giovedì 9 maggio 2019



Corte di Giustizia UE 2 aprile 2019, (cause riunite) nn. C‑582/17 e C‑583/17,  H.




Rinvio pregiudiziale – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Articolo 18, paragrafo 1, lettere da b) a d) – Articolo 23, paragrafo 1 – Articolo 24, paragrafo 1 – Procedura di ripresa in carico – Criteri di competenza – Nuova domanda presentata in un altro Stato membro – Articolo 20, paragrafo 5 – Procedura di determinazione in corso – Ritiro della domanda – Articolo 27 – Mezzi di impugnazione







Il regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, deve essere interpretato nel senso che un cittadino di un paese terzo che abbia presentato una domanda di protezione internazionale in un primo Stato membro, abbia poi lasciato tale Stato membro e abbia successivamente presentato una nuova domanda di protezione internazionale in un secondo Stato membro:
–        non può, in linea di principio, invocare, nell’ambito di un ricorso proposto, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, di tale regolamento, in detto secondo Stato membro avverso la decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, il criterio di competenza enunciato all’articolo 9 di detto regolamento;
–        può, in via eccezionale, invocare, nell’ambito di un simile ricorso, il succitato criterio di competenza, in una situazione coperta dall’articolo 20, paragrafo 5, del medesimo regolamento, laddove il suddetto cittadino di un paese terzo abbia trasmesso all’autorità competente dello Stato membro richiedente elementi che dimostrino in modo manifesto che quest’ultimo dovrebbe essere considerato lo Stato membro competente per l’esame della domanda in applicazione di detto criterio di competenza.











SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
2 aprile 2019
Nelle cause riunite C‑582/17 e C‑583/17,
aventi ad oggetto due domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi), con decisioni del 27 settembre 2017, pervenute in cancelleria il 4 ottobre 2017, nei procedimenti
Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie
contro
H. (C‑582/17),
R. (C‑583/17),
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, A. Arabadjiev, A. Prechal, M. Vilaras, E. Regan, C. Toader e C. Lycourgos, presidenti di sezione, A. Rosas, M. Ilešič, L. Bay Larsen (relatore), M. Safjan, D. Šváby, C.G. Fernlund e C. Vajda, giudici,
avvocato generale: E. Sharpston
cancelliere: M. Ferreira, amministratrice principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 4 settembre 2018,
considerate le osservazioni presentate:
–        per H., da I.M. Zuidhoek, advocaat;
–        per R., da M.P. Ufkes, advocaat;
–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman e H.S. Gijzen, in qualità di agenti;
–        per il governo tedesco, da T. Henze e R. Kanitz, in qualità di agenti;
–        per il governo finlandese, da J. Heliskoski, in qualità di agente;
–        per il governo del Regno Unito, da S. Brandon, Z. Lavery e R. Fadoju, in qualità di agenti, assistiti da D. Blundell, barrister;
–        per il governo svizzero, da E. Bichet, in qualità di agente;
–        per la Commissione europea, da G. Wils e M. Condou-Durande, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 29 novembre 2018,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31; in prosieguo: il «regolamento Dublino III»).
2        Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie che vedono contrapposti lo Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (segretario di Stato alla Sicurezza e alla Giustizia, Paesi Bassi) (in prosieguo: il «segretario di Stato») a H. e a R., cittadine siriane, relativamente alla decisione del primo di non prendere in considerazione le loro domande di protezione internazionale.
 Contesto normativo
 Il regolamento n. 1560/2003
3        Gli allegati I e III del regolamento (CE) n. 1560/2003 della Commissione, del 2 settembre 2003, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU 2003, L 222, pag. 3), come modificato dal regolamento di esecuzione (UE) n. 118/2014 della Commissione, del 30 gennaio 2014 (GU 2014, L 39, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento n. 1560/2003»), contengono rispettivamente un «Modulo uniforme per la determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo» e un «Modulo uniforme per le richieste di ripresa in carico».
 Il regolamento Dublino III
4        I considerando 4, 5, 13, 14 e 19 del regolamento Dublino III sono così redatti:
«(4)      Secondo le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere, il [sistema europeo comune di asilo] dovrebbe prevedere a breve termine un meccanismo per determinare con chiarezza e praticità lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo.
(5)      Tale meccanismo dovrebbe essere fondato su criteri oggettivi ed equi sia per gli Stati membri sia per le persone interessate. Dovrebbe, soprattutto, consentire di determinare con rapidità lo Stato membro competente al fine di garantire l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale e non dovrebbe pregiudicare l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale.
(…)
(13)      Conformemente alla Convenzione della Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989 e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’interesse superiore del minore dovrebbe costituire un criterio fondamentale per gli Stati membri nell’applicazione del presente regolamento. Nel valutare l’interesse superiore del minore gli Stati membri dovrebbero tenere debito conto in particolare del benessere e dello sviluppo sociale del minore, delle considerazioni attinenti alla sua incolumità e sicurezza, nonché del parere del minore in funzione dell’età o della maturità del medesimo, compreso il suo contesto di origine. È opportuno inoltre che siano fissate specifiche garanzie procedurali per i minori non accompagnati, in considerazione della loro particolare vulnerabilità.

(14)      Conformemente alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il rispetto della vita familiare dovrebbe costituire un criterio fondamentale nell’applicazione, da parte degli Stati membri, del presente regolamento.
(…)
(19)      Al fine di assicurare una protezione efficace dei diritti degli interessati, si dovrebbero stabilire garanzie giuridiche e il diritto a un ricorso effettivo avverso le decisioni relative ai trasferimenti verso lo Stato membro competente, ai sensi, in particolare, dell’articolo 47 della Carta. Al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale è opportuno che un ricorso effettivo avverso tali decisioni verta tanto sull’esame dell’applicazione del presente regolamento quanto sull’esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro in cui il richiedente è trasferito».
5        L’articolo 2 di tale regolamento è formulato nel modo seguente:
«Ai fini del presente regolamento s’intende per:
(…)
d)      “esame di una domanda di protezione internazionale”: l’insieme delle misure d’esame, le decisioni o le sentenze pronunciate dalle autorità competenti su una domanda di protezione internazionale conformemente alla direttiva 2013/32/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60),] e alla direttiva 2011/95/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9)] ad eccezione delle procedure volte a determinare quale sia lo Stato competente in applicazione del presente regolamento;
(…)».
6        L’articolo 3, paragrafi 1 e 2, del regolamento citato così recita:
«1.      Gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III.
2.      Quando lo Stato membro competente non può essere designato sulla base dei criteri enumerati nel presente regolamento, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.
(…)».
7        Contenuto nel capo III del regolamento Dublino III, relativo ai «[c]riteri per determinare lo Stato membro competente», l’articolo 9 di tale regolamento, intitolato «Familiari beneficiari di protezione internazionale», ha il seguente tenore:
«Se un familiare del richiedente, a prescindere dal fatto che la famiglia fosse già costituita nel paese di origine, è stato autorizzato a soggiornare in qualità di beneficiario di protezione internazionale in uno Stato membro, tale Stato membro è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale, purché gli interessati abbiano espresso tale desiderio per iscritto».
8        L’articolo 18 di detto regolamento precisa quanto segue:
«1.      Lo Stato membro competente in forza del presente regolamento è tenuto a:
a)      prendere in carico, alle condizioni specificate negli articoli 21, 22 e 29, il richiedente che ha presentato domanda in un altro Stato membro;
b)      riprendere in carico, alle condizioni di cui agli articoli 23, 24, 25 e 29, il richiedente la cui domanda è in corso d’esame e che ha presentato domanda in un altro Stato membro oppure si trova nel territorio di un altro Stato membro senza un titolo di soggiorno;
c)      riprendere in carico, alle condizioni di cui agli articoli 23, 24, 25 e 29, un cittadino di un paese terzo o un apolide che ha ritirato la sua domanda in corso d’esame e che ha presentato una domanda in un altro Stato membro o che si trova nel territorio di un altro Stato membro senza un titolo di soggiorno;
d)      riprendere in carico, alle condizioni di cui agli articoli 23, 24, 25 e 29, un cittadino di un paese terzo o un apolide del quale è stata respinta la domanda e che ha presentato domanda in un altro Stato membro oppure si trova nel territorio di un altro Stato membro senza un titolo di soggiorno.
2.      Per quanto riguarda i casi che rientrano nell’ambito di applicazione del paragrafo 1, lettere a) e b), lo Stato membro competente esamina o porta a termine l’esame della domanda di protezione internazionale presentata dal richiedente.
Nei casi che rientrano nell’ambito di applicazione del paragrafo 1, lettera c), qualora lo Stato membro competente abbia interrotto l’esame di una domanda in seguito al ritiro di quest’ultima da parte del richiedente, prima di una decisione sul merito di primo grado, detto Stato membro provvede affinché al richiedente sia concesso il diritto di chiedere che l’esame della domanda sia portato a termine o di presentare una nuova domanda di protezione internazionale (…).
Nei casi che rientrano nell’ambito di applicazione del paragrafo 1, lettera d), qualora la domanda sia stata respinta solo in primo grado, lo Stato membro competente assicura che l’interessato abbia o abbia avuto la possibilità di ricorrere a un mezzo di impugnazione efficace ai sensi dell’articolo 46 della direttiva 2013/32/UE».
9        Il capo VI del medesimo regolamento, intitolato «Procedure di presa in carico e ripresa in carico», contiene gli articoli da 20 a 33 dello stesso.
10      L’articolo 20, paragrafo 5, primo comma, del regolamento Dublino III, dispone quanto segue:
«Lo Stato membro nel quale è stata presentata per la prima volta la domanda di protezione internazionale è tenuto, alle condizioni di cui agli articoli 23, 24, 25 e 29 e al fine di portare a termine il procedimento di determinazione dello Stato membro competente, a riprendere in carico il richiedente che si trova in un altro Stato membro senza un titolo di soggiorno o ha presentato colà una nuova domanda di protezione internazionale dopo aver ritirato la prima domanda presentata in uno Stato membro diverso durante il procedimento volto a determinare lo Stato membro competente».
11      L’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, di tale regolamento è così redatto:
«Lo Stato membro che ha ricevuto una domanda di protezione internazionale e ritiene che un altro Stato membro sia competente per l’esame della stessa può chiedere a tale Stato membro di prendere in carico il richiedente quanto prima e, al più tardi, entro tre mesi dopo la presentazione della domanda ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2».
12      L’articolo 22, paragrafi 2, 4, 5 e 7, del regolamento in questione prevede quanto segue:
«2.      Nella procedura di determinazione dello Stato membro competente, sono utilizzati elementi di prova e circostanze indiziarie.
(…)
4.      Il requisito della prova non deve andare oltre quanto necessario ai fini della corretta applicazione del presente regolamento.
5.      In mancanza di prove formali, lo Stato membro richiesto si dichiara competente se le circostanze indiziarie sono coerenti, verificabili e sufficientemente particolareggiate per stabilire la competenza.
(…)
7.      La mancata risposta entro la scadenza del termine di due mesi citato al paragrafo 1 e di quello di un mese citato al paragrafo 6 equivale all’accettazione della richiesta e comporta l’obbligo di prendere in carico la persona, compreso l’obbligo di prendere disposizioni appropriate all’arrivo della stessa».
13      L’articolo 23 dello stesso regolamento così recita:
«1.      Uno Stato membro presso il quale una persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), abbia presentato una nuova domanda di protezione internazionale che ritenga che un altro Stato membro sia competente ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 5, e dell’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), può chiedere all’altro Stato membro di riprendere in carico tale persona.
(…)
4.      Una richiesta di ripresa in carico è effettuata utilizzando un formulario uniforme e comprende elementi di prova o circostanze indiziarie che figurano nelle due liste di cui all’articolo 22, paragrafo 3, e/o elementi pertinenti tratti dalle dichiarazioni dell’interessato, che permettano alle autorità dello Stato membro richiesto di verificare se è competente sulla base dei criteri stabiliti dal presente regolamento.
La Commissione adotta, mediante atti di esecuzione, condizioni uniformi per la preparazione e la presentazione delle richieste di ripresa in carico. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura di esame di cui all’articolo 44, paragrafo 2».
14      L’articolo 24 del regolamento Dublino III enuncia:
«1.      Uno Stato membro sul cui territorio una persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), soggiorna senza un titolo di soggiorno e presso cui non è stata presentata una nuova domanda di protezione internazionale che ritenga che un altro Stato membro sia competente ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 5, e dell’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), può chiedere all’altro Stato membro di riprendere in carico tale persona.
(…)
5.      La richiesta di ripresa in carico della persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), è effettuata utilizzando un formulario uniforme e comprende elementi di prova o circostanze indiziarie che figurano nei due elenchi di cui all’articolo 22, paragrafo 3, e/o elementi pertinenti tratti dalle dichiarazioni dell’interessato, che permettano alle autorità dello Stato membro richiesto di verificare se è competente sulla base dei criteri stabiliti dal presente regolamento.
(…)».
15      L’articolo 25 di tale regolamento prevede quanto segue:
«1.      Lo Stato membro richiesto procede alle verifiche necessarie e decide in merito alla richiesta di ripresa in carico dell’interessato quanto prima e in ogni caso entro il termine di un mese dalla data in cui perviene la richiesta. Quando la richiesta è basata su dati ottenuti dal sistema Eurodac, tale termine è ridotto a due settimane.
2.      L’assenza di risposta entro la scadenza del termine di un mese o di due settimane previsto al paragrafo 1 equivale all’accettazione della richiesta e comporta l’obbligo di riprendere in carico l’interessato, compreso l’obbligo di adottare disposizioni appropriate all’arrivo dello stesso».
16      L’articolo 27, paragrafo 1, di detto regolamento precisa quanto segue:
«Il richiedente o altra persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettera c) o d), ha diritto a un ricorso effettivo avverso una decisione di trasferimento, o a una revisione della medesima, in fatto e in diritto, dinanzi a un organo giurisdizionale».
 Procedimenti principali e questioni pregiudiziali
 Causa C582/17
17      Il 21 gennaio 2016, H. ha presentato una domanda di protezione internazionale nei Paesi Bassi.
18      In considerazione del fatto che H. aveva precedentemente presentato una domanda di protezione internazionale in Germania, il 21 marzo 2016 il segretario di Stato ha presentato alle autorità tedesche una richiesta di ripresa in carico in applicazione dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), del regolamento Dublino III.
19      Le autorità tedesche non hanno risposto a tale richiesta di ripresa in carico entro il termine impartito di due settimane.
20      Con decisione del 6 maggio 2016, il segretario di Stato ha deciso di non prendere in considerazione la domanda di protezione internazionale presentata da H., ritenendo che quest’ultima non poteva avvalersi dell’articolo 9 del regolamento Dublino III per dimostrare la competenza del Regno dei Paesi Bassi a motivo della presenza del suo coniuge in tale Stato membro, giacché si trattava di una situazione di ripresa in carico e non di una situazione di presa in carico.
21      H. ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Rechtbank Den Haag, zittingsplaats Groningen (Tribunale dell’Aia, sede di Groninga, Paesi Bassi).
22      Con sentenza del 6 giugno 2016, detto giudice ha accolto il ricorso e ha annullato la decisione del segretario di Stato, ritenendo che non fosse sufficientemente motivata.
23      H. e il segretario di Stato hanno interposto appello avverso tale sentenza.
24      Il giudice del rinvio ritiene che, conformemente alla logica sottesa al regolamento Dublino III, solo lo Stato membro nel quale è stata presentata la prima domanda di protezione internazionale determini lo Stato membro competente. Esso ne deduce che H. non possa avvalersi di un criterio enunciato al capo III di detto regolamento nei Paesi Bassi, dal momento che non aveva atteso la conclusione della procedura di determinazione dello Stato membro competente in Germania e dato che esiste già un accordo di ripresa in carico tra i due Stati membri.
25      Ciò posto, detto giudice si interroga sulla compatibilità di una simile soluzione con quella formulata nelle sentenze del 7 giugno 2016, Ghezelbash (C‑63/15, EU:C:2016:409), e del 7 giugno 2016, Karim (C‑155/15, EU:C:2016:410).
26      In tale contesto, il Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se il regolamento [Dublino III] debba essere interpretato nel senso che solo lo Stato membro in cui è stata presentata per la prima volta la domanda di protezione internazionale deve determinare lo Stato membro competente, con la conseguenza che uno straniero può impugnare in sede giurisdizionale solo in quello Stato membro, ai sensi dell’articolo 27 [di tale regolamento], un’errata applicazione di uno dei criteri di competenza di cui al capo III [del regolamento Dublino III], tra i quali l’articolo 9».
 Causa C583/17
27      Il 9 marzo 2016, R. ha presentato una domanda di protezione internazionale nei Paesi Bassi.
28      In considerazione del fatto che R. aveva presentato in precedenza una domanda di protezione internazionale in Germania, il segretario di Stato ha chiesto alle autorità tedesche di riprendere in carico la medesima in applicazione dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), del regolamento Dublino III.
29      Le autorità tedesche hanno inizialmente respinto la richiesta di cui trattasi con la motivazione che R. sarebbe coniugata con una persona beneficiaria di protezione internazionale nei Paesi Bassi.
30      Il segretario di Stato ha quindi inviato alle autorità tedesche una domanda di riesame, in cui si precisava che il matrimonio di R. con tale persona non era giudicato verosimile. Sulla base della suddetta domanda, le autorità tedesche hanno riconsiderato la propria posizione e, con decisione del 1o giugno 2016, hanno accettato di riprendere in carico R.
31      Con decisione del 14 luglio 2016, il segretario di Stato ha deciso di non prendere in considerazione la domanda di protezione internazionale presentata da R., ritenendo, da un lato, che il presunto coniuge di R. non potesse essere considerato un suo familiare, dato che R. aveva reso non verosimile l’asserito matrimonio, e, dall’altro, che R. non potesse avvalersi dell’articolo 9 del regolamento Dublino III, posto che si trattava di una situazione di ripresa in carico e non di una situazione di presa in carico.
32      R. ha proposto ricorso contro tale decisione dinanzi al Rechtbank Den Haag, zittingsplaats Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di Bois-le-Duc, Paesi Bassi).
33      Con sentenza dell’11 agosto 2016, detto giudice ha accolto il ricorso e ha annullato la decisione del segretario di Stato, con la motivazione che un cittadino di un paese terzo può invocare i criteri enunciati al capo III del regolamento Dublino III tanto in una situazione di presa in carico quanto in una situazione di ripresa in carico.
34      Il segretario di Stato ha impugnato la sentenza in parola dinanzi al giudice del rinvio.
35      In tale contesto, il Raad van State (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se il regolamento [Dublino III] debba essere interpretato nel senso che solo lo Stato membro in cui è stata presentata per la prima volta la domanda di protezione internazionale deve determinare lo Stato membro competente, con la conseguenza che uno straniero può impugnare in sede giurisdizionale solo in quello Stato membro, ai sensi dell’articolo 27 [di tale regolamento], un’errata applicazione di uno dei criteri di competenza di cui al capo III [del regolamento Dublino III], tra i quali l’articolo 9.
2)      In che misura, al fine di rispondere alla prima questione, sia rilevante che nello Stato membro in cui la domanda di protezione internazionale è stata presentata per la prima volta, su detta domanda sia già stata adottata una decisione oppure che lo straniero abbia prematuramente ritirato detta domanda».
36      Con decisione del presidente della Corte del 19 ottobre 2017, le cause C‑582/17 e C‑583/17 sono state riunite ai fini delle fasi scritta ed orale del procedimento, nonché della sentenza.
 Sulle questioni pregiudiziali
37      Con la sua questione nella causa C‑582/17 e le sue questioni nella causa C‑583/17, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che un cittadino di un paese terzo che abbia presentato una domanda di protezione internazionale in un primo Stato membro, abbia poi lasciato tale Stato membro e abbia successivamente presentato una nuova domanda di protezione internazionale in un secondo Stato membro possa invocare, nell’ambito di un ricorso proposto, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, del menzionato regolamento, in detto secondo Stato membro avverso una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, il criterio di competenza enunciato all’articolo 9 del regolamento citato.
 Sulla portata del diritto al ricorso
38      L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III prevede che la persona oggetto di una decisione di trasferimento abbia diritto a un ricorso effettivo avverso tale decisione, o a una revisione della medesima, in fatto e in diritto, dinanzi a un organo giurisdizionale.
39      La portata di tale ricorso è precisata al considerando 19 di detto regolamento, il quale indica che, al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale, il ricorso effettivo istituito dal regolamento in parola avverso le decisioni di trasferimento deve avere a oggetto, da una parte, l’esame dell’applicazione del citato regolamento e, dall’altra, l’esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro verso il quale il richiedente è trasferito (sentenze del 26 luglio 2017, Mengesteab, C‑670/16, EU:C:2017:587, punto 43, e del 25 ottobre 2017, Shiri, C‑201/16, EU:C:2017:805, punto 37).
40      In tale contesto, alla luce, in particolare, dell’evoluzione generale che ha conosciuto il sistema di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri in conseguenza dell’adozione del regolamento Dublino III e degli obiettivi perseguiti dal menzionato regolamento, l’articolo 27, paragrafo 1, di detto regolamento dev’essere interpretato nel senso che il ricorso da esso previsto avverso una decisione di trasferimento deve poter avere ad oggetto tanto il rispetto delle norme che assegnano la competenze per l’esame di una domanda di protezione internazionale quanto le garanzie procedurali stabilite dal regolamento medesimo (v., in tale senso, sentenze del 26 luglio 2017, A.S., C‑490/16, EU:C:2017:585, punti 27 e 31; del 26 luglio 2017, Mengesteab, C‑670/16, EU:C:2017:587, punti da 44 a 48, nonché del 25 ottobre 2017, Shiri, C‑201/16, EU:C:2017:805, punto 38).
41      La circostanza che la decisione di trasferimento contro la quale viene esperito il ricorso sia stata adottata al termine di una procedura di presa in carico o di ripresa in carico non è atta ad influire sulla portata in tal modo riconosciuta a detto ricorso.
42      Infatti, l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III garantisce un diritto di ricorso tanto ai richiedenti la protezione internazionale, i quali possono essere oggetto, a seconda dei casi, di una procedura di presa in carico o di ripresa in carico, quanto alle altre persone di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettere c) o d), del regolamento in parola, le quali possono essere oggetto di una procedura di ripresa in carico, senza operare alcuna distinzione quanto alla portata del ricorso offerto a tali diverse categorie di ricorrenti.
43      Ciò premesso, da una simile constatazione non può discendere che una persona interessata possa invocare, dinanzi al giudice nazionale investito di un siffatto ricorso, disposizioni del citato regolamento che, in quanto non applicabili alla sua situazione, non vincolavano le autorità competenti al momento dello svolgimento della procedura di presa in carico o di ripresa in carico e dell’adozione della decisione di trasferimento.
44      Nel caso di specie, dalle decisioni di rinvio risulta che le questioni sollevate trovano specificamente la loro origine nei dubbi del giudice del rinvio quanto all’applicabilità, nelle situazioni in esame nei procedimenti principali, dell’articolo 9 di detto regolamento e, pertanto, quanto all’obbligo, per le competenti autorità olandesi, di tener conto, nell’ambito di una procedura di ripresa in carico, del criterio di competenza enunciato nell’articolo menzionato.
45      Per rispondere a tali questioni, occorre dunque stabilire se le autorità competenti siano tenute, in situazioni come quelle di cui trattasi nei procedimenti principali, a procedere alla determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda prendendo in considerazione siffatto criterio, prima di poter validamente formulare una richiesta di ripresa in carico.
 Sulla procedura applicabile in situazioni come quelle di cui trattasi nei procedimenti principali
46      L’ambito di applicazione della procedura di ripresa in carico è definito dagli articoli 23 e 24 del regolamento Dublino III. Dall’articolo 23, paragrafo 1, e dall’articolo 24, paragrafo 1, di tale regolamento risulta che detta procedura è applicabile alle persone di cui all’articolo 20, paragrafo 5, o all’articolo 18, paragrafo 1, lettere da b) a d), del regolamento in parola.
47      L’articolo 20, paragrafo 5, del medesimo regolamento prevede, in particolare, che esso si applica ad un richiedente che presenti una domanda di protezione internazionale in uno Stato membro dopo aver ritirato la sua prima domanda in uno Stato membro diverso durante il procedimento volto a determinare lo Stato membro competente per l’esame della domanda.
48      Suddetta disposizione implica quindi che un richiedente che abbia formalmente informato l’autorità competente dello Stato membro in cui aveva presentato la sua prima domanda del suo intento di rinunciare alla stessa prima che tale procedimento sia terminato potrà tuttavia essere trasferito verso detto primo Stato membro allo scopo della conclusione del procedimento in questione.
49      Orbene, un trasferimento a tal fine verso detto primo Stato membro dovrebbe a fortiori essere possibile in una situazione in cui un richiedente abbia lasciato siffatto Stato membro, prima che sia terminato il procedimento di determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda, senza informare l’autorità competente di tale primo Stato membro del suo intento di rinunciare alla sua domanda e in cui, di conseguenza, il procedimento in parola sia ancora in corso in detto Stato membro.
50      Pertanto, come hanno sostenuto il governo finlandese e la Commissione in udienza, si deve ritenere che l’articolo 20, paragrafo 5, del regolamento Dublino III sia applicabile anche in una situazione del genere, dal momento che la partenza del richiedente dal territorio di uno Stato membro nel quale questi abbia presentato una domanda di protezione internazionale deve essere equiparata, ai fini dell’applicazione di tale disposizione, a un implicito ritiro di detta domanda.
51      Quanto all’articolo 18, paragrafo 1, lettere da b) a d), del regolamento Dublino III, esso si riferisce a una persona la quale, da un lato, ha presentato una domanda di protezione internazionale, che è in corso di esame, ha ritirato una siffatta domanda in corso di esame o ha visto la stessa respinta e, dall’altro, ha presentato una domanda in un altro Stato membro oppure si trova, senza titolo di soggiorno, nel territorio di un altro Stato membro (sentenza del 25 gennaio 2018, Hasan, C‑360/16, EU:C:2018:35, punto 44).
52      Dal momento che dall’articolo 2, lettera d), di tale regolamento emerge che l’esame di una domanda di protezione internazionale copre l’insieme delle misure di esame adottate dalle autorità competenti su una domanda di protezione internazionale, ad eccezione della procedura di determinazione dello Stato membro competente in forza di detto regolamento, si deve ritenere che l’articolo 18, paragrafo 1, lettere da b) a d), del medesimo regolamento possa applicarsi solo ove lo Stato membro in cui una domanda sia stata precedentemente presentata abbia condotto a termine tale procedura di determinazione riconoscendo la propria competenza per l’esame di detta domanda ed abbia avviato l’esame della stessa conformemente alla direttiva 2013/32.
53      Da quanto precede discende che situazioni come quelle di cui trattasi nel procedimento principale rientrano nell’ambito di applicazione della procedura di ripresa in carico, indipendentemente dal punto se la domanda di protezione internazionale presentata nel primo Stato membro sia stata ritirata o se l’esame di quest’ultima conformemente alla direttiva 2013/32 sia già stato avviato nel suddetto Stato membro.
 Sul regime applicabile alle procedure di ripresa in carico
54      Le procedure di presa in carico e di ripresa in carico devono essere obbligatoriamente condotte in conformità delle norme enunciate al capo VI del regolamento Dublino III (v., in tale senso, sentenze del 26 luglio 2017, Mengesteab, C‑670/16, EU:C:2017:587, punto 49, nonché del 13 novembre 2018, X e X, C‑47/17 e C‑48/17, EU:C:2018:900, punto 57), le quali assoggettano tali procedure a regimi distinti, rispettivamente definiti nelle sezioni II e III di detto capitolo.
55      Nell’ambito della procedura di presa in carico, l’articolo 21, paragrafo 1, di tale regolamento prevede la possibilità, per lo Stato membro che ha ricevuto una domanda di protezione internazionale, di chiedere a un altro Stato membro di prendere in carico un richiedente solo qualora il primo di tali Stati membri ritenga che il secondo sia lo Stato membro «competente per l’esame della stessa», essendo quest’ultimo in linea di principio lo Stato membro designato dai criteri esposti al capo III di detto regolamento.
56      L’applicabilità dei criteri di cui trattasi nell’ambito della procedura di presa in carico è confermata dalle disposizioni dell’articolo 22, paragrafi da 2 a 5, del medesimo regolamento, che disciplinano in modo dettagliato l’esame degli elementi di prova e delle circostanze indiziarie che consentono l’applicazione di detti criteri e definiscono il livello di prova necessario per dimostrare la competenza dello Stato membro richiesto.
57      Da tali elementi si evince che, nell’ambito della procedura di presa in carico, il procedimento di determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda sulla base dei criteri stabiliti nel capo III del regolamento Dublino III ha carattere centrale e che l’autorità competente dello Stato membro al quale una domanda è stata presentata può rivolgere a un altro Stato membro una richiesta di presa in carico soltanto qualora tale autorità ritenga che detto altro Stato membro sia competente per l’esame della domanda (v., in tale senso, sentenza del 7 giugno 2016, Ghezelbash, C‑63/15, EU:C:2016:409, punto 43).
58      Tuttavia, lo stesso non può dirsi per la procedura di ripresa in carico, in quanto essa è disciplinata da disposizioni che, al riguardo, presentano differenze sostanziali con le disposizioni che disciplinano la procedura di presa in carico.
59      Infatti, in primo luogo, l’articolo 23, paragrafo 1, e l’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento Dublino III prevedono la facoltà di formulare una richiesta di ripresa in carico qualora lo Stato membro richiedente ritenga che un altro Stato membro sia «competente ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 5, e dell’articolo 18, paragrafo 1, lettere [da] b) [a] d)», di tale regolamento, e non qualora ritenga che un altro Stato membro sia «competente per l’esame della domanda».
60      Come rilevato dalla Commissione all’udienza, ne consegue che il termine «competente» è impiegato all’articolo 23, paragrafo 1, e all’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento Dublino III in un senso diverso da quello di cui all’articolo 21, paragrafo 1, di tale regolamento, in quanto non riguarda specificamente la competenza ad esaminare la domanda di protezione internazionale. Dall’articolo 18, paragrafo 2, e dall’articolo 20, paragrafo 5, di detto regolamento, peraltro, risulta che il trasferimento di una persona verso lo Stato membro tenuto ad un obbligo di ripresa in carico non ha necessariamente lo scopo di portare a termine l’esame di tale domanda.
61      Pertanto, conformemente all’articolo 23, paragrafo 1, e all’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, l’esercizio della facoltà di formulare una richiesta di ripresa in carico presuppone non che sia accertata la competenza dello Stato membro richiesto ad esaminare la domanda di protezione internazionale, ma che tale Stato membro soddisfi le condizioni previste all’articolo 20, paragrafo 5, o all’articolo 18, paragrafo 1, lettere da b) a d), di tale regolamento.
62      Orbene, dal testo stesso dell’articolo 20, paragrafo 5, di detto regolamento emerge che l’obbligo di ripresa in carico che lo stesso istituisce è imposto allo «Stato membro nel quale è stata presentata per la prima volta la domanda di protezione internazionale». Pertanto, per identificare tale Stato membro non possono essere utilizzati i criteri di competenza di cui al capo III dello stesso regolamento.
63      Inoltre, subordinare l’attuazione di siffatto obbligo al completamento, nello Stato membro richiedente, della procedura di determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda, al fine di verificare che tale qualità spetti allo Stato membro di cui all’articolo 20, paragrafo 5, di detto regolamento, contravverrebbe alla logica stessa della disposizione in parola, poiché essa precisa che la ripresa in carico del richiedente imposta al suddetto Stato membro ha lo scopo di consentire a quest’ultimo di «completare la procedura di determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda».
64      La Corte ha peraltro già dichiarato che detta disposizione stabilisce obblighi particolari a carico del primo Stato membro nel quale è stata presentata una domanda di protezione; in tal modo, detto Stato si vede conferire uno status particolare da parte del regolamento Dublino III (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Mengesteab, C‑670/16, EU:C:2017:587, punti 93 e 95).
65      Per quanto riguarda l’articolo 18, paragrafo 1, lettere da b) a d), del menzionato regolamento, è vero che dal suo tenore letterale emerge che gli obblighi in esso previsti sono imposti allo «Stato membro competente».
66      Tuttavia, come rilevato ai punti 51 e 52 della presente sentenza, gli obblighi di ripresa in carico contemplati da tali disposizioni sono applicabili solo qualora la procedura di determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda prevista da detto regolamento sia stata in precedenza conclusa nello Stato membro richiesto e abbia indotto quest’ultimo a riconoscere la propria competenza ad esaminare tale domanda.
67      In una simile situazione, essendo già stata accertata la competenza per l’esame della domanda, non occorre procedere ad una nuova applicazione delle norme che disciplinano la procedura di determinazione di tale competenza, tra le quali carattere prioritario hanno i criteri stabiliti al capo III del medesimo regolamento.
68      L’articolo 25 del regolamento Dublino III conferma, in secondo luogo, l’irrilevanza dei criteri di competenza enunciati al capo III di tale regolamento nell’ambito della procedura di ripresa in carico.
69      Infatti, mentre l’articolo 22, paragrafi da 2 a 5, del regolamento Dublino III prevede dettagliatamente il modo in cui tali criteri debbano essere applicati nell’ambito della procedura di presa in carico, si deve rilevare che l’articolo 25 del regolamento in esame non contiene alcuna disposizione analoga e allo Stato membro richiesto impone unicamente di procedere alle necessarie verifiche al fine di statuire sulla richiesta di ripresa in carico.
70      Il carattere semplificato della procedura di ripresa in carico è oltretutto confermato dal fatto che il termine per rispondere a una richiesta di ripresa in carico, previsto all’articolo 25, paragrafo 2, di detto regolamento, è sensibilmente più breve del termine per rispondere a una richiesta di presa in carico, di cui all’articolo 22, paragrafo 7, del medesimo regolamento.
71      In terzo luogo, l’interpretazione che precede è corroborata dai moduli uniformi di richiesta di presa in carico e di richiesta di ripresa in carico contenuti, rispettivamente, nell’allegato I e nell’allegato III del regolamento n. 1560/2003.
72      Infatti, mentre il modulo uniforme di richiesta di presa in carico prevede che lo Stato membro richiedente debba, contrassegnando una casella, menzionare il criterio di competenza pertinente e consente di fornire le informazioni necessarie per verificare se tale criterio sia soddisfatto, il modulo uniforme di richiesta di ripresa in carico comporta soltanto che lo Stato membro richiedente indichi se la sua richiesta si fondi sull’articolo 20, paragrafo 5, o sull’articolo 18, paragrafo 1, lettere b), c) o d), del regolamento Dublino III, e non contiene alcuna voce relativa ai criteri di competenza enunciati al capo III di tale regolamento.
73      Occorre rilevare, in quarto luogo, che l’interpretazione opposta, secondo la quale una richiesta di ripresa in carico può essere formulata solo se lo Stato membro richiesto può essere designato come Stato membro competente in applicazione dei criteri di competenza enunciati al capo III del regolamento Dublino III, è contraddetta dall’economia generale di tale regolamento.
74      Infatti, un’interpretazione del genere implicherebbe, in definitiva, che le procedure di presa in carico e di ripresa in carico debbano essere condotte in modo identico sotto quasi tutti i profili e che costituiscano, in pratica, una procedura unica che presuppone, in un primo momento, di determinare lo Stato membro competente per l’esame della domanda sulla base dei suddetti criteri di competenza, e successivamente, in un secondo tempo, di presentare a quest’ultimo una richiesta di cui dovrà valutare la fondatezza sulla stessa base.
75      Orbene, se il legislatore dell’Unione avesse inteso instaurare una simile procedura unica, non avrebbe logicamente scelto di stabilire, nella struttura stessa di detto regolamento, l’esistenza di due procedure autonome, applicabili a fattispecie diverse, definite in modo dettagliato, e che sono oggetto di disposizioni diverse.
76      In quinto e ultimo luogo, l’interpretazione menzionata al punto 73 della presente sentenza sarebbe altresì atta a compromettere il conseguimento di taluni obiettivi del regolamento Dublino III.
77      Infatti, nei casi previsti dall’articolo 18, paragrafo 1, lettere da b) a d), di tale regolamento, essa comporterebbe che le autorità competenti del secondo Stato membro possano di fatto riesaminare la conclusione alla quale sono giunte, in esito alla procedura di determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda, le autorità competenti del primo Stato membro riguardo alla propria competenza, laddove le persone interessate lascino il territorio di tale Stato membro dopo che quest’ultimo abbia avviato l’esame della loro domanda, il che rischierebbe di incitare i cittadini di paesi terzi che hanno depositato una domanda di protezione internazionale in uno Stato membro a recarsi in altri Stati membri, innescando in questo modo movimenti secondari che il regolamento Dublino III intende appunto prevenire instaurando i meccanismi e i criteri uniformi per determinare lo Stato membro competente (v., per analogia, sentenze del 17 marzo 2016, Mirza, C‑695/15 PPU, EU:C:2016:188, punto 52, e del 13 settembre 2017, Khir Amayry, C‑60/16, EU:C:2017:675, punto 37).
78      L’interpretazione richiamata al punto 73 della presente sentenza, inoltre, potrebbe ledere il principio fondamentale di tale regolamento, enunciato all’articolo 3, paragrafo 1, secondo cui una domanda di asilo deve essere esaminata da un solo Stato membro, nell’ipotesi in cui la procedura di determinazione effettuata nel secondo Stato membro giunga ad un risultato diverso da quello adottato nel primo Stato membro.
79      Peraltro, il riesame, eventualmente ripetuto a più riprese, del risultato della procedura di determinazione dello Stato membro competente, in un contesto in cui l’applicazione di detto regolamento e l’accesso effettivo a una procedura di protezione internazionale siano già stati garantiti, pregiudicherebbe l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale, menzionato al considerando 5 del medesimo regolamento.
80      Ne consegue che, nei casi di cui all’articolo 23, paragrafo 1, e all’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, prima di presentare una richiesta di ripresa in carico ad un altro Stato membro le autorità competenti interessate non sono tenute a determinare, sulla base dei criteri di competenza stabiliti da tale regolamento e in particolare di quello enunciato all’articolo 9 di detto regolamento, se quest’ultimo Stato membro sia competente per l’esame della domanda.
81      Occorre tuttavia rilevare che, nei casi previsti all’articolo 20, paragrafo 5, del regolamento Dublino III, un eventuale trasferimento potrà allora, in linea di principio, avvenire senza che sia stata previamente accertata la competenza per l’esame della domanda dello Stato membro richiesto.
82      Pertanto, in seguito a un simile trasferimento e in esito al completamento, in detto Stato membro, della procedura di determinazione dello Stato membro competente, non può escludersi che debba essere preso in considerazione un trasferimento, in senso inverso, verso lo Stato membro che aveva precedentemente richiesto la ripresa in carico del richiedente. Inoltre, come hanno rilevato il governo tedesco e la Commissione, alla luce dei termini previsti dall’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento citato, è probabile che, al termine della procedura in parola, una richiesta di presa in carico non possa più essere validamente formulata dallo Stato membro che era stato precedentemente tenuto a riprendere in carico tale richiedente.
83      Ciò premesso, occorre ricordare che i criteri di competenza di cui agli articoli da 8 a 10 di detto regolamento, letti alla luce dei considerando 13 e 14 di quest’ultimo, mirano a contribuire alla tutela dell’interesse superiore del minore e della vita familiare degli interessati, i quali sono altresì garantiti dagli articoli 7 e 24 della Carta dei diritti fondamentali. In tali circostanze, in ossequio al principio di leale cooperazione, uno Stato membro non può validamente formulare una richiesta di ripresa in carico, in una situazione coperta dall’articolo 20, paragrafo 5, del medesimo regolamento, qualora la persona interessata abbia trasmesso all’autorità competente elementi che dimostrino in modo manifesto che lo Stato membro di cui si tratta deve essere considerato lo Stato membro competente per l’esame della domanda in applicazione dei summenzionati criteri di competenza. In una situazione del genere, al contrario, detto Stato membro deve riconoscere la propria competenza.
84      Alla luce di tutte le considerazioni sopra svolte, occorre rispondere alla questione sollevata nella causa C‑582/17 e alle questioni sollevate nella causa C‑583/17 dichiarando che il regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che un cittadino di un paese terzo che abbia presentato una domanda di protezione internazionale in un primo Stato membro, abbia poi lasciato tale Stato membro e abbia successivamente presentato una nuova domanda di protezione internazionale in un secondo Stato membro:
–        non può, in linea di principio, invocare, nell’ambito di un ricorso proposto, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, di tale regolamento, in detto secondo Stato membro avverso la decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, il criterio di competenza enunciato all’articolo 9 di detto regolamento;
–        può, in via eccezionale, invocare, nell’ambito di un simile ricorso, il succitato criterio di competenza, in una situazione coperta dall’articolo 20, paragrafo 5, del medesimo regolamento, laddove il suddetto cittadino di un paese terzo abbia trasmesso all’autorità competente dello Stato membro richiedente elementi che dimostrino in modo manifesto che quest’ultimo dovrebbe essere considerato lo Stato membro competente per l’esame della domanda in applicazione di detto criterio di competenza.
 Sulle spese
85      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
Il regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, deve essere interpretato nel senso che un cittadino di un paese terzo che abbia presentato una domanda di protezione internazionale in un primo Stato membro, abbia poi lasciato tale Stato membro e abbia successivamente presentato una nuova domanda di protezione internazionale in un secondo Stato membro:
–        non può, in linea di principio, invocare, nell’ambito di un ricorso proposto, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, di tale regolamento, in detto secondo Stato membro avverso la decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, il criterio di competenza enunciato all’articolo 9 di detto regolamento;
–        può, in via eccezionale, invocare, nell’ambito di un simile ricorso, il succitato criterio di competenza, in una situazione coperta dall’articolo 20, paragrafo 5, del medesimo regolamento, laddove il suddetto cittadino di un paese terzo abbia trasmesso all’autorità competente dello Stato membro richiedente elementi che dimostrino in modo manifesto che quest’ultimo dovrebbe essere considerato lo Stato membro competente per l’esame della domanda in applicazione di detto criterio di competenza.
Dal sito http://curia.europa.eu





Corte di Giustizia UE 11 aprile 2019, n. C-483/17, Tarola


Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Libera circolazione delle persone – Direttiva 2004/38/CE – Diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Articolo 7, paragrafo 1, lettera a) – Lavoratori subordinati e autonomi – Articolo 7, paragrafo 3, lettera c) – Diritto di soggiorno superiore a tre mesi – Cittadino di uno Stato membro che ha esercitato un’attività subordinata in un altro Stato membro per un periodo di quindici giorni – Stato di disoccupazione involontaria – Conservazione della qualità di lavoratore per un periodo di almeno sei mesi – Diritto all’assegno per persone in cerca di impiego (jobseeker’s allowance)







L’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), e paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che un cittadino di uno Stato membro che abbia esercitato il suo diritto alla libera circolazione, che abbia acquisito in un altro Stato membro la qualità di lavoratore ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva, in virtù dell’attività da esso esercitata, su base giuridica diversa da un contratto a tempo determinato, per un periodo di due settimane, prima di trovarsi in stato di disoccupazione involontaria, conserva lo status di lavoratore per un periodo supplementare di almeno sei mesi ai sensi di tali disposizioni, purché si sia registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro.
Spetta al giudice del rinvio stabilire se, in applicazione del principio della parità di trattamento sancito all’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, detto cittadino disponga, di conseguenza, del diritto di percepire prestazioni di assistenza sociale o, eventualmente, prestazioni previdenziali sulla stessa base di un cittadino dello Stato membro ospitante.





Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
11 aprile 2019
Nella causa C‑483/17,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Court of Appeal (Corte d’appello, Irlanda), con decisione del 2 agosto 2017, pervenuta in cancelleria il 9 agosto 2017, nel procedimento
Neculai Tarola
contro
Minister for Social Protection
LA CORTE (Terza Sezione),
composta da M. Vilaras (relatore), presidente della Quarta Sezione, facente funzione di presidente della Terza Sezione, J. Malenovský, L. Bay Larsen, M. Safjan e D. Šváby, giudici,
avvocato generale: M. Szpunar
cancelliere: L. Hewlett, amministratrice principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 6 settembre 2018,
considerate le osservazioni presentate:
–        per N. Tarola, da C. Stamatescu, solicitor, e D. Shortall, BL;
–        per l’Irlanda, da M. Browne, G. Hodge, A. Joyce e M. Tierney, in qualità di agenti, assistiti da E. Barrington, SC, e D. Dodd, BL;
–        per il governo ceco, da M. Smolek, J. Pavliš e J. Vláčil, in qualità di agenti;
–        per il governo danese, da P.Z.L. Ngo, in qualità di agente;
–        per il governo tedesco, da D. Klebs, in qualità di agente;
–        per il governo francese, da D. Colas e R. Coesme, in qualità di agenti;
–        per la Commissione europea, da E. Montaguti, M. Kellerbauer e J. Tomkin, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 15 novembre 2018,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), e paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifiche GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Neculai Tarola e il Minister for Social Protection (ministro della Protezione sociale, Irlanda) in merito al rigetto, da parte di quest’ultimo, della sua domanda di concessione dell’assegno per persone in cerca di impiego (jobseeker’s allowance).
 Contesto normativo
 Diritto dell’Unione
3        I considerando 3, 9, 10 e 20 della direttiva 2004/38 enunciano:
«(3)      La cittadinanza dell’Unione dovrebbe costituire lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri quando essi esercitano il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno. È pertanto necessario codificare e rivedere gli strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione.
(...)
(9)      I cittadini dell’Unione dovrebbero aver il diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante per un periodo non superiore a tre mesi senza altra formalità o condizione che il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, fatto salvo un trattamento più favorevole applicabile ai richiedenti lavoro, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
(10)      Occorre tuttavia evitare che coloro che esercitano il loro diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo iniziale di soggiorno. Pertanto il diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per un periodo superiore a tre mesi dovrebbe essere subordinato a condizioni.
(...)
(20)      In conformità del divieto di discriminazione in base alla nazionalità, ogni cittadino dell’Unione e i suoi familiari il cui soggiorno in uno Stato membro è conforme alla presente direttiva dovrebbero godere in tale Stato membro della parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali nel campo d’applicazione del trattato, fatte salve le specifiche disposizioni previste espressamente dal trattato e dal diritto derivato».
4        L’articolo 1 di tale direttiva prevede quanto segue:
«La presente direttiva determina:
a)      le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari;
(...)».
5        L’articolo 7 della direttiva in argomento, intitolato «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», ai suoi paragrafi 1 e 3 così dispone:
«1.      Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:
a)      di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante (...)
(...)
3.      Ai sensi del paragrafo 1, lettera a), il cittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conserva la qualità di lavoratore subordinato o autonomo nei seguenti casi:
a)      l’interessato è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio;
b)      l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività per oltre un anno, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro;
c)      l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno o venutosi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro. In tal caso, l’interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi;
d)      l’interessato segue un corso di formazione professionale. Salvo il caso di disoccupazione involontaria, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra l’attività professionale precedentemente svolta e il corso di formazione seguito».
6        A termini dell’articolo 14 della direttiva 2004/38, intitolato «Mantenimento del diritto di soggiorno»:
«1.      I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui all’articolo 6 finché non diventano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.
2.      I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui agli articoli 7, 12 e 13 finché soddisfano le condizioni fissate negli stessi.
(...)».
7        L’articolo 24 della medesima direttiva, intitolato «Parità di trattamento», al paragrafo 1 dispone quanto segue:
«Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente».
 Diritto irlandese
8        L’articolo 6, paragrafo 2, lettere a) e c), dello European Communities (Free Movement of Persons) (n. 2) Regulations 2006 [regolamento relativo alle Comunità europee (libera circolazione delle persone) (n. 2) del 2006; in prosieguo: il «regolamento del 2006»], il quale ha trasposto nell’ordinamento giuridico irlandese l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, prevede quanto segue:
«a)      Fatto salvo l’articolo 20, un cittadino dell’Unione può soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio dello Stato a condizione di:
i)      essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato;
(...)
c)      Fatto salvo l’articolo 20, una persona alla quale si applica il punto a), i), può restare nello Stato al momento della cessazione dell’attività di cui a detto punto se
(...)
ii)      essa, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un periodo di occupazione superiore ad un anno, si sia registrata presso l’ufficio competente del [Department of Social and Family Affairs (ministero degli Affari sociali e familiari, Irlanda)] e del FÁS [Foras Áiseanna Saothair (autorità per la formazione e l’impiego, Irlanda)] al fine di trovare un lavoro (...);
iii)      salvo il disposto della punto d), essa, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine del suo contratto di lavoro a tempo determinato inferiore ad un anno, o venutasi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi, si sia registrata presso l’ufficio competente del ministero degli Affari sociali e familiari e del FÁS (...) al fine di trovare un lavoro».
 Procedimento principale e questione pregiudiziale
9        Il ricorrente nel procedimento principale è un cittadino rumeno arrivato per la prima volta in Irlanda nel maggio del 2007, ove è stato impiegato dal 5 al 30 luglio 2007 e successivamente dal 15 agosto al 14 settembre 2007. Mentre non risulta dimostrato che egli è rimasto in Irlanda tra il 2007 e il 2013, è invece pacifico che egli è stato nuovamente impiegato in Irlanda dal 22 luglio al 24 settembre 2013, poi dall’8 al 22 luglio 2014, e che egli ha percepito, in forza di quest’ultimo impiego, una retribuzione pari a EUR 1 309. Egli ha peraltro lavorato anche come subappaltatore in proprio dal 17 novembre al 5 dicembre 2014.
10      Il 21 settembre 2013, il ricorrente nel procedimento principale ha presentato al ministro della Protezione sociale una domanda di concessione di un assegno per persone in cerca di impiego (jobseeker’s allowance), che è stata respinta in quanto egli non aveva fornito la prova né della sua residenza abituale in Irlanda, né delle sue risorse economiche per il periodo dal 15 settembre 2007 al 22 luglio 2013.
11      Il 26 novembre 2013, egli ha quindi presentato una domanda di concessione dell’assegno supplementare di assistenza sociale (supplementary welfare allowance), che è stata anch’essa respinta poiché egli non era stato in grado di presentare elementi atti a dimostrare il modo in cui avesse sopperito alle proprie necessità e avesse pagato il canone di locazione dal mese di settembre del 2013 al 14 aprile 2014.
12      Il 6 novembre 2014, il ricorrente nel procedimento principale ha presentato una seconda domanda di concessione di un assegno per persone in cerca di impiego, che è stata respinta il 26 novembre 2014 con la motivazione che, dal suo arrivo in Irlanda, egli non aveva lavorato per un periodo superiore a un anno e che gli elementi da lui prodotti non erano sufficienti a dimostrare che egli aveva la sua residenza abituale in tale Stato membro.
13      Di conseguenza, il ricorrente nel procedimento principale ha presentato dinanzi al ministro della Protezione sociale un reclamo inteso ad ottenere la revisione della decisione del 26 novembre 2014, che è stato respinto con la motivazione che il breve periodo di lavoro da lui compiuto nel mese di luglio 2014 non era tale da rimettere in discussione la constatazione che egli non aveva la sua residenza abituale in Irlanda.
14      Il 10 marzo 2015, egli ha presentato al ministro della Protezione sociale un’istanza di riesame della sua decisione del 26 novembre 2014, facendo segnatamente valere che, in forza dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38, egli aveva il diritto di risiedere in Irlanda come lavoratore per un periodo di sei mesi successivo alla cessazione della sua attività professionale, avvenuta nel luglio del 2014. Tale domanda è stata respinta con decisione del 31 marzo 2015 con la motivazione che, dal suo arrivo in Irlanda, egli non aveva lavorato per un periodo superiore a un anno e non disponeva di risorse economiche proprie sufficienti a sopperire alle sue necessità.
15      Avverso tale decisione, il ricorrente nel procedimento principale ha proposto dinanzi alla High Court (Alta Corte, Irlanda) un ricorso, che è stato respinto il 20 aprile 2016 con la motivazione che egli non soddisfaceva i requisiti di cui all’articolo 6, paragrafo 2, punto c), iii), del regolamento del 2006. La High Court (Alta Corte) ha dichiarato che il ricorrente nel procedimento principale non poteva essere considerato come un «lavoratore» e, di conseguenza, come residente abitualmente in Irlanda, ai fini di poter esigere un’assistenza sociale a tali titolo. Essa ha infatti considerato che tale disposizione riguardava unicamente le persone che avevano lavorato in base a un contratto di lavoro a tempo determinato inferiore a un anno. Essa ha altresì ritenuto che il periodo di lavoro svolto dal ricorrente nel procedimento principale fra l’8 e il 22 luglio 2014 non potesse essere considerato un contratto di lavoro a tempo determinato ai sensi di tale disposizione, e che quest’ultimo rientrava nella previsione di cui all’articolo 6, paragrafo 2, punto c), ii), del regolamento del 2006. Essa ha pertanto concluso che il ricorrente nel procedimento principale non era stato in grado di fornire la prova di avere lavorato senza soluzione di continuità per un periodo di un anno prima della presentazione della sua domanda di assistenza sociale, cosicché il ministro della Protezione sociale aveva a giusto titolo respinto tale domanda.
16      Il 5 maggio 2016, il ricorrente nel procedimento principale ha interposto appello contro il rigetto del suo ricorso dinanzi al giudice del rinvio, la Court of Appeal (Corte d’appello, Irlanda), la quale ritiene che la questione centrale su cui verte il procedimento principale sia quella di sapere se una persona che ha lavorato meno di un anno conservi lo status di lavoratore ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38.
17      Quest’ultima rileva anzitutto che, nel diritto dell’Unione, le persone che dipendono da prestazioni di previdenza sociale devono essere prese in carico nel loro Stato membro di origine, come risulterebbe dal considerando 10 nonché dall’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38. Infatti, le persone che esercitano il loro diritto di soggiorno non dovrebbero rappresentare un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo iniziale di soggiorno, e l’esercizio di tale diritto per un periodo superiore a tre mesi dovrebbe essere subordinato a determinate condizioni. Essa sottolinea, tuttavia, che l’articolo 7 della direttiva in argomento attua l’articolo 45 TFUE, cosicché trova applicazione la giurisprudenza della Corte relativa alla nozione di lavoratore, che è sempre stata interpretata in senso ampio.
18      Essa si chiede, di conseguenza, se debba ritenersi che il ricorrente nel procedimento principale abbia conservato la sua qualità lavoratore, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38, in virtù del fatto di aver lavorato per un periodo di due settimane nel mese di luglio 2014, cosicché egli avrebbe, in linea di principio, il diritto di percepire l’assegno per persone in cerca di lavoro, in quanto egli si è trovato in stato di disoccupazione involontaria e si è registrato al fine di trovare un lavoro.
19      Il giudice del rinvio sottolinea a tal riguardo che il ricorrente nel procedimento principale, anche se non fa più valere dinanzi ad esso, come aveva fatto dinanzi alla High Court (Alta Corte), di aver lavorato sulla base di un contratto a tempo determinato durante tale periodo, sostiene tuttavia che l’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38, là dove utilizza la congiunzione coordinativa disgiuntiva «o», copre due ipotesi distinte. Infatti, la prima parte di tale disposizione («trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno») riguarderebbe la cessazione di contratti di lavoro aventi una durata determinata inferiore a un anno, mentre la seconda parte («venutosi a trovare in [stato di disoccupazione] durante i primi dodici mesi») riguarderebbe non già la cessazione di contratti di lavoro a tempo determinato, bensì la cessazione di contratti di lavoro aventi una durata superiore a un anno che si verifica durante i primi dodici mesi d’impiego della persona interessata. Tale differenza sarebbe corroborata dal fatto che la prima parte della disposizione si riferisce alla disoccupazione «debitamente comprovata», mentre la seconda parte richiede che il lavoratore si sia «registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro». Orbene, non avrebbe senso imporre un simile requisito nel caso di una persona in stato di disoccupazione «debitamente comprovata».
20      Il giudice del rinvio nutre, tuttavia, dubbi in merito all’esattezza di tale interpretazione. Esso rileva, anzitutto, che l’interpretazione sostenuta dal ricorrente nel procedimento principale non consente di stabilire se l’espressione «primi dodici mesi» riguardi il periodo successivo all’arrivo nello Stato membro ospitante oppure il periodo di impiego in detto Stato membro. Esso sottolinea, inoltre, che siffatta interpretazione mal si concilia con uno degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2004/38, vale a dire quello di raggiungere un giusto equilibrio tra la tutela della libera circolazione dei lavoratori, da un lato, e la garanzia che i sistemi di previdenza sociale dello Stato membro ospitante non sopportino oneri eccessivi, dall’altro lato.
21      È in tale contesto che la Court of appeal (Corte d’appello) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Qualora un cittadino di un altro Stato membro dell’Unione entri nello Stato [membro] ospitante dopo aver esercitato i primi dodici mesi del suo diritto di libera circolazione e lavori (con un contratto diverso da un contratto a tempo determinato) per un periodo di due settimane, per il quale è retribuito, e venga successivamente a trovarsi in stato di disoccupazione involontaria, se detto cittadino conservi la qualità di lavoratore subordinato per non meno di altri sei mesi, ai sensi degli articoli 7, paragrafo 3, lettera c) e 7, paragrafo 1, lettera a) della [direttiva 2004/38], che gli consentirebbe di percepire prestazioni di assistenza sociale o, a seconda dei casi, indennità di sicurezza sociale sulla stessa base di un cittadino residente dello Stato [membro] ospitante».
 Sulla questione pregiudiziale
22      Con la sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), e paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che un cittadino di uno Stato membro che abbia esercitato il suo diritto alla libera circolazione, che abbia lavorato in un altro Stato membro per un periodo di due settimane, su base giuridica diversa da un contratto a tempo determinato, prima di trovarsi in stato di disoccupazione involontaria, conservi lo status di lavoratore per non meno di altri sei mesi ai sensi di tali disposizioni e disponga, di conseguenza, del diritto di percepire prestazioni di assistenza sociale o, eventualmente, prestazioni previdenziali sulla stessa base di un cittadino dello Stato membro ospitante.
23      Occorre ricordare che la direttiva 2004/38, come risulta dai suoi considerando da 1 a 4, mira ad agevolare l’esercizio del diritto primario e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, il quale è conferito direttamente ai cittadini dell’Unione dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE e che tale direttiva ha segnatamente l’obiettivo di rafforzare (v., in tal senso, sentenze del 25 luglio 2008, Metock e a., C‑127/08, EU:C:2008:449, punto 82, nonché del 5 giugno 2018, Coman e a., C‑673/16, EU:C:2018:385, punto 18 e la giurisprudenza ivi citata).
24      L’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/38 prevede, dunque, che ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare nel territorio di uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza per un periodo superiore a tre mesi, purché abbia la qualità di lavoratore subordinato o di lavoratore autonomo nello Stato membro ospitante.
25      Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che il giudice del rinvio, che non ha interrogato la Corte a tal riguardo, ritiene che il ricorrente nel procedimento principale abbia la qualità di lavoratore ai sensi di quest’ultima disposizione, a motivo dell’attività da lui esercitata nello Stato membro ospitante per un periodo di due settimane.
26      L’articolo 7, paragrafo 3, di tale direttiva dispone, dal canto suo, che, ai fini dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della medesima direttiva, il cittadino dell’Unione che ha cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante conserva comunque la qualità di lavoratore, in determinate circostanze, che la Corte ha dichiarato non elencate in modo esaustivo da detto paragrafo 3 (sentenza del 19 giugno 2014, Saint Prix, C‑507/12, EU:C:2014:2007, punto 38), e, in particolare, quando si trova in stato di disoccupazione involontaria.
27      L’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38 prevede, a tal riguardo, che il cittadino dell’Unione, «trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività per oltre un anno» nello Stato membro ospitante, conserva la qualità di lavoratore, senza limiti di durata, a condizione di essersi registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro.
28      Risulta tuttavia dalla formulazione stessa della questione pregiudiziale e dalle spiegazioni fornite dal giudice del rinvio che tale questione verte unicamente sull’attività esercitata dal ricorrente nel procedimento principale nello Stato membro ospitante per un periodo di due settimane, sicché, in ogni caso, esso non rientra nell’ambito delle disposizioni dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2004/38.
29      L’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38, prevede, nondimeno, che il cittadino dell’Unione, «trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno o venutosi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi», conserva anche la qualità di lavoratore, per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi, a condizione di essersi registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro.
30      Dalla formulazione stessa dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38, in particolare dall’uso della congiunzione coordinativa «o», risulta che tale disposizione prevede il mantenimento dello status di lavoratore, subordinato o autonomo, per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi, in due ipotesi.
31      La prima ipotesi riguarda la situazione del lavoratore che abbia svolto un impiego in forza di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore a un anno e che si trovi in stato di disoccupazione involontaria al termine di quest’ultimo.
32      È tuttavia pacifico che – come risulta dalla formulazione stessa della questione pregiudiziale e dalle spiegazioni fornite dal giudice del rinvio – il ricorrente nel procedimento principale non ha lavorato nello Stato membro ospitante, durante il periodo di attività di cui trattasi nel procedimento principale, in forza di un contratto di lavoro a tempo determinato, sicché egli non rientra, in linea di principio, in tale prima ipotesi.
33      Il giudice del rinvio chiede, di conseguenza, se un lavoratore come il ricorrente nel procedimento principale, che è stato occupato nello Stato membro ospitante per un periodo di due settimane, su base giuridica diversa da un contratto di lavoro a tempo determinato, prima di trovarsi in stato di disoccupazione involontaria, rientri nella seconda ipotesi, riguardante la situazione di qualsiasi lavoratore che si trovi «in stato di disoccupazione involontaria (...) durante i primi dodici mesi».
34      Orbene, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 30 delle sue conclusioni, la formulazione dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 non consente di stabilire se il ricorrente nel procedimento principale rientri in tale seconda ipotesi.
35      Infatti, tale disposizione non precisa né se essa si applichi ai lavoratori subordinati o ai lavoratori autonomi o, ancora, alle due categorie di lavoratori, né se essa riguardi i contratti a tempo determinato di durata superiore a un anno, i contratti a tempo indeterminato o, ancora, a qualsiasi tipo di contratto o di attività, né, infine, se i dodici mesi ai quali essa si riferisce riguardino il periodo di soggiorno o il periodo di occupazione del lavoratore interessato nello Stato membro ospitante.
36      A tal riguardo, si deve rilevare, anzitutto, che, secondo una costante giurisprudenza, tanto l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto il principio di uguaglianza esigono che i termini in cui è formulata una disposizione di diritto dell’Unione, la quale non contenga alcun rinvio espresso al diritto degli Stati membri al fine di determinare il suo senso e la sua portata, devono di norma ricevere, in tutta l’Unione, un’interpretazione autonoma e uniforme (sentenze del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja, C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 32, nonché del 19 settembre 2013, Brey,C‑140/12, EU:C:2013:565, punto 49).
37      Si deve poi ricordare che, ai fini dell’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, occorre tenere conto non solo del suo tenore, ma anche del contesto della disposizione stessa e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenza del 7 ottobre 2010, Lassal, C‑162/09, EU:C:2010:592, punto 49 e giurisprudenza ivi citata). Anche la genesi di una disposizione del diritto dell’Unione può rivelare elementi pertinenti per la sua interpretazione (v., in tal senso, sentenze del 27 novembre 2012, Pringle, C‑370/12, EU:C:2012:756, punto 135; del 3 ottobre 2013, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio, C‑583/11 P, EU:C:2013:625, punto 50, nonché del 24 giugno 2015, T., C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 58).
38      Infine, tenuto conto del contesto in cui si inscrive la direttiva 2004/38 e delle finalità perseguite da quest’ultima, le sue disposizioni non possono essere interpretate restrittivamente e, comunque, non devono essere private della loro efficacia pratica (v., in tal senso, sentenze dell’11 dicembre 2007, Eind, C‑291/05, EU:C:2007:771, punto 43; del 25 luglio 2008, Metock e a., C‑127/08, EU:C:2008:449, punto 84, nonché del 5 giugno 2018, Coman e a., C‑673/16, EU:C:2018:385, punto 39).
39      Nel caso di specie, risulta anzitutto dal combinato disposto dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), e dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 che il beneficio del mantenimento dello status di lavoratore previsto da quest’ultima disposizione è riconosciuto a qualsiasi cittadino dell’Unione che abbia esercitato un’attività lavorativa nello Stato membro ospitante, indipendentemente dalla natura di quest’ultima, vale a dire che abbia esercitato un’attività subordinata oppure autonoma (v., in tal senso, sentenza del 20 dicembre 2017, Gusa, C‑442/16, EU:C:2017:1004, punti 37 e 38).
40      La Corte ha giudicato, a tale riguardo, che la possibilità per un cittadino dell’Unione – che abbia temporaneamente cessato di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma – di conservare il proprio status di lavoratore sulla base dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, nonché il diritto di soggiorno che gli spetta, in forza dell’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, si fonda sulla premessa che detto cittadino sia disponibile e idoneo a rientrare nel mercato del lavoro dello Stato membro ospitante entro un termine ragionevole (sentenza del 13 settembre 2018, Prefeta, C‑618/16, EU:C:2018:719, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).
41      Occorre poi ricordare che la direttiva 2004/38, la quale, conformemente al suo articolo 1, lettera a), ha segnatamente lo scopo di fissare le modalità di esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, stabilisce una graduazione della durata del diritto di soggiorno riconosciuto a ogni cittadino nello Stato membro ospitante, prevedendo, tra il diritto di soggiorno inferiore a tre mesi di cui al suo articolo 6 e il diritto di soggiorno permanente di cui al suo articolo 16, un diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi disciplinato dal suo articolo 7.
42      L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 garantisce così a qualsiasi lavoratore subordinato o autonomo, in particolare, un diritto di soggiorno superiore a tre mesi nello Stato membro ospitante.
43      L’articolo 7, paragrafo 3, della medesima direttiva garantisce, a sua volta, a qualsiasi cittadino dell’Unione che si trovi in una situazione di inattività temporanea il mantenimento del suo status di lavoratore e, di conseguenza, del suo diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante, stabilendo al contempo una graduazione nelle condizioni di detto mantenimento in funzione, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 33 delle sue conclusioni, da un lato, del motivo della sua inattività, segnatamente a seconda che egli sia inabile al lavoro per malattia o infortunio, in stato di disoccupazione involontaria oppure in formazione professionale, e, dall’altro, della durata iniziale del suo periodo di attività nello Stato membro ospitante, vale a dire a seconda che tale durata sia superiore o inferiore a un anno.
44      Così, il cittadino dell’Unione che ha esercitato un’attività lavorativa subordinata o autonoma nello Stato membro ospitante conserva il suo status di lavoratore senza limiti nel tempo, in primo luogo, se è colpito da un’incapacità temporanea risultante da una malattia o da un incidente, conformemente all’articolo 7, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, in secondo luogo, se ha esercitato un’attività subordinata o autonoma nello Stato membro ospitante per oltre un anno prima di trovarsi in stato di disoccupazione involontaria, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), di tale direttiva (sentenza del 20 dicembre 2017, Gusa, C‑442/16, EU:C:2017:1004, punti da 29 a 46), o, in terzo luogo, se segue un corso di formazione professionale, conformemente all’articolo 7, paragrafo 3, lettera d), della medesima direttiva.
45      Per contro, il cittadino dell’Unione che abbia esercitato un’attività lavorativa subordinata o autonoma nello Stato membro ospitante per un periodo di durata inferiore a un anno beneficia del mantenimento del suo status di lavoratore solo per un periodo di tempo in cui tale Stato membro è libero di fissare, purché non sia inferiore a sei mesi.
46      Infatti, la durata del mantenimento dello status di lavoratore del cittadino dell’Unione che abbia esercitato un’attività subordinata o autonoma nello Stato membro ospitante può essere limitata da quest’ultimo, senza tuttavia poter essere inferiore a sei mesi, conformemente all’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38, qualora tale cittadino si trovi in stato di disoccupazione, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, prima di aver potuto compiere un anno di attività.
47      Ciò si verifica, secondo la prima ipotesi prevista da tale disposizione, quando la cessazione dell’attività del lavoratore subordinato avvenga all’atto della scadenza di un contratto a tempo determinato inferiore a un anno.
48      Ciò si verifica anche, come previsto nella seconda ipotesi di cui a tale disposizione, in tutte le situazioni in cui un lavoratore sia stato costretto, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, a cessare la sua attività nello Stato membro ospitante prima che sia trascorso un anno, a prescindere dalla natura dell’attività esercitata e dal tipo di contratto di lavoro concluso a tal fine, vale a dire indipendentemente dal fatto che egli abbia esercitato un’attività subordinata o autonoma e che abbia concluso un contratto a tempo determinato di durata superiore a un anno, un contratto a tempo indeterminato o qualsiasi altro tipo di contratto.
49      Tale interpretazione è conforme alla principale finalità perseguita dalla direttiva 2004/38, che, come ricordato al punto 23 della presente sentenza, consiste nel rafforzare il diritto alla libertà di circolazione e di soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione nonché all’obiettivo specificamente perseguito dal suo articolo 7, paragrafo 3, consistente nel garantire, attraverso il mantenimento dello status di lavoratore, il diritto di soggiorno delle persone che abbiano cessato di esercitare la loro attività professionale a causa di una mancanza di lavoro dovuta a circostanze indipendenti dalla loro volontà (v., in tal senso, sentenze del 15 settembre 2015, Alimanovic, C‑67/14, EU:C:2015:597, punto 60; del 25 febbraio 2016, García-Nieto e a., C‑299/14, EU:C:2016:114, punto 47, nonché del 20 dicembre 2017, Gusa, C‑442/16, EU:C:2017:1004, punto 42).
50      Non si può, peraltro, ritenere che tale interpretazione sia atta a pregiudicare la realizzazione di uno degli altri obiettivi perseguiti dalla direttiva 2004/38, vale a dire quello di raggiungere un giusto equilibrio fra la tutela della libera circolazione dei lavoratori, da un lato, e la garanzia che i sistemi di previdenza sociale dello Stato membro ospitante non sosterranno un onere irragionevole, dall’altro.
51      È vero che il considerando 10 della direttiva 2004/38 indica che tale direttiva mira ad evitare che le persone che esercitano il loro diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo iniziale di soggiorno.
52      Occorre tuttavia rilevare, a tal riguardo, che la conservazione della qualità di lavoratore in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 presuppone, come ricordato ai punti da 24 a 29 della presente sentenza, da un lato, che il cittadino interessato abbia effettivamente avuto, prima del suo periodo di disoccupazione involontaria, la qualità di lavoratore ai sensi di detta direttiva e, dall’altro, che si sia registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare lavoro. Inoltre, la conservazione di tale status durante un periodo di disoccupazione involontaria può essere limitata a sei mesi dallo Stato membro interessato.
53      Infine, l’esame dei lavori preparatori della direttiva 2004/38, in particolare della proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri [COM (2003) 199 definitivo], nonché della posizione comune (CE) n. 6/2004 del Consiglio, del 5 dicembre 2003 (GU  2004, C 54 E, pag. 12), consente di confermare, come esposto dall’avvocato generale ai paragrafi 51 e 52 delle sue conclusioni, la volontà del legislatore dell’Unione di estendere il beneficio del mantenimento dello status di lavoratore, eventualmente limitato ad un periodo non inferiore a sei mesi, alle persone che si trovino in stato di disoccupazione involontaria dopo aver lavorato per meno di un anno su base giuridica diversa da un contratto di lavoro a tempo determinato.
54      Ne consegue che l’articolo 7, paragrafo 1, e paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che un cittadino dell’Unione che si trovi in una situazione come quella del ricorrente nel procedimento principale, il quale ha acquisito la qualità di lavoratore ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva in uno Stato membro, in virtù dell’attività da lui esercitata per un periodo di due settimane prima di trovarsi in stato di disoccupazione involontaria, beneficia del mantenimento del suo status di lavoratore per un periodo di almeno sei mesi, purché si sia registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro.
55      Si deve inoltre ricordare che, conformemente al considerando 20 e all’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, ogni cittadino dell’Unione che soggiorna nel territorio dello Stato membro ospitante conformemente a quest’ultima, tra cui in particolare quello che conserva il suo status di lavoratore subordinato o autonomo in forza dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera c), della medesima direttiva, gode della parità di trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato membro nell’ambito di applicazione del trattato FUE, fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste da quest’ultimo e il diritto derivato.
56      Ne consegue che, come ha esposto l’avvocato generale al paragrafo 55 delle sue conclusioni, quando il diritto nazionale esclude dal beneficio del diritto alle prestazioni sociali le persone che hanno esercitato un’attività subordinata o autonoma solo per un breve periodo, tale esclusione si applica allo stesso modo ai lavoratori di altri Stati membri che hanno esercitato il loro diritto alla libera circolazione.
57      Spetta pertanto al giudice del rinvio, l’unico competente a interpretare e ad applicare il diritto nazionale, stabilire se, in applicazione di detto diritto e conformemente al principio della parità di trattamento, il ricorrente nel procedimento principale abbia diritto al beneficio delle prestazioni di previdenza sociale o delle prestazioni di assistenza sociale da lui richieste nell’ambito del procedimento principale.
58      Da quanto precede deriva che l’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), e paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che un cittadino di uno Stato membro che abbia esercitato il suo diritto alla libera circolazione, che abbia acquisito in un altro Stato membro la qualità di lavoratore ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva, in virtù dell’attività da esso esercitata, su base giuridica diversa da un contratto a tempo determinato, per un periodo di due settimane, prima di trovarsi in stato di disoccupazione involontaria, conserva lo status di lavoratore per un periodo supplementare di almeno sei mesi ai sensi di tali disposizioni, purché si sia registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro. Spetta al giudice del rinvio stabilire se, in applicazione del principio della parità di trattamento sancito all’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, detto cittadino disponga, di conseguenza, del diritto di percepire prestazioni di assistenza sociale o, eventualmente, prestazioni previdenziali sulla stessa base di un cittadino dello Stato membro ospitante.
 Sulle spese
59      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
L’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), e paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che un cittadino di uno Stato membro che abbia esercitato il suo diritto alla libera circolazione, che abbia acquisito in un altro Stato membro la qualità di lavoratore ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva, in virtù dell’attività da esso esercitata, su base giuridica diversa da un contratto a tempo determinato, per un periodo di due settimane, prima di trovarsi in stato di disoccupazione involontaria, conserva lo status di lavoratore per un periodo supplementare di almeno sei mesi ai sensi di tali disposizioni, purché si sia registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro.
Spetta al giudice del rinvio stabilire se, in applicazione del principio della parità di trattamento sancito all’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, detto cittadino disponga, di conseguenza, del diritto di percepire prestazioni di assistenza sociale o, eventualmente, prestazioni previdenziali sulla stessa base di un cittadino dello Stato membro ospitante.
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