell’uomo, richiede al contempo l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economia e sociale, e nell’articolo 3, il cui comma secondo assegna alla Repubblica il compito di rimuovere tutti “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Orbene, ad avviso di questa Commissione Speciale, le vicende della copertura vaccinale vanno esaminate proprio sul versante della loro dimensione solidaristica e di fattore primario di eguaglianza sostanziale.

Ritiene, invero, questa Commissione Speciale che la previsione della copertura vaccinale sia funzionale all’adempimento di un generale dovere di solidarietà che pervade e innerva tutti i rapporti sociali e giuridici. Senza entrare in valutazioni di carattere epidemiologico che dovrebbe essere riservate agli esperti (e che certamente non spettano ai giuristi), risulta infatti evidente - sulla base delle acquisizioni della migliore scienza medica e delle raccomandazioni delle organizzazioni internazionali - che soltanto la più ampia vaccinazione dei bambini costituisca misura idonea e proporzionata a garantire la salute di altri bambini e che solo la vaccinazione permetta di proteggere, proprio grazie al raggiungimento dell’obiettivo dell’”immunità di gregge”, la salute delle fasce più deboli, ossia di coloro che, per particolari ragioni di ordine sanitario, non possano vaccinarsi. Porre ostacoli di qualunque genere alla vaccinazione (la cui “appropriatezza” sia riconosciuta dalla più accreditata scienza medico-legale e dalle autorità pubbliche, legislative o amministrative, a ciò deputate) può risolversi in un pregiudizio per il singolo individuo non vaccinato, ma soprattutto vulnera immediatamente l’interesse collettivo, giacché rischia di ledere, talora irreparabilmente, la salute di altri soggetti deboli.

Del resto lo stesso articolo 32 della Costituzione enfatizza la dimensione solidaristica del diritto alla salute e il tema del possibile conflitto tra diritto individuale e interesse collettivo nell’ambito delle vaccinazioni obbligatorie è stato approfondito autorevolmente dalla Corte costituzionale (tra l’altro, nelle sentenze del 22 giugno 1990, n. 307, del 23 giugno 1994, n. 258 e del 18 aprile 1996, n. 118). Si è infatti affermato (nella sentenza n. 258 del 23 giugno 1994, sopra menzionata) che: “…la norma del citato art. 32 Cost. postul[a] il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto negativo di non assoggettabilità a trattamenti sanitari non richiesti od accettati) con il coesistente e reciproco diritto di ciascun individuo (sent. n. 218 del 1994) e con la salute della collettività (sent. n. 307 del 1990); nonché, nel caso in particolare di vaccinazioni obbligatorie, "con l'interesse del bambino", che esige "tutela anche nei confronti dei genitori che non adempiono ai compiti inerenti alla cura del minore" (sent. n. 132 del 1992). Su questa linea si è ulteriormente precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 Cost.:
a) "se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale (cfr. sent. n. 307 del 1990);
b) se vi sia "la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili" (ivi);
c) se nell'ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio - ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica - sia prevista comunque la corresponsione di una "equa indennità" in favore del danneggiato (cfr. sent. n. 307 del 1992 cit. e v. … legge n. 210 del 1992). E ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria, la quale "trova applicazione tutte le volte che le concrete forme di attuazione della legge impositiva del trattamento o di esecuzione materiale di esso non siano accompagnate dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l'arte prescrivono in relazione alla sua natura" (sulla base dei titoli soggettivi di imputazione e con gli effetti risarcitori pieni previsti dall'art. 2043 c.c.: sent. n. 307 del 1990 cit.”.

La Costituzione, dunque, contrariamente a quanto divisato dai sostenitori di alcune interpretazioni riduzionistiche del diritto alla salute, non riconosce un’incondizionata e assoluta libertà di non curarsi o di non essere sottoposti trattamenti sanitari obbligatori (anche in relazione a terapie preventive quali sono i vaccini), per la semplice ragione che, soprattutto nelle patologie ad alta diffusività, una cura sbagliata o la decisione individuale di non curarsi può danneggiare la salute di molti altri esseri umani e, in particolare, la salute dei più deboli, ossia dei bambini e di chi è già ammalato.

L’articolo 32 – è bene ricordarlo – recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”.

Alla stregua della riferita disposizione la salute non è solo oggetto di un diritto (variamente declinabile come diritto alla cura e diritto di non curarsi e comunque ad esprimere un consenso informato alla cura), ma è anche un interesse della collettività; sicché, come ricordato dalla Corte costituzionale nella sentenza del 2 giugno 1994, n. 218, la tutela della salute implica anche il "dovere dell'individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell'eguale protezione del coesistente diritto degli altri”; il tutto nel rispetto del limite della normale tollerabilità (limite la cui individuazione è rimessa alla discrezionalità del Legislatore statale; v. infra) delle conseguenze per chi sia soggetto a “determinati” trattamenti sanitari imposti per legge (e solo per legge, stante la relativa riserva) e sulla base di un rapporto di proporzionalità con le esigenze di tutela della salute altrui.

Invero, tali simmetriche posizioni di diritto e dovere “… dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunità, che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori, posti in essere anche nell'interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari. Situazioni di questo tipo sono evidenti nel caso delle malattie infettive e contagiose … Salvaguardata in ogni caso la dignità della persona, …, l'art. 32 della Costituzione prevede un contemperamento del coesistente diritto alla salute di ciascun individuo; implica inoltre il bilanciamento di tale diritto con il dovere di tutelare il diritto dei terzi che vengono in necessario contatto con la persona per attività che comportino un serio rischio, non volontariamente assunto, di contagio.” (così la succitata sentenza n. 218/1994).

Sulla base del riferito disposto costituzionale, dunque, la copertura vaccinale può non essere oggetto dell’interesse di un singolo individuo, ma sicuramente è d’interesse primario della collettività e la sua obbligatorietà – funzionale all’attuazione del fondamentale dovere di solidarietà rispetto alla tutela dell’altrui integrità fisica – può essere imposta ai cittadini dalla legge, con sanzioni proporzionate e forme di coazione indiretta variamente configurate, fermo restando il dovere della Repubblica (anch’esso fondato sul dovere di solidarietà) di indennizzare adeguatamente i pochi soggetti che dovessero essere danneggiati dalla somministrazione del vaccino (e a ciò provvede la legge 25 febbraio 1992, n. 210) e di risarcire i medesimi soggetti, qualora il pregiudizio a costoro cagionato dipenda da colpa dell’amministrazione.

La mancata considerazione di siffatto dovere di solidarietà rischierebbe, peraltro, di minare alla base anche l’eguaglianza sostanziale tra i cittadini sulla quale poggia la stessa democrazia repubblicana, atteso che i bambini costretti a frequentare classi in cui sia bassa l’immunità di gregge potrebbero essere esposti a pericoli per la loro salute, rischi ai quali invece non andrebbero incontro bambini appartenenti a famiglie stanziate in altre parti del territorio nazionale. La discriminazione tra bambini e bambini, tra cittadini sani e cittadini deboli, non potrebbe essere più eclatante. Il servizio sanitario e il servizio scolastico, da chiunque gestiti, debbono quindi garantire alti e omogenei livelli di copertura vaccinale in tutto il Paese, dal momento che la stessa ragion d’essere di tali servizi è quella di rendere effettivi, all’insegna del buon andamento amministrativo e della leale collaborazione tra i vari livelli di governo, i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione e, tra questi, in primo luogo il diritto alla vita e alla salute, quali indefettibili precondizioni per un pieno sviluppo della persona umana, pure in quella particolare formazione sociale che è la scuola.


39.) Si è sopra riferito che l’articolo 32 della Costituzione assegna alla Repubblica il compito, da attuare in via legislativa e amministrativa, di tutelare la salute. Ove letta la previsione sia letta insieme ad altre disposizioni dello stesso testo costituzionale, si evince che tale compito è essenzialmente ripartito tra lo Stato e le Regioni, posto che la “tutela della salute” rientra nell’elenco di materie che l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione assegna alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, conservando tuttavia allo Stato la fissazione dei principi fondamentali. Inoltre il medesimo compito di tutela è altresì riconducibile, per taluni aspetti, alla sola potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dello stesso articolo 117, secondo comma, lettere m) e q), allorquando si tratti di assicurare la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” o di disporre in tema di “profilassi internazionale”.

Orbene, prescindendo in questa sede dalle competenze esclusive dello Stato in materia di ambiente (di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione) che pure interferiscono con quelle in tema di tutela della salute (sotto il profilo dell’esistenza di diritto a un ambiente salubre), la Commissione ritiene, sulla base di quanto sopra osservato, che le norme di legge sulle vaccinazioni obbligatorie (e, comunque, quelle relative all’individuazione di tali vaccinazioni) siano ascrivibili al novero dei principi fondamentali alla cui osservanza è tenuta la legislazione regionale concorrente sia, soprattutto, all’ambito della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni socio-sanitarie che, per le elementari esigenze di uguaglianza prima ricordate, debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, nel rispetto degli obblighi internazionali relativi alla profilassi (anch’essi poggianti sulla solidarietà tra gli Stati e le popolazioni di altri Paesi).


40.) Non confligge con il quadro appena delineato - e, anzi, lo rafforza - il principio di precauzione applicato al settore della salute. Non ignora difatti questa Commissione che in talune argomentazioni giuridiche dirette contro l’obbligo vaccinale ricorra sovente l’invocazione del suddetto principio. Di esso però è offerta un’interpretazione secondo la quale, in sintesi, lo Stato dovrebbe astenersi dall’imporre l’obbligo vaccinale giacché le vaccinazioni implicherebbero un inevitabile rischio di reazioni avverse o di più gravi pregiudizi dell’integrità fisica dei soggetti vaccinati; in altri termini, sarebbe assente una condizione di c.d. “rischio zero”. Ebbene, premesso che a nessuna condotta umana si correla un “rischio zero”, appare evidente che la riferita concezione del principio di precauzione impedirebbe in radice qualunque sviluppo delle scienze medicochirurgiche (e di qualunque altra scienza). Inoltre le tesi, testé richiamate, tendono travisare il senso e il finalismo del principio di precauzione la cui dinamica applicativa, lungi dal fondarsi su un pregiudizio antiscientifico, postula più di qualunque altro principio del diritto una solida base scientifica.

Il principio di precauzione non vive, infatti, in una dimensione prevalentemente assiologica (esso cioè non presuppone una precisa scelta di valori-fine) né opera in un’unica direzione (segnatamente, in quella dell’interdizione delle decisioni pubbliche “rischiose”). Al contrario, il principio di precauzione vige in una dimensione essenzialmente metodologica ed è bidirezionale. Non a caso è stato sostenuto in dottrina che il principio di precauzione non offra “regole per decidere”, ma soltanto “regole per procedere”, poiché permette di individuare il percorso di procedimentalizzazione delle decisioni delle autorità pubbliche in situazioni di incertezza, consentendo una gestione collettiva del rischio. In altri termini, il principio di precauzione non obbliga affatto alla scelta del “rischio zero”, semmai impone al decisore pubblico (legislatore o amministratore), in contesti determinati, di prediligere, tra le plurime ipotizzabili, la soluzione che renda possibile il bilanciamento tra la minimizzazione dei rischi e la massimizzazione dei vantaggi, attraverso l’individuazione, sulla base di un test di proporzionalità, di una soglia di pericolo accettabile; la selezione di tale soglia, tuttavia, può compiersi unicamente sulla base di una conoscenza completa e, soprattutto, accreditata dalla migliore scienza disponibile. Sicché il principio di precauzione può, talora, condurre le autorità pubbliche a non agire oppure, in altri casi, può spingerle ad attivarsi, adottando misure proporzionate al livello di protezione prescelto (cioè adeguate rispetto alla soglia di pericolo accettabile). Che questa sia l’interpretazione corretta del principio di precauzione è confermato dalla giurisprudenza amministrativa nazionale che si è occupata del tema (tra i molti precedenti, si richiama la sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana 3 settembre 2015, n. 581) e, specialmente, dalla comunicazione interpretativa della Commissione europea del 2 febbraio 2000 - COM/2000/01 def. (va ricordato infatti che il principio di precauzione è di origine internazionale e sovranazionale), nella quale si è chiarito che “(l)'attuazione di una strategia basata sul principio di precauzione dovrebbe iniziare con una valutazione scientifica, quanto più possibile completa, identificando, ove possibile, in ciascuna fase il grado d'incertezza scientifica.”.


41.) La base scientifica del principio di precauzione rappresenta anche un presidio di garanzia della ragionevolezza delle scelte pubbliche e rafforza conseguentemente la compliance delle regole positive (su di esso fondate) che impongano obblighi di comportamento per i consociati. La consapevolezza, invero, che il decisore pubblico sia tenuto a seguire una strategia valutativa (di problem solving) poggiante sulle verificabili e verificate acquisizioni della miglior scienza del momento (e sul rigore del relativo metodo) concorre ad escludere il sospetto di arbitrarietà inevitabilmente connesso a ogni epifania dell’autoritatività, specialmente quando quest’ultima si manifesti sotto forma di biopotere (ossia di esercizio della politicità, in questo caso estrinsecantesi in cogenza normativa, nella gestione del corpo umano).


42.) A quello di precauzione si accompagna poi il principio di prevenzione, atteso che la massima efficacia della minimizzazione del rischio, nei sensi sopra indicati, si ottiene, in genere, attraverso un intervento sulle cause della possibile insorgenza del pericolo. Ebbene, non vi è dubbio che il sistema della vaccinazioni obbligatorie sia informato anche a questo principio giuridico, complementare a quello di precauzione e altrettanto rilevante.


43.) Le precedenti considerazioni portano a concludere che, al cospetto dei profili costituzionali sopra esaminati, si presentino inconferenti e non assumano rilievo, perché recessivi rispetto alla tutela della salute pubblica, gli argomenti di natura “civilistica” volti a valorizzare l’interesse economico dei genitori dei bambini non vaccinati a non sostenere inutilmente l’onere economico di rette scolastiche e pure l’interesse a far frequentare ai propri figli un determinato istituto scolastico privato.


P.Q.M.


In risposta al quesito formulato dal Presidente della Regione Veneto, si esprime il parere che, in base al diritto vigente, già a decorrere dall’anno scolastico 2017/2018 (in corso), si applichi, anche nella Regione Veneto, la norma, ricavabile dal combinato disposto degli articoli 3, comma 1, e 5, comma 1, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2017, n. 119, secondo cui la presentazione della documentazione attestante l’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale costituisce requisito di accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia.

mercoledì 20 settembre 2017





Corte di Giustizia UE 13 settembre 2017, n. C-60/16

«Rinvio pregiudiziale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo – Articolo 28 – Trattenimento ai fini di trasferimento di un richiedente protezione internazionale verso lo Stato membro competente – Termine per effettuare il trasferimento – Durata massima del trattenimento – Calcolo – Accettazione della richiesta di presa in carico prima del trattenimento – Sospensione dell’esecuzione della decisione di trasferimento»







1)      L’articolo 28 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, letto alla luce dell’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che:
–        esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede che, nella situazione in cui il trattenimento di un richiedente protezione internazionale inizi dopo che lo Stato membro richiesto ha accettato la richiesta di presa in carico, detto trattenimento possa essere mantenuto per un periodo massimo di due mesi, purché, da un lato, la durata del trattenimento non superi il tempo necessario per la procedura di trasferimento, valutato tenendo conto delle esigenze concrete della menzionata procedura in ciascun caso specifico, e, dall’altro, eventualmente, tale durata non si prolunghi per un periodo superiore a sei settimane a partire dalla data in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo e;
–        esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che permette, in una situazione siffatta, di mantenere detto trattenimento per tre o dodici mesi nel corso dei quali il trasferimento poteva validamente essere effettuato.

2)      L’articolo 28, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che non si deve detrarre dal termine di sei settimane a partire dal momento in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo, istituito da tale disposizione, il numero di giorni che la persona interessata ha già trascorso in stato di trattenimento dopo che uno Stato membro ha accettato la richiesta di presa in carico o di ripresa in carico.

3)      L’articolo 28, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che il termine di sei settimane a partire dal momento in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo, istituito da tale disposizione, si applica anche quando la sospensione dell’esecuzione della decisione di trasferimento non è stata specificamente richiesta dalla persona interessata.











SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
13 settembre 2017
Nella causa C‑60/16,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Kammarrätten i Stockolm Migrationsöverdomstolen (Corte d’appello amministrativa di Stoccolma competente in materia di immigrazione, Svezia), con decisione del 29 gennaio 2016, pervenuta in cancelleria il 3 febbraio 2016, nel procedimento
Mohammad Khir Amayry
contro
Migrationsverket,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta da L. Bay Larsen (relatore), presidente di sezione, M. Vilaras, J. Malenovský, M. Safjan e D. Šváby, giudici,
avvocato generale: Y. Bot
cancelliere: C. Strömholm, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 25 gennaio 2017,
considerate le osservazioni presentate:
–        per M. Khir Amayry, da S. Stoeva, advokat;
–        per il Migrationsverket, da F. Beijer e F. Axling, in qualità di agenti;
–        per il governo svedese, da L. Swedenborg, A. Falk, C. Meyer-Seitz, U. Persson e N. Otte Widgren, in qualità di agenti;
–        per il governo belga, da M. Jacobs e C. Pochet, in qualità di agenti;
–        per il governo tedesco, da T. Henze e R. Kanitz, in qualità di agenti;
–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman e B. Koopman, in qualità di agenti;
–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;
–        per il governo del Regno Unito, da C. Crane e M. Holt, in qualità di agenti, assistiti da D. Blundell, barrister;
–        per il governo elvetico, da C. Bichet, in qualità di agente;
–        per la Commissione europea, da M. Condou-Durande e K. Simonsson, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 1° marzo 2017,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 28, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31; in prosieguo il «regolamento Dublino III»).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Mohammad Khir Amayry e il Migrationsverket (Ufficio dell’immigrazione, Svezia; in prosieguo: l’«Ufficio»), relativamente alla decisione di quest’ultimo di trattenere il sig. Khir Amayry in attesa del suo trasferimento verso l’Italia in applicazione del regolamento Dublino III.
 Contesto normativo
 Diritto dell’Unione
 Direttiva 2013/33/UE
3        L’articolo 8 della direttiva 2013/33/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96; in prosieguo: la «direttiva “accoglienza”») precisa quanto segue:
«1.      Gli Stati membri non trattengono una persona per il solo fatto di essere un richiedente ai sensi della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale [(GU 2013, L 180, pag. 60)].
(...)
3.      Un richiedente può essere trattenuto soltanto:
(...)
f)      conformemente all’articolo 28 del regolamento [Dublino III]
(...)».
4        L’articolo 9 della direttiva «accoglienza», intitolato «Garanzie per i richiedenti trattenuti», al suo paragrafo 1, dispone quanto segue:
«Un richiedente è trattenuto solo per un periodo il più breve possibile ed è mantenuto in stato di trattenimento soltanto fintantoché sussistono i motivi di cui all’articolo 8, paragrafo 3».
Gli adempimenti amministrativi inerenti ai motivi di trattenimento di cui all’articolo 8, paragrafo 3, sono espletati con la debita diligenza. I ritardi nelle procedure amministrative non imputabili al richiedente non giustificano un prolungamento del trattenimento».
 Il regolamento Dublino III
5        Il considerando 20 del regolamento Dublino III è così formulato:
«Il trattenimento dei richiedenti dovrebbe essere regolato in conformità del principio fondamentale per cui nessuno può essere trattenuto per il solo fatto di chiedere protezione internazionale. Il trattenimento dovrebbe essere quanto più breve possibile e dovrebbe essere soggetto ai principi di necessità e proporzionalità. In particolare, il trattenimento dei richiedenti deve essere conforme all’articolo 31 della [convenzione sullo statuto dei rifugiati, firmato a Ginevra il 28 luglio 1951]. Le procedure previste dal presente regolamento con riguardo alla persona trattenuta dovrebbero essere applicate in modo prioritario, entro i termini più brevi possibili. Per quanto concerne le garanzie generali che disciplinano il trattenimento, così come le condizioni di trattenimento, gli Stati membri dovrebbero, se del caso, applicare le disposizioni della direttiva [“accoglienza”] anche alle persone trattenute sulla base del presente regolamento».
6        L’articolo 27, paragrafi 3 e 4, del suddetto regolamento così dispone:
«3.      Ai fini di ricorsi avverso decisioni di trasferimento o di revisioni delle medesime, gli Stati membri prevedono nel proprio diritto nazionale:
a)      che il ricorso o la revisione conferisca all’interessato il diritto di rimanere nello Stato membro interessato in attesa dell’esito del ricorso o della revisione; o
b)      che il trasferimento sia automaticamente sospeso e che tale sospensione scada dopo un determinato periodo di tempo ragionevole durante il quale un organo giurisdizionale ha adottato, dopo un esame attento e rigoroso, la decisione di concedere un effetto sospensivo al ricorso o alla revisione; o
c)      che all’interessato sia offerta la possibilità di chiedere, entro un termine ragionevole, all’organo giurisdizionale di sospendere l’attuazione della decisione di trasferimento in attesa dell’esito del ricorso o della revisione della medesima. Gli Stati membri assicurano un ricorso effettivo sospendendo il trasferimento fino all’adozione della decisione sulla prima richiesta di sospensione. La decisione sulla sospensione dell’attuazione della decisione di trasferimento è adottata entro un termine ragionevole, permettendo nel contempo un esame attento e rigoroso della richiesta di sospensione. La decisione di non sospendere l’attuazione della decisione di trasferimento deve essere motivata.
4.      Gli Stati membri possono disporre che le autorità competenti possano decidere d’ufficio di sospendere l’attuazione della decisione di trasferimento in attesa dell’esito del ricorso o della revisione».
7        L’articolo 28 di tale regolamento prevede quanto segue:
«1.      Gli Stati membri non possono trattenere una persona per il solo motivo che sia oggetto della procedura stabilita dal presente regolamento.
2.      Ove sussista un rischio notevole di fuga, gli Stati membri possono trattenere l’interessato al fine di assicurare le procedure di trasferimento a norma del presente regolamento, sulla base di una valutazione caso per caso e solo se il trattenimento è proporzionale e se non possano essere applicate efficacemente altre misure alternative meno coercitive.
3.      Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile e non supera il tempo ragionevolmente necessario agli adempimenti amministrativi previsti da espletare con la dovuta diligenza per eseguire il trasferimento a norma del presente regolamento.
Qualora una persona sia trattenuta a norma del presente articolo, il periodo per presentare una richiesta di presa o di ripresa in carico non può superare un mese dalla presentazione della domanda. Lo Stato membro che esegue la procedura a norma del presente regolamento chiede una risposta urgente in tali casi. Tale risposta è fornita entro due settimane dal ricevimento della richiesta. L’assenza di risposta entro due settimane equivale all’accettazione della richiesta e comporta l’obbligo di prendere in carico o di riprendere in carico la persona, compreso l’obbligo di adottare disposizioni appropriate all’arrivo della stessa.
Qualora una persona sia trattenuta a norma del presente articolo, il trasferimento di tale persona dallo Stato membro richiedente verso lo Stato membro competente deve avvenire non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei settimane dall’accettazione implicita o esplicita della richiesta da parte di un altro Stato membro di prendere o di riprendere in carico l’interessato o dal momento in cui il ricorso o la revisione non hanno più effetto sospensivo ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3.
Quando lo Stato membro richiedente non rispetta i termini per la presentazione di una richiesta di presa o ripresa in carico o qualora il trasferimento non avvenga entro il termine di sei settimane di cui al terzo comma, la persona non è più trattenuta. Gli articoli 21, 23, 24 e 29 continuano ad applicarsi di conseguenza.
4.      Per quanto riguarda le condizioni per il trattenimento delle persone e le garanzie applicabili alle persone trattenute, al fine di assicurare le procedure di trasferimento verso lo Stato membro competente, si applicano gli articoli 9, 10 e 11 della [direttiva accoglienza]».
8        L’articolo 29, paragrafi 1 e 2, del medesimo regolamento è formulato nel seguente modo:
«1.      Il trasferimento del richiedente (...) dallo Stato membro richiedente verso lo Stato membro competente avviene (...) non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei mesi a decorrere dall’accettazione della richiesta di un altro Stato membro di prendere o riprendere in carico l’interessato, o della decisione definitiva su un ricorso o una revisione in caso di effetto sospensivo ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3.
(...)
2.      Se il trasferimento non avviene entro il termine di sei mesi, lo Stato membro competente è liberato dall’obbligo di prendere o riprendere in carico l’interessato e la competenza è trasferita allo Stato membro richiedente. Questo termine può essere prorogato fino a un massimo di un anno se non è stato possibile effettuare il trasferimento a causa della detenzione dell’interessato, o fino a un massimo di diciotto mesi qualora questi sia fuggito».
 Diritto svedese
9        Ai sensi dell’articolo 8 del capo 1 dell’utlänningslag (legge sugli stranieri, SFS 2005, n. 716) la legge deve essere applicata, in ciascun caso concreto, in modo da non limitare la libertà dello straniero interessato più di quanto necessario.
10      L’articolo 9 del capo 1 della suddetta legge prevede che le disposizioni della stessa relative all’obbligo di lasciare il territorio e all’espulsione si applicano anche, mutatis mutandis, alle decisioni di trasferimento basate sul regolamento Dublino III.
11      L’articolo 1 del capo 10 della medesima legge consente il trattenimento degli stranieri di età pari o superiore a 18 anni al fine di preparare l’esecuzione di una decisione di espulsione o di procedere a tale espulsione.
12      L’articolo 4 del capo 10 della legge sugli stranieri prevede che uno straniero non può essere trattenuto per un periodo superiore a due mesi, a meno che non sussistano motivi seri che giustifichino un trattenimento più lungo, e precisa che, qualora sussistano motivi di tal genere, lo straniero non può essere trattenuto per più di tre mesi. Qualora sia probabile che l’esecuzione di una decisione di trasferimento richieda un tempo più lungo a causa della mancanza di collaborazione da parte dello straniero o qualora occorra tempo per ottenere i documenti necessari, tale durata massima è estesa a dodici mesi.
 Procedimento principale e questioni pregiudiziali
13      Il sig. Khir Amayry ha presentato una domanda di protezione internazionale in Svezia il 19 dicembre 2014.
14      Atteso che da una ricerca nel sistema Eurodac è risultato che l’interessato era entrato nel territorio italiano il 6 dicembre 2014 e che aveva già richiesto detta protezione alla Danimarca il 17 dicembre 2014, l’Ufficio ha chiesto, il 15 gennaio 2015, alle autorità italiane di prendere in carico il sig. Khir Amayry.
15      Le autorità italiane hanno accolto tale richiesta di presa in carico il 18 marzo 2015.
16      Il 2 aprile 2015 l’Ufficio ha respinto la domanda di titolo di soggiorno del sig. Khir Amayry, compresa la sua domanda di protezione internazionale, ha archiviato il procedimento relativo alla dichiarazione dello status e ha disposto il trasferimento dell’interessato verso l’Italia. Inoltre, ritenendo sussistere un rischio non trascurabile che quest’ultimo si desse alla fuga, l’Ufficio ha deciso di trattenerlo.
17      Il sig. Khir Amayry ha impugnato le decisioni dell’Ufficio dinanzi al Förvaltningsrätten i Stockholm – Migrationsdomstolen (Tribunale amministrativo di Stoccolma competente in materia di immigrazione, Svezia). A seguito di tale ricorso, l’Ufficio ha deciso di sospendere l’esecuzione della decisione di trasferimento.
18      Il Förvaltningsrätten i Stockholm  – Migrationsdomstolen (Tribunale amministrativo di Stoccolma competente in materia di immigrazione) ha respinto detto ricorso il 29 aprile 2015 ritenendo, segnatamente, che sussistesse il rischio che, in caso di rilascio, il sig. Khir Amayry si desse alla fuga, si sottraesse all’esecuzione della decisione di trasferimento o la ostacolasse in altro modo. Quest’ultimo ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio.
19      L’8 maggio 2015, la decisione di trasferimento è stata eseguita. In seguito, il sig. Khir Amayry è ritornato in Svezia, dove ha presentato una nuova domanda di protezione internazionale il 1° giugno 2015.
20      Il 30 luglio 2015, il giudice del rinvio ha rifiutato di autorizzare l’appello per quanto riguarda la parte della sentenza del Förvaltningsrätten i Stockholm  – Migrationsdomstolen (Tribunale amministrativo di Stoccolma competente in materia di immigrazione) relativa al trasferimento, ammettendolo invece per quanto concerne la questione del trattenimento.
21      In tale contesto, il Kammarrätten i Stockholm – Migrationsöverdomstolen (Corte d’appello amministrativa di Stoccolma, competente in materia di immigrazione, Svezia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Qualora il richiedente asilo non sia trattenuto nel momento in cui lo Stato membro responsabile accetta di prenderlo in carico, ma sia trattenuto in un momento successivo – in base al motivo che soltanto allora si è ritenuto che sussista il significativo rischio che la persona interessata si dia alla fuga – se, in tale situazione, il termine di sei settimane di cui all’articolo 28, paragrafo 3 del regolamento [Dublino III] possa essere calcolato dal giorno in cui la persona è trattenuta oppure se debba essere calcolato a partire da un’altra data e, in tal caso, a partire da quale data.
2)      Se l’articolo 28 del regolamento [Dublino III] escluda, nella situazione in cui il richiedente l’asilo non è trattenuto nel momento in cui lo Stato membro responsabile accetta di prenderlo in carico, l’applicazione delle disposizioni nazionali che, in Svezia, comportano che l’immigrato non possa essere trattenuto in pendenza dell’esecuzione per un periodo superiore a due mesi qualora non vi sia un serio motivo per trattenerlo per un periodo più lungo, e che, qualora tali seri motivi sussistano, l’immigrato possa essere trattenuto per un massimo di tre mesi oppure, se è probabile che l’esecuzione richiederà un periodo maggiore a causa della mancanza di collaborazione da parte dell’immigrato o del fatto che ci vuole tempo per ottenere i documenti necessari, un massimo di dodici mesi.
3)      Qualora il procedimento di esecuzione venga riavviato allorché il ricorso o il riesame non ha più effetto sospensivo (v. articolo 27, paragrafo 3), del regolamento [Dublino III]) se inizi a decorrere un nuovo termine di sei settimane per l’esecuzione del trasferimento oppure se, ad esempio, il numero di giorni che la persona ha già trascorso in stato di trattenimento dopo che lo Stato membro responsabile ha accettato di prenderla o riprenderla in carico debba esserne detratto.
4)      Se rivesta qualche importanza la circostanza che il richiedente asilo che ha impugnato una decisione di trasferimento non abbia per parte sua richiesto la sospensione dell’esecuzione della decisione di trasferimento in attesa dell’esito dell’impugnazione [v. articolo 27, paragrafo 3, lettera c) e articolo 27, paragrafo 4 del regolamento [Dublino III])».
 Sulle questioni pregiudiziali
 Sulle questioni prima e seconda
22      Con le sue questioni prima e seconda, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 28 del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede che, nella situazione in cui il trattenimento di un richiedente protezione internazionale inizi dopo che lo Stato membro richiesto ha accettato la richiesta di presa in carico, tale trattenimento possa essere mantenuto per un periodo non superiore a due mesi, in linea di principio, per un periodo non superiore a tre mesi se sussistano motivi seri che giustificano un trattenimento più lungo, e per un periodo non superiore a dodici mesi, qualora sia probabile che il trasferimento richieda un tempo più lungo a causa della mancanza di collaborazione da parte della persona interessata o qualora occorra tempo per ottenere i documenti necessari.
23      Dall’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva «accoglienza» risulta che una persona non può essere trattenuta per il solo fatto di aver presentato domanda di protezione internazionale.
24      Tuttavia, l’articolo 8, paragrafo 3, lettera f), della suddetta direttiva prevede la possibilità di trattenere il richiedente protezione internazionale conformemente all’articolo 28 del regolamento Dublino III.
25      Dall’articolo 28, paragrafi 1 e 2, di tale regolamento risulta che, se gli Stati membri non possono trattenere una persona, al fine di assicurare le procedure di trasferimento, per il solo motivo che tale persona sia oggetto della procedura stabilita da detto regolamento, possono, per contro, a determinate condizioni, trattenere una persona ove sussista un rischio notevole di fuga di quest’ultima.
26      Detta facoltà è prevista, segnatamente, dall’articolo 28, paragrafo 3, del medesimo regolamento, il quale precisa, al suo primo comma, che il trattenimento ha durata quanto più breve possibile e non supera il tempo ragionevolmente necessario agli adempimenti amministrativi previsti da espletare con la dovuta diligenza per eseguire il trasferimento.
27      Al fine di dare attuazione concreta al principio in parola, l’articolo 28, paragrafo 3, secondo e terzo comma, del regolamento Dublino III fissa termini specifici per la presentazione di una richiesta di presa in carico o di ripresa in carico e per effettuare il trasferimento. Dall’articolo 28, paragrafo 3, quarto comma, di tale regolamento risulta inoltre che, quando lo Stato membro richiedente non rispetta tali termini, la persona non è più trattenuta.
28      Quanto al termine per effettuare il trasferimento, l’unico rilevante in una situazione come quella in discussione nel procedimento principale, in cui la richiesta di presa in carico è già stata accettata prima che la persona interessata sia trattenuta, la formulazione letterale dell’articolo 28, paragrafo 3, terzo comma, di detto regolamento non consente, di per sé, di determinare se tale disposizione si applichi in tutte le situazioni nelle quali una persona sia trattenuta in attesa del suo trasferimento o esclusivamente quando una persona è già in stato di trattenimento allorché si realizza uno dei due eventi di cui alla disposizione supra, ossia, da un lato, l’accettazione della richiesta di presa in carico o di ripresa in carico e, dall’altro, la cessazione dell’effetto sospensivo del ricorso o della revisione avverso una decisione di trasferimento.
29      Ciò posto, secondo costante giurisprudenza della Corte, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenza del 19 dicembre 2013, Koushkaki, C‑84/12, EU:C:2013:862, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).
30      In proposito, occorre sottolineare che le procedure di presa in carico e di ripresa in carico istituite dal regolamento Dublino III hanno lo scopo, in definitiva, di consentire il trasferimento di un cittadino di un paese terzo verso lo Stato membro designato, in applicazione di tale regolamento, come Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale presentata dal suddetto cittadino.
31      Nell’ambito delle menzionate procedure, la facoltà di trattenere, a determinate condizioni, la persona interessata è volta, come precisato dall’articolo 28, paragrafo 2, del citato regolamento, ad assicurare le procedure di trasferimento evitando che detta persona si dia alla fuga e si sottragga in tal modo all’esecuzione di un’eventuale decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti.
32      In siffatto contesto, la scelta di un termine di trasferimento di sei settimane, di cui all’articolo 28, paragrafo 3, terzo comma, di tale medesimo regolamento, indica che il legislatore dell’Unione ha ritenuto che un simile lasso di tempo potesse essere necessario per effettuare il trasferimento di una persona trattenuta.
33      Orbene, nei limiti in cui nessun termine di cui all’articolo 28, paragrafo 3, terzo comma, del regolamento Dublino III decorre dal trattenimento, ritenere che la disposizione in parola si applichi in tutte le situazioni in cui una persona è trattenuta in attesa del suo trasferimento, implicherebbe che il trattenimento cessi necessariamente sei settimane dopo l’accettazione della richiesta di presa in carico o di ripresa in carico, anche se il trattenimento ha avuto inizio soltanto dopo tale accettazione.
34      Pertanto, in una simile situazione, il trattenimento ai fini del trasferimento avrebbe necessariamente una durata inferiore a sei settimane e inoltre non vi sarebbe alcun trattenimento una volta spirato un termine di sei settimane dopo tale accettazione.
35      In tali circostanze, uno Stato membro disporrebbe della facoltà di dare avvio al trattenimento della persona interessata soltanto durante un breve periodo del termine di sei mesi concessogli dall’articolo 29, paragrafi 1 e 2, del regolamento Dublino III per concludere il trasferimento, e ciò anche se il rischio di fuga che può giustificare il trattenimento si manifesti soltanto in seguito.
36      Inoltre, ancorché l’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento in parola preveda che il termine di trasferimento è prorogato fino a un massimo di diciotto mesi se la persona interessata si dà alla fuga, una persona che sia in fuga durante almeno sei settimane non potrebbe più essere trattenuta nel caso in cui fosse di nuovo a disposizione delle autorità competenti.
37      Alla luce di siffatti elementi, risulta che l’interpretazione di cui al punto 33 della presente sentenza, da un lato, potrebbe limitare notevolmente l’efficacia delle procedure previste da detto regolamento e, dall’altro, rischierebbe di incitare le persone interessate a darsi alla fuga per impedire il loro trasferimento verso lo Stato membro competente, ostacolando in tal modo l’applicazione dei principi e delle procedure del medesimo regolamento (v., per analogia, sentenze del 17 marzo 2016, Mirza, C‑695/15 PPU, EU:C:2016:188, punto 52, e del 25 gennaio 2017, Vilkas, C‑640/15, EU:C:2017:39, punto 37).
38      Inoltre, una simile interpretazione non sarebbe coerente con l’intenzione del legislatore dell’Unione, espressa al considerando 20 del regolamento Dublino III, di autorizzare il trattenimento limitandone al contempo la durata, poiché tale interpretazione condurrebbe a limitare o escludere quest’ultimo in funzione non del tempo durante il quale la persona interessata è stata trattenuta, bensì unicamente del termine decorso dopo l’accettazione della richiesta di presa in carico o ripresa in carico da parte dello Stato membro richiesto.
39      Occorre pertanto interpretare l’articolo 28, paragrafo 3, terzo comma, del regolamento Dublino III nel senso che il termine massimo di sei settimane entro il quale il trasferimento di una persona trattenuta deve essere effettuato, previsto dalla disposizione in parola, si applica soltanto nel caso in cui la persona interessata sia già in stato di trattenimento quando si realizza uno degli eventi previsti dalla disposizione summenzionata.
40      Di conseguenza, quando il trattenimento della persona interessata in attesa del suo trasferimento inizia dopo che lo Stato membro richiesto ha accettato la richiesta di presa in carico, la durata del trattenimento sarà soggetta a uno dei termini specifici di cui all’articolo 28, paragrafo 3, del citato regolamento soltanto, eventualmente, a partire dalla data in cui cessi l’effetto sospensivo del ricorso o della revisione conformemente all’articolo 27, paragrafo 3, del medesimo regolamento.
41      In assenza di durata massima di trattenimento fissata nel regolamento Dublino III, un tale trattenimento deve essere nondimeno conforme, anzitutto, al principio enunciato all’articolo 28, paragrafo 3, primo comma, del regolamento stesso, secondo cui il trattenimento ha durata quanto più breve possibile e non supera il termine ragionevolmente necessario agli adempimenti amministrativi previsti da espletare con la dovuta diligenza per eseguire il trasferimento.
42      L’autorità competente deve, quindi, conformemente all’articolo 28, paragrafo 4, di detto regolamento, rispettare le disposizioni della direttiva «accoglienza» che disciplinano il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale, in particolare l’articolo 9, paragrafo 1, di quest’ultima, da cui risulta segnatamente che gli adempimenti amministrativi inerenti al motivo di trattenimento sono espletati con la debita diligenza.
43      L’autorità menzionata deve, infine, tener conto dell’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, posto che l’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento Dublino III prevede una limitazione dell’esercizio del diritto fondamentale alla libertà e alla sicurezza (v., in tal senso, sentenze del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 49, e del 15 marzo 2017, Al Chodor, C‑528/15, EU:C:2017:213, punto 36).
44      In siffatto contesto, spetta quindi all’autorità competente, sotto il controllo dei giudici nazionali, svolgere la procedura di trasferimento con diligenza e non prolungare il trattenimento oltre il tempo necessario ai fini di tale procedura, valutato tenendo conto delle esigenze concrete di detta procedura in ciascun caso specifico (v., per analogia, sentenza del 16 luglio 2015, Lanigan, C‑237/15 PPU, EU:C:2015:474, punti 58 e 59).
45      Inoltre, la persona interessata non può essere trattenuta per un periodo la cui durata eccede ampiamente sei settimane nel corso delle quali il trasferimento poteva validamente essere effettuato, giacché dall’articolo 28, paragrafo 3, terzo comma, del regolamento Dublino III risulta che tale periodo è in linea di principio sufficiente, alla luce segnatamente del carattere semplificato della procedura di trasferimento tra gli Stati membri istituita dal regolamento stesso, affinché le autorità competenti procedano al trasferimento (v., per analogia, sentenza del 16 luglio 2015, Lanigan, C‑237/15 PPU, EU:C:2015:474, punto 60).
46      Pertanto, posto che la circostanza che il trattenimento di un richiedente protezione internazionale inizi dopo che lo Stato membro richiesto ha accettato la richiesta di presa in carico non è tale da rendere particolarmente difficile il trasferimento del medesimo, un trattenimento di tre o dodici mesi nel corso dei quali il trasferimento poteva validamente essere effettuato, supera il termine ragionevolmente necessario per espletare gli adempimenti amministrativi richiesti con la dovuta diligenza per eseguire il trasferimento.
47      Per contro, in una situazione siffatta, alla luce del margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri quanto all’adozione di misure dirette ad attuare la normativa dell’Unione, una durata di trattenimento di due mesi non può essere considerata necessariamente eccessiva, dovendo nondimeno l’autorità competente verificare, sotto il controllo dei giudici nazionali, la sua adeguatezza alle peculiarità di ciascun caso specifico.
48      Ciò considerato, nell’ipotesi in cui, dopo il trattenimento, il ricorso o la revisione non abbia più effetto sospensivo ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3, del regolamento Dublino III, detto trattenimento non può, in applicazione dell’articolo 28, paragrafo 3, terzo e quarto comma, del regolamento in parola, essere mantenuto per un periodo superiore a sei settimane a partire da tale data.
49      Da quanto precede risulta che l’articolo 28 del regolamento Dublino III, letto alla luce dell’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso che:
–        esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede che, nella situazione in cui il trattenimento di un richiedente protezione internazionale inizi dopo che lo Stato membro richiesto ha accettato la richiesta di presa in carico, detto trattenimento possa essere mantenuto per un periodo massimo di due mesi, purché, da un lato, la durata del trattenimento non superi il tempo necessario per la procedura di trasferimento, valutato tenendo conto delle esigenze concrete della menzionata procedura in ciascun caso specifico, e, dall’altro, eventualmente, tale durata non si prolunghi per un periodo superiore a sei settimane a partire dalla data in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo e
–        esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che permette, in una situazione siffatta, di mantenere detto trattenimento per tre o dodici mesi nel corso dei quali il trasferimento poteva validamente essere effettuato.
 Sulla terza questione
50      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 28, paragrafo 3, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che occorre detrarre dal termine di sei settimane a partire dal momento in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo, istituito da tale disposizione, il numero di giorni che la persona interessata ha già trascorso in stato di trattenimento dopo che uno Stato membro ha accettato la richiesta di presa in carico o ripresa in carico.
51      Occorre ricordare che l’articolo 28, paragrafo 3, terzo comma, del regolamento Dublino III dispone che, quando una persona è trattenuta ai sensi dell’articolo 28 di tale regolamento, il trasferimento deve avvenire non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei settimane dall’accettazione della richiesta da parte di un altro Stato membro di prendere o di riprendere in carico o dal momento in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3 del suddetto regolamento.
52      Dalla formulazione letterale dell’articolo 28 del medesimo regolamento risulta che quest’ultimo fissa due termini distinti di sei settimane senza indicare se quest’ultimi devono essere confusi né se la durata del secondo termine deve essere ridotta in determinati casi.
53      Una simile interpretazione è corroborata dalla funzione attribuita ai suddetti termini dal legislatore dell’Unione.
54      Se è infatti vero che i termini fissati dall’articolo 28, paragrafo 3, terzo comma, del regolamento Dublino III hanno l’effetto, ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, quarto comma, di tale regolamento, di limitare la durata massima di trattenimento, resta il fatto, tuttavia, che essi hanno lo scopo di determinare il periodo durante il quale il trasferimento deve essere effettuato e che essi si sostituiscono quindi, in determinate ipotesi, ai termini generali istituiti a tal fine dall’articolo 29, paragrafo 1, di detto regolamento.
55      Orbene, fintantoché un ricorso o una revisione presentato nei confronti di una decisione di trasferimento ha effetto sospensivo, è, per definizione, impossibile effettuare il trasferimento, motivo per il quale il termine previsto a detto scopo può, in tal caso, cominciare a decorrere soltanto quando la realizzazione futura del trasferimento è in linea di principio concertata e ne rimangono da disciplinare soltanto le modalità, ossia dalla data in cui il menzionato effetto sospensivo è cessato (v., per analogia, sentenza del 29 gennaio 2009, Petrosian, C‑19/08, EU:C:2009:41, punto 45).
56      In una situazione siffatta, ciascuno dei due Stati membri, per organizzare il trasferimento, deve affrontare le stesse difficoltà pratiche che avrebbe dovuto affrontare se il trasferimento avesse potuto essere realizzato immediatamente dopo l’accettazione della richiesta di presa in carico o di ripresa in carico e, di conseguenza, dovrebbe disporre dello stesso termine di sei settimane per disciplinare le modalità tecniche di trasferimento ed effettuarlo (v., per analogia, sentenza del 29 gennaio 2009, Petrosian, C‑19/08, EU:C:2009:41, punti 43 e 44).
57      La circostanza che la persona interessata fosse già in stato di trattenimento alla data in cui è venuto meno l’effetto sospensivo del ricorso o della revisione non è, in quanto tale, idonea a facilitare notevolmente il trasferimento, in quanto gli Stati membri interessati non potevano disciplinare le modalità tecniche di quest’ultimo dal momento che non erano stabiliti né il suo inizio, né, a fortiori, la sua data.
58      Inoltre, nel caso in cui la persona interessata avesse presentato il ricorso o la revisione soltanto dopo diverse settimane di trattenimento, un’eventuale riduzione del secondo termine fissato dall’articolo 28, paragrafo 3, comma terzo, del regolamento Dublino III pari ai giorni che la persona ha già trascorso in stato di trattenimento potrebbe, in pratica, privare l’autorità competente di qualsiasi possibilità di effettuare il trasferimento prima di aver posto fine al trattenimento e impedire quindi a quest’ultima di disporre in maniera efficace della facoltà, prevista dal legislatore dell’Unione, di procedere al trattenimento della persona interessata per fronteggiare un rischio notevole di fuga della medesima.
59      Di conseguenza, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 28, paragrafo 3, del regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che non si deve detrarre dal termine di sei settimane a partire dal momento in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo, istituito da tale disposizione, il numero di giorni che la persona interessata ha già trascorso in stato di trattenimento dopo che uno Stato membro ha accettato la richiesta di presa in carico o di ripresa in carico.
 Sulla quarta questione
60      Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 28, paragrafo 3, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che il termine di sei settimane a partire dal momento in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo, istituito da tale disposizione, si applica parimenti quando la sospensione dell’esecuzione della decisione di trasferimento non è stata specificamente richiesta dalla persona interessata.
61      Dall’articolo 28, paragrafo 3, terzo comma, del regolamento Dublino III risulta che il secondo termine per effettuare il trasferimento, istituito dalla tale disposizione in parola, decorre dal momento in cui il ricorso o la revisione non hanno più effetto sospensivo conformemente all’articolo 27, paragrafo 3, di tale regolamento.
62      Come constatato al punto 55 della presente sentenza, detta norma è volta a concedere all’autorità competente un termine sufficiente per effettuare il trasferimento di una persona trattenuta tenendo conto del fatto che, quando un ricorso o una revisione proposto avverso una decisione di trasferimento ha effetto sospensivo, è possibile procedere al trasferimento soltanto una volta cessato siffatto effetto sospensivo.
63      Va pertanto sottolineato che la circostanza che un ricorso o una revisione abbia effetto sospensivo è, a tal proposito, determinante, in quanto impedisce il trasferimento, senza che l’intervento o l’assenza di intervento di una previa domanda di sospensione della decisione di trasferimento da parte della persona interessata svolga un ruolo decisivo.
64      Si deve inoltre constatare che il legislatore dell’Unione ha fatto riferimento alla cessazione dell’effetto sospensivo «conformemente all’articolo 27, paragrafo 3», del regolamento Dublino III, senza effettuare alcuna distinzione tra gli Stati membri che hanno deciso di attribuire al ricorso o alla revisione un effetto sospensivo di diritto, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3, lettere a) e b) del regolamento in parola, e gli Stati membri che hanno deciso di subordinare la concessione di detto effetto sospensivo all’intervento di una decisione giurisdizionale in tal senso su domanda della persona interessata, in applicazione dell’articolo 27, paragrafo 3, lettera c), del menzionato regolamento.
65      Occorre, al proposito, ricordare che il legislatore dell’Unione non ha inteso sacrificare all’esigenza di celerità nel trattamento delle domande di protezione internazionale la tutela giurisdizionale dei richiedenti protezione internazionale (v., in tal senso, sentenza del 7 giugno 2016, Ghezelbash, C‑63/15, EU:C:2016:409, punto 57).
66      Ne consegue che gli Stati membri che hanno voluto rafforzare la tutela giurisdizionale dei richiedenti attribuendo un effetto sospensivo di diritto al ricorso o alla revisione avverso una decisione di trasferimento non possono, in nome del rispetto dell’esigenza di celerità, essere posti in una situazione meno favorevole di quella in cui si trovano quegli Stati membri che non lo hanno considerato necessario. Orbene, è questa l’ipotesi che ricorrerebbe se detti primi Stati membri non potessero disporre di un termine sufficiente per effettuare il trasferimento quando la persona interessata è trattenuta e ha deciso di presentare ricorso (v., per analogia, sentenza del 29 gennaio 2009, Petrosian, C‑19/08, EU:C:2009:41, punti 49 e 50).
67      È certo vero che l’articolo 28, paragrafo 3, del regolamento Dublino III non si riferisce direttamente all’ipotesi, prevista dall’articolo 27, paragrafo 4, del regolamento in parola, in cui la sospensione dell’esecuzione di trasferimento non risulti di diritto o da una decisione giurisdizionale, bensì derivi da una decisione adottata dall’autorità competente.
68      Tuttavia, in un’ipotesi siffatta, la persona interessata si trova in una situazione del tutto equiparabile a quella di una persona il cui ricorso o la cui revisione abbia effetto sospensivo in applicazione dell’articolo 27, paragrafo 3, di detto regolamento.
69      In simili condizioni, risulta che, da un lato, il trattenimento può, anche in un caso del genere, continuare a essere necessario in attesa dell’esito del ricorso o della revisione e che, dall’altro lato, il prolungamento di tale trattenimento per un periodo superiore a sei settimane dopo l’intervento di una decisione definitiva relativa al ricorso o alla revisione non sarebbe giustificato.
70      Inoltre, a causa della somiglianza tra i termini di cui all’articolo 28, paragrafo 3, comma terzo, e all’articolo 29, paragrafo 1, primo comma, del regolamento Dublino III e stante la circostanza che le disposizioni citate hanno entrambe ad oggetto la determinazione del periodo durante il quale il trasferimento deve essere effettuato, un’interpretazione più restrittiva dovrebbe di norma essere applicata a ognuna delle due disposizioni in parola, nelle quali soltanto l’effetto sospensivo risultante dall’articolo 27, paragrafo 3, di tale regolamento è menzionato.
71      Di conseguenza, una simile interpretazione comporterebbe, in applicazione dell’articolo 29, paragrafo 1, di detto regolamento che, quando l’autorità competente fa uso della facoltà di cui all’articolo 27, paragrafo 4, del medesimo regolamento nei confronti di una persona che non è in stato di trattenimento, il termine per effettuare il trasferimento dovrebbe, ciononostante, essere calcolato a partire dall’accettazione da parte di un altro Stato membro della richiesta di presa in carico o di ripresa in carico. Siffatta interpretazione sarebbe quindi, in pratica, tale da privare ampliamente la menzionata disposizione di effetto utile, giacché essa non potrebbe essere utilizzata senza che vi sia il rischio di ostacolare la realizzazione del trasferimento entro i termini fissati dal regolamento Dublino III.
72      Si deve parimenti sottolineare che detta interpretazione non può neanche essere preferita per il motivo che essa contribuirebbe a proteggere in misura maggiore la libertà e la sicurezza della persona interessata. L’interpretazione opposta, infatti, porta non ad ampliare le possibilità di trattenimento, bensì proprio a garantire l’applicazione di un limite preciso alla durata massima del trattenimento in tutti i casi in cui il trattenimento è stato prolungato a causa del carattere sospensivo del ricorso o della revisione.
73      Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla quarta questione dichiarando che l’articolo 28, paragrafo 3, del regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che il termine di sei settimane a partire dal momento in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo, istituito da tale disposizione, si applica anche quando la sospensione dell’esecuzione della decisione di trasferimento non è stata specificamente richiesta dalla persona interessata.
 Sulle spese
74      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
1)      L’articolo 28 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, letto alla luce dell’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che:
–        esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede che, nella situazione in cui il trattenimento di un richiedente protezione internazionale inizi dopo che lo Stato membro richiesto ha accettato la richiesta di presa in carico, detto trattenimento possa essere mantenuto per un periodo massimo di due mesi, purché, da un lato, la durata del trattenimento non superi il tempo necessario per la procedura di trasferimento, valutato tenendo conto delle esigenze concrete della menzionata procedura in ciascun caso specifico, e, dall’altro, eventualmente, tale durata non si prolunghi per un periodo superiore a sei settimane a partire dalla data in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo e;
–        esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che permette, in una situazione siffatta, di mantenere detto trattenimento per tre o dodici mesi nel corso dei quali il trasferimento poteva validamente essere effettuato.
2)      L’articolo 28, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che non si deve detrarre dal termine di sei settimane a partire dal momento in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo, istituito da tale disposizione, il numero di giorni che la persona interessata ha già trascorso in stato di trattenimento dopo che uno Stato membro ha accettato la richiesta di presa in carico o di ripresa in carico.
3)      L’articolo 28, paragrafo 3, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che il termine di sei settimane a partire dal momento in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo, istituito da tale disposizione, si applica anche quando la sospensione dell’esecuzione della decisione di trasferimento non è stata specificamente richiesta dalla persona interessata.
Dal sito http://curia.europa.eu