sabato 30 marzo 2019


Corte di Giustizia UE 13 marzo 2019, n. C-635/17, E.

Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politica relativa all’immigrazione – Diritto al ricongiungimento familiare – Direttiva 2003/86/CE – Esclusioni dall’ambito di applicazione della direttiva – Articolo 3, paragrafo 2, lettera c) – Esclusione delle persone beneficiarie di protezione sussidiaria – Estensione a tali persone del diritto al ricongiungimento familiare operata dal diritto nazionale – Competenza della Corte – Articolo 11, paragrafo 2 – Assenza di documenti ufficiali che comprovano vincoli familiari – Spiegazioni ritenute non sufficientemente plausibili – Obblighi delle autorità degli Stati membri di svolgere ulteriori indagini – Limiti












1)      La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, a interpretare l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, in cui il giudice del rinvio è chiamato a pronunciarsi su una domanda di ricongiungimento familiare presentata da un beneficiario dello status conferito dalla protezione sussidiaria, qualora tale disposizione sia stata resa applicabile a una situazione siffatta, in modo diretto e incondizionato, dal diritto nazionale.

2)      L’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 deve essere interpretato nel senso che esso osta – in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, in cui una domanda di ricongiungimento familiare è stata presentata da una soggiornante, che beneficia dello status conferito dalla protezione sussidiaria, a favore di un minorenne di cui essa è la zia e asseritamente la tutrice, il quale risiede come rifugiato e senza vincoli familiari in un paese terzo – a che tale domanda sia respinta per il solo motivo che la soggiornante non ha fornito i documenti ufficiali attestanti la morte dei genitori biologici del minorenne, e pertanto l’effettività dei propri vincoli familiari con il medesimo, e che la spiegazione fornita dalla soggiornante per giustificare la propria incapacità di produrre siffatti documenti è stata ritenuta non plausibile dalle autorità competenti, sulla semplice base delle informazioni generali disponibili relativamente alla situazione nel paese di origine, senza prendere in considerazione la situazione concreta della soggiornante e del minorenne, nonché le specifiche difficoltà che essi hanno dovuto affrontare, stando a quanto essi riportano, prima e dopo la fuga dal loro paese di origine









Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
13 marzo 2019
Nella causa C‑635/17,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal rechtbank Den Haag zittingsplaats Haarlem (tribunale dell’Aia, sede di Haarlem, Paesi Bassi), con decisione del 14 novembre 2017, pervenuta in cancelleria lo stesso giorno, nel procedimento
E.
contro
Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta da A. Arabadjiev (relatore), presidente di sezione, T. von Danwitz, M. Berger, C. Vajda e P.G. Xuereb, giudici,
avvocato generale: N. Wahl
cancelliere: K. Malacek, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 ottobre 2018,
considerate le osservazioni presentate:
–        per E., da M.L. van Riel e C.J. Ullersma, advocaten;
–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman e C.S. Schillemans, in qualità di agenti;
–        per la Commissione europea, da G. Wils e C. Cattabriga, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 29 novembre 2018,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera c), e dell’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra E., minorenne di nazionalità eritrea che vive in Sudan, e lo Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (Segretario di Stato alla Sicurezza e alla Giustizia, Paesi Bassi) (in prosieguo: il «Segretario di Stato»), in merito al rigetto da parte di quest’ultimo della domanda di ricongiungimento familiare presentata, a favore di E., dalla sig.ra A., cittadina eritrea beneficiaria di protezione sussidiaria nei Paesi Bassi, asseritamente zia e tutrice di E.
 Contesto normativo
 Diritto dell’Unione
 Direttiva 2003/86
3        Ai sensi del considerando 8 della direttiva 2003/86:
«La situazione dei rifugiati richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare. In considerazione di ciò, occorre prevedere condizioni più favorevoli per l’esercizio del loro diritto al ricongiungimento familiare».
4        L’articolo 2 della direttiva 2003/86, che figura nel capo I della medesima, intitolato «Disposizioni generali», prevede quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva, si intende per:
a)      “cittadino di un paese terzo”: chiunque non sia cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del trattato;
b)      “rifugiato”: il cittadino di un paese terzo o l’apolide cui sia riconosciuto lo status di rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 28 luglio 1951, modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967;
c)      “soggiornante”: il cittadino di un paese terzo legalmente soggiornante in uno Stato membro che chiede o i cui familiari chiedono il ricongiungimento familiare;
d)      “ricongiungimento familiare”: l’ingresso e il soggiorno in uno Stato membro dei familiari di un cittadino di un paese terzo che soggiorna legalmente in tale Stato membro, al fine di conservare l’unità familiare, indipendentemente dal fatto che il legame familiare sia anteriore;
e)      “permesso di soggiorno”: un’autorizzazione rilasciata dalle autorità di uno Stato membro che consente ad un cittadino di un paese terzo di soggiornare legalmente sul proprio territorio (...);
(...)».
5        L’articolo 3 della suddetta direttiva, parimenti contenuto nel capo I di quest’ultima, così dispone:
«1.      La presente direttiva si applica quando il soggiornante è titolare di un permesso di soggiorno rilasciato da tale Stato membro per un periodo di validità pari o superiore a un anno, e ha una fondata prospettiva di ottenere il diritto di soggiornare in modo stabile, se i membri della sua famiglia sono cittadini di paesi terzi, indipendentemente dal loro status giuridico.
2.      La presente direttiva non si applica quando il soggiornante:
(...)
c)      è autorizzato a soggiornare in uno Stato membro in virtù di forme sussidiarie di protezione, conformemente agli obblighi internazionali, alle legislazioni nazionali o alle prassi degli Stati membri, o abbia richiesto l’autorizzazione a soggiornare per lo stesso motivo ed è in attesa di una decisione sul suo status.
(...)
5.      La presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di adottare o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli».
6        L’articolo 4 della direttiva 2003/86, contenuto nel capo II della medesima, intitolato «Familiari», al suo paragrafo 1 prevede quanto segue:
«In virtù della presente direttiva e subordinatamente alle condizioni stabilite al capo IV e all’articolo 16, gli Stati membri autorizzano l’ingresso e il soggiorno dei seguenti familiari:
(...)
c)      i figli minorenni, compresi quelli adottati, del soggiornante, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento. (...)
(...)
I figli minorenni di cui al presente articolo devono avere un’età inferiore a quella in cui si diventa legalmente maggiorenni nello Stato membro interessato e non devono essere coniugati.
(...)».
7        Ai sensi dell’articolo 5 di tale direttiva, che figura nel capo III di quest’ultima, intitolato «Presentazione ed esame della domanda»:
«1.      Gli Stati membri determinano se, per esercitare il diritto al ricongiungimento familiare, la domanda di ingresso e di soggiorno debba essere presentata alle autorità competenti dello Stato membro interessato dal soggiornante o dal familiare o dai familiari.
2.      La domanda è corredata dei documenti che comprovano i vincoli familiari ed il rispetto delle condizioni previste dagli articoli 4 e 6 e, nel caso siano applicabili, dagli articoli 7 e 8, e di copie autenticate dei documenti di viaggio del membro o dei familiari.
Ove opportuno, per ottenere la prova dell’esistenza di vincoli familiari, gli Stati membri possono convocare per colloqui il soggiornante e i suoi familiari e condurre altre indagini che ritengano necessarie.
(...)
4.      Non appena possibile e comunque entro nove mesi dalla data di presentazione della domanda le autorità competenti dello Stato membro comunicano per iscritto alla persona che ha presentato la domanda la loro decisione.
In circostanze eccezionali dovute alla complessità della domanda da esaminare, il termine di cui al comma precedente può essere prorogato.
La decisione di rifiuto della domanda è debitamente motivata. Eventuali conseguenze della mancata decisione allo scadere del termine di cui al primo comma sono disciplinate dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato.
5.      Nell’esame della domanda, gli Stati membri tengono nella dovuta considerazione l’interesse superiore dei minori».
8        L’articolo 10 di tale direttiva, contenuto nel capo V della medesima, intitolato «Ricongiungimento familiare dei rifugiati», al suo paragrafo 2 così dispone:
«Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento di altri familiari non previsti all’articolo 4, qualora essi siano a carico del rifugiato».
9        L’articolo 11 della direttiva 2003/86, contenuto nello stesso capo V, precisa quanto segue:
«1.      Per quanto concerne la presentazione e l’esame delle domande si applicano le disposizioni dell’articolo 5, fatto salvo il paragrafo 2 del presente articolo.
2.      Qualora un rifugiato non possa fornire documenti ufficiali che provino i suoi vincoli familiari, gli Stati membri tengono conto anche di altri mezzi idonei a provare l’esistenza di tali vincoli, da valutare conformemente alla legislazione nazionale. Il rigetto della domanda non può essere motivato unicamente dall’assenza di documenti probatori».
10      Il capo VII di tale direttiva, relativo a «[s]anzioni e mezzi di ricorso», comprende i suoi articoli da 16 a 18.
11      L’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva medesima è così formulato:
«Gli Stati membri possono inoltre respingere la domanda d’ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare, oppure ritirare o rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno dei familiari se è accertato che:
a)      sono state utilizzate informazioni false o ingannevoli, sono stati utilizzati documenti falsi o falsificati, ovvero è stato fatto ricorso alla frode o ad altri mezzi illeciti;
(...)».
12      L’articolo 17 della stessa direttiva prevede quanto segue:
«In caso di rigetto di una domanda, di ritiro o di mancato rinnovo del permesso di soggiorno o di adozione di una misura di allontanamento nei confronti del soggiornante o dei suoi familiari, gli Stati membri prendono nella dovuta considerazione la natura e la solidità dei vincoli familiari della persona e la durata del suo soggiorno nello Stato membro, nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine».
 Orientamenti per l’applicazione della direttiva 2003/86
13      La comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, del 3 aprile 2014, concernente gli orientamenti per l’applicazione della direttiva 2003/86 [COM(2014) 210; in prosieguo: gli «orientamenti»], contiene i seguenti passaggi:
«(...)
3.      Presentazione ed esame della domanda
(...)
3.2.      Documenti a corredo della domanda
Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva la domanda di ricongiungimento familiare deve essere corredata:
a)      dei documenti che comprovano i vincoli familiari;
(...)
Gli Stati membri dispongono di una certa discrezionalità nel decidere sull’opportunità e necessità di verificare i documenti che comprovano i vincoli familiari tramite colloqui o altre indagini, compreso l’esame del DNA. In base ai criteri dell’opportunità e della necessità, tali indagini non sono ammesse se sussistono altri mezzi idonei meno restrittivi per accertare l’esistenza dei vincoli familiari. La domanda, i documenti che la corredano e l’opportunità e la necessità di colloqui e altre indagini devono essere valutati caso per caso.
(...)
6.      Ricongiungimento familiare dei beneficiari di protezione internazionale
6.1.      Rifugiati
(...)
La Commissione sottolinea che le disposizioni del capo V devono essere lette alla luce dei principi di cui all’articolo 5, paragrafo 5, e all’articolo 17. Pertanto, nell’esaminare le domande di ricongiungimento familiare dei rifugiati, gli Stati membri devono procedere, in ogni singola fattispecie, a una valutazione equilibrata e ragionevole di tutti gli interessi in gioco, tenendo nella dovuta considerazione l’interesse superiore dei figli minorenni (...). Nessun elemento preso separatamente può portare automaticamente a una decisione; ciascuno va considerato solo come uno degli elementi pertinenti (...).
(...)
6.1.2.            Assenza di documentali probatori ufficiali
Ai sensi dell’articolo 11, per quanto concerne la presentazione e l’esame delle domande si applicano le disposizioni dell’articolo 5, fatta salva la deroga relativa ai documentali probatori ufficiali di cui all’articolo 11, paragrafo 2. Pertanto, in linea con l’articolo 5, paragrafo 2, gli Stati membri possono prevedere che la domanda sia corredata dei documenti che comprovano i vincoli familiari, e che possano essere effettuati colloqui e altre indagini, se opportuno e necessario.
Tuttavia, per i rifugiati che sono stati costretti a fuggire dal loro paese, e per i loro familiari, è spesso impossibile o pericoloso produrre documenti ufficiali o mettersi in contatto con le autorità consolari o diplomatiche del loro paese di origine.
L’articolo 11, paragrafo 2, è esplicito: senza lasciare alcuna discrezionalità, dispone che l’assenza di documenti probatori non può essere l’unico motivo del rigetto della domanda, e fa obbligo agli Stati membri, in tali casi, di tener “conto anche di altri mezzi idonei a provare” l’esistenza di tali vincoli. Poiché tali “altri mezzi idonei a provare” devono essere valutati conformemente al diritto nazionale, gli Stati membri dispongono di un certo margine di discrezionalità; tuttavia dovrebbero adottare norme chiare che disciplinino tali condizioni in materia di prove. Esempi di “altri mezzi idonei a provare” l’esistenza dei vincoli familiari sono le dichiarazioni orali o scritte dei richiedenti, i colloqui con i familiari o le indagini sulla situazione all’estero. Tali dichiarazioni possono poi, ad esempio, essere corroborate da elementi di prova, quali documenti, materiale audiovisivo, eventuali documenti o prove materiali (come diplomi, la prova di trasferimenti di denaro, ecc.) o la conoscenza di fatti specifici.
La valutazione individuale di cui all’articolo 17 esige che, nell’esaminare le prove fornite dal richiedente, gli Stati membri tengano conto di tutti gli elementi pertinenti, tra cui l’età, il genere, il livello d’istruzione, l’origine familiare e lo status sociale, nonché specifici aspetti culturali. La Commissione ritiene che se, nonostante l’esame di altri tipi di prova, permangono seri dubbi o se esistono forti indizi di intenzioni fraudolente, si può ricorrere all’esame del DNA come ultima ratio (...). In tali casi, gli Stati membri dovrebbero osservare i principi dell’[Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati(HCR)] sull’esame del DNA (...).
(...)».
 Diritto dei Paesi Bassi
14      Dalla decisione di rinvio risulta che la direttiva 2003/86 è stata trasposta nell’ordinamento giuridico dei Paesi Bassi dal Vreemdelingenwet 2000 (legge del 2000 sugli stranieri), dalla Vreemdelingencirculaire 2000 (circolare del 2000 sugli stranieri) e dalla Werkinstructie 2014/9 (istruzione di servizio 2014/9).
15      Il giudice del rinvio, il rechtbank Den Haag zittingsplaats Haarlem (tribunale dell’Aia, sede di Haarlem, Paesi Bassi), precisa che il Regno dei Paesi Bassi ha trasposto le disposizioni più favorevoli del capo V di tale direttiva, relative al ricongiungimento familiare dei rifugiati, comprese le disposizioni facoltative ivi contenute. In particolare, il Regno dei Paesi Bassi ha scelto di applicare tale direttiva ai beneficiari di protezione sussidiaria, anche se, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera c), della direttiva medesima, quest’ultima non si applica loro. Il legislatore dei Paesi Bassi ha pertanto reso tale capo V direttamente e incondizionatamente applicabile alla loro situazione.
16      La circolare del 2000 sugli stranieri e l’istruzione di servizio 2014/9 vertono, in particolare, sulla valutazione della prova dell’esistenza dei legami familiari tra il soggiornante e il cittadino di un paese terzo a favore del quale è presentata la domanda di ricongiungimento familiare. Ne consegue che il Segretario di Stato accoglie tale domanda qualora sia accertato che il cittadino del paese terzo appartiene effettivamente alla famiglia del soggiornante.
17      A tale riguardo, il soggiornante deve dimostrare, secondo il giudice del rinvio, che il cittadino del paese terzo ha effettivamente fatto parte della propria famiglia prima dell’arrivo del soggiornante nei Paesi Bassi e che tale vincolo familiare effettivo non è stato spezzato. Anche se il soggiornante deve, in linea di principio, apportare tale prova per mezzo di documenti, gli è tuttavia possibile, in mancanza di tali documenti, fornire ulteriori informazioni o spiegazioni plausibili, credibili e coerenti sull’effettiva appartenenza alla propria famiglia del cittadino di un paese terzo di cui trattasi. In particolare, per valutare se un minorenne appartenga effettivamente alla famiglia del soggiornante, si tiene conto, segnatamente, della ragione per cui il minorenne è stato accolto in tale famiglia.
18      Infine, in caso di impossibilità di accertare l’esistenza di un effettivo vincolo familiare per mezzo di documenti ufficiali o di un’analisi del DNA, è possibile ricorrere a un colloquio con domande di identificazione. Il giudice del rinvio precisa che ciò avviene in particolare per quanto riguarda i minorenni nell’ambito della procedura di ricongiungimento familiare.
 Procedimento principale e questioni pregiudiziali
19      La sig.ra A. e sua figlia risiedono regolarmente nei Paesi Bassi dall’11 marzo 2015 come beneficiarie di protezione sussidiaria, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2003/86. Il 16 aprile 2015 la sig.ra A. ha presentato alle autorità competenti dei Paesi Bassi una domanda di ricongiungimento familiare a favore di E.
20      A sostegno di tale domanda, essa ha fornito una dichiarazione del Fronte di Liberazione Eritreo del 6 aprile 2015 (in prosieguo: la «dichiarazione dell’ELF»), da cui risulterebbe che essa è zia di E. e sua tutrice dopo la morte dei suoi genitori biologici, avvenuta quando E. aveva cinque anni. Essa ha inoltre affermato che quest’ultimo aveva vissuto con lei in Sudan dopo la loro fuga dall’Eritrea, avvenuta nel 2013 quando E. aveva dieci anni, fino a quando lei era partita per i Paesi Bassi. Attualmente E. risiederebbe ancora in Sudan presso una famiglia affidataria.
21      Con decisione del 12 maggio 2016 il Segretario di Stato ha respinto la domanda di ricongiungimento familiare.
22      Il Segretario di Stato si è anzitutto basato sul fatto che non era stato fornito alcun documento ufficiale relativo all’effettività dei vincoli familiari tra E. e la sig.ra A., dal momento che l’unico documento prodotto a tal fine, vale a dire la dichiarazione dell’ELF, era stato emesso in modo non autorizzato. Il Segretario di Stato ha poi constatato che non era stata fornita alcuna spiegazione plausibile circa l’impossibilità di fornire documenti ufficiali, considerando che l’Eritrea rilascia questo tipo di documenti, quali certificati di morte e di tutela, carte d’identità o ancora tessere scolastiche o studentesche. Il Segretario di Stato ha aggiunto infine che, in tali circostanze, la domanda di ricongiungimento familiare poteva essere respinta senza che fosse necessario organizzare un colloquio con E. o con la sig.ra A. al fine di stabilire l’effettività del loro vincolo familiare.
23      Il ricorso proposto contro tale decisione è stato respinto con una decisione confermativa del 27 ottobre 2016.
24      Poiché dinanzi al giudice del rinvio era stato proposto un ricorso di annullamento contro il rigetto della domanda di ricongiungimento familiare di cui al procedimento principale, il 18 maggio 2017 si è tenuta un’udienza. La causa è stata quindi riassegnata a una formazione collegiale e una seconda udienza si è tenuta il 13 settembre 2017.
25      Il giudice del rinvio precisa che, nel corso di quest’ultima udienza, il Segretario di Stato ha abbandonato le sue obiezioni relative all’identità di E. e della sig.ra A., nonché all’esistenza di un legame biologico tra queste due persone. Analogamente, il Segretario di Stato ha rinunciato a invocare l’assenza di documenti ufficiali per quanto riguarda la tutela della sig.ra A. su E., poiché nel diritto eritreo una siffatta tutela sarebbe conferita ex lege. Ne consegue, secondo tale giudice, che i soli elementi ancora contestati nel procedimento principale sono quelli vertenti sull’assenza di certificati di morte dei genitori biologici di E. e sulla plausibilità delle spiegazioni fornite a tale proposito dalla sig.ra A.
26      Il giudice del rinvio nutre dubbi circa l’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 e, in particolare, si chiede se lo Stato membro in questione sia obbligato a «[tener] conto anche di altri mezzi idonei a provare l’esistenza [dei vincoli familiari]» nel caso in cui il rifugiato non fornisca alcuna spiegazione plausibile della sua incapacità di fornire documenti ufficiali.
27      Lo stesso giudice si interroga tuttavia, alla luce della sentenza del 18 ottobre 2012, Nolan (C‑583/10, EU:C:2012:638, punti da 53 a 56), sulla competenza della Corte a rispondere a una questione come quella di cui al procedimento principale, rilevando che, sebbene la situazione della sig.ra A. in quanto semplice beneficiaria della protezione sussidiaria esuli dall’ambito di applicazione delle disposizioni di tale direttiva, il diritto dei Paesi Bassi ha reso queste ultime applicabili a una siffatta situazione in modo diretto e incondizionato.
28      In simili circostanze, il rechtbank Den Haag, zittingsplaats Haarlem (tribunale dell’Aia, sede di Haarlem) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se, in considerazione dell’articolo 3, paragrafo 2, [lettera] c), della [direttiva 2003/86] e della sentenza [del 18 ottobre 2012,] Nolan (C‑583/10, EU:C:2012:638), la Corte sia competente a rispondere a questioni pregiudiziali presentate dai giudici dei Paesi Bassi sull’interpretazione di disposizioni della menzionata [direttiva 2003/86] in un procedimento vertente sul diritto di soggiorno di un familiare di un avente diritto a protezione sussidiaria, posto che detta direttiva nel diritto dei Paesi Bassi è stata dichiarata direttamente e incondizionatamente applicabile agli aventi diritto alla protezione sussidiaria (…);
2)      Se l’articolo 11, paragrafo 2, della [direttiva 2003/86] debba essere interpretato nel senso che osta al rigetto di una domanda di ricongiungimento familiare di un rifugiato solo per il fatto che quest’ultimo, nella sua domanda, non presenta documenti ufficiali che provino il vincolo familiare,
o
se l’articolo 11, paragrafo 2, della [direttiva 2003/86] debba essere interpretato nel senso che osta al rigetto di una domanda di ricongiungimento familiare di un rifugiato unicamente a causa dell’assenza di documenti ufficiali, che provino il vincolo familiare, solo se il rifugiato in questione ha fornito una spiegazione plausibile del fatto di non aver presentato tali documenti e della sua affermazione di non essere in grado di produrli».
 Procedimento dinanzi alla Corte
29      Il giudice del rinvio ha chiesto di trattare il presente rinvio pregiudiziale con il procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto dall’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte.
30      Il 23 novembre 2017 la Prima Sezione della Corte ha deciso, dopo aver sentito l’avvocato generale, che non vi era luogo di accogliere tale domanda.
31      Tuttavia, con decisione del 27 novembre 2017, il presidente della Corte ha concesso di trattare la presente causa in via prioritaria, conformemente all’articolo 53, paragrafo 3, del regolamento di procedura della Corte.
 Sulle questioni pregiudiziali
 Sulla prima questione
32      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se la Corte sia competente, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, a interpretare l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 in una situazione come quella di cui al procedimento principale, in cui un giudice è chiamato a pronunciarsi su una domanda di ricongiungimento familiare presentata da un beneficiario dello status conferito dalla protezione sussidiaria, qualora tale disposizione sia stata resa applicabile a una situazione siffatta, in modo diretto e incondizionato, dal diritto nazionale.
33      L’articolo 3, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2003/86, precisa, in particolare, che tale direttiva non si applica quando il soggiornante è un cittadino di un paese terzo, autorizzato a soggiornare in uno Stato membro in virtù di forme sussidiarie di protezione, conformemente agli obblighi internazionali, alle legislazioni nazionali o alle prassi degli Stati membri.
34      Ne risulta che la direttiva 2003/86 deve essere interpretata nel senso che essa non si applica a cittadini di paesi terzi familiari di un beneficiario dello status conferito dalla protezione sussidiaria, quale la sig.ra A. (sentenza del 7 novembre 2018, K e B, C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 33).
35      Da una giurisprudenza costante della Corte risulta tuttavia che quest’ultima è competente a statuire su una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente su disposizioni del diritto dell’Unione, in situazioni in cui, anche se i fatti del procedimento principale non rientrano direttamente nell’ambito di applicazione di tale diritto, le disposizioni di detto diritto sono state rese applicabili dal diritto nazionale in forza di un rinvio operato da quest’ultimo al contenuto delle medesime (sentenza del 7 novembre 2018, K e B, C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).
36      Infatti, in simili situazioni, sussiste un interesse certo dell’Unione europea a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni riprese dal diritto dell’Unione ricevano un’interpretazione uniforme (sentenza del 7 novembre 2018, K e B, C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).
37      Pertanto, un’interpretazione, da parte della Corte, di disposizioni del diritto dell’Unione in situazioni non rientranti nell’ambito di applicazione di queste ultime si giustifica quando tali disposizioni sono state rese applicabili a siffatte situazioni dal diritto nazionale in modo diretto e incondizionato, al fine di assicurare un trattamento identico a dette situazioni e a quelle rientranti nell’ambito di applicazione di tali disposizioni (sentenza del 7 novembre 2018, K e B, C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).
38      Nel caso di specie, il giudice del rinvio, che è il solo competente a interpretare il diritto nazionale nell’ambito del sistema di cooperazione giudiziaria istituito dall’articolo 267 TFUE (v., per analogia, sentenza del 7 novembre 2018, K e B, C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 37 e giurisprudenza ivi citata), ha precisato che il legislatore dei Paesi Bassi ha scelto di garantire ai beneficiari dello status conferito dalla protezione sussidiaria un trattamento più favorevole di quello previsto dalla direttiva 2003/86, applicando loro le norme relative ai rifugiati previste da tale direttiva. Detto giudice ne ha dedotto di essere tenuto, ai sensi del diritto dei Paesi Bassi, ad applicare nel procedimento principale l’articolo 11, paragrafo 2, di tale direttiva.
39      In simili circostanze, si deve ritenere che tale disposizione sia stata resa applicabile in modo diretto e incondizionato dal diritto dei Paesi Bassi a situazioni come quella di cui al procedimento principale e che sussista pertanto un sicuro interesse dell’Unione a che la Corte si pronunci sulla domanda di pronuncia pregiudiziale (v., per analogia, sentenza del 7 novembre 2018, K e B, C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 38).
40      Infatti, la Corte ha già dichiarato che, ove il requisito di cui al punto 37 della presente sentenza sia soddisfatto, la propria competenza può anche essere dimostrata in situazioni che rientrano in un caso di esclusione dall’ambito di applicazione di un atto dell’Unione (sentenza del 7 novembre 2018, C e A, C‑257/17, EU:C:2018:876, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).
41      In tale contesto, la competenza della Corte non può ragionevolmente variare a seconda che l’ambito di applicazione della disposizione pertinente sia stato delimitato per mezzo di una definizione positiva o mediate la definizione di taluni casi di esclusione, potendo tali due tecniche legislative essere usate indifferentemente (sentenza del 7 novembre 2018, C e A, C‑257/17, EU:C:2018:876, punto 39).
42      Inoltre, anche se il giudice del rinvio espone che i suoi dubbi quanto alla competenza della Corte risultano dalla sentenza del 18 ottobre 2012, Nolan (C‑583/10, EU:C:2012:638), si deve rilevare che la causa che ha dato luogo a tale sentenza era caratterizzata da specificità che non si ritrovano nel procedimento principale (v., per analogia, sentenza del 7 novembre 2018, C e A, C‑257/17, EU:C:2018:876, punti da 41 a 43).
43      Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che la Corte è competente, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, a interpretare l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, in cui il giudice del rinvio è chiamato a pronunciarsi su una domanda di ricongiungimento familiare presentata da un beneficiario dello status conferito dalla protezione sussidiaria, qualora tale disposizione sia stata resa applicabile a una situazione siffatta, in modo diretto e incondizionato, dal diritto nazionale.
 Sulla seconda questione
44      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 debba essere interpretato nel senso che esso osta – in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, in cui una domanda di ricongiungimento familiare è stata presentata da una soggiornante, che beneficia dello status conferito dalla protezione sussidiaria, a favore di un minorenne di cui essa è la zia e asseritamente la tutrice, il quale risiede come rifugiato e senza vincoli familiari in un paese terzo – a che tale domanda sia respinta per il solo motivo che la soggiornante non ha fornito i documenti ufficiali attestanti la morte dei genitori biologici del minorenne, e pertanto l’effettività dei propri vincoli familiari con il medesimo, e che la spiegazione fornita dalla soggiornante per giustificare la propria incapacità di produrre siffatti documenti è stata ritenuta non plausibile dalle autorità competenti, sulla semplice base delle informazioni generali disponibili relativamente alla situazione nel paese di origine, senza prendere in considerazione la situazione concreta della soggiornante e del minorenne, nonché le specifiche difficoltà che essi hanno dovuto affrontare, a quanto riportano, prima e dopo la fuga dal loro paese di origine.
 Sull’obiettivo perseguito dalla direttiva 2003/86
45      A tale riguardo, occorre rilevare che l’obiettivo perseguito dalla direttiva 2003/86 consiste nel favorire il ricongiungimento familiare e che tale direttiva mira inoltre a concedere una protezione ai cittadini di paesi terzi, segnatamente ai minori (v., in tal senso, sentenza del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 69).
46      In tale contesto, l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva in esame impone agli Stati membri obblighi positivi precisi, cui corrispondono diritti soggettivi chiaramente definiti. Esso impone loro, nelle ipotesi contemplate da tale direttiva, di autorizzare il ricongiungimento familiare di taluni familiari del soggiornante senza potersi avvalere di discrezionalità (sentenze del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio, C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 60, nonché del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 70).
47      Tra i familiari del soggiornante dei quali lo Stato membro interessato deve autorizzare l’ingresso e il soggiorno sono inclusi, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86 «i figli minorenni, compresi quelli adottati, del soggiornante, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento».
48      Inoltre, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento di altri familiari non previsti all’articolo 4 di tale direttiva, qualora essi siano a carico del rifugiato.
49      A tale riguardo, il giudice del rinvio ha precisato che il diritto dei Paesi Bassi autorizza il ricongiungimento familiare dei minorenni a cui il soggiornante è legato da vincoli familiari effettivi e che le autorità dei Paesi Bassi sono tenute ad autorizzare il ricongiungimento familiare richiesto se è accertata l’esistenza di un vincolo familiare tra il soggiornante e un minorenne.
50      Nel caso di specie, poiché la sig.ra A. sostiene di essere la tutrice di E., sembra che la domanda di ricongiungimento familiare in questione nel procedimento principale possa rientrare, quantomeno, nella situazione di cui all’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 e che, se tale ipotesi fosse accertata, il diritto dei Paesi Bassi imporrebbe alle autorità di tale paese di autorizzare il ricongiungimento familiare richiesto.
51      Pertanto, per ragioni analoghe a quelle esposte al punto 38 della presente sentenza, si deve considerare che l’articolo 11 di tale direttiva è stato reso applicabile dal diritto dei Paesi Bassi a una situazione come quella di cui al procedimento principale.
 Sulla valutazione, che deve essere effettuata dalle autorità nazionali competenti, di una richiesta di ricongiungimento familiare
52      Per quanto riguarda la valutazione che spetta alle autorità nazionali competenti effettuare, sia dall’articolo 5, paragrafo 2, sia dall’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 risulta che tali autorità dispongono di un margine discrezionale, in particolare, nel valutare l’esistenza o meno di vincoli familiari, valutazione che deve avvenire conformemente al diritto nazionale (v., in tal senso, sentenze del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio, C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 59, nonché del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 74).
53      Tuttavia, il margine discrezionale riconosciuto agli Stati membri non deve essere impiegato dagli stessi in un modo che pregiudicherebbe l’obiettivo della direttiva 2003/86 e il suo effetto utile. Inoltre, come emerge dal considerando 2 di tale direttiva, quest’ultima riconosce i diritti fondamentali e rispetta i principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») (v., in tal senso, sentenza del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punti 74 e 75).
54      Spetta pertanto agli Stati membri non solo interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme al diritto dell’Unione, ma anche provvedere a non fondarsi su un’interpretazione di un testo di diritto derivato contrastante con i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio, C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 105; del 23 dicembre 2009, Detiček, C‑403/09 PPU, EU:C:2009:810, punto 34, nonché del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 78).
55      Orbene, l’articolo 7 della Carta, che riconosce il diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare, deve essere letto in correlazione con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, sancito all’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, e tenendo conto della necessità per un minore di intrattenere regolarmente relazioni personali con i due genitori, necessità affermata all’articolo 24, paragrafo 3, della Carta (sentenza del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio, C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 58).
56      Ne consegue che le disposizioni della direttiva 2003/86 devono essere interpretate e applicate alla luce dell’articolo 7 e dell’articolo 24, paragrafi 2 e 3, della Carta, come risulta del resto dai termini del considerando 2 e dall’articolo 5, paragrafo 5, di tale direttiva, che impongono agli Stati membri di esaminare le domande di ricongiungimento in questione nell’interesse dei minori coinvolti e nell’ottica di favorire la vita familiare (sentenza del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 80).
57      A tale riguardo, spetta alle autorità nazionali competenti procedere a una valutazione equilibrata e ragionevole di tutti gli interessi in gioco, tenendo conto in particolare di quelli dei minori coinvolti (sentenza del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 81).
58      Si deve inoltre tener conto dell’articolo 17 della direttiva 2003/86, che impone un’individualizzazione dell’esame delle domande di ricongiungimento (sentenze del 9 luglio 2015, K e A, C‑153/14, EU:C:2015:453, punto 60, nonché del 21 aprile 2016, Khachab, C‑558/14, EU:C:2016:285, punto 43), che deve prendere in debita considerazione la natura e la solidità dei vincoli familiari della persona, la durata della residenza nello Stato membro nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il rispettivo paese di origine (sentenza del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio, C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 64).
59      Di conseguenza, spetta alle autorità nazionali competenti, in sede di attuazione della direttiva 2003/86 e di esame delle domande di ricongiungimento familiare, procedere, in particolare, a una valutazione individuale che tenga conto di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie e che, ove necessario, presti particolare attenzione agli interessi dei minori coinvolti e all’ottica di favorire la vita familiare. In particolare, circostanze quali l’età dei minori coinvolti, la loro situazione nel paese di origine e il loro grado di dipendenza dai genitori possono incidere sulla portata e sull’intensità dell’esame richiesto (v., in tal senso, sentenza del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio, C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 56). In ogni caso, come indicato al punto 6.1 degli orientamenti, nessun elemento preso separatamente può portare automaticamente a una decisione.
 Sugli obblighi del soggiornante nonché del suo familiare interessato dalla domanda di ricongiungimento familiare
60      Per quanto riguarda gli obblighi del soggiornante nonché del suo familiare interessato dalla domanda di ricongiungimento familiare, occorre ricordare che, conformemente all’articolo 5, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2003/86, una simile domanda deve essere corredata, in particolare, di «documenti che comprovano i vincoli familiari». L’articolo 11, paragrafo 2, di tale direttiva precisa che detti documenti devono avere un carattere «ufficiale» e che, in loro mancanza, «gli Stati membri tengono conto anche di altri mezzi idonei a provare l’esistenza di tali vincoli». Quanto all’articolo 5, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva in esame, esso dispone che, ove «opportuno, per ottenere la prova dell’esistenza di vincoli familiari, gli Stati membri possono convocare per colloqui il soggiornante e i suoi familiari e condurre altre indagini che ritengano necessarie».
61      Orbene, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 57 e 71 delle sue conclusioni, da tali disposizioni risulta che il soggiornante e il familiare interessato dalla domanda di ricongiungimento familiare sono tenuti a cooperare con le autorità nazionali competenti, segnatamente ai fini dell’accertamento della loro identità, dell’esistenza dei loro vincoli familiari, nonché delle ragioni che giustificano la loro domanda, il che comporta dover fornire, per quanto possibile, i documenti richiesti ed eventualmente le spiegazioni e informazioni sollecitate (v., per analogia, sentenza del 14 settembre 2017, K., C‑18/16, EU:C:2017:680, punto 38).
62      Tale obbligo di cooperare implica pertanto che il soggiornante o il suo familiare interessato dalla domanda di ricongiungimento familiare forniscano tutti gli elementi di prova pertinenti per valutare l’effettività dei vincoli familiari che allegano, ma anche che rispondano alle domande e alle richieste ad essi rivolte a tale riguardo dalle competenti autorità nazionali, che rimangano a disposizione di tali autorità per colloqui o altre indagini e che spieghino, in caso di impossibilità di fornire documenti ufficiali attestanti i loro vincoli familiari, le ragioni per cui non sono in grado di fornire tali documenti.
 Sull’esame degli elementi di prova forniti e delle dichiarazioni prodotte
63      Per quanto riguarda l’esame, da parte delle autorità nazionali competenti, del carattere probatorio o plausibile degli elementi di prova, delle dichiarazioni o delle spiegazioni in tal modo fornite dal soggiornante o dal suo familiare interessato dalla domanda di ricongiungimento familiare, la valutazione individuale richiesta impone a tali autorità di tenere conto di tutti gli elementi pertinenti, tra cui l’età, il genere, il livello d’istruzione, l’origine familiare e lo status sociale del soggiornante o del suo familiare interessato, nonché gli specifici aspetti culturali, come indicato anche al punto 6.1.2 degli orientamenti.
64      Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 65, 66, 77, 79 e 81 delle sue conclusioni, ne consegue che tali elementi, dichiarazioni e spiegazioni forniti, da un lato devono essere valutati oggettivamente, tenendo conto delle informazioni sia generali sia specifiche pertinenti, obiettive, affidabili, precise e aggiornate sulla situazione nel paese di origine, compresi, in particolare, lo stato della legislazione e il modo di applicarla, il funzionamento dei servizi amministrativi e, se del caso, l’esistenza di carenze riguardanti determinate località o determinati gruppi di persone in tale paese.
65      Dall’altro, le autorità nazionali devono tenere in considerazione anche la personalità del soggiornante o del suo familiare interessato dalla domanda di ricongiungimento familiare, la situazione concreta in cui si trovano e le specifiche difficoltà che devono affrontare, di modo che i requisiti che possono essere imposti per quanto attiene al carattere probatorio o plausibile degli elementi forniti dal soggiornante o dal familiare, in particolare al fine di determinare l’incapacità di fornire documenti ufficiali che comprovano i vincoli familiari, devono essere proporzionati e dipendono dalla natura e dal livello delle difficoltà cui essi sono esposti.
66      Infatti, ai sensi del considerando 8 della direttiva 2003/86, la situazione dei rifugiati richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare. Come precisato parimenti al punto 6.1.2 degli orientamenti, la situazione particolare dei rifugiati presuppone che spesso è impossibile o pericoloso per i rifugiati o per i loro familiari produrre documenti ufficiali o mettersi in contatto con le autorità consolari o diplomatiche del loro paese di origine.
67      Inoltre, dalle considerazioni che precedono si evince che, se il soggiornante viene meno in modo flagrante al dovere di cooperazione che incombe su di esso o se risulta chiaramente, sulla base di elementi oggettivi a disposizione delle autorità nazionali competenti, che la domanda di ricongiungimento familiare ha carattere fraudolento, tali autorità nazionali hanno il diritto di respingerla.
68      Per contro, non verificandosi siffatte circostanze, la mancanza di documenti ufficiali che comprovano i vincoli familiari nonché l’eventuale implausibilità delle spiegazioni fornite a tale proposito devono essere considerate semplici elementi di cui tener conto nella valutazione individuale di tutti gli elementi pertinenti del caso di specie e non esimono le autorità nazionali competenti dall’obbligo, previsto all’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, di prendere in considerazione altri mezzi di prova.
69      Come infatti anche il punto 6.1.2 degli orientamenti ricorda, l’articolo 11, paragrafo 2, di tale direttiva dispone esplicitamente, senza lasciare alcuna discrezionalità a tale proposito, che l’assenza di documenti probatori non può essere l’unico motivo del rigetto della domanda, e fa obbligo agli Stati membri, in tali casi, di tener conto anche di altri mezzi idonei a provare l’esistenza dei vincoli familiari.
 Sulla conformità ai requisiti della direttiva 2003/86 dell’esame da parte del Segretario di Stato della domanda di cui al procedimento principale
70      Nel caso di specie, nelle sue decisioni del 12 maggio 2016 e del 27 ottobre 2016, il Segretario di Stato ha ritenuto, in particolare, che la sig.ra A. non avesse fornito alcun documento ufficiale relativo alla morte dei genitori di E. e alla tutela da essa esercitata sul minore né fornito spiegazioni plausibili quanto alla sua incapacità di fornire siffatti documenti, ove invece, secondo il Segretario di Stato, in Eritrea era possibile ottenere questo tipo di documenti.
71      È tuttavia pacifico che, all’udienza del 13 settembre 2017 dinanzi al giudice del rinvio, il Segretario di Stato ha abbandonato la sua obiezione relativa alla mancanza di documenti ufficiali relativi all’esistenza della tutela esercitata dalla sig.ra A. su E., dopo aver constatato che, nel diritto eritreo, siffatta tutela era conferita ex lege.
72      Ne consegue che la decisione di rigetto della domanda di ricongiungimento familiare di cui al procedimento principale è ormai basata soltanto sulla mancanza di certificati di morte dei genitori biologici di E. e sull’implausibilità delle spiegazioni fornite a tale proposito dalla sig.ra A.
73      In udienza dinanzi alla Corte, il governo dei Paesi Bassi ha sostenuto che sarebbe necessario accertare la morte dei genitori biologici di E. al fine di escludere le ipotesi di sottrazione di minori o addirittura di una tratta di esseri umani.
74      Orbene, e fatte salve le verifiche che spetta al giudice del rinvio effettuare, occorre constatare, in primo luogo, che dal fascicolo a disposizione della Corte non risulta alcuna violazione del dovere di cooperazione che incombe sulla sig.ra A. È infatti pacifico che quest’ultima ha risposto a tutte le domande e richieste che le sono state poste dal Segretario di Stato durante il procedimento amministrativo e che, in particolare, essa ha esposto le ragioni per cui lei stessa ed E. si erano trovati, dal suo punto di vista, nell’incapacità di fornire i documenti ufficiali che comprovano i vincoli familiari richiesti da dette autorità.
75      Riguardo a quest’ultimo punto, come risulta dal fascicolo a disposizione della Corte, la sig.ra A. ha sostenuto, anzitutto, che il rilascio di certificati di morte in Eritrea non rientrerebbe nella competenza dei servizi di stato civile di Asmara (Eritrea), bensì in quella delle amministrazioni locali, presso cui la procedura di rilascio varierebbe notevolmente a seconda della località. La sig.ra A. ha poi sottolineato di non aver mai posseduto siffatti certificati, dal momento che è originaria di un piccolo villaggio, usciva di casa solo per necessità e il possesso di certificati di morte era inusuale. Infine, sarebbe impossibile ottenere oggi i suddetti certificati, dato che lei ed E. avevano lasciato l’Eritrea illegalmente, di modo che la richiesta di siffatti certificati tramite conoscenti locali li avrebbe eventualmente esposti all’accusa di «condotte che integrano la diaspora» e avrebbe fatto correre pericoli alla loro famiglia rimasta in Eritrea e il rischio di dover pagare una «tassa sulla diaspora».
76      In secondo luogo, dal medesimo fascicolo si evince che, anche se il Segretario di Stato ha tenuto conto, ai fini dell’esame della plausibilità delle spiegazioni fornite dalla sig.ra A. delle informazioni generali disponibili relative alla situazione in Eritrea, non appare chiaramente che esso ha tenuto conto del modo in cui viene applicata la normativa pertinente né del fatto che il funzionamento dei servizi di stato civile di tale paese dipende eventualmente dai diversi contesti locali. Inoltre, tale fascicolo non consente nemmeno di verificare se, ed eventualmente in quale misura, il Segretario di Stato ha tenuto conto della personalità e della situazione concreta della sig.ra A. e di E. nonché delle specifiche difficoltà che essi si sono trovati ad affrontare, secondo quanto riferiscono, prima e dopo la fuga dal loro paese di origine.
77      In terzo luogo, nessun elemento del fascicolo a disposizione della Corte evidenzia che il Segretario di Stato avrebbe tenuto conto dell’età di E., della sua situazione di rifugiato in Sudan, paese in cui, stando alle informazioni fornite dalla sig.ra A., egli vivrebbe presso una famiglia affidataria senza alcun legame familiare, o l’interesse superiore di detto minore, come si presenterebbe in simili circostanze. Orbene, se le affermazioni della sig.ra A. dovessero risultare veritiere, l’accoglimento della domanda di ricongiungimento familiare di cui al procedimento principale potrebbe essere l’unico mezzo di garantire a E. la possibilità di crescere all’interno della famiglia. Orbene, come è stato rilevato al punto 59 della presente sentenza, siffatte circostanze sono tali da influire sulla portata e sull’intensità dell’esame richiesto.
78      Se è pur vero che le autorità nazionali competenti possono ricorrere a procedure finalizzate a individuare le domande fraudolente di ricongiungimento familiare in un contesto di sottrazione di minori o addirittura di tratta di esseri umani, come giustamente rilevato dal governo dei Paesi Bassi, tale circostanza non dispensa dette autorità dall’obbligo di tenere conto dell’interesse superiore di un minore che si trovi potenzialmente in circostanze come quelle descritte dalla sig.ra A.
79      Inoltre, la mancanza di un certificato di morte dei genitori biologici e l’insufficiente plausibilità delle spiegazioni fornite per giustificare tale mancanza non possono di per sé consentire di concludere nel senso che una domanda di ricongiungimento familiare esaminata si situi necessariamente in un contesto di sottrazione di minori o di tratta di esseri umani. A tale riguardo, dall’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 – secondo cui lo Stato membro interessato tiene conto di altri mezzi idonei a provare l’esistenza dei vincoli familiari e non può basarsi unicamente sull’assenza di documenti probatori, letto alla luce dell’articolo 7 e dell’articolo 24, paragrafi 2 e 3, della Carta – risulta che le autorità nazionali possono, a seconda delle circostanze del caso di specie, essere tenute a procedere a ulteriori verifiche necessarie, quali un colloquio con il soggiornante, al fine di escludere l’esistenza di simili fenomeni.
80      Spetta al giudice del rinvio, che è l’unico ad avere una conoscenza diretta della controversia sottopostagli, verificare, tenendo conto degli elementi indicati nei punti precedenti, se l’esame, condotto dal Segretario di Stato, della domanda di cui al procedimento principale sia conforme ai requisiti della direttiva 2003/86.
81      Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 deve essere interpretato nel senso che esso osta – in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, in cui una domanda di ricongiungimento familiare è stata presentata da una soggiornante, che beneficia dello status conferito dalla protezione sussidiaria, a favore di un minorenne di cui essa è la zia e asseritamente la tutrice, il quale risiede come rifugiato e senza vincoli familiari in un paese terzo – a che tale domanda sia respinta per il solo motivo che la soggiornante non ha fornito i documenti ufficiali attestanti la morte dei genitori biologici del minorenne, e pertanto l’effettività dei propri vincoli familiari con il medesimo, e che la spiegazione fornita dalla soggiornante per giustificare la propria incapacità di produrre siffatti documenti è stata ritenuta non plausibile dalle autorità competenti, sulla semplice base delle informazioni generali disponibili relativamente alla situazione nel paese di origine, senza prendere in considerazione la situazione concreta della soggiornante e del minorenne, nonché le specifiche difficoltà che essi hanno dovuto affrontare, stando a quanto essi riportano, prima e dopo la fuga dal loro paese di origine.
 Sulle spese
82      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
1)      La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, a interpretare l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, in cui il giudice del rinvio è chiamato a pronunciarsi su una domanda di ricongiungimento familiare presentata da un beneficiario dello status conferito dalla protezione sussidiaria, qualora tale disposizione sia stata resa applicabile a una situazione siffatta, in modo diretto e incondizionato, dal diritto nazionale.
2)      L’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 deve essere interpretato nel senso che esso osta – in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, in cui una domanda di ricongiungimento familiare è stata presentata da una soggiornante, che beneficia dello status conferito dalla protezione sussidiaria, a favore di un minorenne di cui essa è la zia e asseritamente la tutrice, il quale risiede come rifugiato e senza vincoli familiari in un paese terzo – a che tale domanda sia respinta per il solo motivo che la soggiornante non ha fornito i documenti ufficiali attestanti la morte dei genitori biologici del minorenne, e pertanto l’effettività dei propri vincoli familiari con il medesimo, e che la spiegazione fornita dalla soggiornante per giustificare la propria incapacità di produrre siffatti documenti è stata ritenuta non plausibile dalle autorità competenti, sulla semplice base delle informazioni generali disponibili relativamente alla situazione nel paese di origine, senza prendere in considerazione la situazione concreta della soggiornante e del minorenne, nonché le specifiche difficoltà che essi hanno dovuto affrontare, stando a quanto essi riportano, prima e dopo la fuga dal loro paese di origine.
Dal sito http://curia.europa.eu


Cognome del cittadino straniero che acquista la cittadinanza italiana



Sentenza gennaio 2019

Il diritto al nome, assoluto e costituzionalmente tutelato, in quanto espressione dell’identità personale, deve essere tutelato, garantendo allo straniero che ottenga la cittadinanza italiana il diritto a conservare il prenome e il cognome di origine a prescindere dalla disciplina italiana. E ciò con riferimento non solo al cittadino comunitario, ma anche a ogni cittadino che si trovi nell’Unione europea e chieda il riconoscimento della cittadinanza in uno Stato appartenente ad essa [aggiunge il Collegio che: a) nel caso deciso, era “pieno diritto” della cittadina straniera “indicare, come cognome, quello acquisito a seguito del matrimonio, in quanto il certificato di matrimonio prodotto in atti dà chiaramente atto di come il cognome della stessa sia stato modificato, proprio a seguito dell’opzione per quello del coniuge, in D.: ne consegue che, essendo stato corretto il dato contenuto nel certificato di nascita, così come precisato nell’atto di matrimonio, rientrasse nella possibilità della richiedente la cittadinanza italiana optare perché questa le fosse riconosciuta con il cognome del marito”; b) il Prefetto ha “esercitato un potere - quello di correggere il cognome scelto in conformità alla normativa ucraina, attribuendo alla richiedente la cittadinanza il cognome della stessa alla nascita - riconosciutogli da una norma in contrasto con i principi comunitari che avrebbe dovuto essere disapplicata, così come puntualmente indicato nella circolare ministeriale di cui si è dato più sopra conto … (…23 dicembre 2013, n. 14424…ndA)”]



venerdì 29 marzo 2019


Cambiamento di cognome del minore – Contrasto tra i genitori – Poteri (insussistenti) del Prefetto


Sentenza marzo 2019

Il Prefetto non ha il potere di modificare il cognome del minore, sull’istanza di uno dei due genitori, in assenza di accordo ed, anzi, in presenza del dissenso dell’altro genitore [Aggiunge il Collegio che a) “la tutela della madre che intendeva ottenere dal Prefetto la modifica del cognome, con l’aggiunta del proprio, non può che realizzarsi – stante il dissenso del padre – attraverso lo strumento dell’art. 316 c.c. in base al quale, in caso di contrasto su questioni di particolare importanza relative al figlio (com’è questa sul cognome), occorre ottenere una risoluzione del relativo conflitto da parte del giudice” b)  “Qualsiasi diversa interpretazione della normativa, applicata dal Prefetto sul cambiamento del cognome del figlio minore …, intrecciandosi con il delicato tema della responsabilità genitoriale ex art. 316 c.c., non appare sostenibile. Si pensi, in particolare, alla conseguenza che, essendo risolto il conflitto dal Prefetto stesso, un successivo vittorioso ricorso al giudice ex art. 316 da parte del genitore dissenziente comporterebbe, per il Prefetto, dover esercitare l’autotutela, con diseconomia evidente del relativo procedimento”]

giovedì 28 marzo 2019


Corte di Giustizia UE 19 marzo 2019, n. C-163/17, Jawo



Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Sistema di Dublino – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Trasferimento del richiedente asilo verso lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale – Nozione di “fuga” – Modalità di proroga del termine di trasferimento – Articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Grave rischio di trattamento inumano o degradante al termine della procedura di asilo – Condizioni di vita dei beneficiari di protezione internazionale nel suddetto Stato membro














1)      L’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giungo 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, deve essere interpretato nel senso che un richiedente «[è] fuggito», ai sensi di tale disposizione, allorché si sottragga deliberatamente alle autorità nazionali competenti per l’esecuzione del trasferimento, al fine di scongiurare quest’ultimo. Si può presumere che ciò si verifichi quando tale trasferimento non può essere eseguito a causa del fatto che il suddetto richiedente ha lasciato il luogo di residenza assegnatogli senza aver informato della sua assenza le autorità nazionali competenti, a condizione che egli sia stato informato dei suoi obblighi al riguardo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Detto richiedente conserva la possibilità di dimostrare che il fatto che egli non abbia avvisato le suddette autorità della sua assenza è giustificato da valide ragioni e non dall’intenzione di sottrarsi a tali autorità.
L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito di un procedimento diretto avverso una decisione di trasferimento, l’interessato può invocare l’articolo 29, paragrafo 2, di tale regolamento, facendo valere che, poiché egli non era fuggito, il termine di sei mesi era scaduto.
2)      L’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, al fine di prorogare il termine di trasferimento a un massimo di diciotto mesi, è sufficiente che lo Stato membro richiedente informi, prima della scadenza del termine di trasferimento di sei mesi, lo Stato membro competente del fatto che l’interessato è fuggito e contestualmente indichi il nuovo termine di trasferimento.
3)      Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che rientra nel suo ambito di applicazione la questione se l’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osti a che un richiedente protezione internazionale sia trasferito, in applicazione dell’articolo 29 del regolamento n. 604/2013, verso lo Stato membro che, conformemente a tale regolamento, è di regola competente per l’esame della sua domanda di protezione internazionale, nell’ipotesi in cui, in caso di riconoscimento di tale protezione nel suddetto Stato membro, tale richiedente sarebbe esposto a un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, ai sensi del summenzionato articolo 4, a causa delle prevedibili condizioni di vita in cui verrebbe a trovarsi in quanto beneficiario di protezione internazionale in tale Stato membro.
L’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali deve essere interpretato nel senso che esso non osta a un trasferimento siffatto del richiedente protezione internazionale, a meno che il giudice investito del ricorso avverso la decisione di trasferimento non constati, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati e in considerazione del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione, l’esistenza di tale rischio per il richiedente a causa del fatto che, in caso di trasferimento, quest’ultimo si verrebbe a trovare, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale.








Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
19 marzo 2019
Nella causa C‑163/17,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg, Germania), con decisione del 15 marzo 2017, pervenuta in cancelleria il 3 aprile 2017, nel procedimento
Abubacarr Jawo
contro
Bundesrepublik Deutschland,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, A. Prechal, M. Vilaras, E. Regan, F. Biltgen, K. Jürimäe e C. Lycourgos, presidenti di sezione, A. Rosas, E. Juhász, M. Ilešič (relatore), J. Malenovský, L. Bay Larsen e D. Šváby, giudici,
avvocato generale: M. Wathelet
cancelliere: M. Aleksejev, capo unità
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 maggio 2018,
considerate le osservazioni presentate:
–        per A. Jawo, da B. Münch e U. Bargon, Rechtsanwälte;
–        per il governo tedesco, da T. Henze, R. Kanitz e M. Henning e V. Thanisch, in qualità di agenti;
–        per il governo belga, da C. Van Lul e P. Cottin, in qualità di agenti;
–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da L. Cordì e L. D’Ascia, avvocati dello Stato;
–        per il governo ungherese, da M.M. Tátrai, M.Z. Fehér e G. Koós, in qualità di agenti;
–        per il governo dei Paesi Bassi, da J. Langer, M. Bulterman, C.S. Schillemans e M. Gijzen, in qualità di agenti;
–        per il governo del Regno Unito, da S. Brandon e C. Crane, in qualità di agenti, assistiti da D. Blundell, barrister;
–        per il governo svizzero, da E. Bichet, in qualità di agente;
–        per la Commissione europea, da M. Condou-Durande e C. Ladenburger, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 25 luglio 2018,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 2, e dell’articolo 29, paragrafi 1 e 2, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31; in prosieguo: il «regolamento Dublino III»), nonché dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Abubacarr Jawo e la Bundesrepublik Deutschland (Repubblica federale di Germania), relativamente a una decisione di trasferimento dell’interessato verso l’Italia.
 Contesto normativo
 Diritto internazionale
3        L’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), rubricato «Proibizione della tortura», dispone quanto segue:
«Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti».
 Diritto dell’Unione
 La Carta
4        Ai sensi dell’articolo 1 della Carta, rubricato «Dignità umana»:
«La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata».
5        L’articolo 4 della Carta, intitolato «Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti», così recita:
«Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti».
6        L’articolo 47 della Carta, intitolato «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale», al suo primo comma, prevede quanto segue:
«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo».
7        L’articolo 51 della Carta, rubricato «Ambito di applicazione», al suo paragrafo 1, così dispone:
«Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all’Unione nei trattati».
8        L’articolo 52 della Carta, intitolato «Portata e interpretazione dei diritti e dei principi», enuncia, al suo paragrafo 3, quanto segue:
«Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla [CEDU], il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa».
 Regolamento Dublino III
9        Il regolamento Dublino III ha abrogato e sostituito il regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU 2003, L 50, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento Dublino II»). I considerando 4, 5, 19, 32 e 39 del regolamento Dublino III così recitano:
«(4)      Secondo le conclusioni [del Consiglio europeo, nell’ambito della sua riunione straordinaria] di Tampere [del 15 e del 16 ottobre 1999], il [sistema europeo comune di asilo] dovrebbe prevedere a breve termine un meccanismo per determinare con chiarezza e praticità lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo.
(5)      Tale meccanismo dovrebbe essere fondato su criteri oggettivi ed equi sia per gli Stati membri sia per le persone interessate. Dovrebbe, soprattutto, consentire di determinare con rapidità lo Stato membro competente al fine di garantire l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale e non dovrebbe pregiudicare l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale.
(...)
(19)      Al fine di assicurare una protezione efficace dei diritti degli interessati, si dovrebbero stabilire garanzie giuridiche e il diritto a un ricorso effettivo avverso le decisioni relative ai trasferimenti verso lo Stato membro competente, ai sensi, in particolare, dell’articolo 47 della [Carta]. Al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale è opportuno che un ricorso effettivo avverso tali decisioni verta tanto sull’esame dell’applicazione del presente regolamento quanto sull’esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro in cui il richiedente è trasferito.
(...)
(32)      Per quanto riguarda il trattamento di persone che rientrano nell’ambito di applicazione del presente regolamento, gli Stati membri sono vincolati dagli obblighi che a essi derivano dagli strumenti giuridici internazionali, compresa la pertinente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
(...)
(39)      Il presente regolamento rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla [Carta]. In particolare, il presente regolamento intende assicurare il pieno rispetto del diritto d’asilo garantito dall’articolo 18 della [Carta], nonché dei diritti riconosciuti ai sensi degli articoli 1, 4, 7, 24 e 47 della stessa. Il presente regolamento dovrebbe pertanto essere applicato di conseguenza. Il presente regolamento dovrebbe pertanto essere applicato di conseguenza».
10      Ai sensi dell’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III per «rischio di fuga», ai fini di tale regolamento, si intende «la sussistenza in un caso individuale di motivi basati su criteri obiettivi definiti dalla legge per ritenere che un richiedente o un cittadino di un paese terzo o un apolide oggetto di una procedura di trasferimento possa fuggire».
11      L’articolo 3 del regolamento Dublino III, intitolato «Accesso alla procedura di esame di una domanda di protezione internazionale», dispone quanto segue:
«1.      Gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III.
2.      Quando lo Stato membro competente non può essere designato sulla base dei criteri enumerati nel presente regolamento, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.
Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della [Carta], lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente.
Qualora non sia possibile eseguire il trasferimento a norma del presente paragrafo verso un altro Stato membro designato in base ai criteri di cui al capo III o verso il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione diventa lo Stato membro competente.
(...)».
12      Il capo VI del regolamento Dublino III, intitolato «Procedure di presa in carico e ripresa in carico», contiene, segnatamente, gli articoli 27 e 29 di tale regolamento.
13      L’articolo 27 del regolamento Dublino III, intitolato «Mezzi di impugnazione», dispone, al suo paragrafo 1, quanto segue:
«Il richiedente o altra persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettera c) o d), ha diritto a un ricorso effettivo avverso una decisione di trasferimento, o a una revisione della medesima, in fatto e in diritto, dinanzi a un organo giurisdizionale».
14      La sezione VI del capo VI del regolamento Dublino III, dedicata ai trasferimenti dei richiedenti verso lo Stato membro competente, contiene l’articolo 29 di tale regolamento, rubricato «Modalità e termini», che così prevede:
«1.      Il trasferimento del richiedente o di altra persona ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera c) o d), dallo Stato membro richiedente verso lo Stato membro competente avviene conformemente al diritto nazionale dello Stato membro richiedente, previa concertazione tra gli Stati membri interessati, non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei mesi a decorrere dall’accettazione della richiesta di un altro Stato membro di prendere o riprendere in carico l’interessato, o dalla decisione definitiva su un ricorso o una revisione in caso di effetto sospensivo ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3.
Se i trasferimenti verso lo Stato membro competente avvengono sotto forma di partenza controllata o sotto scorta, gli Stati membri garantiscono che siano svolti in modo umano e nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità umana.
(...)
2.      Se il trasferimento non avviene entro il termine di sei mesi, lo Stato membro competente è liberato dall’obbligo di prendere o riprendere in carico l’interessato e la competenza è trasferita allo Stato membro richiedente. Questo termine può essere prorogato fino a un massimo di un anno se non è stato possibile effettuare il trasferimento a causa della detenzione dell’interessato, o fino a un massimo di diciotto mesi qualora questi sia fuggito.
(...)
4.      La Commissione stabilisce, mediante atti di esecuzione, condizioni uniformi per la consultazione e lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, in particolare nel caso di trasferimenti differiti o ritardati, di trasferimenti a seguito di accettazione automatica, trasferimenti di minori o persone a carico e di trasferimenti sorvegliati. (...)».
 Regolamento di esecuzione
15      Il regolamento (CE) n. 1560/2003 della Commissione, del 2 settembre 2003, recante modalità di applicazione del regolamento n. 343/2003 (GU 2003, L 222, pag. 3), come modificato dal regolamento di esecuzione (UE) n. 118/2014 della Commissione, del 30 gennaio 2014 (GU 2014, L 39, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento di esecuzione»), contiene le modalità di applicazione del regolamento Dublino II e, attualmente, quelle del regolamento Dublino III.
16      Il capo III del regolamento di esecuzione, intitolato «Esecuzione del trasferimento», contiene segnatamente l’articolo 9 di detto regolamento, a sua volta intitolato «Rinvio e ritardi di trasferimento», che così dispone:
«1.      Lo Stato membro competente è informato senza indugi della decisione di rinviare il trasferimento qualora siano promossi un ricorso o una revisione aventi effetto sospensivo, ovvero sussistano motivazioni materiali quali lo stato di salute del richiedente, l’indisponibilità del mezzo di trasporto o il fatto che il richiedente si sia sottratto all’esecuzione del trasferimento.
1 bis Qualora un trasferimento sia ritardato su richiesta dello Stato membro che provvede al trasferimento, quest’ultimo e gli Stati membri competenti devono riprendere i contatti al fine di consentire l’organizzazione di un nuovo trasferimento quanto prima possibile, conformemente all’articolo 8, e non oltre due settimane dal momento in cui le autorità vengono a conoscenza della cessazione delle circostanze che hanno causato il ritardo o il rinvio. In tal caso, prima che sia eseguito il trasferimento viene inviato un modulo standard aggiornato per il trasferimento dei dati prima di un trasferimento, di cui all’allegato VI.
2.      Lo Stato membro che non può eseguire il trasferimento entro il normale termine di sei mesi dalla data di accettazione della richiesta di presa in carico o di ripresa in carico dell’interessato, o della decisione definitiva su un ricorso o una revisione in caso di effetto sospensivo, per uno dei motivi di cui all’articolo 29, paragrafo 2, del [regolamento Dublino III], ne informa lo Stato membro competente prima dello scadere del termine. In mancanza di ciò, la competenza per l’esame della domanda di protezione internazionale e le altre obbligazioni a norma del [regolamento Dublino III] ricadono sullo Stato membro richiedente, in conformità dell’articolo 29, paragrafo 2, di detto regolamento.
(...)».
 Direttiva qualifiche
17      Il capo VII della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9; in prosieguo la «direttiva qualifiche»), nel quale figurano gli articoli da 20 a 35 della stessa, definisce il contenuto della protezione internazionale.
18      L’articolo 34 della direttiva qualifiche, intitolato «Accesso agli strumenti di integrazione», prevede quanto segue:
«Al fine di facilitare l’integrazione dei beneficiari di protezione internazionale nella società, gli Stati membri garantiscono l’accesso ai programmi d’integrazione che considerano adeguati, in modo da tenere conto delle esigenze particolari dei beneficiari dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria, o creano i presupposti che garantiscono l’accesso a tali programmi».
 Direttiva accoglienza
19      La direttiva 2013/33/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96; in prosieguo: la «direttiva accoglienza») al suo articolo 5, intitolato «Informazione», prevede quanto segue:
«1.      Gli Stati membri informano i richiedenti, entro un termine ragionevole non superiore a quindici giorni dopo la presentazione della domanda di protezione internazionale, almeno di qualsiasi beneficio riconosciuto e degli obblighi loro spettanti in riferimento alle condizioni di accoglienza.
(...)
2.      Gli Stati membri provvedono a che le informazioni di cui al paragrafo 1 siano fornite per iscritto e in una lingua che il richiedente comprende o che ragionevolmente si suppone a lui comprensibile. Se del caso, tali informazioni possono anche essere fornite oralmente».
20      L’articolo 7 della direttiva accoglienza, rubricato «Residenza e libera circolazione», così dispone:
«1.      I richiedenti possono circolare liberamente nel territorio dello Stato membro ospitante o nell’area loro assegnata da tale Stato membro. L’area assegnata non pregiudica la sfera inalienabile della vita privata e permette un campo d’azione sufficiente a garantire l’accesso a tutti i benefici della presente direttiva.
2.      Gli Stati membri possono stabilire un luogo di residenza per il richiedente, per motivi di pubblico interesse, ordine pubblico o, ove necessario, per il trattamento rapido e il controllo efficace della domanda di protezione internazionale.
3.      Gli Stati membri possono subordinare la concessione delle condizioni materiali d’accoglienza all’effettiva residenza del richiedente in un determinato luogo, da determinarsi dagli Stati membri. Tale decisione, che può essere di carattere generale, è adottata caso per caso e definita dal diritto nazionale.
4.      Gli Stati membri prevedono la possibilità di concedere ai richiedenti un permesso temporaneo di allontanarsi dal luogo di residenza di cui ai paragrafi 2 e 3 e/o dall’area assegnata di cui al paragrafo 1. Le decisioni sono adottate caso per caso, in modo obiettivo ed imparziale e sono motivate qualora siano negative.
Il richiedente non necessita di permesso per presentarsi dinanzi alle autorità e ai giudici se è necessaria la sua comparizione.
5.      Gli Stati membri fanno obbligo ai richiedenti di comunicare il loro indirizzo alle autorità competenti e di notificare loro con la massima tempestività qualsiasi sua successiva modificazione».
 Diritto tedesco
21      L’articolo 60a del Gesetz über den Aufenthalt, die Erwerbstätigkeit und die Integration von Ausländern im Bundesgebiet (legge in materia di soggiorno, occupazione e integrazione dei cittadini stranieri nel territorio federale; in prosieguo; l’«Aufenthaltsgesetz»), come modificato, con effetto dal 6 agosto 2016, dall’Integrationsgesetz (legge sull’integrazione) del 31 luglio 2016 (BGBl. 2016 I, pag. 193; in prosieguo: l’«Integrationsgesetz»), è intitolato «Sospensione temporanea dell’allontanamento (attestato di tolleranza)» e, al suo paragrafo 2, dispone quanto segue:
«L’allontanamento dello straniero è sospeso durante il periodo in cui tale allontanamento è impossibile per motivi di fatto e di diritto e non è stata rilasciata un’autorizzazione al soggiorno. (...) L’attestato di tolleranza (Duldung) (in prosieguo: “l’attestato di tolleranza”) può essere concesso ad uno straniero se esigenze umanitarie o personali urgenti ovvero se importanti interessi pubblici richiedano la sua presenza temporanea sul territorio dello Stato federale. L’atto di tolleranza per esigenze personali urgenti di cui alla terza frase deve essere concesso quando lo straniero intraprenda o abbia intrapreso in Germania un corso di formazione professionale qualificato per una professione riconosciuta dallo Stato o ugualmente regolamentata, non si applichino le condizioni di cui al paragrafo 6 e non siano intraprese misure concrete per l’espulsione. Nei casi di cui alla quarta frase l’attestato di tolleranza è concesso per la durata del corso di formazione professionale determinata nel contratto di apprendistato (...)».
22      L’articolo 29 dell’Asylgesetz (legge sul diritto di asilo), come modificato, a decorrere dal 6 agosto 2016, dall’Integrationsgesetz (in prosieguo: l’«AsylG») è intitolato «Domande inammissibili» e prevede quanto segue:
«(1) Una domanda di asilo è inammissibile quando
1.      un altro Stato è competente per l’esame della domanda di asilo
a)      in applicazione del [regolamento Dublino III], o
b)      sulla base di altre disposizioni del diritto dell’Unione o di un trattato internazionale
(...)».
23      L’articolo 31 dell’AsylG, intitolato «Decisione del Bundesamt su domande di asilo», al suo paragrafo 3, così dispone:
«Nei casi di cui al paragrafo 2 o nel caso di una decisione concernente una domanda di asilo irricevibile bisogna accertare se sussistano le condizioni di cui all’articolo 60, paragrafo 5 o 7 dell’Aufenthaltsgesetzt. Ciò può tuttavia essere omesso qualora allo straniero sia stato riconosciuto il diritto di asilo o gli sia stata concessa protezione internazionale ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, punto 2».
24      L’articolo 34a dell’AsylG, intitolato «Provvedimento di allontanamento», prevede quanto segue:
«(1)      Se lo straniero deve essere allontanato verso un paese terzo sicuro (articolo 26a) ovvero verso lo Stato competente per lo svolgimento della procedura di asilo (articolo 29, paragrafo 1, punto 1), il Bundesamt ne dispone l’allontanamento verso tale Stato non appena venga accertato che sia possibile eseguirlo. Lo stesso vale laddove lo straniero abbia presentato la domanda di asilo in un altro Stato competente per la procedura in forza di disposizioni del diritto dell’Unione o di un trattato internazionale ovvero l’abbia ritirata prima della decisione del Bundesamt. Non sono necessari termini né notifiche preventive. Se un provvedimento di allontanamento non può essere emanato a norma delle summenzionate prima o seconda frase, il Bundesamt notifica l’allontanamento verso lo Stato interessato.
(2)      Le domande ex articolo 80, paragrafo 5, del codice del processo amministrativo contro un provvedimento di allontanamento devono essere presentate entro una settimana dalla notifica dello stesso. Se la presentazione della domanda è tempestiva, l’allontanamento è inammissibile prima della decisione giudiziaria. (...)».
 Procedimento principale e questioni pregiudiziali
25      Il sig. Jawo è, stando a quanto da questi dichiarato, un cittadino gambiano nato il 23 ottobre 1992.
26      Dopo aver lasciato il Gambia il 5 ottobre 2012, il sig. Jawo ha raggiunto via mare l’Italia, da cui ha poi proseguito il suo viaggio verso la Germania. Il 23 dicembre 2014 egli ha presentato una domanda di asilo in quest’ultimo Stato membro.
27      Atteso che il sig. Jawo aveva già presentato, secondo la banca dati Eurodac, una domanda di asilo in Italia, il Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati, Germania) (in prosieguo: l’«Ufficio»), il 26 gennaio 2015 ha chiesto alle autorità italiane la ripresa in carico dell’interessato. Dette autorità non hanno dato alcun riscontro a tale richiesta.
28      Con una decisione del 25 febbraio 2015, l’Ufficio, da un lato, ha respinto la domanda di asilo del sig. Jawo in quanto inammissibile e, dall’altro, ha disposto il suo allontanamento verso l’Italia.
29      Il 4 marzo 2015 il sig. Jawo ha proposto un ricorso avverso detta decisione, integrato il 12 marzo 2015 da una domanda di concessione di provvedimenti provvisori. Con un’ordinanza del 30 aprile 2015, il Verwaltungsgericht Karlsruhe (Tribunale amministrativo di Karlsruhe, Germania) ha in primis respinto come irricevibile quest’ultima domanda in quanto tardiva.
30      L’8 giugno 2015 il sig. Jawo doveva essere trasferito verso l’Italia. Tale trasferimento non è tuttavia avvenuto in quanto il sig. Jawo non si trovava presso la struttura di accoglienza collettiva di Heidelberg (Germania). Interrogato al riguardo dal Regierungspräsidium Karlsruhe (prefettura di Karlsruhe), in data 16 giugno 2015, il servizio specializzato nell’accoglienza d’urgenza di Heidelberg ha comunicato che, secondo il responsabile dei luoghi, il sig. Jawo non si trovava più presso detta struttura di accoglienza da diverso tempo.
31      Con un modulo datato 16 giugno 2015, l’Ufficio ha informato le autorità italiane che il trasferimento non era al momento possibile poiché il sig. Jawo era fuggito, circostanza di cui aveva avuto conoscenza il giorno stesso. In detto modulo veniva altresì indicato che il trasferimento dell’interessato avrebbe avuto luogo non più tardi del 10 agosto 2016 «a norma dell’articolo 29, paragrafo 2, del [regolamento Dublino III]».
32      È pacifico che il giorno in cui il modulo in questione è stato notificato alle autorità italiane, il sig. Jawo si trovava di nuovo a Heidelberg, ma che tale informazione non era pervenuta all’Ufficio. Non è possibile tuttavia accertare se, nel momento preciso in cui il sig. Jawo era presente a Heidelberg, l’Ufficio avesse già trasmesso tale modulo alle autorità italiane.
33      Il sig. Jawo ha dichiarato, in merito alla sua assenza, che a inizio giugno 2015 si era recato a trovare un amico che viveva a Freiberg am Neckar (Germania). Egli avrebbe deciso di far ritorno a Heidelberg a seguito di una telefonata da parte della persona con cui condivideva la camera a Heidelberg, che gli aveva comunicato che la polizia lo stava cercando. Tuttavia, non disponendo della somma necessaria per pagare il viaggio di ritorno, aveva innanzitutto dovuto farsi prestare detta somma. Una volta fatto ritorno a Heidelberg, si sarebbe recato presso il Sozialamt (Ufficio dei servizi sociali), dove avrebbe chiesto se disponeva ancora della sua camera, domanda che avrebbe ricevuto risposta affermativa.
34      Il sig. Jawo ha, inoltre, affermato che nessuno lo avrebbe informato di dover avvisare in caso di assenza.
35      Il 3 febbraio 2016 il secondo tentativo di trasferimento non è riuscito in quanto il sig. Jawo si è rifiutato di salire sull’aereo che doveva consentirne il trasferimento.
36      A seguito di una nuova domanda di provvedimenti provvisori, il Verwaltungsgericht Karlsruhe (Tribunale amministrativo di Karlsruhe), con decisione del 18 febbraio 2016, ha riconosciuto efficacia sospensiva al ricorso proposto dal sig. Jawo in data 4 marzo 2015.
37      Con sentenza del 6 giugno 2016, il suddetto giudice ha respinto tale ricorso.
38      Nell’ambito dell’impugnazione proposta avverso tale sentenza dinanzi al Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg), il sig. Jawo ha sostenuto segnatamente di non essere fuggito nel giugno 2015 e ha rilevato che l’Ufficio non avrebbe potuto prorogare validamente il termine del trasferimento. Inoltre, il suo trasferimento verso l’Italia sarebbe illegittimo perché in tale Stato membro sussisterebbero carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III.
39      Nel corso della procedura di appello, l’Ufficio è venuto a conoscenza del fatto che in Italia era stato rilasciato al sig. Jawo un permesso di soggiorno nazionale per motivi umanitari con validità di un anno, che era scaduto il 9 maggio 2015. Il giudice del rinvio ritiene, tuttavia, che il rilascio di tale permesso di soggiorno non abbia comportato l’inapplicabilità del regolamento Dublino III, atteso che tale titolo non aveva riconosciuto al sig. Jawo protezione internazionale, ai sensi della direttiva qualifiche.
40      Il giudice del rinvio rileva che, al fine di risolvere la controversia di cui al procedimento principale, esso deve anzitutto rispondere alla questione se il 16 giugno 2015, ossia la data della notifica eseguita da parte dell’Ufficio al Ministero degli Interni italiano, il ricorrente fosse «fuggito», ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III.
41      In tale contesto, esso illustra che il termine di trasferimento di sei mesi previsto dall’articolo 29, paragrafo 1, di detto regolamento era già scaduto alla data dell’adozione della decisione del Verwaltungsgericht Karlsruhe (Tribunale amministrativo di Karlsruhe) del 18 febbraio 2016 che riconosceva efficacia sospensiva al ricorso proposto dal sig. Jawo, di modo che quest’ultima decisione non poteva più prorogare o interrompere detto termine.
42      Il giudice del rinvio considera che, se occorresse basarsi sulla definizione della nozione di «rischio di fuga» di cui all’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III – che nella sua versione in lingua tedesca fa riferimento al timore che l’interessato «si sottragga» mediante la fuga alla procedura di trasferimento – si dovrebbe ritenere che tale nozione comprenda soltanto un comportamento deliberatamente adottato dall’interessato al fine di evitare un trasferimento. Tuttavia, esisterebbero ragioni valide per ritenere che sia sufficiente, ai fini dell’applicazione dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III, che l’autorità competente non abbia avuto conoscenza del luogo di residenza dell’interessato alla data del tentativo di trasferimento e al momento della comunicazione di tale informazione all’autorità competente dello Stato membro richiesto. Nulla consentirebbe di ritenere, infatti, che tale disposizione miri a sanzionare un comportamento censurabile dell’interessato. Tale disposizione avrebbe l’obiettivo di permettere di garantire l’effettivo funzionamento del sistema di determinazione dello Stato membro competente elaborato dal legislatore dell’Unione (in prosieguo: il «sistema di Dublino»), il quale potrebbe essere notevolmente destabilizzato nel caso in cui taluni trasferimenti venissero impediti per motivi che non ricadono nella sfera di responsabilità dello Stato membro richiedente. Inoltre, potrebbe risultare difficile fornire la prova che le persone interessate si siano allontanate dal loro luogo di residenza allo scopo di impedire il trasferimento.
43      Il giudice del rinvio si interroga poi sulle condizioni che devono ricorrere affinché si verifichi la proroga del termine di sei mesi, prevista all’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III in caso di fuga. Esso rileva, al riguardo, che se è vero che la formulazione di tale disposizione sembra, prima facie, suggerire che gli Stati membri debbano accordarsi su tale punto, la stessa potrebbe, tuttavia, parimenti dar luogo all’interpretazione secondo cui lo Stato membro richiedente potrebbe decidere unilateralmente tale proroga del termine informando lo Stato membro richiesto, prima della scadenza del termine iniziale di sei mesi, del fatto che il trasferimento non potrà essere effettuato entro tale termine e che esso verrà eseguito entro un termine che lo Stato membro richiedente indica in tale occasione. Al fine di garantire l’effettività della procedura di trasferimento, potrebbe prediligersi quest’ultima interpretazione, la quale trarrebbe ispirazione dall’articolo 9, paragrafo 2 del regolamento di esecuzione.
44      Infine, il giudice del rinvio si domanda se, per valutare la legittimità del trasferimento, esso deve tener conto delle condizioni di vita cui il richiedente sarebbe soggetto nello Stato membro richiesto, nell’ipotesi in cui la sua domanda di protezione internazionale venisse ivi accolta, segnatamente del grave rischio che lo stesso subisca, in tale luogo, un trattamento contrario all’articolo 4 della Carta.
45      Detto giudice ritiene, a tal proposito, che l’esame dell’esistenza di carenze sistemiche, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III, non possa limitarsi alla procedura di asilo e alle condizioni di accoglienza incontrate durante tale procedura, ma debba anche prendere in considerazione la situazione successiva. Pertanto, la garanzia delle migliori condizioni di accoglienza durante detta procedura sarebbe insufficiente se l’interessato, dopo il riconoscimento della protezione internazionale, rischiasse di venire a trovarsi in una situazione di indigenza. L’obbligo di effettuare un simile esame complessivo della situazione del richiedente prima del suo trasferimento costituirebbe la contropartita necessaria del sistema di Dublino, il quale vieta alle persone che chiedono protezione di scegliere liberamente il proprio paese di asilo. In ogni caso, tale obbligo deriverebbe dall’articolo 3 della CEDU.
46      Il giudice del rinvio rileva, inoltre, che è vero che la direttiva qualifiche prevede, come regola generale, soltanto una parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro interessato. Tuttavia, un simile «trattamento nazionale» potrebbe rivelarsi insufficiente per preservare la dignità dei soggetti cui è riconosciuta protezione internazionale, atteso che questi ultimi sono generalmente vulnerabili e sradicati e non sarebbero in grado di far effettivamente valere i diritti che lo Stato membro ospitante garantisce loro. Al fine di consentire a tali soggetti di raggiungere un livello paragonabile a quello dei cittadini di detto Stato membro e di poter esercitare effettivamente i diritti di cui trattasi, l’articolo 34 della direttiva qualifiche richiede che gli Stati membri garantiscano a tali persone un accesso effettivo a programmi di integrazione, i quali svolgono una funzione compensatoria specifica. La suddetta norma costituirebbe un requisito minimo nonché la giustificazione del sistema di Dublino.
47      Il giudice nazionale fa riferimento, tra l’altro, alla relazione dell’organizzazione svizzera d’aiuto ai rifugiati, intitolato «Condizioni di accoglienza in Italia», presentata nell’agosto 2016, che conterrebbe indicazioni concrete che permettono di pervenire alla conclusione secondo cui i beneficiari di protezione internazionale in tale Stato membro sarebbero esposti al rischio di una vita ai margini della società, nell’indigenza e senza fissa dimora. Secondo tale relazione, l’insufficienza del sistema sociale di detto Stato membro è, per quanto riguarda la popolazione italiana, compensata dalla solidarietà delle strutture familiari, la quale però mancherebbe nel caso dei beneficiari di protezione internazionale. Tale relazione indica, inoltre, l’assenza quasi totale in Italia di programmi di integrazione compensatori e, in particolare, l’aleatorietà dell’accesso ai corsi di lingua essenziali. Infine, da questa medesima relazione risulterebbe che, tenuto conto del forte aumento del numero di rifugiati nel corso degli ultimi anni, le gravi carenze strutturali del sistema sociale statale non possono essere compensate dalle organizzazioni non governative e dalle Chiese.
48      In tale contesto, il Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Baden-Württemberg) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni:
«1)      Se un richiedente asilo sia considerato fuggito ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento [Dublino III] (…) solo nel caso in cui si sottragga deliberatamente e coscientemente alle autorità nazionali competenti per l’esecuzione del trasferimento, ai fini di scongiurare o ostacolare tale trasferimento, o se sia sufficiente che non soggiorni più nell’alloggio assegnatogli per un periodo di tempo relativamente prolungato e le autorità non siano informate di dove egli dimori, cosicché non possa avere luogo un trasferimento pianificato.
Se il soggetto interessato possa invocare la corretta applicazione della disposizione citata e, nell’ambito di una procedura contro una decisione di trasferimento, possa eccepire il decorso del termine di trasferimento, perché egli non era fuggito.
2)      Se una proroga del termine di trasferimento previsto all’articolo 29, paragrafo 1, primo comma, del regolamento [Dublino III] si verifichi già se lo Stato membro che provvede al trasferimento, ancora prima della scadenza del termine, informi lo Stato membro competente della fuga del soggetto interessato e, allo stesso tempo, stabilisca un termine concreto che non può essere superiore a 18 mesi entro il quale si procederà al trasferimento, oppure se una proroga del termine sia possibile solo quando gli Stati membri coinvolti stabiliscano consensualmente un termine prolungato.
3)      Se il trasferimento di un richiedente asilo verso lo Stato membro competente sia inammissibile nell’ipotesi in cui, in caso di riconoscimento della protezione internazionale in detto Stato, sarebbe ivi esposto, alla luce di quelle che allora sarebbero le sue prevedibili condizioni di vita, ad un grave rischio di subire un trattamento ai sensi dell’articolo 4 della Carta.
Se tale questione rientri nel campo di applicazione del diritto dell’Unione.
Secondo quali parametri del diritto dell’Unione si debbano valutare le condizioni di vita di un soggetto cui è stata riconosciuta la protezione internazionale».
 Procedimento dinanzi alla Corte
49      Su richiesta del giudice del rinvio, la sezione designata ha esaminato la necessità di sottoporre la presente causa al procedimento pregiudiziale d’urgenza ex articolo 107 del regolamento di procedura della Corte. Il 24 aprile 2017 la suddetta sezione ha deciso, sentito l’avvocato generale, di non accogliere tale domanda.
 Sulle questioni pregiudiziali
 Sulla prima questione
50      Con la sua prima questione, che comprende due parti, il giudice del rinvio chiede, da un lato, se l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che, perché possa ritenersi che l’interessato sia fuggito, ai sensi di detta disposizione, sia necessario che quest’ultimo si sia deliberatamente sottratto alle autorità competenti, al fine di impedire il suo trasferimento, o se, al contrario, sia sufficiente, a tal riguardo, che detto soggetto abbia lasciato il luogo di residenza assegnatagli senza che le suddette autorità siano state informate della sua assenza, cosicché detto trasferimento non possa essere eseguito.
51      Dall’altro lato, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che, nell’ambito di un procedimento diretto avverso una decisione di trasferimento, l’interessato può invocare l’articolo 29, paragrafo 2, di tale regolamento, eccependo che il termine di trasferimento era scaduto per il motivo che egli non era fuggito.
52      Per quanto riguarda la prima parte di tale prima questione, occorre rilevare che le disposizioni di cui all’articolo 29, paragrafo 1, primo comma, e paragrafo 2, del regolamento Dublino III prevedono, alla scadenza del termine perentorio di sei mesi, un trasferimento automatico della competenza dell’esame di una domanda di protezione internazionale allo Stato membro richiedente, tranne nei casi in cui tale termine sia stato, in via eccezionale, prorogato fino a un massimo di un anno se non è stato possibile effettuare il trasferimento a causa della detenzione dell’interessato, o fino a un massimo di diciotto mesi qualora questi sia fuggito, ipotesi in cui il trasferimento della competenza dell’esame della sua domanda è effettuato alla scadenza del termine così determinato.
53      Quanto alla questione concernente le condizioni che devono ricorrere per potersi ritenere che il richiedente «sia fuggito», ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III, occorre constatare che tale regolamento non contiene alcuna precisazione al riguardo.
54      Il regolamento Dublino III, infatti, non contiene alcuna definizione della nozione di «fuga» e nessuna delle sue disposizioni specifica espressamente se tale nozione presuppone che l’interessato abbia avuto intenzione di sottrarsi al potere delle autorità al fine di scongiurare il suo trasferimento.
55      Orbene, conformemente a costante giurisprudenza della Corte, dall’esigenza di applicazione uniforme del diritto dell’Unione deriva che, laddove una sua disposizione non rinvii al diritto degli Stati membri per quanto riguarda una determinata nozione, quest’ultima deve essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme, da effettuarsi tenendo conto non solo dei termini della disposizione interessata, ma anche del suo contesto e dello scopo perseguito dalla normativa di cui tale disposizione fa parte (sentenza dell’8 marzo 2018, DOCERAM, C‑395/16, EU:C:2018:172, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).
56      A tal proposito, dal significato comune del termine «fuga» – utilizzato nella maggior parte delle versioni linguistiche dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III e che implica la volontà dell’interessato di sfuggire a qualcuno o di sottrarsi a qualcosa, ossia, nel caso di specie, alle autorità competenti e, di conseguenza, al suo trasferimento – risulta che la suddetta disposizione è applicabile, in via di principio, soltanto quando tale soggetto si sottrae deliberatamente alle suddette autorità. L’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione contempla inoltre, tra le possibili cause di rinvio di un trasferimento, il fatto che «il richiedente si sia sottratto all’esecuzione del trasferimento», il che implica l’esistenza di un elemento intenzionale. Al pari, l’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III definisce la nozione di «rischio di fuga», richiamando, in talune versioni linguistiche, come la versione in lingua tedesca, il timore che l’interessato «si sottragga» mediante la fuga alla procedura di trasferimento.
57      Il contesto nel quale si inserisce l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III e gli obiettivi perseguiti da tale regolamento ostano, tuttavia, a un’interpretazione di tale disposizione in base alla quale, in una situazione in cui il trasferimento non può essere effettuato a causa del fatto che l’interessato ha lasciato il luogo di residenza assegnatogli, senza informare le autorità competenti della sua assenza, dette autorità dovrebbero fornire la prova che tale persona abbia effettivamente avuto l’intenzione di sottrarsi alle medesime al fine di scongiurare il suo trasferimento.
58      Dai considerando 4 e 5 del regolamento Dublino III risulta, infatti, che l’obiettivo di tale regolamento è quello di stabilire un metodo chiaro e pratico, fondato su criteri oggettivi ed equi sia per gli Stati membri sia per le persone interessate, onde determinare con rapidità lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale, al fine di garantire l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento di una siffatta protezione e di non pregiudicare l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale.
59      Tenuto conto di tale obiettivo di celerità, il termine di trasferimento di sei mesi determinato dall’articolo 29, paragrafo 1, e paragrafo 2, prima frase, del regolamento Dublino III mira a garantire che l’interessato sia effettivamente trasferito il più rapidamente possibile verso lo Stato membro competente per l’esame della sua domanda di protezione internazionale, lasciando al contempo, in considerazione della complessità pratica e delle difficoltà organizzative che si ricollegano all’esecuzione del trasferimento di tale persona, ai due Stati membri interessati, il tempo necessario per accordarsi ai fini della realizzazione di quest’ultimo e, più in particolare, allo Stato membro richiedente, quello per disciplinare le modalità di realizzazione del trasferimento (v., in tal senso, sentenza del 29 gennaio 2009, Petrosian, C‑19/08, EU:C:2009:41, punto 40).
60      È in tale contesto che l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III consente, a titolo eccezionale, la proroga del termine di sei mesi, in modo da tener conto del fatto che è materialmente impossibile per lo Stato membro richiedente procedere al trasferimento dell’interessato a causa della detenzione o della fuga di quest’ultimo.
61      Orbene, in considerazione delle notevoli difficoltà che le autorità competenti possono incontrare quanto alla produzione della prova circa le intenzioni dell’interessato, il fatto di esigere una simile prova da parte di dette autorità potrebbe permettere ai richiedenti protezione internazionale che non intendono essere trasferiti verso lo Stato membro designato come competente per l’esame della loro domanda dal regolamento Dublino III di sfuggire alle autorità dello Stato membro richiedente fino alla scadenza del termine di sei mesi, di modo che la competenza di tale esame spetti a quest’ultimo Stato membro, in applicazione dell’articolo 29, paragrafo 2, prima frase, del suddetto regolamento.
62      Pertanto, al fine di garantire l’effettivo funzionamento del sistema di Dublino e il raggiungimento degli obiettivi di quest’ultimo, occorre ritenere che, quando il trasferimento dell’interessato non può essere eseguito a causa del fatto che quest’ultimo ha lasciato il luogo di residenza assegnatogli, senza aver informato le autorità nazionali competenti della sua assenza, queste ultime siano legittimate a presumere che detto soggetto avesse l’intenzione di sottrarsi alle suddette autorità al fine di scongiurare il proprio trasferimento, a condizione, tuttavia, che tale persona sia stata debitamente informata degli obblighi ad essa incombenti a tal riguardo.
63      In tale contesto, occorre rilevare che, in applicazione dell’articolo 7, paragrafi da 2 a 4 della direttiva accoglienza, gli Stati membri – come sembra aver effettivamente fatto la Repubblica federale di Germania – possono limitare la possibilità, per i richiedenti asilo, di scegliere il luogo di residenza e possono richiedere che questi ultimi ottengano una previa autorizzazione amministrativa per lasciare tale luogo. Inoltre, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 5, della suddetta direttiva, gli Stati membri fanno obbligo ai richiedenti di comunicare il loro indirizzo alle autorità competenti e di notificare loro con la massima tempestività qualsiasi sua successiva modificazione.
64      Tuttavia, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva accoglienza, gli Stati membri devono informare i richiedenti di tali obblighi. Non si può, infatti, contestare al richiedente di aver lasciato il luogo di residenza assegnatogli senza aver informato le autorità competenti e, se del caso, senza aver richiesto a queste ultime una previa autorizzazione, qualora detto richiedente non sia stato informato di tali obblighi. Spetta, nel caso di specie, al giudice del rinvio verificare che il ricorrente del procedimento principale sia stato effettivamente informato di tali obblighi.
65      Inoltre, nei limiti in cui non possa escludersi la sussistenza di valide ragioni che giustifichino il fatto che il richiedente non ha informato le autorità competenti della sua assenza, quest’ultimo deve conservare la possibilità di dimostrare che non aveva intenzione di sottrarsi a dette autorità.
66      Per quanto riguarda la seconda parte della prima questione diretta a comprendere se, nell’ambito di un procedimento diretto avverso una decisione di trasferimento, l’interessato possa invocare l’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, eccependo che il termine di trasferimento era scaduto per il motivo che egli non era fuggito, occorre constatare che dalla sentenza del 25 ottobre 2017, Shiri (C‑201/16, EU:C:2017:805), pronunciata successivamente all’introduzione della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, risulta che occorre rispondere alla stessa in senso affermativo.
67      In tale sentenza, infatti, la Corte ha statuito, da un lato, che, al fine di sincerarsi che la decisione di trasferimento contestata sia stata adottata a seguito di una corretta applicazione delle procedure di presa e di ripresa in carico istituite dal regolamento Dublino III, il giudice investito di un ricorso avverso una decisione di trasferimento deve poter esaminare le doglianze di un richiedente protezione internazionale secondo le quali detta decisione sarebbe stata adottata in violazione delle disposizioni contenute nell’articolo 29, paragrafo 2, di tale regolamento, in quanto lo Stato membro richiedente sarebbe già divenuto lo Stato membro competente il giorno dell’adozione della suddetta decisione a causa della precedente scadenza del termine di sei mesi definito all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, del regolamento in parola (sentenza del 25 ottobre 2017, Shiri, C‑201/16, EU:C:2017:805, punto 40).
68      Dall’altro lato, alla luce dell’obiettivo, menzionato al considerando 19 del regolamento Dublino III, di garantire, conformemente all’articolo 47 della Carta, una protezione efficace degli interessati, nonché dell’obiettivo, citato al considerando 5 di tale regolamento, di assicurare con celerità la determinazione dello Stato membro competente a esaminare una domanda di protezione internazionale, nell’interesse tanto dei richiedenti una tale protezione quanto del buon funzionamento generale del sistema di Dublino, il richiedente deve poter disporre di un mezzo di ricorso effettivo e rapido che gli consenta di far valere la scadenza del termine di sei mesi definito all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, di detto regolamento, intervenuta successivamente all’adozione della decisione di trasferimento (sentenza del 25 ottobre 2017, Shiri, C‑201/16, EU:C:2017:805, punti 44 e 46).
69      Il diritto che la normativa tedesca sembra riconoscere, salvo verifica da parte del giudice del rinvio, a un richiedente protezione internazionale che si trovi in una situazione come quella del sig. Jawo di invocare circostanze successive all’adozione della decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, nell’ambito di un ricorso diretto contro tale decisione, soddisfa tale obbligo di prevedere un mezzo di ricorso effettivo e rapido (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2017, Shiri, C‑201/16, EU:C:2017:805, punto 46).
70      Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione nel seguente modo:
–        l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che un richiedente «[è] fuggito», ai sensi di tale disposizione, allorché si sottragga deliberatamente alle autorità nazionali competenti per l’esecuzione del trasferimento, al fine di scongiurare quest’ultimo. Si può presumere che ciò si verifichi quando tale trasferimento non può essere eseguito a causa del fatto che il suddetto richiedente ha lasciato il luogo di residenza assegnatogli senza aver informato della sua assenza le autorità nazionali competenti, a condizione che egli sia stato informato dei suoi obblighi al riguardo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Detto richiedente conserva la possibilità di dimostrare che il fatto che egli non abbia avvisato le suddette autorità della sua assenza è giustificato da valide ragioni e non dall’intenzione di sottrarsi a tali autorità.
–        L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito di un procedimento diretto avverso una decisione di trasferimento, l’interessato può invocare l’articolo 29, paragrafo 2, di tale regolamento, facendo valere che, poiché egli non era fuggito, il termine di sei mesi era scaduto.
 Sulla seconda questione
71      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che, per poter prorogare il termine di trasferimento fino a un massimo di diciotto mesi, è sufficiente che lo Stato membro richiedente informi, prima della scadenza del termine di trasferimento di sei mesi, lo Stato membro competente del fatto che l’interessato sia fuggito e contestualmente indichi il nuovo termine di trasferimento, oppure se sia necessario che i suddetti due Stati membri si accordino circa tale nuovo termine.
72      A tal riguardo, occorre rilevare, in primo luogo, che l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III non prevede, per la proroga del termine di trasferimento nelle situazioni ivi contemplate, alcuna concertazione tra lo Stato membro richiedente e lo Stato membro competente. Tale disposizione si distingue pertanto dall’articolo 29, paragrafo 1, del regolamento in parola che prevede espressamente che il trasferimento avvenga previa concertazione tra gli Stati membri interessati.
73      Il fatto poi di esigere una concertazione anche nelle situazioni di cui all’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III renderebbe tale disposizione di difficile applicazione e potrebbe privarla in parte del suo effetto utile. Gli scambi tra i due Stati membri interessati, cui occorrerebbe procedere al fine di concordare una proroga del termine di trasferimento, imporrebbero infatti l’impiego di tempo e di risorse e non esisterebbe alcun meccanismo efficace che permetta di risolvere dispute relative alla sussistenza o meno delle condizioni per una tale proroga. Inoltre, sarebbe sufficiente che lo Stato membro richiesto rimanga passivo affinché sia esclusa una proroga del termine.
74      Infine, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 4, del regolamento Dublino III, la Commissione stabilisce, mediante atti di esecuzione, condizioni uniformi per la consultazione e lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, in particolare nel caso di trasferimenti differiti o ritardati. Orbene, l’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione precisa che spetta allo Stato membro che, per uno dei motivi di cui all’articolo 29, paragrafo 2, non può eseguire il trasferimento entro il normale termine di sei mesi informare lo Stato membro competente prima dello scadere di tale termine, senza prevedere un obbligo di concertazione al riguardo.
75      Da quanto precede risulta che si deve rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che, al fine di prorogare il termine di trasferimento a un massimo di diciotto mesi, è sufficiente che lo Stato membro richiedente informi, prima della scadenza del termine di trasferimento di sei mesi, lo Stato membro competente del fatto che l’interessato è fuggito e contestualmente indichi il nuovo termine di trasferimento.
 Sulla terza questione
76      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 4 della Carta debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un richiedente protezione internazionale sia trasferito, in applicazione dell’articolo 29 del regolamento Dublino III, verso lo Stato membro che, conformemente a tale regolamento, è competente per il trattamento della sua domanda di protezione internazionale, nell’ipotesi in cui detto richiedente, in caso di riconoscimento della protezione in parola nel suddetto Stato membro, sarebbe esposto a un grave rischio di subire un trattamento inumano e degradante, ai sensi dell’articolo 4, a causa delle prevedibili condizioni di vita in cui lo stesso si verrebbe a trovare in quanto beneficiario di protezione internazionale nel suddetto Stato membro. Detto giudice si domanda, inoltre, se tale questione rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. In aggiunta, esso intende conoscere, se del caso, i parametri in base ai quali il giudice nazionale deve valutare le condizioni di vita di un soggetto cui è stata riconosciuta protezione internazionale.
77      A tal riguardo, occorre constatare, in primo luogo, che la decisione di uno Stato membro di trasferire un richiedente in applicazione dell’articolo 29 del regolamento Dublino III verso lo Stato membro che, conformemente al regolamento in parola, è in via di principio competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale costituisce un elemento del sistema europeo comune di asilo e, pertanto, attua il diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta (v., per analogia, sentenze del 21 dicembre 2011, N.S. e a., C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti 68 e 69, e del 16 febbraio 2017, C.K. e a., C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127, punti 53 e 54).
78      Inoltre, da costante giurisprudenza risulta che le disposizioni del regolamento Dublino III devono essere interpretate e applicate nel rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta e, in particolare, dal suo articolo 4, che vieta, senza alcuna possibilità di deroga, trattamenti inumani o degradanti in tutte le sue forme, ed è quindi di fondamentale importanza e ha carattere generale e assoluto in quanto è strettamente connesso al rispetto della dignità umana, previsto all’articolo 1 della Carta (v., in tal senso, sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 85 e 86, e del 16 febbraio 2017, C.K. e a., C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127, punti 59, 69 e 93).
79      La terza questione è pertanto una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 267 TFUE.
80      In secondo luogo, occorre rammentare che il diritto dell’Unione poggia sulla premessa fondamentale secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri, e riconosce che questi condividono con lo stesso, una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda, così come precisato all’articolo 2 TUE. Tale premessa implica e giustifica l’esistenza della fiducia reciproca tra gli Stati membri nel riconoscimento di tali valori e, dunque, nel rispetto del diritto dell’Unione che li attua [sentenza del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punto 35 e giurisprudenza ivi citata], nonché nel fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali sono in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti dalla Carta, segnatamente agli articoli 1 e 4 di quest’ultima, che sanciscono uno dei valori fondamentali dell’Unione e dei suoi Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 77 e 87).
81      Il principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri riveste un’importanza fondamentale nel diritto dell’Unione, dato che consente la creazione e il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne. Più specificamente, il principio della fiducia reciproca impone a ciascuno di tali Stati, segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, di ritenere, tranne che in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo [v., in tal senso, sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 78, e del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punto 36].
82      Pertanto, nel contesto del sistema europeo comune di asilo, e segnatamente del regolamento Dublino III, che si fonda sul principio di fiducia reciproca e che mira, mediante una razionalizzazione delle domande di protezione internazionale, ad accelerare il trattamento di queste ultime nell’interesse tanto dei richiedenti quanto degli Stati partecipanti, si deve presumere che il trattamento riservato ai richiedenti di tale protezione in ciascuno Stato membro sia conforme a quanto prescritto dalla Carta, dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Raccolta dei Trattati delle Nazioni Unite, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)] e dalla CEDU (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a., C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti da 78 a 80).
83      Tuttavia, non si può escludere che tale sistema incontri, in pratica, gravi difficoltà di funzionamento in un determinato Stato membro, cosicché sussiste un rischio serio che un richiedente protezione internazionale sia, in caso di trasferimento verso detto Stato membro, trattato in modo incompatibile con i suoi diritti fondamentali (sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a., C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 81).
84      In tali circostanze, l’applicazione di una presunzione assoluta secondo cui i diritti fondamentali del richiedente protezione internazionale saranno rispettati nello Stato membro che, ai sensi del regolamento Dublino III, è designato quale Stato membro competente a esaminare la domanda sarebbe incompatibile con l’obbligo di interpretare e applicare detto regolamento in conformità ai diritti fondamentali (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a., C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti 99, 100 e 105).
85      Pertanto, la Corte ha già statuito che, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, gli Stati membri, ivi compresi gli organi giurisdizionali nazionali, sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro competente, ai sensi del regolamento Dublino II, antecedente al regolamento Dublino III, quando non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi di tale disposizione (sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a., C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 106).
86      L’articolo 3, paragrafo 2, secondo e terzo comma, del regolamento Dublino III, che ha codificato tale giurisprudenza, precisa che, in una situazione del genere, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente diviene lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale se constata, dopo la prosecuzione dell’esame dei criteri di cui al capo III di detto regolamento, che è impossibile procedere al trasferimento del richiedente verso uno Stato membro designato sulla base di tali criteri o verso il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.
87      Sebbene l’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III contempli soltanto la situazione all’origine della sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865), ossia quella in cui il rischio reale di trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, risulti da carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale nello Stato membro che, ai sensi di tale regolamento, è designato come competente per l’esame della domanda, tuttavia dai punti 83 e 84 della presente sentenza, nonché dal carattere generale e assoluto del divieto di cui all’articolo 4, deriva che il trasferimento di un richiedente verso tale Stato membro è escluso in tutte le situazioni in cui esistano motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un simile rischio in occasione del suo trasferimento o a seguito di questo.
88      Di conseguenza, è irrilevante, ai fini dell’applicazione del summenzionato articolo 4, che l’interessato sia esposto a un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, a causa del suo trasferimento verso lo Stato membro competente, ai sensi del regolamento Dublino III, al momento stesso del trasferimento, durante la procedura di asilo ovvero all’esito di quest’ultima.
89      Come rilevato dal giudice del rinvio, infatti, il sistema europeo comune di asilo e il principio di fiducia reciproca si basano sul fatto di garantire che l’applicazione di detto sistema non comporti, in nessuna fase e sotto alcuna forma, un grave rischio di violazioni dell’articolo 4 della Carta. Sarebbe, al riguardo, contraddittorio che l’esistenza di un tale rischio nella fase della procedura di asilo impedisca un trasferimento, mentre invece questo venga tollerato quando tale procedura si è conclusa con il riconoscimento di una protezione internazionale.
90      A tal riguardo, quando il giudice investito di un ricorso avverso una decisione di trasferimento dispone di elementi prodotti dall’interessato per dimostrare l’esistenza di un tale rischio, il suddetto giudice è tenuto a valutare, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati e in considerazione del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione, l’esistenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone (v., per analogia, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 89).
91      Per quanto riguarda, in terzo luogo, la questione relativa alla determinazione dei parametri in base ai quali le autorità nazionali competenti devono procedere a tale valutazione, si deve evidenziare che, per rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 4 della Carta, che corrisponde all’articolo 3 della CEDU e il cui significato e la cui portata sono quindi, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, i medesimi di quelli conferiti dalla suddetta convenzione, le carenze menzionate al punto precedente della presente sentenza devono raggiungere una soglia particolarmente elevata di gravità, la quale dipende dall’insieme delle circostanze del caso di specie (Corte EDU, 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia, CE:ECHR:2011:0121JUD003069609, § 254).
92      Tale soglia particolarmente elevata di gravità sarebbe raggiunta quando l’indifferenza delle autorità di uno Stato membro comporti che una persona completamente dipendente dall’assistenza pubblica si venga a trovare, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale che non le consenta di far fronte ai suoi bisogni più elementari quali, segnatamente, nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio, e che pregiudichi la sua salute fisica o psichica o che la ponga in uno stato di degrado incompatibile con la dignità umana (v., in tal senso, Corte EDU, 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia, CE:ECHR:2011:0121JUD003069609, §§ da 252 a 263).
93      Detta soglia non può quindi comprendere situazioni che, quantunque caratterizzate da un elevato grado di precarietà o da un forte degrado delle condizioni di vita dell’interessato, non implichino un’estrema deprivazione materiale che ponga detto soggetto in una situazione di gravità tale da poter essere assimilata a un trattamento inumano o degradante.
94      Una circostanza come quella invocata dal giudice del rinvio, secondo cui, in base alla relazione menzionata al punto 47 della presente sentenza, le forme di solidarietà delle strutture familiari alle quali ricorrono i cittadini dello Stato membro di regola competente per l’esame della domanda di protezione internazionale per colmare le lacune del sistema sociale di tale Stato membro generalmente mancano nel caso dei beneficiari di protezione internazionale in detto Stato membro non può essere sufficiente per giustificare la constatazione che un richiedente protezione internazionale potrebbe, in caso di trasferimento verso detto Stato membro, ritrovarsi in una siffatta situazione di estrema deprivazione materiale.
95      Ciò posto, non si può completamente escludere che un richiedente protezione internazionale possa dimostrare l’esistenza di circostanze eccezionali relative al suo caso particolare e che comporterebbero, in caso di trasferimento verso lo Stato membro di regola competente per il trattamento della sua domanda di protezione internazionale, che lo stesso venga a trovarsi, a causa della sua particolare vulnerabilità, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale corrispondente ai criteri menzionati ai punti da 91 a 93 della presente sentenza dopo che gli sia stato riconosciuto il beneficio di una protezione internazionale.
96      Nel caso di specie, l’esistenza di carenze nell’attuazione, da parte dello Stato membro di regola competente per l’esame della domanda di protezione internazionale, di programmi di integrazione dei beneficiari di tale protezione non può costituire un motivo serio e comprovato di credere che l’interessato sarebbe esposto, in caso di trasferimento verso detto Stato membro, a un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta.
97      In ogni caso, la mera circostanza che la protezione sociale e/o le condizioni di vita siano più favorevoli nello Stato membro richiedente rispetto allo Stato membro di regola competente per l’esame della domanda di protezione internazionale non è idonea a suffragare la conclusione secondo cui l’interessato verrebbe esposto, in caso di trasferimento in quest’ultimo Stato membro, a un rischio effettivo di subire un trattamento contrario all’articolo 4 della Carta.
98      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla terza questione nel seguente modo:
–        Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che rientra nel suo ambito di applicazione la questione se l’articolo 4 della Carta osti a che un richiedente protezione internazionale sia trasferito, in applicazione dell’articolo 29 del regolamento Dublino III, verso lo Stato membro che, conformemente a tale regolamento, è di regola competente per l’esame della sua domanda di protezione internazionale, nell’ipotesi in cui, in caso di riconoscimento di tale protezione nel suddetto Stato membro, tale richiedente sarebbe esposto a un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, ai sensi del summenzionato articolo 4, a causa delle prevedibili condizioni di vita in cui verrebbe a trovarsi in quanto beneficiario di protezione internazionale in tale Stato membro.
–        L’articolo 4 della Carta deve essere interpretato nel senso che esso non osta a un trasferimento siffatto del richiedente protezione internazionale, a meno che il giudice investito del ricorso avverso la decisione di trasferimento non constati, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati e in considerazione del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione, l’esistenza di tale rischio per il richiedente a causa del fatto che, in caso di trasferimento, quest’ultimo si verrebbe a trovare, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale.
 Sulle spese
99      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1)      L’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giungo 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, deve essere interpretato nel senso che un richiedente «[è] fuggito», ai sensi di tale disposizione, allorché si sottragga deliberatamente alle autorità nazionali competenti per l’esecuzione del trasferimento, al fine di scongiurare quest’ultimo. Si può presumere che ciò si verifichi quando tale trasferimento non può essere eseguito a causa del fatto che il suddetto richiedente ha lasciato il luogo di residenza assegnatogli senza aver informato della sua assenza le autorità nazionali competenti, a condizione che egli sia stato informato dei suoi obblighi al riguardo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Detto richiedente conserva la possibilità di dimostrare che il fatto che egli non abbia avvisato le suddette autorità della sua assenza è giustificato da valide ragioni e non dall’intenzione di sottrarsi a tali autorità.
L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito di un procedimento diretto avverso una decisione di trasferimento, l’interessato può invocare l’articolo 29, paragrafo 2, di tale regolamento, facendo valere che, poiché egli non era fuggito, il termine di sei mesi era scaduto.
2)      L’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, al fine di prorogare il termine di trasferimento a un massimo di diciotto mesi, è sufficiente che lo Stato membro richiedente informi, prima della scadenza del termine di trasferimento di sei mesi, lo Stato membro competente del fatto che l’interessato è fuggito e contestualmente indichi il nuovo termine di trasferimento.
3)      Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che rientra nel suo ambito di applicazione la questione se l’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osti a che un richiedente protezione internazionale sia trasferito, in applicazione dell’articolo 29 del regolamento n. 604/2013, verso lo Stato membro che, conformemente a tale regolamento, è di regola competente per l’esame della sua domanda di protezione internazionale, nell’ipotesi in cui, in caso di riconoscimento di tale protezione nel suddetto Stato membro, tale richiedente sarebbe esposto a un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, ai sensi del summenzionato articolo 4, a causa delle prevedibili condizioni di vita in cui verrebbe a trovarsi in quanto beneficiario di protezione internazionale in tale Stato membro.
L’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali deve essere interpretato nel senso che esso non osta a un trasferimento siffatto del richiedente protezione internazionale, a meno che il giudice investito del ricorso avverso la decisione di trasferimento non constati, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati e in considerazione del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione, l’esistenza di tale rischio per il richiedente a causa del fatto che, in caso di trasferimento, quest’ultimo si verrebbe a trovare, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale.
Dal sito http://curia.europa.eu